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Cap. 9
SOMMA ESATTEZZA DI ALFONSO
NELL'OSSERVANZA REGOLARE
"Il
fine della nostra Congregazione è di renderci simili a Gesù Cristo. A questo
tendono le regole, e questo è stato il fine principale, per cui ho fondata la
Congregazione: onde chi non si mette in capo questo fine, non solo non anderà
mai avanti, ma anderà sempre indietro." Così il nostro santo annunziava ai
suoi congregati in una esortazione l'impegno che debbono avere per la esatta
osservanza della regola.
Difatti
la perfetta osservanza regolare e il contrassegno più certo, che un'anima
religiosa tende alla perfezione del suo stato, e procede senza arrestarsi nella
via della santità. I mondani non intendono questa verità, perché infangati
nell'amore delle cose terrene, distratti dalle cure temporali, e poco solleciti
eziandio rapporto all'osservanza dei divini precetti, stimano cosa superflua o
strana tutto ciò che si eleva al di sopra del vivere comune; anzi tacciano di
stravaganza e fanatismo l'adempimento di quelle minute osservanze, che vengono
imposte ai religiosi dalle leggi del loro Istituto.
Però
nulla deve riputarsi o superfluo, o stravagante, allorquando conduce l'uomo con
l'esercizio delle virtù morali all'avanzamento nella divina Carità. E tali sono
i precetti, che s'impongono alle persone religiose, perché sono basati sui
consigli evangelici, e concorrono a perfezionare lo spirito di coloro, che
vengono chiamati dal Padre celeste a professare vita perfetta in qualche ordine
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regolare. Imperocché
dispensando il Signore variamente i suoi doni alle anime, ne consegue, che
differenti sieno altresì le vocazioni su questa terra, come son diversi e vari
gli stati nella umana società.
Il
divin Verbo fattosi carne dettò leggi e consigli di somma perfezione e santità,
emananti dalla sua infinita sapienza: quindi sursero nella Chiesa di Dio uomini
insigni, i quali supernamente ispirati abbracciarono un vivere singolare e
tutto conforme agl'insegnamenti ed esempi del divin Redentore. Or a questi
essendosi associati dei seguaci animati dal medesimo spirito, fu d'uopo
formarsi in società costituir delle leggi, nell'osservanza delle quali hanno
dato al mondo un luminoso attestato della loro imitazione a Gesù Cristo.
Fra
questi avventurosi chiamati da Dio a dare leggi di vita e disciplina merita un
luogo distinto Alfonso Maria de Liguori, il quale nel secolo scorso con superna
vocazione fu chiamato a fondare una nuova Congregazione di operai evangelici
specialmente addetti alla cultura spirituale della gente rurale ed idiota. Egli
adunque fu il fondatore, il promotore ed il legislatore di questa nuova
società; e come in ogni altro ordine religioso stabilì delle leggi per il
regolamento privato e pubblico di sua Congregazione.
Quanto
siano savie e di prudenza ripiene le medesime, non è mio scopo il dimostrarlo.
Basti il dire, che furono applaudite ed approvate dal sommo pontefice Benedetto
XIV, di sempre gloriosa rinomanza. Ma riguardando alcune l'osservanza dei voti
semplici di povertà, di castità e di ubbidienza, altre mirando all'esercizio e
conseguimento delle virtù evangeliche non meno che al buon andamento interno ed
esterno della comunità; perciò alcune di esse son precettive, perché tendono
all'osservanza de' voti, altre poi sono semplicemente direttive: perché non
obbligando ad alcuna colpa sono non pertanto necessarie, acciò i congregati
abbiano mezzi sicuri ed efficaci sia per l'osservanza dei voti, sia per
l'acquisto della loro perfezione.
Ora
il nostro santo e come capo di questa Congregazione, e come faciente parte della
medesima fu sempre osservantissimo - 81 -
in ogni menomo apice delle regole proposte al suo Istituto. Imitando il suo
divino Maestro, il quale niuno ammaestramento volle dare agli uomini, che pria
non avesse egli proprio adempito, Alfonso anch'egli fu l'esemplare vivente ai
suoi alunni delle più minute osservanze della regola: Coepit facere, et docere.
Bastava
specchiarsi nella condotta di lui per aver la norma del vivere e lo stimolo al
ben operare. Non fu giammai, che quantunque superiore si dispensasse da qualche
regolare osservanza, se non quando l'infermità o l'ubbidienza precisa de' suoi
direttori ne lo avessero esentato. Anche da vescovo non mancò di eseguire
quanto si confaceva con la sua dignità vescovile e colle sue occupazioni: anche
da vescovo avendo ritenuto il governo di sua Congregazione, se aveva un vicario
generale per far le veci di lui, non tralasciava tuttavia di essere vigilante
custode dell'osservanza regolare.
E
primieramente per ciò che riguarda la vigilanza di un superiore nell'esigere
l'adempimento delle regole, Alfonso fu veramente sommo ed eroico. Soleva
ripetere: Io voglio osservanza, non voglio rigore, molta osservanza, e poco rigore.
Nondimeno
perché era egli così fervente di spirito, sembravagli sempre poco quel che
facevasi dai suoi congregati, scorgeva i minimi difetti a traverso delle ombre,
che talor si frappongono dalla necessità e dalle passioni umane; temeva ognora
qualche rilasciamento nella perfezione del suo Istituto; talché dalle sue
lettere apparisce, che ei sia stato un esattore rigidissimo di ogni regolare
osservanza, inculcando sempre questo punto così essenziale, e non cessando
giammai di ammonire, di correggere, e di persuadere. Chi non fa stima della Congregazione e della Regola, così si esprimeva,
né anche stima Iddio. Che cosa è la Congregazione ? Che cosa è la Regola ? E'
Gesù Cristo stesso.
A
tal uopo non soltanto chiedeva conto ai rettori locali della condotta di
ognuno, ma teneva altresì per ogni casa uno zelatore segreto, il quale doveva
informarlo minutamente dell'andamento di ciascuno rispetto all'osservanza: e se
venivagli riferito qualche mancamento, tosto avvertiva il colpevole con - 82 -
somma prudenza e
fortezza, e sovente infliggeva delle salutari mortificazioni. Chi non fa conto della Regola, soleva
dire, non fa conto di Dio.
Sono
innumerevoli le circolari del santo rapporto alla regolare osservanza, in cui
risplende mirabilmente, qual fosse lo spirito di lui e come fondatore, e come
superiore, e come membro della Congregazione. Era cotanto minuto nell'esigere
l'osservanza di ogni minimo articolo della sua regola, che sarebbesi talvolta
reso insoffribile ai suoi sudditi, se non avessero conosciuto, che tal suo
rigore procedeva da uno zelo santo e ragionevole: santo, perché quantunque non
inducano ad alcuna colpa le mancanze leggere della nostra regola, non pertanto
si racchiude sempre in tali difetti un disordine, e quindi una specie
d'infedeltà alle promesse fatte al Signore, giusta la sana dottrina
dell'angelico Dottore: ragionevole, perché gli abusi ancorché piccoli, e le
violazioni di una legge anche nel poco, quando non sieno tosto emendate,
sogliono condurre insensibilmente al rilasciamento.
Non
è dunque maraviglia, che questo santo fondatore, il quale per indole e per carità
era così portato alla benignità ed alla clemenza, si mostrasse poi cotanto
severo nell'esigere la perfezione dell'osservanza regolare. Sapeva compatire le
umane imperfezioni, ma voleva la emendazione in chi aveva mancato. Quindi si
osserva nel suo regime, che quanto era indulgente verso quei suoi congregati i
quali ravvedevansi dei loro difetti, altrettanto era inesorabile verso coloro,
i quali o ricadevano nelle medesime colpe, o mostravano durezza nello
emendarsi, fino a mandarli via dal suo Istituto; di che vi ha non pochi esempi,
che io tralascio per essere fuori del mio proposito.
Non
posso però omettere alcuni fatti, pei quali risulta quanto fosse egli vigilante
acciò in niuna parte si offendesse la regola. Comanda questa, che tutti
intervengano agli atti comuni, ancorché siano per puro sollievo e divertimento.
Or avvenne, che essendo stati invitati una volta i padri ad una ricreazione,
egli accordò con tutto il piacere questo divagamento. Ma un di essi, che non vi
aveva inclinazione, si scusò, adducendo che stava indisposto - 83 -
di salute. Alfonso,
benché conoscesse esser quello un pretesto, finse, e non l'obbligò ad andarvi;
ma ordinò al prefetto degl'infermi, che lo sottoponesse in quel giorno alla
dieta, per lo che senza l'interposizione degli altri oltre del mattino lo
avrebbe fatto digiunare anche la sera.
Essendosi
accusato un individuo nel capitolo delle colpe di aver egli mancato alla
mortificazione voluta dalla regola col gustare un po' di sciroppo nell'atto che
stavasi facendo, oltre una forte correzione lo privò eziandio delle frutta per
otto giorni in tavola. Dovendo partire un padre in tempo del silenzio e riposo
pomeridiano, e facendo gran rumore con l'andare avanti e dietro, e con lo
scendere in porteria, egli si recò scalzo nei piedi a veder cosa fosse, e
trovando il detto padre in procinto di partire, lo corresse per aver disturbato
la comunità in tempo di silenzio.
Niun
difetto adunque sfuggiva alla vigilanza ed allo zelo di un tal superiore posto
da Dio a reggere la sua famiglia. Diceva sovente nelle sue esortazioni: Abbracciamoci con una vera umiltà e
mortificazione l'osservanza regolare, stringiamoci con lo spirito di Gesù
Cristo. Iddio vuole che ci portiamo bene, e se così faremo, egli ci benedirà;
se poi ci porteremo male, Iddio ci abbandonerà. Lo vuole Iddio, e lo voglio
anche io, che ci portiamo bene: difetti volontari non li vuole sopportare il
Signore, né li voglio sopportare io.
Quindi
si consolava grandemente, ed il suo cuore gioiva, allorché venivagli riferito,
che nelle case del suo Istituto vi era l'osservanza in pieno vigore. Così
difatti si espresse in una sua lettera al p. Caione rettore: Mi rallegro della buona osservanza, che
sento esservi costì. E dopo avergli avvertito alcune cose così conchiude: Del
resto torno a dire, mi consolo dell'osservanza.a
Però
se Alfonso qual superiore era così diligente nel mantenere intatto e
nell'accrescere lo spirito del suo Istituto, è d'uopo dire, che precedeva tutti
col suo esempio; e non tanto con le parole, quanto con le opere promoveva
assiduamente - 84 -
l'osservanza regolare. Era egli il modello più perfetto della povertà,
dell'ubbidienza, della mortificazione, dell'annegazione di sé stesso, del
raccoglimento, e di ogni altra religiosa virtù.
Al
solo mirare la scrupolosità ed esattezza di lui nelle minime cose, ognuno si
compungeva, e non poteva fare a meno di seguir le pedate di un maestro tanto
accorto nell'osservare ciò che aveva proposto ai suoi discepoli con la sua
regola. E questa sua esattezza non ebbe termine, come abbiam detto, se non che
col terminare la sua vita, non dispensandosi giammai da qualunque esercizio,
che per impotenza o per ubbidienza.
E
per venire al dettaglio di questa sua perfezione, stimo cosa opportuna dare qui
un breve e distinto ragguaglio delle sue giornaliere occupazioni. La mattina al
suono del campanello era già da molto tempo destato e levato di letto, mentre,
come si disse, non dormiva al di là delle cinque ore col permesso dei suoi
direttori: interveniva al coro per la comune meditazione, dopo la quale
recitava divotamente le ore canoniche. Indi rinchiuso nella sua stanza senza
uscirne giammai, si occupava degli affari di sua Congregazione, ovvero
attendeva a comporre quei libri, che ha dato alle stampe. All'ora tarda celebrava
il santo sacrifizio della messa, e facendo il suo rendimento di grazie
trovavasi pronto nel coro per l'esame di
coscienza. Alla mensa vi era sempre la lezione spirituale da lui attentamente
ascoltata, e non dispensata giammai, ancorché fossero pochissimi gl'individui
nella comunità, eccetto nei giorni e nelle occasioni stabilite dalla regola.
Nella
ricreazione comune o discorreva della lezione intesa alla tavola, o di cose
spirituali e scientifiche, oppure suonava il cembalo per insegnare ai suoi
congregati specialmente ai giovani le canzoncine spirituali. Ma appena suonava
il campanello del silenzio, spezzava la parola nella sua bocca, e dritto
ritiravasi nella sua stanza, da cui non usciva se non per andarsene avanti al
ss. Sacramento giusta il suo solito. Nel giorno interveniva come tutti gli
altri alla lezione spirituale ed alla meditazione. Al suono dell'Ave Maria già
ritrovavasi - 85 -
nel coro
per la meditazione, di modo che in tutte le azioni della comunità era sempre il
primo, ed il più esatto; e questa medesima esattezza gli era compagna
indivisibile eziandio nelle missioni ed esercizi spirituali, e nelle medesime
frequenti indisposizioni di sua salute.
Una
volta dovette cavarsi sangue ad ore ventitré per un fiero dolore, che il sorprese
nella coscia, in modo che a stento muover si poteva: eppure alle ore
ventiquattro si trovò all'orazione comune stando al suo solito inginocchiato
divotamente.
Altra
volta nel discendere al refettorio di sera, perché di corta vista strisciò sì
fortemente col calcagno del piede alla fronte del gradino della scala, che ne
risentì acerbo dolore, e stette così fermato per qualche tempo senza dir nulla,
e quasi senza respiro. Ma calmatosi alquanto il dolore, proseguì il suo
cammino, assisté al refettorio e alla ricreazione comune. Però nell'andare a
letto togliendosi le calze vide scorrere molto sangue, e la carne così
stracciata, che vi pendeva la pelle lacerata. Allora egli tagliò questa pelle
con la forbice, radunò della polvere per terra da ristagnare il sangue, e così
la passò tutta la notte. Ma nel mattino seguente avendo raccontato ciò ad un
padre per mettervi l'opportuno rimedio, ed interrogato da quello, perché
chiamato non aveva alcuno la sera antecedente, rispose francamente e
modestamente, che per non violare il silenzio, e perché lo aveva creduto
piccolo male, se n'era astenuto.
Tuttavolta
a conoscer vie meglio lo spirito di Alfonso nell'osservanza regolare, è d'uopo
riflettere, che anche decrepito o reso impotente dopo la rinunzia del suo vescovado,
pur voleva adempire tutti gli atti della comunità, e fra le altre cose voleva
discendere nel refettorio comune insiem con gli altri: né sarebbesi indotto a
prendere il suo scarso cibo nella sua stanza senza un precetto del padre
Villani vicario generale, il quale attesa la età di lui gli rappresentò, che
impiegando molto tempo a camminare ed a mangiare, avrebbe recato incomodo alla
comunità nel doverlo aspettare. Allora chinò il capo con rassegnazione dicendo:
Sia fatta la divina volontà.
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Inoltre per adattarsi al viver
comune avrebbe voluto cibarsi di quelle medesime vivande, che la comunità
mangiava, benché fossero legumi, od altro cibo nocivo alla sua salute. Ma per
ubbidienza anche se ne astenne, ben persuaso che la virtù dell'osservanza non
tanto consiste nella mortificazione quanto nell'ubbidire.
In
tutte le cose però, nelle quali non avrebbe dato alcuno incomodo agli altri, ed
a cui non si estendeva l'ubbidienza del vicario generale, fu sempre esattissimo
ad osservarle sino alla morte. Quindi il medesimo silenzio, lo stesso
raccoglimento, la stessa povertà, il medesimo intervento agli atti comuni, dove
si faceva a stento trascinare, la medesima lettura spirituale, e tutt'altro
ch'era compatibile con la sua età e con le sue forze.
Quale
eccellente esemplare non è stato adunque questo santo per tutti quelli, che
abbracciano il vivere religioso, e particolarmente pei suoi congregati? Non di
rado avviene, che negli Ordini regolari anche più ferventi s'introducano delle
inosservanze, almeno negli articoli minuti della regola. La loro medesima
parvità le rende in certo modo scusabili specialmente per quegl'individui, i
quali han consumato di già molti anni nella carriera religiosa. Oltre che la
minutezza medesima di questi precetti par che ne giustifichi la violazione,
sembrando quasi impossibile l'osservarli tutti ed assiduamente.
Però
Alfonso ci ammaestra col suo esempio, che ognuno possa rendersi minuto e
perpetuo osservatore di ogni menomo precetto, e che niuna scusa possa
mendicarsi né dalla loro importunità, né dalla loro età, o dalle cariche, alle
quali venga taluno elevato nel suo Istituto. Imperocchè lo si vede
diligentissimo ad ogni osservanza regolare da giovane e da vecchio, da sano e
da infermo, e qual superiore e fondatore si rende perfetto esemplare
nell'osservanza di ogni precetto della sua regola.
In
comprova di che, oltre i fatti surriferiti, mi piace addurne ancora degli
altri, che più mirabilmente fanno risplendere la perfezione di lui. Ordina la
nostra regola, che in ogni mese - 87 -
si faccia un giorno di ritiramento, ed ogni anno dieci giorni di simile ritiro
con tutto raccoglimento e rigoroso silenzio. Or chi non vede, quanto sia
difficil cosa l'osservarsi esattamente questo articolo da un superiore
generale?
Eppure
Alfonso lo praticò sempre appuntino, tanto che in detti giorni, dato bando ad
ogni altro pensiero ed occupazione, intratteneva il suo spirito nel riandare
con diligente esame la sua condotta, nel premunirsi contro ogni futura
possibile negligenza nella via della perfezione, e nell'infiammare il suo cuore
vie più con le potenti fiamme della divina carità mercè il fervore e la
sublimità della sua orazione. A tal uopo aveva dato ordine, che niuno in detti
giorni a lui ne andasse per affare qualunque, commettendo ad un consultore il
disbrigo di quelle cose, che non avessero sofferto dilazione alcuna. Ma questo
è ancor poco.
La
nostra regola impone il silenzio nelle ore pomeridiane durante il riposo, la lezione
spirituale, e la meditazione. Ora in tal tempo fu veduto sempre il nostro santo
levarsi via dai piedi le scarpe, se accadeva di dover camminare per i corridoi,
affine di non disturbare il sonno ed il silenzio degli altri col minimo rumore.
La
nostra regola esige dai congregati, che per ogni cosa, di cui abbiano bisogno,
chiedano il permesso al superiore, o a chi ne fa le veci, ancorché fosse per un
poco di acqua. Ora il nostro santo domandava sempre questi permessi al rettore,
ed in mancanza di lui al ministro, o al più anziano, e talora al suo fratello
serviente, per osservare quella subordinazione, che la regola impone ai
soggetti del nostro Istituto in tutte le cose.
Non
deve pertanto recar maraviglia, se egli fosse cotanto restio nel dispensare gli
altri da qualunque osservanza, temendo sempre che abuso o rilasciamento venir
ne potesse. Scusavasi sovente con dire: La cosa richiesta non posso concederla,
perché è contro la regola, e porta esempio per gli altri: se la concedo a V. R.
l'ho da concedere anche agli altri. Difatti avendo il padre Margotta, tanto da
lui stimato, chiesto al santo la facoltà di confessare le donne per un suo
individuo, - 88 -
il quale
non era ancor pervenuto all'età prescritta dalla regola, così gli rispose: Se la concedo ad uno, debbo concederla agli
altri: l' ho negata ai padri N. N.; che hanno maggiore età.
L'arcivescovo
di Conza domandò un padre per confessore ordinario al monastero di Calitri, il
che è vietato dalla regola. Alfonso si schermì, e per non disgustare
l'arcivescovo scrisse al detto padre, che da sé medesimo anche si fosse
pulitamente negato. Dimorando in Foggia in occasione della missione nella casa
Ricciardi tanto divota del santo, non fu mai possibile fargli gustare altro
cibo, fuorché la sola minestra ed una vivanda. E poiché il padron di casa lo
sforzava ad assaggiare almeno qualche altra pietanza, adducendo per ragione,
che non contenevano tutt'i piatti, fuorché una cosa stessa diversamente
apparecchiata, Alfonso rispose: Tutto va
bene, ma la mia regola non mi permette in missione, che la sola minestra, ed
un'altra pietanza. Così per tutto quel tempo non volle dispensare né per
se, né per gli altri.
Altra volta
essendosi interposto un rettore presso di lui, per ottenere che alcuni studenti
si fossero diretti nelle cose dello spirito da un altro padre, mentre non
avevano confidenza col loro prefetto, il santo si oppose scrivendogli:
La regola vuole che gli studenti si regolino col
prefetto: quindi il mio desiderio si è, che tutti gli studenti, come dice la
regola, si dirigano col prefetto, alla cui direzione tenga per certo, che Dio
più vi concorre, perché vi è l'ubbidienza, benché si faccia di mal genio. Dio
non corre coi geni, ma coll'ubbidienza.
Per tal modo
questo santo preposto dal Signore alla sua famiglia non solo fu dispensatore
fedele, ma rendendosi altresì perfetto esemplare ha meritato di esser proposto
qual modello di osservanza a tutti i religiosi.
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Posizione Originale Nota - Libro
V, Cap. 9, pag. 83
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