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Cap. 20
CARITA'DISCREZIONE E
CONDISCENDENZA DI ALFONSO VERSO I SUOI CONGREGATI.
Se
Alfonso fu tanto caritatevole, siccome abbiam veduto nel precedente capitolo, e
da secolare, e da missionario, e da vescovo, molto più palesò l'eccellenza
della sua carità verso i suoi congregati. Dacché il Signore lo chiamò a fondare
una nuova Congregazione nella Chiesa di Dio, ei si riputò padre di tutti
quelli, che eran chiamati dal celeste padrone ad operare in questa vigna.
Lungi
pertanto ogni idea di preminenza e di superiorità, il nostro santo si
riguardava come servo di tutti, per accorrere ai bisogni di ciascuno; ed in tal
guisa acquistò presso il cuore dei suoi sudditi quel rispetto amoroso, che
mentre conserva gelosamente la sommissione e l'ubbidienza in chi è governato,
infonde altresì una singolare fiducia verso il proprio superiore, da riposare
tranquillamente sopra le savie vedute e disposizioni di lui. Tale si diportò
per i lunghi anni del suo governo il nostro santo, quale un padre amoroso verso
i propri figli, interessandosi delle loro necessità, compatendo la loro
debolezza e mancanze, e sollevando ognuno nello spirito - 180 -
e nel corpo. Da ciò quella piena fiducia, che in lui
si ripose da tutti i suoi congregati; da ciò quella venerazione somma, che
sempre riscosse.
E
per parlare dapprima della sua ammirabile carità verso i medesimi, non
risparmiava diligenza, fatica, o spesa per aiutarli, se infermi o bisognosi.
Sentendo una volta, che uno studente di sua Congregazione aveva gettato sangue
dalla bocca, ed era in pericolo di vita, disse ripetutamente: Io vorrei dare la vita per questo giovane.
Né può spiegarsi con quanta ansietà andasse in cerca dei rimedi per farlo
guarire. Quindi recatosi in Pagani, chiamò il rettore: e vedete, gli disse, qual
cosa può farsi per questo giovane: io sono inutile, e questo può faticare per
Dio.
Avendogli
un giorno il fratello infermiere domandato una piccola somma per bisogno
degl'infermi, ch'erano in casa, ed il santo non potendo sovvenirlo, se ne
affliggeva grandemente; allorché un padre ivi presente si offerì da sé medesimo
a procurarla. Alfonso se ne consolò, e non cessava di ringraziarlo. Un altro
studente, che l'aiutava a scrivere le sue opere, fu sorpreso da un forte dolor
di stomaco, e per soggezione nascondeva il suo male. Appena il seppe, lo
corresse dapprima per la poca confidenza, che aveva nel superiore, ed ordinò di
poi al padre Margotta di condurlo in Napoli per farlo osservare da qualche
medico rinomato, soggiungendo, che non si fosse risparmiata spesa alcuna.
Sovente lo chiamava a sé, e saper voleva come stesse in salute, né più permise
che fosse andato a scrivere presso di lui.
Lo
stesso praticò col padre Negri insigne soggetto della nostra Congregazione.
Assalito questi da un morbo pericoloso, e che tenne occulto per qualche tempo,
saputosi dal santo, parimente lo rimproverò, che non l'avesse subito palesato,
ed anche lo mandò in Napoli a conferire con buoni medici. Or questa medesima
carità esercitò con tutti gli altri individui di sua Congregazione, fossero
sacerdoti, o studenti, o anche laici. Se taluno cadeva infermo nelle case, ove
egli dimorasse, correva tosto a visitarlo; prendeva tutto l'interesse della sua
malattia, e gli apprestava i rimedi con le - 181 -
proprie mani. Se eran lontani non mancava di scrivere ai rettori per informarsi
del loro stato, e per raccomandarli alla loro vigilanza; né può esprimersi qual
pena soffrisse il cuore di lui, allorché vedeva che non si ristabilivano:
impegnavasi a sollevarli eziandio nello spirito, confortandoli, e confermandoli
nell'uniformità al divino volere.
In
conformità di questa sua esimia carità, che praticava, e voleva praticata
rigorosamente verso gl'infermi nella sua Congregazione, ebbe tutta la ragione
di scrivere nei seguenti termini ad un individuo, il quale vedendosi infermo
gli cercava la dispensa da' voti: "Nella Congregazione vi è tutta la
carità con gl'infermi: ma quando con tutte le diligenze e rimedi Iddio volesse
chiamarci all'altra vita, perciò abbiamo lasciato il mondo, e siamo venuti alla
Congregazione, per morire nella casa di Dio, e non già in mezzo al mondo ed ai
pericoli. Le mando la dispensa, ma l'avviso, che lasciando la Congregazione,
benché ricuperi totalmente la salute, non troverà più pace, e farà una morte
inquieta, pensando di avere abbandonata la vocazione. Prego Gesù Cristo, che lo
benedica, perché non posso benedire chi volta le spalle a Gesù Cristo ." a
Per
questa sua carità verso gl'individui della Congregazione aveva parimente
Alfonso tutto l'impegno per gli altri loro bisogni; e la sua preveggenza
accorreva dovunque ed a tutto, affinché la lor sanità si conservasse, ed il
loro spirito progredisse nella virtù, oggetto principale di tutte le sue
premure. Insegnava a tutti, ma particolarmente ai superiori e confessori di
ascoltare in preferenza i soggetti della Congregazione, e poi gli altri, perché
Iddio ci ha chiamati, diceva, alla sua casa prima per farci santi noi, e
poi gli altri.
Avvertiva
a non giudicare sinistramente delle intenzioni dei propri compagni, sia per
garantire la loro riputazione, sia per evitare i disturbi, che nascono sempre
dai sinistri giudizi Egli poi lodava chiunque - 182 -
dei suoi sudditi nella loro assenza, e s'impegnava a
farne concepire una lodevole stima e venerazione presso gli altri.
Si
dimostrava sempre affabile e tutto amore, allorché a lui si presentavano i
soggetti per qualunque cosa volessero esporgli, non esclusi i medesimi fratelli
servienti non ancora vestiti dell'abito di congregati. Anzi egli stesso
preveniva i bisogni di tutti, interrogandoli come stessero in salute, se
avessero alcuna angustia di spirito, se vivevano contenti nella congregazione,
se loro bisognava qualche cosa; e con queste sante industrie animava tutti alla
confidenza in lui, e li spronava a portar volentieri il giogo di Gesù Cristo.
Non
era facile ad accordare ai giovani, che si privassero del sonno, o del
sollievo, per orare, o per istudiare; ma voleva, che ognuno si fosse
approfittato per conservazione di sua salute di quel sonno e sollievo, che
viene assegnato dalla regola. Era vigilante riguardo ai digiuni, non permettendone
in pane ed acqua che un solo per ogni settimana.
La
condiscendenza di lui giunse a tanto, che un giorno osservando il padre
Margotta molto oppresso da malinconia ed afflizione di spirito, l'interrogò
piacevolmente, perché non parlasse, e perché se ne stesse così afflitto. Il
detto padre lo pregò allora di cantargli sul cembalo una canzoncina di Maria
santissima per conforto del suo spirito. Il santo subito lo compiacque con
tutta l'amorevolezza, e cantò quella che così incomincia: Quanto è dolce, o madre mia, il tuo nome di Maria. Cosa ammirabile!
Concorrendo il Signore colla sua grazia alla carità di Alfonso, il suddetto
padre riacquistò la serenità del suo spirito.
Un
fratello serviente ebbe a lui ricorso, perché non poteva sopportar le continue
riprensioni e mortificazioni, che riceveva talvolta senza sua colpa da un
superiore di temperamento molto bilioso. Alfonso sel chiamò in disparte, lo
animò con tutta la carità ad esercitare la virtù della pazienza, e gli
soggiunse ancor di vantaggio: Iddio sa,
quanto lo sopporto io: così anche voi soffrir dovete con umiltà e rassegnazione
questi sfoghi provenienti dall'indole sua. E diceva bene il santo, giacché
il detto padre - 183 -
rientrava poi in se stesso, e si umiliava innanzi a Dio, e innanzi agli uomini,
quando gli accadeva un simile trasporto di collera. Un altro fratello aveva
grande ripugnanza di lavare i piatti. Avvedutosene Alfonso, si pose a lavare i
piatti col detto fratello per più settimane, dimodochè rientrando in sé medesimo
diceva fra sé stesso: Come! un cavaliere,
un superiore maggiore lava i piatti, ed io che sono di condizione molto
inferiore, e son suo suddito avrò ripugnanza a far lo stesso. Con questa
santa arte ottenne Alfonso, che il suddetto fratello vincesse sé medesimo
nell'esercizio degli uffizi anche più vili, che sono propri dei fratelli
servienti.
Questa
ammirabile discrezione e condiscendenza del nostro santo oltre di renderlo
sommamente amabile a tutti faceva sì, che ognuno riponesse confidentemente in
lui tutt'i suoi bisogni sicuro che egli avendo una somma carità per i suoi
congregati, avrebbe tantosto riparato a qualunque deficienza o bisogno. Difatti
non attendeva neppure di esser pregato, mentre appena scopriva qualche
necessità dei suoi sudditi, non aveva difficoltà d'interessarsene con tutta la
carità, e dispensarli dall'osservanza di qualche articolo della regola.
Scriveva
di fatti al padre Villani in questi termini: "Bisogna esser geloso in
sostenere l'osservanza delle costituzioni, ma non bisogna esser tale, che si
dia nell'estremo vizioso. Vi sono de' casi, in cui sarà necessario di
dispensarsi alle medesime: in questi casi facendosi il contrario si fa male, e
non bene, intendo certi casi rari, nei quali la prudenza e la discrezione così esigono " b
Aveva
egli in sommo orrore, che alcuno domandasse in tavola qualche cosa; ma se un
cibo avesse potuto cagionar danno a taluno, voleva che con carità si
presentasse all'individuo altra vivanda; sebbene nelle privazioni di piccol
momento bramava, che si fosse adattato alla comunità.
Essendosi
accorto nella missione di Salerno, che un padre era stato assalito da forte
catarro, non solo gli ordinò di non levarsi - 184 -
troppo di buon'ora la mattina da letto, ma volle
altresì, che gli si apprestassero gli opportuni rimedi. Parimente avendo
osservato, che il padre ministro in Pagani o per negligenza o per altro motivo
non attendeva ad ordinare il vitto proporzionato e decente per la comunità,
dopo averlo ammonito, e fattolo ammonire più volte, finalmente sel fe' chiamare
davanti, e gli fece tale rimprovero, che quegli pel dispiacere ne cadde
infermo.
L'ubbidienza
e la carità, soleva dire, mantengono la Congregazione, cioè
l'ubbidienza nei sudditi, e la carità nei superiori. Un giovane novizio era
stato rimandato in sua casa, perché infermo; ma essendosi mediocremente
ristabilito sen tornò in Congregazione: per altro non fu ammesso alla oblazione
per timore, che ricadesse nel suo male, e tenevasi così in esperimento.
Agognava intanto il povero giovane di fare la sua oblazione, e stringersi con
Gesù Cristo mercé i santi voti, però non ardiva avanzarne domanda. I compagni
di lui vedendolo così afflitto supplicarono di tal grazia il santo. Allora
Alfonso con tutta la carità si rimise per il suo parere al p. Mazzini, il quale
entrando nel sentimento di lui lo ammise alla professione de' santi voti.
Ma
per seguitare a descrivere la discrezione caritatevole di Alfonso rispetto ai
suoi sudditi, sapeva così bene concordare l'osservanza col bene individuale di ognuno,
che mentre era tutto cuore nel sovvenire e nel prevenire i loro bisogni, niun
detrimento o rilasciamento ne risultasse. E quest'è la prudenza ammirabile dei
santi, dispensare nelle giuste occorrenze dalle leggi loro affidate, ed
esigerne in altre circostanze a tutto rigore l'adempimento.
Ciò
apparirà chiaramente da molti fatti che sono per narrare. "Prima di parlar
d'altro, così scriveva ad un padre, voglio dirvi che voi non siete più vostro, ma
siete di Gesù Cristo e della Congregazione, onde bisogna, che vi conservate, e
fate l'ubbidienza. In breve vi dico che
fate l'ubbidienza del medico in tutto, come vuole anche la regola, così
nel lasciare i cibi di olio, come in pigliare i rimedi che vi prescrive, dippiù
prendetevi almeno mezz'ora - 185 -
di riposo nel giorno, ed almeno sei ore la notte " c .
Riflettendo
parimente, quanto soffrissero nella casa di Caposele gli individui colà assegnati
per la trista condizione, in cui quella casa ritrovavasi, scrisse al padre
Caione rettore: "Dico la verità, quando considero la pena vostra e di
tanti poveri giovani, che non possono riposare né il giorno né la notte, io mi
sento morire. I soggetti tremano perciò di venire a cotesta casa. Non ci è
altro rimedio, bisogna andar pensando anche per gli astrici già fatti, mutarli
tutti a poco a poco, e farli almeno degli stessi mattoni pestati, onde
allontanarne l'umidità ." d
Al
medesimo padre scriveva lodandolo del riguardo, che aveva avuto della propria
sanità, esentandosi dal venire presso di lui, benché lo avesse chiamato,
giacché egli medesimo il santo gli aveva sempre inculcato di aversi cura. Lodo la sua ubbidienza, gli scriveva, e le dico, che ha fatto bene a restarsi
stante le circostanze, che mi scrive. V. R. ha fatto meglio di D. Andrea, il
quale mi ha scritto da Lucera, che non veniva, perché monsignor Foschi voleva,
che desse gli esercizi alle monache, ed io gli ho mandato a fare una buona
correzione, che quando io chiamo si deve lasciar tutto: giacchè io non soglio
chiamare se non per cosa di molta premura e fretta. Del resto torno a dire, V.
R. ha fatto bene a restarsi, perchè non intendo mai, che vengano i soggetti da
me chiamati con pericolo della sanità e .
E
per questo stesso motivo si esprimeva in altra lettera con tanta amorevolezza
riguardo agli studenti in Caposele: Mi
piace sentire, che vi è speranza di avere le stanze asciutte, giacché la cosa
di essere le stanze così umide mi mantiene inquieto; e perciò subito ch'è
tempo, in aprile, o maggio, vedete di far fare l'intonaco f
.
Reca
poi maraviglia, che il santo mutasse consiglio rispetto ad un fratello
serviente, sulla cui condotta aveva profferite molte lagnanze, - 186 -
ed aveva palesato giusto
rigore verso del medesimo in altro tempo.
Ma
da ciò è d'uopo arguire la condiscendenza di lui verso i soggetti difettosi in
ciò che non nuoceva gravemente all'osservanza. "Circa il fratello N. so
bene, che sia imperfetto, onde si ha d'avere pazienza, purché non manchi nelle
cose sostanziali. Immaginiamoci, come questo fratello non ci fosse in casa, e
perciò se bisogna pigliatevi un altro fratello. Questo non ce lo dite a lui, ma
così regolatevi. Circa lo spirito si ammonisca come meglio si può, perché la
testa sua è sconquassata "
g
La
medesima condiscendenza dimostrò con un altro fratello serviente, benché
inculcasse in pari tempo grande attenzione al rettore di quella casa
nell'esigere l'osservanza, dicendo che i negozi
della Congregazione e dell'ubbidienza si hanno da preferire a tutti gli altri
negozi, perché quelli sono certamente secondo la volontà di Dio.
Nondimeno
soggiungeva al medesimo rettore, che poteva mandare per due o tre giorni in casa
sua il detto fratello serviente, mentre ciò non avrebbe cagionato mal esempio,
non essendo ancora vestito.
Tutto
carità qual era sempre Alfonso verso i suoi sudditi, in ogni lettera
raccomandava ai rettori la cura de' medesimi avendone egli tutta la informazione
per la somma sua vigilanza.
Quindi
nelle sue lettere trovansi continui squarci relativi a questa sua
sollecitudine. Circa il padre Siviglia,
scriveva una volta, lo metto in mano
vostra: veramente se non dorme, perderà un'altra volta la testa: vedete di
assegnargli una stanza più libera.
In
altra lettera s'interessava del padre Apice dicendo: Sento che sta con catarro di petto, non vorrei che si mettesse a
qualche rischio col predicare: mi rimetto a voi h . Scriveva al
maestro de' novizi di trattare con dolcezza un padre da lui penitenziato, e di
dargli animo: inculcava al medesimo di allargare con tutt'i novizi gli esercizi
del noviziato - 187 -
nella
stagione estiva, di farli uscire spesso, di alleggerire l'applicazione, e di
non farli scrivere molto. Gli stessi avvisi dava al medesimo in altra lettera,
insinuando specialmente di moderare gli esercizi di spirito e le mortificazioni
in tempo di caldo. Dal che si vede, che niuna cosa sfuggiva alla carità di
Alfonso per il vantaggio spirituale e corporale di tutt'i suoi sudditi.
Quello
però che sopra tutto appalesa la eroica carità di lui, si è la condotta tenuta
con un padre difettoso, il quale era stato già licenziato dalla congregazione
per ordine del suo vicario generale D. Andrea Villani. Trovavasi Alfonso già
vescovo, ed il medesimo a lui ricorreva per implorare grazia. Alfonso
s'interessò grandemente per lui, e con quella rara prudenza, che accompagnava
tutte le sue azioni, lo difese veramente, e lo sostenne ottenendone in pari tempo
il ravvedimento.
Difatti
così scriveva da sant'Agata al rettore di Pagani: "Per il padre N. io ne
ho compassione, ma il padre vicario sta duro: io però gli ho scritto, che
voglio sapere il consiglio degli altri consultori, e gli ho soggiunto un mio sentimento,
cioè che non conviene discacciare chi veramente si umilia. Tutto sta che
veramente si umilii, perché facendo così, spero che non sarà discacciato " i.
Rispondendo poi al detto padre, il quale a lui ricorreva per aiuto, così si
esprime: "La vostra lettera da una parte mi ha consolato ed intenerito, da
un'altra parte quello che avete fatto è stato troppo, persistendo tanti mesi
fuori della Congregazione. Io so che vi siete umiliato col padre vicario; ora
vi prego di scrivergli un'altra lettera seguitando ad umiliarvi, e cercandogli
pietà, mentre tiene al presente l'uffizio di superiore. Io gli ho scritto, che
voglio conoscere il parere degli altri consultori circa il punto di
riaccettarvi, o licenziarvi dalla Congregazione. Ma V. R. se veramente si
umilia di cuore, e dice davvero, non dubiti che Iddio non farà, che sia
licenziato. Ma poi non conviene - 188 -
a me di operare contro il parere di tutt'i consultori: V. R. è divoto della
Madonna, si raccomandi ad essa, che la Madonna lo consolerà "j .
In
seguito di che scriveva al rettore raccomandandogli d'insinuare al detto padre
di ravvedersi, e far l'ubbidienza, mentre così Iddio lo avrebbe aiutato.
Finalmente riscrivendo al medesimo così diceva: "Io fo quel che posso in
suo favore, ma mi dispiace sentire, che invece di stare umiliata e ritirata, e
di dare segno di pentimento, dimostra l'opposto: di ciò ho avuto molti reclami.
Faccia come le dico io, procuri di star ritirata, stia rassegnata ad ogni
penitenza, che avrà; non dubiti, che io rimedierò al troppo. Ancorché le sia
assegnato di fare il noviziato a sant'Angelo, l'accetti senza ripugnanza, sarà
mia cura di moderare le cose; io so che V. R. è di salute poco sana, ma bisogna
dare qualche segno notabile di umiliazione " k
In
tal guisa Alfonso ora intercedendo, dirò così, presso il suo vicario per non
opporsi direttamente alle sue disposizioni, ora insinuando al suddetto padre di
umiliarsi e ravvedersi, ora dimostrandogli il suo dubbio riguardo al suo vero
ravvedimento, pervenne all'intento desiderato di mantenere nella congregazione
un soggetto, e così liberarlo dai pericoli del mondo.
Quindi
dopo averlo assicurato, volendo confortarlo altresì per la perseveranza, gli
scriveva sentimenti pieni di amorevole carità. "Ho letto i vostri
travagli. Che voglio dire? Fate come avete scritto, aiutatevi colla punta dello
spirito. Assicuratevi però, che quel poco, che fate in mezzo a tante angosce,
Dio lo gradisce più, che se lo faceste in mezzo ad un mare di dolcezze e
tenerezze. In questo anno però avete fatto una bella tirata; ringrazio il
Signore, che vi ha dato forza. Così vuole Dio, che faticate, e lo servite in
mezzo ai dolori ed a secchezze. Buttatevi dunque nel costato di Gesù - 189 -
Cristo. Non dubitate,
che Gesù e Maria vi vogliono bene assai: ve lo assicuro io " l .
Un
altro tratto di singolar carità verso i suoi congregati risplende in Alfonso,
allorché, osservava esser taluno angustiato per le miserie de' suoi genitori.
Volendo egli conservare la loro vocazione con impedire che avessero abbandonato
l'Istituto per andare a soccorrerli, e dall'altro canto non reggendogli il
cuore, che quelli dopo aver dato alla Congregazione i loro figli rimanessero
privi del loro aiuto in tempo di calamità, giungeva fino a soccorrerli col suo
annuo vitalizio, ovvero faceva loro somministrare qualche soccorso dalla casa,
ove dimorava il soggetto, che aveva i suoi genitori bisognosi.
Vi
sono di ciò non pochi esempi; ma tralasciandoli tutti farò menzione di un solo,
perché maggiormente fa risaltare la carità del santo. Era in Congregazione un
padre, il quale per la sua inferma salute, e per i suoi scarsi talenti si era
reso quasi inutile all'Istituto. Ora avvenne, che essendogli morto il genitore,
la vedova madre reclamò il suo figlio per sostenerla nella sua grave età.
Alfonso conoscendo la virtù di detto padre, e l'attaccamento di lui alla
vocazione non volle permettere, che tornasse al secolo. Quindi destinò dal suo
livello un assegnamento proporzionato alla vedova madre, e così lo trattenne
dall'uscire di Congregazione.
Non v'ha dubbio,
che, per questa sua caritatevole condotta andò incontro Alfonso non rade volte
alle critiche dei suoi medesimi congregati. Sapevano essi, quanto rigido egli
fosse nell'esigere dai suoi figli la pratica delle virtù evangeliche e
dell'osservanza regolare. Vedendolo poi in alcune occasioni esser così
indulgente e benigno, ne menavano lamento, come di una parzialità o debolezza.
Però ascoltiamo
le sue giustificazioni dalla medesima bocca di lui. Molti di voi, diceva, si
lamentano, che io a questo soggetto non ho imposto che piccola penitenza: ma io
credo, che la penitenza sufficientemente - 190 -
l'abbia avuta
da sé medesimo, avendo conosciuto, che ha fatto male. A chi crede di aver
ragione, la penitenza dà occasione di far peggio, non già di correggersi, e di
emendarsi. Dalle quali parole si rileva che il santo riguardava nelle sue
disposizioni il solo vantaggio dei suoi figli; il che è indizio di perfetta
carità.
E questa carità
essendo in lui regolata dalla prudenza evangelica e dalla discrezione, fece sì,
che egli sapesse compatire i bisogni, distinguere le circostanze, adattarsi ai
temperamenti senza offendere, o ritardare le operazioni della grazia, e senza
porre alcun ostacolo alla virtù.
Posizione Originale Nota - Libro
V, Cap. 20, pagg. 181, 183, 185, 186, 187, 188, 189
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