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Cap. 14
SUA ARDENTISSIMA CARITA' VERSO
DIO
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Se
la carità verso Dio tien l'ultimo luogo fra le virtù teologali, le supera nondimeno
e per dignità e per eccellenza, giusta il detto dell'Apostolo: Nunc autem manent fides, spes, charitas,
tria haec; maior autem horum est charitas. Non havvi alcuna virtù più
egregia, giacché trae da Dio immediatamente il suo principio; non havvene alcuna
parimente più degna, mentre ha per oggetto di stringere l'anima intimamente a
Dio; non havvene finalmente altra più potente ed amabile, giacché ci rende
figliuoli adottivi di Dio. La carità rendendo l'uomo a Dio grato lo innalza ad
un essere veramente divino, e gli fa - 122 -
contrarre una specie di parentela con Dio. Se Iddio è il suo principio e
l'ultimo fine, per mezzo dell'amore si vengono a compiere tutt'i rapporti, che
ha l'uomo verso il suo Creatore.
Da
ciò nasce, che non può darsi santità alcuna senza la virtù della carità, la
quale inclina l'uomo al compimento perfetto di tutti i suoi doveri verso Dio,
verso sè stesso e verso il prossimo, dicendo l'Apostolo, che il fine della
legge è l'amore: finis legis est dilectio;
e giusta la spiegazione di s. Gregorio papa, la vera prova dell'amore altro non
sono che le opere: probatio dilectionis
exhibitio est operis. Or fra tutt'i segni, che appalesano un'anima amante
di Dio, il primo senza dubbio si è di abbominare la colpa come l'unico male, che
si oppone all'onore di Dio.
Di
s. Giovanni Crisostomo si legge, che di niun'altra cosa maggiormente avea
timore, se non che del peccato: hic vir
nihil timet nisi peccatum. Di Alfonso debbe dirsi lo stesso: niente più
temeva quanto il peccato. Io non ho paura,
no; ho paura solamente del peccato mortale: così si espresse, allorché
avendo fatto carcerare una persona scandalosa, gli si voleva incutere dello
spavento, dicendoglisi, che quegli era un prepotente, e gli poteva fare del
male. Erano poi solite espressioni del nostro santo: il sol peccato si ha da temere, e ci deve affliggere: si perda tutto, e
non si perda Dio. Nessun peccato per leggiero che sia è un male leggiero:
così scrisse nella Via della salute; ed in una lettera si esprimea così: Mi farei piuttosto tagliar la testa, che
dire una bugia avvertitamente.
Non
fia dunque maraviglia, che abbia conservata l'innocenza battesimale, come
attestano tutti quelli, che hanno inteso le confessioni di lui, asserendo, che mantenne
sempre nell'anima quella grazia, che ricevette nel santo lavacro; poiché la
vita di lui fu sempre morigerata sia in mezzo al secolo, sia nello stato
ecclesiastico, e continuamente ripeteva: Vorrei
piuttosto bruciar vivo in una calcaia, che commettere un peccato mortale.
I
due gran peccati del nostro santo, da lui chiamati enormi, erano stati i
seguenti: cioè ch'essendo ragazzo aveva presi due o tre limoni nel giardino del
signor - 123 -
Caravita; e
che aveva disubbidito al proprio genitore, allorché voleva farlo rappresentare
in un'opera, che si faceva in casa d'un suo congiunto. Questi peccati
l'angustiavano, e ne, faceva un'accusa nelle sue confessioni accompagnata da
tal contrizione, che sarebbesi riputato il più scellerato peccatore.
Or
se l'abito della carità consiste appunto nella esenzione dalla colpa, avendo
Alfonso non solo conservata sempre pura ed illibata la stola dell'innocenza, ma
ancora non avendo mai dal principio di sua vita sino alla preziosa sua morte
offeso Iddio con peccato sia grave, sia anche veniale pienamente deliberato, ne
consegue, che la sua bell'anima fu sempre adorna della veste preziosissima
della carità, e che accesa nel cuore di lui la bella fiamma del divino amore
mercé l'infusione della grazia abituale conferitagli nel santo lavacro, questa
fiamma non solo in lui giammai si estinse, ma non rallentò neppure per un
momento le sue vampe; che anzi di giorno in giorno queste si accrebbero fino ad
incendiare tutto il suo cuore, distaccandolo totalmente dalla terra per unirlo
a Dio, e distruggendo in lui tutti gli affetti, che per poco avessero potuto
allontanarnelo.
Ad
ottenere questi mirabili effetti vi concorse Alfonso non solo col totale
abbominio ad ogni colpa, ma quel che più importa, egli accrebbe il fuoco della
sua carità coll'esca continua della più grande esattezza nell'adempimento di
ogni minimo precetto, e coll'esercizio non interrotto delle opere dirette al
compiacimento del suo Dio.
Sarebbe
impossibile il narrare quanto di bene operò Alfonso nel lungo corso della sua
vita, giusta i dettami della sua carità; si può conoscere nondimeno in parte da
tutto il complesso delle sue eroiche virtù. Ma non posso trasandare almen di
passaggio quel suo impegno ferventissimo di eseguire con la più grande
esattezza i divini comandamenti, e quelli altresì della Chiesa, come pure gli
evangelici consigli, e tutti gli articoli, che gli venivano prescritti dalla
sua regola. Di tutti fu severo anzi rigidissimo esecutore, potendo dire col
reale salmista: Viam mandatorum - 124 -
tuorum cucurri, cum dilatasti cor meum.
Era
cotanto minuto nell'adempimento dei precetti ecclesiastici, che quantunque per
comando dei medici, attese le sue infermità, dovesse talvolta usare cibi non
permessi nel tempo quaresimale, ne voleva altresì il permesso in iscritto
dall'arciprete della sua cattedrale essendo vescovo, o dal superiore della
casa, trovandosi in Congregazione.
Se
talvolta veniva sorpreso da qualche ansietà di coscienza, mandava tosto a
chiamare il proprio direttore e confessore, onde allontanar dal suo spirito
qualunque menoma dubbiezza nell'operare: si rammentò una volta, che stando in
Napoli da missionario fu visitato da un medico in una sua malattia, e temendo
di non avergli corrisposto la dovuta mercede, vi spedì immantinente il suo
servo con la somma di ducati venti, la quale volle che si fosse consegnata ai
figli di detto medico, poiché il padre era già morto. Tale era la vigilanza di
Alfonso nella osservanza di tutt'i precetti, che niun apice dei medesimi sfuggì
mai alla sua sollecitudine e diligenza.
Un
amore così ardente verso Dio non poteva a meno di non congiungere Alfonso al
sommo bene con altissimo grado di mistica unione. Iddio era sempre presente
allo spirito di lui; il suo cuore altro non anelava se non che Dio, e dalle sue
labbra uscivano spontanee le aspirazioni amorose verso Dio. Per rispetto alla
divina presenza non coprivasi giammai il capo sia in casa, sia fuor di casa,
tanto nella stagione estiva, quanto nel più crudo inverno; e soleva colorire
quest'atto di riguardo all'infinita maestà divina col rispondere a quelli, i
quali lo scongiuravano a coprirsi il capo pel timore di qualche male: Io son
caldo di testa, e non posso soffrire alcuna cosa in capo.
Essendo
pertanto il cuor di Alfonso come l'altare dell'antica alleanza, su cui ardeva
sempre il sacro fuoco del divino amore, i suoi slanci verso Dio erano continui,
e, sentivasi sempre sfogare con amorose aspirazioni: o amabile infinito, io vi amo. Oimè! mio Dio, dirò meglio, io non vi
amo, perché non vi amo come e quanto voi meritate. E quelle altre: - 125 -
o mio Dio, voi solo io voglio amare. Mio Dio, io sempre vi amerò, voi
sempre mi amerete. Spero che sempre ci ameremo, o Dio dell'anima mia, per tutta
l'eternità.
Aspirazioni,
che appalesano il più tenero ed ardente amore verso Dio, di cui bruciava il suo
cuore: aspirazioni, che trovansi sparse in tutti i suoi libri spirituali,
mentre basta scorrerne le pagine per conoscere chiaramente, quanto il cuore di
lui fosse tutto stemprato di amore divino. E poiché questo santo ardendo del
divino amore bramava di sempre più avanzarsi nell'unione con Dio, sembrandogli
ancor tenue la sua carità, si rivolge al Signore con la seguente preghiera: Voi, o Signore, sentite le preghiere di
tutti, sentite oggi la preghiera di un'anima che vi vuole amare davvero. Io vi
voglio amare con tutte le mie forze: io voglio ubbidirvi in tutto quello, che
volete, senza interesse, senza consolazione, senza premio: io vi voglio servire
per amore: il premio mio sarà l'amarvi.
Anima
veramente penetrata dalla divina carità, e tutta trasformata in Dio. Difatti
qual è mai l'effetto del divino amore in un'anima più efficace e più intenso,
se non quello, che al dire di s. Bernardo fa lanciare verso Dio senza alcun
riguardo ad interesse, ma avendo solo in mira l'onor di Dio stesso? Tale era
l'amore, di cui ardeva il cuor di Alfonso. Teneva scritto col proprio sangue ai
piedi del crocifisso, che aveva sul tavolino, questo motto: Gesù mio, tutto per te.
E
quest'amore oltre il trasformare in Dio l'anima di Alfonso, e farla vivere
della vita medesima di Gesù Cristo, infondevagli tal desiderio di Dio stesso,
che ad altro pensar non sapeva, né di altro sapeva parlare, se non che di Dio;
dimodoché l'anima di Alfonso potea chiamarsi una vittima, che sempre bruciava
nel fuoco del divino amore sull'altare della divina gloria: o egli camminasse,
o sedesse, o sedesse al tavolino, o disbrigasse qualunque faccenda, prorompeva
spesso in giaculatorie, ed atti di amore; e poiché aveva per uso di recitare l'Ave Maria ad ogni suono dell'orologio,
soleva accompagnarla con un aspirazione amorosa. Nelle medesime studiose
applicazioni interrompeva - 126 -
sovente il suo studio per fare un atto di amore. Nei suoi discorsi familiari il
suo parlare raggiravasi sempre sopra qualche soggetto, che innamorasse di Dio
quelli che l'ascoltavano, e parlava con tanta divozione ed unzione di spirito,
che ognuno da lui sen partiva acceso d'amor di Dio.
Ogni
qualvolta alla presenza di lui nominavasi Gesù Cristo, o Maria vergine, si
osservava nel suo volto un gran rispetto, e trasparivano i segni di un
tenerissimo amore, accompagnato da una speciale divozione. A tutti insinuava di
amare Dio, come unico oggetto della nostra felicità nel tempo e nella eternità.
Essendo
venuto a ritrovarlo un novizio, gli fece un discorso fervorosissimo sopra
l'amor di Dio, insinuandogli, che venti o trenta volte il giorno avesse
ripetuto: Dio mio, t'amo, dammi l'amor
tuo: Madonna mia, dammi l'amor tuo e di Gesù Cristo: e ripeté queste parole
con tal veemenza di spirito, che il detto novizio attestò di poi, che in quel
momento non gli sembrava di parlare con un uomo, ma con un serafino, sentendosi
in pari tempo tutto infiammato di carità.
Interrogato
altra volta da un chierico napoletano, che cosa dovesse fare per riuscire buon
operaio nella vigna del Signore: Devi
avere, rispose, molto amore di Dio;
devi fare gran capitale di molto amore di Dio. Quindi esortava tutt'i suoi
congregati ad esercitarsi sovente in aspirazioni amorose, e per facilitarne la
pratica registrò un catalogo di tali giaculatorie nel suo libro intitolato Visita al santissimo Sacramento, e
volle, che s'insegnassero ancora al
popolo prima della predica nelle missioni.
Da
questo amore ardentissimo traeva Alfonso eziandio quella purissima intenzione,
con che in tutto il corso di sua vita non cercò mai la sua gloria, ma solo la
gloria di Dio. "Sin da che ho avuto la sorte di conoscerlo, - così di lui
attestava un nostro congregato, il quale conversò molti anni con Alfonso, - sempre
l'ho osservato intentissimo ad incontrare il piacimento di Dio con la mente,
col cuore, con la lingua, ed in tutte le sue azioni. Era sempre raccolto in
Dio; si esercitava in continui atti di amore, di offerta, di ringraziamento a
Dio; - 127 -
tanto per
isgombrare un giorno alcuni suoi scrupoli, avendogli detto che pensasse a Dio,
che facesse atti di amore, egli mi rispose umilmente, che questi atti sempre li
faceva."
Quindi
spesse volte al giorno alzava i suoi sguardi, li fissava attentamente al crocifisso,
replicando questa giaculatoria: Signore,
tutto per te, non voglio il gusto mio, ma il tuo. E però sì nelle cose
prospere, che nelle avverse studiavasi d'inspirare tal purità d'intenzione in
tutt'i suoi congregati dicendo loro: Si
perde tutto, se non si fa per Dio; ed era divenuto un proverbio in bocca ad
ognuno: Monsignor Liguori sta sempre con la gloria di Dio in testa.
Un
uomo così acceso della divina carità, così ardente nel procurare la gloria di
Dio non poteva a meno di rallegrarsi sommamente, allorchè sentiva, che gli
altri amassero Dio, e tutto era compreso di orrore al solo nome di peccato.
Sentendo nella sua avanzata età il racconto di molte missioni fatte con gran
profitto delle anime dai suoi congregati, ne dimostrò tanto compiacimento, che
non rifiniva di ripetere: Dunque si fa
del bene? Benedetto Dio, che si fa il bene: a guisa di un vecchio atleta,
il quale non potendo discendere personalmente nell'arena, si rallegra delle
vittorie dei suoi colleghi.
Andando
una volta in calesse con un suo compagno, all'improvviso a lui si rivolse
dicendogli: Vedi questo cavallo, come ci
serve, e fatica per un poco di orzo, e noi che facciamo per amare Dio, dopo che
ci ha fatti tanti benefizi?
Oh
quanto rallegravasi Alfonso, allorché vedeva i suoi congregati fervorosi nel
divino servizio! Ed oh quanto rammaricavasi per l'opposto, se in essi osservava
inosservanze ed imperfezioni! Per questo suo desiderio di vedere Gesù Cristo
amato da tutti prendeva occasione da ogni circostanza per infondere la carità nel
cuor di ognuno. Negli ultimi anni di sua vita essendo andati a trovarlo da
Napoli un sacerdote ed un secolare, nel vederli inculcò al primo, che avesse
predicato sempre l'amor di Gesù e di Maria, ed al secolare, che avesse sempre
parlato con tutti di Gesù e di Maria.
Allorché
gli si riferiva qualche offesa di Dio - 128 -
tremava, e dimostrava nell'esterno il sommo dispiacere da lui provato nel suo
interno. Simile in ciò a quella serafina d'amore santa Maria Maddalena de'
Pazzi, la quale palpitava di orrore ad ogni peccato, benché leggiero.
Predicando
Alfonso in Napoli agli studenti della Università descrisse un giorno la
mostruosità del peccato con tanto orrore, e lo dipinse con tinte così nere, che
molti di quei giovani si appigliarono ad un cristiano tenor di vita, e molti
eziandio si posero il cilizio, e praticavano la disciplina nel venerdì di ogni
settimana.
Se adunque
contrassegno non equivoco dell'amore si è il parlare sovente e con trasporto
della persona amata, il trattenersi con lei in colloqui frequenti e fervorosi,
il pensare assiduamente ed impegnarsi che dagli altri sia rispettata, avendo
Alfonso praticato con tanta perfezione questi atti verso il suo Dio, uopo è
chiamarlo perfetto amatore del suo Dio. E poiché è proprio della carità di
trasfondere anche nell'esterno le sue vampe, non è a stupire, che il nostro
santo per l'ardore della divina carità, che incendiava il suo cuore, fosse
costretto talvolta a bagnarsi il volto ed il capo con acqua per temprare il
fuoco, che lo consumava.
Né deve parimente
recar maraviglia, che fosse favorito dal Signore con estasi e rapimenti di
spirito portentosi, siccome avremo occasione di vedere nel corso di
quest'opera.
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