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Cap.22
ECCELLENTI PREROGATIVE DEL SUO
ZELO.
Se
lo zelo è figlio della carità, e l'amor di amicizia, al dir dell'Angelico, nel
procurare il bene della persona amata si sforza ad allontanare, ed impedire
tutto ciò, che si oppone al vantaggio dell'amico; ogni ministro della Chiesa
per conseguire lo scopo di sua missione deve impegnarsi a rimuovere dal campo
evangelico le cattive piante dei vizi, e di ogni altro disordine, che sia
fomento alla prevaricazione delle anime redenti - 201 -
da Gesù Cristo. Tollat
errorem, inserat veritatem, et nutriat charitatem, così sant'Agostino
dichiarava, quali siano i doveri del sacerdozio a .
Quindi
i ministri del santuario, e sopratutto i vescovi, essendo associati
coll'unzione sacerdotale al santo ministero della parola trasmessa da Gesù
Cristo alla sua Chiesa, ed a cooperare insieme con lui, che fu stabilito
sacerdote e sommo pontefice della nuova alleanza, al dilatamento del suo
vangelo, sono essi obbligati a distruggere il regno del peccato, rendere a Dio
quella gloria, che gli viene rapita dalla malizia degli uomini, e formargli un
popolo santo e settatore di buone opere.
Questo
fu lo scopo, che si prefisse Alfonso nel seguire la vocazione allo stato
ecclesiastico: per lo che facendosi guidare da quella grazia, che lo dirigeva
nei passi suoi, quest'operaio evangelico nei differenti stadi della sua
carriera apostolica non solo non deviò giammai dal suo fine, ma qual glorioso
campione della Chiesa tutti mettendo in opera i trasporti del suo zelo, ebbe la
gloria di strappare anime innumerevoli dalle fauci dell'abisso, e portarle
all'ovile di Cristo, e così presentarsi al suo divin capo e maestro onusto di
palme, e ricco di trofei riportati sull'inferno.
Ma
poiché ad ottener sì mirabili conquiste, è d'uopo, che lo zelo di un apostolo
del vangelo sia corredato di quei caratteri, che distinsero la missione
dell'umanato Verbo, esamineremo le prerogative eccellenti dello zelo di Alfonso
per formare un retto giudizio del suo apostolato e dei copiosissimi frutti
ottenuti con la sua missione.
E
primieramente lo zelo di un ministro del Signore deve essere illuminato,
siccome l'insegna sant'Agostino: Ut
appareat, quod latebat. Senza questo splendore di scienza e di dottrina
lungi d'incamminarsi le anime nella via della salute si trarranno piuttosto al
precipizio, secondo la sentenza evangelica: Si
coecus coecum ducit, ambo in foveam cadunt. Tale fu lo zelo di Alfonso sia
pel gran corredo di sua dottrina, sia - 202 -
per quello spirito d'intelligenza e di sapienza, di cui lo arricchì il Signore
mercé la sua corrispondenza ai lumi celesti. Ricorderò quel suo metodo nel
confessare, attinto alla fonte perenne della verità medesima, che è Gesù
Cristo. Se egli mostrossi mai sempre benigno e caritatevole coi peccatori più
insensati ed invecchiati nel vizio, per richiamarli quai Lazzari quatriduani
dalla morte del peccato alla vita della grazia; trattandosi però di fissare nel
loro cuore la permanenza nella conversione fu il più rigido osservatore delle
leggi evangeliche; né anche per poco si adattò a' mal intesi trasporti di una
rovinosa compassione.
Conoscitore
perfetto delle umane tendenze, ed ammaestrato dall'esperienza nel faticoso
arringo delle missioni, si convinse, che il cuore umano per la caduta del
nostro progenitore è proclive oltre ogni credere verso il male; che le
occasioni sono tanto seducenti da far prevaricare chiunque non veglia
attentamente sui movimenti dell'animo suo e sulla fuga di ogni pericolo: quindi
piantò per base della sua morale la morale stessa di Gesù Cristo, e ricopiò in
sè medesimo la condotta tenuta dal Salvator del mondo verso i peccatori, i
quali da lui riceverono la guarigione dell'anima e del corpo.
E'
cosa rimarchevole, che il capo di tutti i missionari Gesù Cristo, il nostro
maestro infallibile, allorché guarì il paralitico con tanta carità, gl'impose
di non peccare mai più, se non voleva andar soggetto a mali peggiori; che
quando difese, e salvò l'adultera dalle mani dei suoi accusatori, i quali
volevano lapidarla, le ingiunse altresì di ben guardarsi a non ritornare al
vomito del peccato; che finalmente a tutti i suoi seguaci ha prescritto di
essere vigilanti, e di attendere alla preghiera, vigilate, et orate, ut non intretis in tentationem, come unico
mezzo per ottenere la vittoria delle proprie passioni e la salute eterna.
Ora
Alfonso succhiò dal bel principio di sua missione il latte purissimo di queste
massime evangeliche: Alfonso pose diligentemente in esecuzione questi mandati
del divin Redentore nell'esercizio del suo ministero apostolico: Alfonso
finalmente dando alla luce la sua Teologia morale dopo - 203 -
avere scorsi e studiati accuratamente i più rinomati
autori in questa scienza, e dopo l'esperienza di molti anni, insegnò questa
grande verità, la qual formar deve la regola sicura di ogni ministro del
vangelo per ben dirigere le anime nella via della salute. Basta leggere la sua
teologia per convincersi della verità di questa mia riflessione.
Il
nostro santo andò soggetto a molte impugnazioni riguardo al suo sistema morale:
gli venne imputata una soverchia condiscendenza verso i peccatori; fu accusato
di lassismo al cospetto della società e della Chiesa. Ma appena si cominciò a
gustare la sua dottrina, si osservò dagli uomini scevri di ogni pregiudizio di
partito, e zelanti della salvezza delle anime, che la morale di lui è fondata
su quella di Gesù Cristo; mentre le sue opinioni tendono ad aiutare i
peccatori, e liberarli dalla perdizione. Benigno con quelli, che contriti
vogliono rientrare nell'ovile di Gesù Cristo, si appalesa poi rigidissimo per
preservarli nell'avvenire dal peccato, come può vedersi, allorché parla dei
balli, dei teatri, degli amoreggiamenti, e di ogni altra occasione di peccato.
Con
queste massime, e con quel zelo, che gli faceva tanto odiare in sé stesso e
negli altri il peccato, regolò ancora la sua condotta per tutto il tempo del
suo episcopato. Dove penetrava il minimo pericolo dell'offesa di Dio, e dove
scorgeva ritrovarsi un qualche disordine, là spingeva senza umano riguardo le
saette del suo zelo.
Nel
prendere possesso di sua diocesi la rinvenne non poco rilasciata nel costume.
Ei si propose di riformare tutti gli abusi, di estirpare tutti gli scandali, di
allontanare in somma ogni male dal suo gregge. Per ottenere questo suo intento
non risparmiava né spese, né fatiche, né raccomandazioni, ben convinto di esser
questa la prima prerogativa di un buon pastore, il quale non deve calcolare la
sua comodità, ne tampoco la propria vita per allontanare dalle sue pecorelle i
lupi rapaci, giusta il detto evangelico: Bonus
pastor animam suam dat pro ovibus suis. A tale oggetto tutti gli affari
della sua diocesi erano da lui trattati - 204 -
personalmente; e se si eccettuano le sole carte della curia e l'amministrazione
della mensa, il rimanente veniva da lui direttamente disbrigato. Quindi niun
inconveniente sfuggiva al suo sguardo penetrante ed alla sua vigilanza e
sagacia, per imprendere tosto i mezzi opportuni ad allontanarlo, ed estirparlo.
Ora
la prima parte di un buon pastore della Chiesa, il quale è anche padre,
consistendo nel correggere i manchevoli per indurli al ravvedimento, Alfonso
prima di tutto chiamavasi i colpevoli, ed usando l'avvertimento dell'Apostolo: Argue, obsecra, increpa in omni patientia et
doctrina, sforzavasi con mille industrie e sante ammonizioni di ritirarli
dal peccato per placare Iddio ed operare la conversione. Che se questi o non
arrendevansi alle sue paterne caritatevoli rimostranze, ovvero fingendo
conversione eludevano di soppiatto le promesse fatte al santo prelato, allora
metteva in opera i mezzi del rigore, ed in tal guisa procurava almeno di
cancellare lo scandalo, per impedire che la peste del vizio non avesse
infettate le altre sue pecorelle.
Da
uno zelo cotanto illuminato procedeva quella sua inalterabile pazienza e
benignità, per la quale facendosi tutto a tutti, non solo accoglieva
amorevolmente i peccatori, ma con ammirabile carità ne compativa i traviamenti,
ne sopportava la resistenza, intento solo a guadagnarne il cuore, e tirarli a
Gesù Cristo: nel che consiste,giusta l'insegnamento di sant'Agostino, l'altro
carattere dello zelo: Ut libeat quod
horrebat, et fiat quod pigebat b.
Difatti
oltre la generale conversione, che succedeva nelle città e paesi, dove Alfonso
portava la sua missione, si avverava eziandio la perseveranza nel bene per
lungo tempo dopo la missione. Fu questa l'osservazione fatta da monsignore
Giannini vescovo di Lettere. Nelle
missioni degli altri, diceva, se ne vede il frutto in tempo della missione, ma
finisce presto il fervore concepito: non così nelle missioni di D. Alfonso
Liguori, mentre il frutto perdura lungamente, e si conserva il - 205 -
fervore
della missione. La chiarezza inarrivabile del suo dire, per cui le massime eterne
restavano grandemente impresse nella mente e nei cuori; la sua inalterabile
pazienza nel sopportare i travagli della missione; quel suo protrarre
l'applicazione ad ascoltar tutti con insigne carità quella soavità
nell'istillare i doveri cristiani e nel rimproverare il vizio erano tante dolci
catene, con cui traeva le anime più restie a Gesù Cristo, e le consolidava nel
bene incominciato dopo averle convertite. E questa pazienza e soavità si ammirò
in lui in ogni tempo ed in ogni circostanza.
Discorrendo
un giorno, essendo già vescovo, con un canonico sopra l'incorrispondenza di
tanti, pe' quali si affaticava inutilmente, il medesimo gli disse: Quando si veggono alcuni ostinati, mi pare,
che bisognerebbe abbandonarli, come il medico abbandona l'infermo, il quale non
cura i suoi rimedi. Ma il santo accendendosi nel volto, e drizzandosi in
piedi gli troncò la parola in bocca: Che
dite? Questi non debbono perdersi di mira, né dar loro riposo: ma bisogna
impedire il peccato quanto si può, anche con ogni nostro incomodo e sofferenza.
Scrive s. Bonaventura: In terra sterili et saxcosa etsi minor fructus, pretium
maius.
Perciò
Alfonso inculcava a tutti i confessori specialmente questa longanimità e
pazienza, dicendo, che l'uffizio di confessore intanto è così meritevole presso
Dio, perché è soggetto a molte amarezze, scrupoli, e fatica. Egli poi per
un'anima sola, anzi per impedire un sol peccato stimava tenue qualunque
travaglio ed incomodo. Non fu mai veduto alterarsì sia per la folla, che
l'opprimesse, sia per l'indiscretezza dei penitenti, specialmente godendo nel
confessare la gente rozza ed idiota, ne per qualunque affronto gli venisse
fatto. Sempre soave, sempre ilare di volto, coll'unzione della grazia, che gli
scorreva dal labbro tutti istruiva pazientemente, e tutti animava a procurare
la propria salvezza.
Mentre
era vescovo, seppe che una donna nel fiore degli anni era lo scandalo del suo
paese. Il santo prelato non avea trascurato alcun mezzo per farla ravvedere,
specialmente avvalendosi del curato. Ma riuscita vana ogni - 206 -
industria zelante, finalmente se la fece venire
davanti in presenza del curato medesimo, la fece sedere, mentre egli ne stava
in piedi, e le parlò con tanto spirito ed amorevolezza, che quella si diè per
vinta, si disciolse in lagrime di vera compunzione, e con una vita
costantemente morigerata risarcì gli scandali dati. Ma più singolare è il caso
avvenutogli in Napoli, mentre colà si tratteneva per accudire agli affari di
sua Congregazione. Stando un giorno all'adorazione delle 40 ore giusta il suo
costume, una signora nel vederlo lo fece pregare dal suo servitore, che avesse
avuto la bontà di andare a ritrovarla in casa, perché doveva conferire con lui
intorno alla sua coscienza. Benché il santo avesse in costume di non visitare
mai donne, pure illuminato dal Signore disse al suo padre compagno: Chi sa, che cosa ne vuole Dio da questa
chiamata? Andiamo. Vi si recò difatti col detto padre. Ma che? Ritrovò, che
la signora se ne stava alla toletta. Paziente Alfonso attende non poco tempo
nell'anticamera: introdotto finalmente, incominciò dall'insinuarle la
meditazione delle eterne verità, e fissò il giorno, in cui sarebbe andata a
ritrovarlo nel confessionale. Nell'uscire dall'appartamento di lei disse al
compagno: E che altro voleva dirle,
vedendola attaccata alla vanità? Ma vi andò difatti la medesima a
confessarsi da lui. Ed allora compiendo il santo l'opera incominciata, seppe
distaccarla dal mondo con tanta efficacia, che questa signora intraprese una
vita tutta spirituale ed edificante.
Uno
zelo così paziente e benigno dovea essere altresì prudente e moderato. Non era
Alfonso di quegli operai, cui si converrebbe il rimprovero fatto dal Salvatore
ai due apostoli, allorché li chiamò figli del tuono. Benché il suo zelo nascesse
dall'ardore della sua carità, sapeva non ostante frenare il suo temperamento,
prendere i contrattempi, studiare le disposizioni, e dirigere con sicurezza
dell'effetto i suoi consigli, le sue ammonizioni, le sue invettive. Vi fu
occasione, in cui il santo lasciossi trasportare da uno di quegli slanci, i
quali palesano piuttosto il fervore dello zelo che la saviezza della - 207 -
carità: ma ben tosto
seppe moderare e medicare con la prudenza i suoi detti.
Chiamato
dal vescovo di Nola monsignor Caracciolo per dare gli esercizi spirituali al
suo rinomato seminario, gli fu riferito, che il detto vescovo aveva permesso ai
seminaristi di recitare un'opera sui traviamenti e conversione di
sant'Agostino; e che personalmente anch'egli vi era intervenuto con molti
ecclesiastici e secolari. Alfonso spinto dal suo zelo, disapprovando questa
condotta del vescovo, nell'introduzione degli esercizi alla presenza di lui
inveì fortemente contro questa specie di occasione alla distrazione dei
seminaristi, i quali essendo chiamati alla santità del ministero, e ad un
totale distacco dagli usi e divertimenti del mondo, debbono educarsi fin dal
principio ad abbandonare ogni sorta di ricreazione secolaresca.
E
nel fervore del suo discorso dipinse con colori tanto vivi il pericolo di
questi sollievi, che sembrava già condannar di peccato il prelato medesimo, che
lo aveva permesso, e lo aveva autorizzato col suo intervento. Ma rientrando
subito in sé stesso rivolse il suo dire con tale maestria ad altro soggetto,
ricoprendo del pari la sua proposizione con una di quelle lepidezze, che gli
erano naturali, che lungi dall'arrecare disgusto o ammirazione fu applaudito
dal vescovo stesso, ed ottenne il suo intento di eliminare per sempre da quel
seminario quest'oggetto di dissipamento.
Quindi
avendogli scritto di poi uno dei suoi congregati dalla Sicilia, che mentre
facevasi la missione in una città, il vescovo aveva permesso di rappresentarsi
nel seminario una commedia del Goldoni, e che stimolato da alcuni zelanti di
fare la correzione al detto prelato, egli erasi negato, il santo gli rispose: Avete fatto bene a passare sotto silenzio il
fatto: bisogna tollerare qualche sconcerto particolare per non disturbare
l'opera della missione, che è un bene pubblico. Ed altra volta scrivendo al
medesimo suo congregato, il quale lo richiedeva di consiglio in rapporto ad
alcune delicatezze del vescovo da lui diretto, così si espresse: Con noi poveri vecchi ci vuole una gran
pazienza, contentandosi di ascrivere sè stesso - 208 -
nel numero dei vecchi fastidiosi. Tanta era la sua
prudenza e moderazione, figlia della sua carità, la quale, al dir
dell'Apostolo, non è soltanto paziente e benigna, ma né tampoco temeraria e
imprudente: non agit perperam;
giacché per non operare indarno, è d'uopo aver riguardo ai tempi, ai luoghi,
alle persone, alle maniere, ed a tutte quelle considerazioni da cui dipende
l'esito felice del santo ministero.
Or
questa sua saviezza accompagnata ora dal suo dire faceto, or dalla forza delle
sue espressioni dirigeva sempre la verità sul suo labbro senza offesa di
alcuno, e ne riportava mirabili effetti. Il che si osservò in Alfonso per tutto
il tempo di sua vita nei discorsi pubblici e privati.
Furongli
presentati nella sua cadente età due giovani ammessi nella Congregazione, i
quali dovevano entrare nel noviziato. Il padre, che glieli presentò, gli disse,
che quelli erano due cadetti di rispettabile, famiglia: cadetti? ripigliò
Alfonso col riso in bocca, cadetti ?
brutta razza. ma tosto volgendo loro il suo discorso inculcò ai medesimi di
comunicarsi frequentemente, di portare ai compagni novizi questo suo avviso, di
confidare molto nella protezione di Maria santissima, e venerarla qual madre, e
dopo altri salutari avvertimenti diede loro la sua benedizione, e confortandoli
alla perseveranza gli accommiatò.
E
qui è d'uopo riflettere, che quest'uomo di Dio, il cui zelo era così attivo,
vigilante e laborioso, non si faceva sfuggire occasione alcuna per istillare
nel cuore di tutti l'adempimento dei propri doveri, cercando di accendere tutti
ad amare Dio ed a travagliar per la propria salute. Specialmente in lui si vide
questa sollecitudine allorché più non poteva declamare dai pulpiti contro il
peccato, ed esortare i fedeli ad un vivere morigerato e cristiano. Avvegnaché
per la fama di sua santità concorrevano da ogni parte, e di ogni ceto, delle
persone a consigliarsi con lui, oh qual messe abbondante presentavasi al suo
zelo ! Quindi a tutti egli dava documenti di salute, a tutti raccomandava la
frequenza dei sacramenti, la pratica dell'orazione, la fuga delle occasioni ed
in particolar modo la - 209 -
divozione alla Vergine santissima. Anzi poiché, fra quelli, che concorrevano,
vi erano molti infermi, i quali nella certa speranza di essere risanati
imploravano la sua benedizione, a questi soprattutto dava conforto con i suoi
insegnamenti, nel mentre che spiegando il divino potere concedeva loro la
sanità corporale.
Ed
a chi riscopriva le passioni, e peccati occulti, chi avvertiva di ben
confessarsi, chi animava a tollerare pazientemente le tribolazioni, e tutti
rimandava confortati, edificati e compunti. Dimodoché nella sua piccola cella
operavasi una missione non interrotta con sommo vantaggio delle anime.
Specialmente allorché usciva in carrozza, gli si facevano attorno tante persone
di ogni classe e di ogni sesso chiedendo la sua benedizione: delle madri
presentavangli i lor pargoletti fra le braccia, altri gli accostavano i loro
infermi parenti che avevano trascinati dal letto nel suo passaggio; ed Alfonso
dirigendo a tutti dei salutari avvertimenti ne procurava la salute eterna col
restituire la sanità corporale.
Non
saprebbesi però formare miglior giudizio dell'attività del suo zelo, che col
riflettere alle continue svariate sue occupazioni a pro della Chiesa, e delle
anime, per cui raggirandosi nel gran giardino evangelico, tutte le industrie
praticò indefesso per farlo rifiorire di elette virtù, e sante operazioni,
sbarbicandone ogni sorta di piante nocive alla santità del cristianesimo. La
sua vita, le sue fatiche apostoliche, i suoi volumi, e tutte le grandi opere
dimostrano ad evidenza, con quale e quanta giustizia il sommo pontefice
Gregorio XVI, nella Bolla di sua Canonizzazione lo abbia onorato del seguente
elogio: Ad Dei Gloriam quaquaversus
amplificandam, ad inserenda in animis hominum virtutum semina, stirpesque
vitiorum evellendas totus incubuit. Tuttavolta mi piace riferire alcuni
altri tratti di questo suo zelo per vieppiù mettere in mostra il suo fervore.
Sentendo Alfonso, che il cardinale arcivescovo di Napoli agitato da scrupoli
era andato a Roma per rinunziare la sua sede, tosto gli scrisse nei seguenti
termini:
Io vivo ancora nella speranza,
che Vostra Eminenza non abbia da abbandonare Napoli: - 210 -
io sono un
povero sciocco, ma vorrei parlare col suo confessore, e fargli vedere il danno,
che certamente ne avverrà. Io dico, che sono i peccati di tanti, che
impediscono a Vostra Eminenza, ed al di lei confessore di conoscere ciò c.
Il
santo così scriveva, perché ponderava il gran vantaggio, che ne ridondava dallo
zelo del detto pastore.
Pervenuti
alcuni commedianti nella città di Arienzo, Alfonso se li mandò tosto a
chiamare, ed ordinò, che fossero immantinente partiti dalla sua diocesi. Avendo
questi risposto di avere un reale permesso di rappresentar commedie in
qualunque luogo del regno, pieno di zelo rispose loro: Ebbene anderò personalmente da Sua Maestà e vedrò se avete questo suo
reale permesso. A quest'intimazione impauriti gli dissero esser quella la
loro professione, e così dovevano vivere. Allora il santo soggiunse: Se volete la limosina, ve la darò io, ma
partitevi dalla mia diocesi. Di fatti commise ad un suo familiare di dar
loro una competente somma di denaro.
Con
pari zelo vigilava, che tolte si fossero le inimicizie, i giuochi di azzardo;
che il vestire delle donne fosse modesto specialmente nella casa di Dio; e
riguardando questo suo zelo sopra tutti i suoi parenti, non tralasciò di fare
una veemente correzione al suo nipote, allorché seppe, che in sua casa teneva
festini e veglie. Acceso di santo ardore gli rappresentò il grave pericolo, cui
si esponeva di dannarsi, di modo che sen partì tutto compunto dalla presenza di
lui. Non può immaginarsi, qual fosse in lui la sollecitudine per allontanare il
peccato, ed impedire l'offesa di Dio.
Trattenendosi
una volta in Pagani per cambiamento d'aria dopo gravissima malattia sofferta, e
mostrandosi turbato nel volto, fu interrogato dal vescovo di quella città,
perché ne stesse così agitato? Ah!
rispose sinceramente, sono agitato, e ne
ho ragione, perché sono vescovo.
Se
Alfonso era così zelante della divina gloria, ed impegnavasi a tutto potere di
estirpare qualunque disordine, non potrebbe - 211 -
ridirsi, con quanta veemenza abbia inveito contro
l'abuso dei duelli, i quali al suo tempo erano pur troppo frequenti. Fece da
prima una rappresentanza al Sovrano, supplicandolo a degnarsi di proibire i
duelli: ed oltre a ciò compose, e diede alle stampe una dotta dissertazione
sopra l'empietà dei duelli, adducendo tutte le leggi ecclesiastiche e civili,
che li proibiscono. La fece presentare al re ed ai suoi ministri. Sentivasi
egli intenerire il cuore fino alle lagrime, allorché venivagli riferito qualche
duello accaduto, riflettendo, che i duellanti soccombendo alla morte, non vi è
più scampo per la loro eterna salute, e sono certamente perduti. Quindi
esclamava: Povere anime, che vanno a
dirittura all'inferno !
Fu
parimente sollecito Alfonso ad eliminare dalle chiese della sua diocesi il
canto figurato, e gli strumenti musicali, ordinando di praticarsi il canto
fermo, come proprio alla gravità delle sacre funzioni, a mantenere la riverenza
ed il raccoglimento nella casa del Signore, e ad allontanare ogni curiosità e
dissipamento, cagione di molti peccati. Il che molto più volle, che si
osservasse nei monasteri e nelle chiese delle sacre vergini. Non solo proibì
d'insegnarsi il detto canto alle educande, e novizie; ma neppure permise, che
si facesse orchestra di musici nelle feste di vestizioni, o professioni, o
altre solennità.
Anzi
rispondendo ad una religiosa fuori della sua diocesi su questo soggetto, così
si esprime: "Al canto non siete obbligata di ubbidire, perché se la sacra
Congregazione sapesse il tutto, certamente che proibirebbe questo maledetto
canto. Ma giacché l'inferno fa tanto per ricuperare questo canto, perché voi
non fate qualche cosa per Gesù Cristo? Vi consiglio di scrivere alla sacra
Congregazione dei vescovi e regolari, esponendo che si era tolto il canto, e
che di nuovo per impegno si vuol rimettere " d.
E
su questo punto esistono molte lettere del santo, che si tralasciano per
brevità.
Così
questo apostolo del vangelo affaticandosi sempre ad - 212 -
estirpare dal campo della Chiesa la zizzania dei vizi
e dei disordini e ad inserirvi le opere virtuose, conseguì perfettamente il
fine dell'apostolato di Gesù Cristo.
Alfonso
altro non pensava, altro non respirava, che la gloria del suo Dio, l'amore di
Dio, ed il vantaggio delle anime. Quindi pervenuto agli estremi di sua lunga
vita, quando fu reso impotente a predicare, a catechizzare, a confessare, a
scrivere, ed eseguire qualunque opera di zelo, godeva almeno, e compiacevasi
del bene operato dagli altri e specialmente dai suoi congregati.
Venuto
un suo congregato da Gubbio, l'interrogò subito, se facevansi missioni, e qual
cosa si facesse per la gloria di Dio, ed essendo accertato, che con esercizi e
missioni si promoveva la divina gloria, se ne rallegrò molto, dando tali
dimostrazioni di vero zelo, che quel missionario confessò averne ricevuto
incoraggiamento a faticare, e fervore a non degenerare dallo spirito del
fondatore.
Parimente
avendo un giorno inteso, che nella nostra casa di Caposele vi era una fiorente
Congregazione di spirito, che vi concorrevano anche da altri paesi più di
ducento fratelli per confessarsi, e comunicarsi, ne pianse per tenerezza, e poi
disse: Quando sento queste cose, mi vedo
in un mare di consolazione, vedendo promossa la gloria di Dio: e ripeté più
volte Gloria Patri. Anzi informatosi una
volta, dove erano i padri, e sentendo, che si trovavano in missione esclamò: oh
quanto bene si fa! quanti peccatori si convertono! Signore, sia tutto a gloria
vostra. Ma avendogli un padre ivi presente soggiunto, che egli come
fondatore partecipava a tutto questo bene, rispose con somma umiltà piangendo: Ed io che ho fatto di bene? povero me e
!
Ora
quest'uomo divorato dallo zelo del Signore, e che in tutta sua vita non avea
risparmiato disagio e travaglio alcuno per la salute delle anime, anche in
sogno dimostrava la sollecitudine e l'ardore del suo zelo. Attestava di fatti
il fratello serviente, il quale dormiva nella camera a lui vicina, che quasi - 213 -
ogni notte esortava i
suoi penitenti con atti efficacissimi di contrizione, di confidenza e di amore,
pei quali sentivasi egli stesso intenerire, e compungere il cuore; segno non
equivoco dell'ansietà del suo spirito per tirare le anime a Dio. Quindi lo zelo
di Alfonso era fornito di quelle eccellenti prerogative, enumerate da s.
Bernardo: Zelum tuum inflammet charitas,
informet scientia, firmet constantia.
Fu
veramente lo zelo di lui acceso dalla fiamma della carità, non avendo avuto
altro scopo, che l'onore di Dio e la salvezza spirituale delle anime redente da
Gesù Cristo: fu informato, e diretto dalla vera scienza per la sua prudenza,
benignità, e moderazione: fu insomma sostenuto dalla costanza, perché Alfonso
non indietreggiò alla vista delle difficoltà, delle fatiche, della morte
stessa. L'amore, come dice lo stesso mellifluo dottore, disprezza tutti gli
ostacoli: Amor nomen difficultatis
erubescit; e giusta l'insegnamento del Crisologo serm. 40, insulta i
pericoli, si ride della morte stessa, vince ogni cosa: Si amor est, periculis insultat, mortem ridet, et vincit omnia.
Ecco difatti il
nostro santo addivenuto un ostia viva, che si sacrifica pel Dio vivente in
tutti i momenti della sua lunga carriera nello apostolato non curando malattie,
obbrobri, e disprezzi: eccolo affrontare i più duri travagli senza badare né
anche al sostentamento del suo corpo, agognando sempre di guadagnare anime a
Gesù Cristo, di distruggere il peccato, e dilatare il regno di Dio.
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Posizione Originale Nota - Libro
V, Cap.22, pagg.201, 204, 210, 211, 212
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