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P. Celestino Berruti Lo spirito di S. A.M. de' Liguori IntraText CT - Lettura del testo |
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Cap.18 SUA PERFETTA CONFORMITA' AL VOLERE DI DIO.
La carità verso Dio genera nell'anima la rassegnazione alla sua volontà, e la perfetta uniformità ai voleri del cielo e il più certo contrassegno del fervente amore di Dio. Imperciocché consistendo la perfezione evangelica nell'amare Iddio con tutto il cuore e con tutte le forze, ne consegue, che quegli veramente debba appellarsi perfetto amatore del suo Dio, il quale consacra tutto sé stesso alle divine disposizioni, altro non cercando, che il divino compiacimento in tutte le cose, siano prospere o avverse. Idem velle, et idem nolle, ea demum firma amicitia est, così il gran padre s. Girolamo spiega energicamente la reciproca corrispondenza di affetti, che costituisce la vera amicizia. Or essendo l'amor d'amicizia nelle diverse specie di tendenza, che il cuore umano può avere verso Dio, il più sublime ed il più perfetto; quando adunque un'anima si congiunge al suo Dio mercè l'esecuzione ed il compiacimento nell'adempiere il suo volere, essa cammina senza dubbio per la via della più alta perfezione. Alfonso Maria de Liguori lo scrisse nel suo libro sulla Pratica di amar Gesù Cristo: I santi per questo si sono fatti santi, perché si sono uniti alla volontà da Dio; il maggior dono, che ci può fare il Signore, si è quello di uniformarci al suo divino volere. Conformemente a questa sua massima il nostro santo salì al più alto grado di santità, perché altro non volle se non che l'adempimento del divino volere in tutte le sue azioni, risoluzioni, infermità, e quant'altro può accompagnare la vita dell'uomo sulla terra sia prospero, sia avverso. E singolarmente è d'uopo esaminare attentamente, qual fosse la rassegnazione del nostro santo nelle cose avverse, per conoscere l'eroismo della santità di lui. Imperocché l'uniformarsi alle divine disposizioni nelle cose prospere, ciò e conforme pur troppo alla umana debolezza; ed anche una virtù mediocre si accomoda facilmente allo stato di felicità o all'esenzione da gravi mali. Ma l'essere rassegnato, l'essere lieto, anzi bramare ancor di più di essere compartecipe della croce e dei patimenti di Gesù Cristo per essere associato da vicino alla passione di lui, questa è quella unione perfettissima di volontà e di amore che ascrivendo un'anima nello stuolo eletto dei seguaci del Redentore, la rende sommamente diletta al cuore divino di lui. Or la vita di Alfonso ci presenta un uomo sempre immerso nei più gravi travagli, sempre dedito a promuovere la gloria di Dio, ed in pari tempo ci offre l'immagine di un uomo soggetto alle più gravi contraddizioni, ai più duri patimenti, alle più grandi avversità. E nondimeno lo si vede sempre tranquillo e felice, quasi che nuotato avesse nella prosperità, e tutte le cose gli arridessero. Donde mai tanta pacatezza di animo in mezzo a sì gravi afflizioni? Dal fervido amore di lui pel suo Dio, per cui non solo teneva a vile i beni tutti di questa terra; ma qual perfetto imitatore del Salvatore del mondo riputava somma sua gloria di rassomigliargli negli obbrobri, nelle contraddizioni, nelle aridità, nei patimenti, a somiglianza del grande Apostolo delle genti, il quale di altro non si gloriava maggiormente quanto della croce di Gesù Cristo: Nos autem gloriari oportet in cruce Domini N. J. C. Si ascoltino le parole di lui, che sono l'espressione vivacissima del suo sentimento. "O volontà di Dio, esclama, quanto mi sei cara! Io voglio vivere e morire unito e stretto con te. Il gusto tuo è il gusto mio, i desiderii tuoi voglio che sieno i desiderii miei. Dio mio, fate che io viva solo per voi, solo per volere quello che volete voi, solo per amare la vostra amabile volontà. Io vi amo, o volontà di Dio, quanto amo Dio, giacché voi siete lo stesso che Dio." Si può dare uno slancio più fervente di questo, per ritrarre un'anima veramente innamorata di Dio, e quindi congiunta intimamente coi suoi pensieri e coi suoi affetti alla volontà del suo Dio? Tale fu la condotta di Alfonso, conforme sempre a questa sua protestazione; perloché io stimo cosa utile di registrare qui le sue risoluzioni, per istruzione di chiunque voglia imitare la virtù di questo santo, e specialmente la sua conformità al divino volere. 1° Gesù mio, ogni volta che dico, sia benedetto Dio, o pure, sia fatta la divina volontà, intendo di accettare tutto ciò, che avete disposto di me nel tempo e nell'eternità. 2° Io non voglio altro impiego, altro talento, altra abitazione, altre vesti, altro cibo, altra sanità, se non quella che piace a Dio, e che voi mi avete destinata. Se volete, che non mi riescano i miei negozi, che, vadano falliti i miei disegni, che si perdano le mie liti, che mi sia tolto quanto possiedo, così voglio ancor io. 3° Se volete che io sia disprezzato, mal voluto, posposto agli altri, infamato e maltrattato anche dai miei più cari, così voglio ancor io. 4° Se volete, che io diventi povero di ogni cosa, sbandito dalla patria, carcerato in una fossa, e viva in continui stenti ed angustie, così voglio ancor io. 5° Se volete, che io stia sempre infermo, impiagato, storpio dentro un letto, ed abbandonato da tutti, così voglio ancor io, come a voi piace e per quanto tempo a voi piace. La stessa mia vita la pongo nelle vostre mani, ed accetto quella morte, che voi mi destinate: così anche accetto la morte dei miei parenti, e dei miei amici, e tutto quello che volete voi. 6° Voglio ancora tutto quello che voi volete circa il mio profitto spirituale. Io desidero amarvi in questa vita con tutte le mie forze, e di venire in Paradiso ad amarvi, come vi amano i Serafini; ma mi contento di quel che volete voi. Se volete darmi un solo grado di amore, di grazia, e di gloria, io più non ne voglio perché così volete voi. Stimo più l'adempimento della vostra volontà, che qualunque mio guadagno. In somma, mio Dio, disponete di me e delle cose mie, come a voi piace, e non badate alla mia volontà, mentre io non voglio altro se non quello che voi volete. Qualunque vostro trattamento amaro o dolce, di mio gusto o di mio disgusto, l'accetto, e l'abbraccio, perché l'uno e l'altro mi viene dalle vostre mani. 7° Accetto poi, Gesù mio, con modo speciale la mia morte, e tutte le pene che l'accompagneranno, come voi volete, in quel luogo che volete, ed in quel tempo quando volete. L'unisco, mio Salvatore, con la vostra santa morte, e ve l'offerisco in segno dell'amore che vi porto. Voglio morire per darvi gusto, e per adempiere il vostro santo volere. " Che queste risoluzioni di Alfonso non fossero semplici trasporti di un'anima, la quale nelle sue sante meditazioni si faccia condurre dall'esaltamento di sua immaginazione, senza aver poi il coraggio di assoggettarsi all'adempimento di quel che promette, ma che veramente siano state risoluzioni di un'anima tutta innamorata del suo Dio, e disposta ad accettar dalle sue mani qualunque avversità, anzi a deliziarsi nei patimenti stessi sia di spirito sia di corpo, risulta chiaramente da tutto il complesso della vita di lui, e basta darvi uno sguardo anche passeggiero per convincersi di tal verità. La carriera battuta dal nostro eroe può giustamente rassomigliarsi a quella del divin Salvatore, il quale, al dir dell'Apostolo, proposito sibi gaudio, sustinuit crucem. Quali non furono gli slanci del cuore di Alfonso, quando si vide già disciolto dagl'impacci del secolo, e vestito dell'ecclesiastiche divise? Quali non furono maggiormente i disegni del suo zelante cuore nel vedersi attorniato la prima volta da moltitudine di gente rurale nelle sue missioni, alla quale apprestando famelica il pane della divina parola la vedeva crescere nell'amore dei figli di Dio? Quale non fu insomma la sua letizia, allorché imprendendo la fondazione del suo Istituto vide affollarsi intorno a sé tanti degni operai, i quali si protestarono di seguire le sue orme ? E pure ciò che doveva rallegrare sempre il cuor di Alfonso, perché era certo di aver seguito la vocazione celeste, perché conosceva le grandi conquiste, che faceva al Regno del Salvatore, perché vedeva prosperata sin dai primordi la sua Congregazione, tutto ciò, dico, si convertì per lui ora in derisione, ora in insulti, ora in persecuzioni, e nondimeno mostrandosi sempre saldo nel suo proposito resistette a tutti gli urti delle amarezze, delle contraddizioni, delle villanie, a somiglianza del suo divino Maestro, portando sempre impresso nella mente e nel cuore, che il segno più certo dell'amore sia appunto il patire per l'oggetto amato: Pro amato cruciatus ferre. Ma tutta questa serie di patimenti sarebbe stata ben poca cosa a provare la virtù eroica del nostro santo, se non si fossero congiunti i dolori e le infermità a raffinare sempre più lo spirito di lui col cruciarne il corpo. Ma ciò che rende ancor più maravigliosa la vita di questo santo, si è che mentre consacrò tutt'i suoi momenti alla divina gloria ed al bene del suo prossimo, fu non ostante sempre afflitto da continue indisposizioni e da frequenti malattie mortali. Andava egli soggetto a fierissimo dolor di testa, che talvolta lo riduceva fino all'agonia; e pure sempre ilare proseguiva i travagli del suo ministero senza recare alcun sollievo corporale al suo abbattimento. Spessissimo era sorpreso da gravi infermità, che lo conducevan vicino al sepolcro; ma anche in questo tempo non tralasciava i suoi soliti esercizi di pietà, prendeva minutissimo conto degli affari di sua Congregazione, o di quelli della sua diocesi; né mai si abbandonava all'inazione in mezzo ai più fieri dolori. Infermatosi una volta in Arienzo col male di sciatica così scriveva al sacerdote D. Salvatore Tramontana suo confidente: Sono da molti giorni inabilitato a dir messa con vescicanti alle gambe, desideroso di star confinato in un letto, se così piace a Dio: pregate il Signore acciò mi uniformi perfettamente ai suoi santi voleri. Durante la medesima infermità scriveva di nuovo al medesimo sacerdote nei seguenti termini: La mia infermità seguita; da più giorni non dico messa, nè vedo che il mio male vada a mancare; ho quasi perduto lo stomaco, ma ne sto contentissimo, perché è volontà di Dio. Poco tempo prima della sua morte disse Alfonso allo stesso, che lo visitò nella nostra casa di san Michele, allorché il santo aveva già perduto l'udito: Signore, io son sordo e voglio essere più sordo, se così piace a voi. Ed interrogato da questo come si sentisse, rispose con placidezza: Io sto colla morte vicina, ma non voglio altro che il mio Dio. Così sempre ilare e ridente diceva a tutti coloro che lo visitavano: Oh quanto è bello fare la volontà di Dio ! Signore io non voglio né vedere, né sentire, voglio solo fare la vostra volontà. Ma chi potrebbe mai enumerare tutti gli atti di perfetta rassegnazione esercitati da Alfonso in tante circostanze? Il padre Fatigati, che ne conosceva lo spirito, attestò di lui, che quando era infermo si gettava nelle mani di Dio: niente cercava, ubbidiva ai medici; né vi erano lamenti, né delicatezze di sorta alcuna. E vedendosi assistito con tanta carità dai suoi congregati, ripeteva in mezzo ai suoi dolori: Signore, vi ringrazio, che non mi avete mandato all'inferno; dovrei stare alI'inferno, e voi mi usate tanta misericordia. Quindi rivolgevasi al fratello serviente ed al servitore, e con tenera umiltà lor diceva: Io vi compatisco che mi sopportate, ed avete tanta pazienza con me: ma che si ha da fare ? Dio così vuole, sia fatta la sua divina volontà. Una volta discendendo per le scale per andare nel coro sdrucciolò e cadde: il fratello accorse subito al rumore, ma lo trovò ridendo, mentre non poteva affatto muoversi, e non avrebbe potuto rialzarsi senza un aiuto. In tempo di estate soffriva talora tale spasimo e calore nella testa, che giusta la sua espressione, se vi fosse stata nel suo capo una montagna di neve, anche si sarebbe liquefatta. Eppure soggiungeva : Signore, se volete che io patisca sempre in tal modo, eccomi pronto a fare la vostra santissima volontà. Ma non risaltò meglio la sua uniformità al divino volere unita sempre ad una somma pace, allegrezza di cuore e di volto, e presenza di spirito, che in quella sua lunghissima e penosissima infermità di anni diciassette, per cui fu ammirato da tutti ed encomiato qual Giobbe di pazienza. Incominciò questa cinque in sei anni prima che rinunziasse al vescovado; anzi fu il motivo, che lo indusse a fare replicate rinunzie, perché lo inabilitava ad adempiere i doveri, che si appartengono ad un pastore della chiesa, specialmente di visitare le sue pecorelle. Fu questa una artritide dolorosa, che lo colpì in tutte le membra e non solo lo curvò con la testa, che sembrava un uomo senza capo, ma lo rese eziandio tutto storpio del suo corpo. Da questa inchinazione del capo sul petto avvenne, che col mento si produsse una piaga cancerosa, da cui sgorgando un fetido umore gli corrose altresì una parte delle ossa del petto. In tale stato soffriva bensì i più acerbi dolori, ma con tale rassegnazione, che offriva la più commovente immagine dell'uomo, che soffre, ed in pari tempo sta allegro. Non gli uscì mai dalla bocca un lamento; non si querelava, se era mal servito; non chiedeva mai un sollievo ad alcuno, e ripeteva sempre: Quel che vuole Iddio, è tutto buono; tutto il bene consiste nell'amare Dio, e l'amare Dio consiste nel fare la sua volontà: chi non vuole altro che Dio, sta sempre contento in ogni cosa che accade. Chi vuole solo Dio è ricco e contento, non ha bisogno di niente, e si ride di tutto il mondo. Difatti Alfonso benché ridotto ad uno stato così miserando, pur seguiva sforzandosi, ed aggravando con gli sforzi le proprie pene, ad adempiere le opere del suo ministero, sia col dettare libri utilissimi a vantaggio delle anime e della Chiesa, sia coll'attendere al disbrigo degli affari prima della sua diocesi, e poi della Congregazione, sia col predicare la divina parola in tutte le occorrenze, facendosi trasportare e collocare sul pergamo per la sua impotenza a camminare e muoversi. Ed era bello il vedere, che questo ministro del Signore così storpio ed attratto nelle sue membra, appena collocato sul pulpito diveniva agile a somiglianza di un giovane: tanta era la veemenza dello zelo, che gl'infondeva forze superiori alla sua infermità. Ma finalmente aggravandosi sempre più il suo male, negli ultimi tre anni di sua vita fu reso immobile ed inchiodato o su di una sedia o su di un letto. E qual fu il tenore di sua vita in tale stato? Ascoltava ogni mattina la messa, che faceva celebrare alla sua presenza ricevendo in essa il corpo del Signore; quindi faceva condursi sopra di una sedia a ruote nel coro della Chiesa, e quivi assisteva a tutte le altre messe adorando il suo sacramentato Signore; durante il giorno faceva leggersi per più ore le vite de' santi, o altri libri spirituali, e vivendo sempre col cuore nell'intima unione con Dio prorompeva di continuo in affetti di ringraziamento, di rassegnazione, e di offerta di sé stesso. Ora diceva: Signore, vi ringrazio, che mi date un saggio dei dolori, che soffriste, quando vi conficcarono nella croce. Ora esclamava: Voglio patire, Gesù mio, come e quanto vi piace: Gesù mio, speranza mia, unico rimedio di tutti i mali. Tal'altra volta così si esprimeva: Vale più un'ora di patimenti, quando soffronsi con piena rassegnazione alla volontà di Dio, che non valgono tutt'i tesori della terra: muore più contento un povero che ama Dio, che non già tutt'i ricchi del mondo, che non l'amano, rassomigliandosi la sua carità ad un ferro rovente, il quale nell'esser percosso dal martello del fabbro getta tutto d'intorno le sue faville. Accostandosi il termine di sua vita, e propriamente nel mese di Aprile 1787, gli sopraggiunsero altri malori a cruciarlo. Tra gli altri mali sentiva nella gola dolori acerbissimi, e mangiando gli sembrava trangugiar delle spine. Ma trattenendosi dal mangiare per la veemenza dello spasimo, esclamava: Signore, vi ringrazio di questi dolori, e spine, che mi mandate, siate sempre benedetto: basta, che non mi mandate alI'inferno, e sono pronto a soffrire tutto. Quindi le sue parole di perfetta uniformità furono sempre in quell'epoca sino alla sua morte le seguenti: Signore, eccomi qui, fate quello che di me volete. E se taluno gli diceva, che stava meglio, rispondeva subito: Quel che vuole Dio. Il P. Rettore gli comunicò una lettera delle religiose di Scala, le quali scrivevano di pregare il Signore per la sua salute; ma egli nel ringraziarle ordinò al medesimo che loro inculcasse di pregare Dio, acciò gli concedesse la grazia di fare la sua divina volontà. Perciò agli studenti, che andarono un giorno a visitarlo, ricordò, che facessero sempre la volontà di Dio: Amate Gesù Cristo e fate la sua volontà, come la voglio fare io: e bramo di spirare facendo la volontà di Dio. Consapevole pertanto quest'uomo tutto di Dio di avere eseguita e compita la volontà del suo Dio, disse una volta all'infermiere: Io ho finito tutto: i libri, che doveva stampare, sono finiti: fra breve me ne vado. Allora quello gli soggiunse: Fate un altro libro, e così avremo il piacere di godervi un altro poco. Ma il santo rispose: E che? debbo vivere per far peccati ? Con che venne egli a dichiarare la sua intima certezza di avere adempito la volontà del Signore; e che avendo consumato la sua carriera, altro non gli restava a fare sulla terra. L'eroismo però di questa conformità al volere di Dio spiccò sopra tutto, ed acquistò il massimo grado di perfezione in Alfonso per le oscurità di spirito, per gli scrupoli, e per le tentazioni, a cui piacque al Signore di soggettare il suo servo, particolarmente allorché, era vicino a ricevere il guiderdone delle sue fatiche e dei meriti acquistati. Sembra incredibile, che un Apostolo, il quale aveva regolate, consolate nelle loro angustie, e santificate coi suoi consigli anime innumerevoli, dovesse poi soffrire egli stesso tante perplessità, tante dubbiezze, tanti assalti del demonio, tante desolazioni di spirito, fino a sentirlo ripetere piangendo: Chi sa, se sto in grazia di Dio e mi salvo? Ma per essere vera copia del Dio crocifisso doveva Alfonso anche rassomigliargli nei suoi abbandonamenti, nei suoi deliqui, e nelle amarezze, da cui fu tormentato al Getsemani e sulla croce. In queste desolazioni volgendosi Alfonso al crocifisso esclamava: Gesù mio, non permettete, che io vada dannato; mio sommo Bene, non mi mandate all'inferno, perché nell'inferno non si ama. In una di queste gagliardissime tentazioni, in cui volle il Signore purificare l'anima di lui a guisa dell'oro nel crogiuolo, chiamato in tutta fretta il suo direttore, gli confessò esser venuto un galantuomo, il quale tutto adirato gli aveva parlato di disperazione, dicendogli: Tu sei dannato. Altra volta attestò al medesimo suo direttore, che era entrato nella sua stanza un prete, il quale gli aveva asserito essere stato tutto male quanto aveva fatto, detto, o scritto; ed aveva conchiuso dicendogli: Monsignore, tu sei di certo dannato; non vi è speranza per te. Dal che si rileva, che il demonio comparendogli in tali forme procurava d'indurlo a concepire qualche atto contrario alla divina volontà. Anzi soggiunse il santo, che nell'atto di queste suggestioni, siccome fissava gli occhi al crocifisso per fortificarsi e queste occhiate con le ferventi preghiere gli davano grandissimo conforto; così il demonio nel colmo della tentazione gli abbagliava la vista nascondendo il crocifisso in guisa, che più nol vedesse: ma egli pure seguiva a ripetere atti di confidenza nel suo Dio, e così rendeva vani tutti gli sforzi del nemico infernale. Però quello, che lo martoriava più acerbamente in mezzo a questi suoi abbandonamenti, era la tentazione di non fare la volontà del suo Dio. Oh quale spavento recava al suo afflitto cuore questo dubbio! Sentissi un giorno così sopraffatto da questo timore, che mandò subito a chiamare il P. Mazzini, e piangendo gli disse: Oh! Padre, io non faccio la volontà di Dio. Ma rasserenossi poi nel sentire dal medesimo, che egli adempiva la volontà del Signore e punto non dubitasse. Quel Dio pertanto, che compiacevasi di provare il suo servo con ogni sorta di patimenti interni ed esterni, affinché associandosi alla sua passione avesse in sé compiuto gli eterni disegni della sua provvidenza, non mancava per altro di essergli sempre vicino, e corroborarlo con la virtù di sue grazie speciali. In tal guisa Alfonso adempì la volontà del suo Signore sia nelle cose prospere, sia nelle avverse, e provò a tutto il mondo, che la vera santità non consiste già solo in far questa o quell'altra opera buona, ma specialmente nel conformarsi alla divina volontà; che però il nostro santo servivasi frequentemente nei suoi discorsi, e l'aveva sempre in bocca quel versetto del salmo: Et vita in voluntate ejus.
Ora poiché questa virtù è cotanta necessaria ad ogni ceto di persone, stimo cosa molto opportuna l'addurre i tanti documenti di Alfonso riguardo all'esercizio della pazienza e rassegnazione. La fiera, così egli diceva, dove guadagnano assai le anime spirituali, sono i travagli. Dobbiamo desiderare i mali per incontrare la volontà di Dio. L'orazione non consiste in altro, che nell'unire la nostra volontà a quella di Dio. Essendogli riferito una volta, che il mare era in tempesta da molto tempo, e che i marinai erano afflitti, esclamò: oh utinam, e tutti imparassero questa gran massima: Così ha voluto Dio: così vuole Dio. Altra volta avendo domandato, qual tempo fosse, ed essendogli risposto, che ancor pioveva, e che la copiosa pioggia danneggiava le campagne: Questo è appunto, disse, il tempo migliore per noi, perché viene dalla volontà di Dio, e Dio tutto dispone, e permette per nostro bene. In ogni circostanza poi era solito d'insinuare questa perfetta rassegnazione a coloro, che con lui sfogavano le proprie angustie: Così vanno le cose del mondo, come vuole Dio: Dio le guida; chi non parla così, parla allo sproposito: Dio così ha voluto. Ma soprattutto risplende in Alfonso questa virtù per i molteplici documenti, con cui ammaestrava, o rincorava le anime nelle sue lettere. Io ne rapporterò qui alcuni squarci per la comune istruzione ed edificazione, giacché le parole ed i sentimenti di questo santo fanno tanta impressione sul cuore dei fedeli. "Le persecuzioni presenti, - così ad una religiosa,- amatele: mi piacciono più queste, che se faceste miracoli. Raccomandate sempre specialmente a Gesù Cristo quelle, che più vi perseguitano, e servitele quanto potete: salutatele con affetto, ma senz'affettazione; ditene bene con tutti, e quando commettete qualche cosa contro la mansuetudine, subito pentitevene, e rimettetevi in pace " a . - "Pensate alla misericordia, che vi ha usata Dio (così in altra lettera) ed all'amore immenso e tenero, che porta Gesù Cristo ad una anima amante e fedele, ma fedele anche nella oscurità e nelle cose contrarie al senso. Il Signore ci tira per via dell'amore, e per questa voi dovete camminare, e questa mi pare, che per tutti sia la più sicura, e che liga le anime con Gesù Cristo, e dà fortezza e perseveranza: Quis me separabit a charitate Christi? " b. Essendo i nostri minacciati di espulsione da Girgenti, ecco i sentimenti del santo, i quali esprimono la eroica conformità di lui al divino volere; ed ecco il suo edificante ammaestramento. "Ho ricevuto, dice, la vostra a lettera funesta; dico male, perché quel che dispone Iddio, niente è funesto. Ci vuol mortificare, sia sempre benedetto. Io tengo per certo, che Dio non voglia distrutta cotesta casa, e dopo questa burrasca chi sa che farà il Signore ? Stringetevi tutti vieppiù coll'orazione, e lasciate fare a Dio, contenti di ciò, che disporrà. Io seguito a stare storpio, e sto contento, e ne benedico Dio, e lo ringrazio, che mi dà pace e sofferenza " c. E riscrivendo ai medesimi palesa ancor più perfetta la sua rassegnazione: "Non vi è rimedio, ora bisogna vedere, se dovete restare a Girgenti, o dovete partirne. Abbiate pazienza: in questo tempo scrivetemi spesso, ed avvisatemi quello che accade. Quest'opera io l'ho molto a cuore, vedendo il gran bene che si fa: ma ora la vedo in pericolo di cadere; il che mi ha tenuto afflitto in tutto il tempo di questa mia infermità. Io seguito a stare in letto senza potermi muovere, e con dolori continui, sono già sei mesi. Ma Dio per sua misericordia mi fe' stare contento, facendomi intendere, che questa e una gran grazia per me, ed io ne lo ringrazio "d. Così Alfonso nell'eroismo di sua rassegnazione faceva tesoro delle tribolazioni, e godeva di poter dare al suo Dio un attestato del suo amore, conformandosi al suo volere. Perciò rispondendo ad una religiosa del conservatorio di santa Maria Maddalena sopra Gesù e Maria, le fa conoscere, che " il maggior bene di chi ama Dio è il fare la sua volontà. L'unico rimedio a tutte le vostre tribolazioni è lo stare tutta abbandonata alla volontà di Dio, cioè non volendo stare nè di buona salute nè consolata, ma solamente unita al suo santo volere. Questa è la maggior pace, che può trovarsi in terra dalle anime che amano Dio. Onde in tutte le vostre desolazioni replicate sempre: Dio mio, non voglio altro, che quello a voi piace: datemi l'amor vostro ." e Ma non la finirei giammai, se tutti riferir volessi i documenti di questo santo, che hanno rapporto all'eccellenza, all'importanza, all'esercizio di questa virtù. Le sue lettere sono ripiene di sentimenti veramente divini, coi quali animava le anime da lui dirette ad uniformarsi sempre ed in tutte le cose alle divine disposizioni: i suoi libri specialmente ridondano di queste massime. Chiuderò pertanto questo capitolo con quel che disse Alfonso in una sua esortazione ai suoi congregati: "Ognuno di noi vuole abbracciare la croce, vuole amare il patire; ma però vi è una grande velleità, ed una pura espressione di parole in questa protesta. Giacché le tre braccia della croce sono l'amore ai dolori, ai disprezzi, ed alla povertà. Ora noi stiamo in Congregazione per imparare alla scuola di Gesù Cristo la vera sapienza: Lignum vitae est his, qui apprehenderint illam; et qui tenuerit eam, beatus. D'onde quest'abborrimento alla croce ed al patire? Tutto proviene, da che non ne consideriamo l'utilità e la necessità. Sansone andò a rivedere il leone da lui ucciso, e ritrovò nella bocca di lui un favo di miele. Proviene ancora, da che non consideriamo gli insegnamenti di Gesù Cristo. Egli c'insegna di amare i patimenti: Proposito sibi gaudio, sustinuit crucem. oh miseria nostra! Dovremmo amare la croce, eppure noi la fuggiamo! Almeno non l'abborriamo, oppure sopportiamola pazientemente".
Posizione Originale Nota - Libro V, Cap. 18, pagg. 168, 169, 170
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