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Cap. 25
SUA DOLCEZZA E MANSUETUDINE
La
dolcezza e la mansuetudine sono il carattere specifico del Figliuolo di Dio
umanato. Benché in lui risedesse la pienezza della divinità, e quindi
l'aggregato di tutte le virtù, nondimeno volle fra tutte far risplendere in sé
medesimo la mansuetudine fino ad esclamare: Discite
a me, quia mitis sum. L'indiscretezza delle turbe, che gli si affollavano
d'intorno, l'ignoranza e le pretensioni degli apostoli, la fina malizia dei
farisei, che cercavano ogni occasione per censurare le operazioni - 238 -
di lui, e sindacare
financo i suoi interni pensieri; tutto ciò non fu capace di alterare giammai la
serenità del suo volto o la pacatezza dell'animo suo. E poiché erasi offerto
qual vittima di espiazione per riconciliare l'uman genere con la divina
giustizia, nel prendere le umane sembianze volle assomigliarsi ad un agnello
mansueto, che senza risentirsi soffre in pace ogni ingiuria ed ogni strapazzo:
Qui cum malediceretur non maledicebat; dedit
percutientibus se maxillam, come lo delineò il profeta.
In
conformità di questo suo divino esempio volle, che i suoi seguaci si amassero
scambievolmente senza punto alterare la legge della carità, la quale si estende
a tutti coloro, che portano l'immagine di Dio e sieno pure immeritevoli del
nostro affetto. La dolcezza e mansuetudine di Alfonso portò seco i caratteri
della dolcezza e mansuetudine del Figliuolo di Dio: ei fece risplendere in sé
medesimo l'eroismo di questa virtù in tutte le circostanze della sua vita, la
quale fu un complesso di travagli e di contraddizioni per sostenere l'onor di
Dio, promuovere i vantaggi della Chiesa, e compiere il fine della sua
vocazione.
E
primieramente diede prove luminose di mansuetudine nelle opposizioni, che riceve
a cagione della sua morale Teologia. Non vi è chi non sappia, quante
confutazioni ripiene di villanie, di rimproveri, e di altre ingiurie siansi
fatte al suo sistema morale. Ma egli non oppose a tutte queste contraddizioni,
se non che la mansuetudine di Gesù Cristo. Basta leggere le sue dissertazioni
in risposta a queste confutazioni, le sue lettere a vari teologi, cui
dirigevasi per consiglio, ai diversi amici, che gli scrivevano compassionandolo
della lotta che soffriva dai suoi avversari, per conoscere fino a qual grado ei
possedesse questa nobile virtù. Non vi traspira mai un sol vocabolo di lamento,
non oppone ingiuria alle ingiurie, non adopera alcuna frase di risentimento; ma
pregando i suoi avversari ad illuminarlo con ragioni sode, pronto si appalesa
di rinunziare al suo sentimento, di cangiar le sue opinioni, qualora lo
convincano di avere errato o trasgredito le leggi della - 239 -
morale evangelica. Difatti non ebbe egli ritegno di
ritrattare moltissime delle sue sentenze nel corso del tempo, essendosi
convinto, che le contrarie erano più conformi alla legge divina, più tendenti
al vantaggio delle anime, benché sostenute le prime da molti gravissimi autori.
Quando
ricevette quella diatriba da un religioso, il quale lo impugnava acremente per
aver insegnato, che la maledizione dei morti non sia peccato grave, vi fu chi
gli suggerì di rispondergli con egual tinta d'inchiostro: ma egli riprendendolo
per tal suggestione rispose al suo solito con tutta la dolcezza della carità
cristiana. E questa sua mansuetudine gli conciliò maggiormente l'universale
applauso ed attaccamento, mentre in lui si ammirò l'uomo di Dio, il quale
allontanando da sé ogni spirito di parte, e spropriandosi di ogni suo
sentimento non ha altra mira, se non che di procurare il bene spirituale de'
suoi prossimi.
Questa
dolcezza e mansuetudine spiccò in Alfonso per tutto il tempo del suo apostolico
ministero; e fu quella, che gli attirò i cuori di ognuno, e gli fe' riportare
tante vittorie sul1'inferno. Lo zelo per essere utile alle anime deve essere
accompagnato dalla discrezione e dalla dolcezza, a somiglianza dello zelo di
Gesù Cristo, il quale mentre difendeva i dritti della divina giustizia, e
ricercava la gloria del suo Padre, fu però sempre animato dalla compassione e
dalla tenerezza verso i peccatori.
In
simil guisa percorrendo Alfonso l'arringo del suo apostolato in mezzo a gente
per lo più rozza ed idiota, non è credibile, quante volte soffrir dovesse e
disattenzioni, ed importunità, e durezze, e disagi di ogni sorta: non ostante,
il suo volto fu sempre tranquillo, il suo parlare sempre attraente, il suo
portamento sempre uniforme.
Qual
maraviglia adunque, che una tale condotta gli conciliasse tanto rispetto, che
fosse da per ogni dove riputato qual santo, e che il suo ministero ricavasse un
frutto copioso e perenne? Quale stupore, che a piena bocca fosse rassomigliato
ad un s. Francesco di Sales per la sua dolcezza, affabilità, sincerità,
prudenza, e carità, che rapiva i cuori di tutti? E questa carità - 240 -
usava specialmente nel
predicare e nell'ascoltar le confessioni. Non si dié mai il caso, che Alfonso
nel più veemente trasporto del suo zelo prorompesse in alcuna parola offensiva
verso degli ascoltanti. Non chiamava i peccatori, che col titolo di figli, o di
fratelli. Quando poi ascoltava le confessioni dei più scellerati, non li
sgridava, ma con affabili maniere gli animava a deporre ai suoi piedi il peso
enorme de' loro peccati, e con la mansuetudine li riconciliava più facilmente a
Gesù Cristo, infondendo in essi l'amore alla confessione.
Ma
la sua mansuetudine spiccò sopra tutto nelle persecuzioni, che questo santo
prelato dovette tollerare per estirpare gli scandali dalla sua diocesi, e per
riformare i costumi del popolo e del clero. Il divin Redentore lo predisse ai
ministri suoi: Et eritis odio omnibus
hominibus propter nomen meum: si me persecuti sunt, et vos persequetur.
L'Apostolo
delle genti rallegravasi, che la sua missione gli procurasse molti avversari,
fatiche, e contraddizioni: ostium mihi
apertum est magnum, et evidens, et adversarii multi: su di che il
Crisostomo insegna a tutt'i pastori della Chiesa per rincorarli nell'adempiere
il proprio ministero, che ove sono molti travagli, ivi l'evangelo maggiormente
fruttifica, giacché l'infernal nimico diviene furibondo, e si scaglia contro
quei ministri di Dio, i quali gli strappano le anime dalle fauci: Si multi sunt, qui insidiantur, hoc signum
est profectus evangelii.
Convinto
di una tal verità il nostro santo prelato era solito esclamare: Povero quel vescovo, che sta quieto: bisogna
che si viva inquieto per fare l'ufficio proprio. Ed altre volte lepidamente
ripeteva: Questo è l' ufficio de' vescovi di buscar sempre.
Vari
sono in fatti questi casi, in cui toccò ad Alfonso di palesare la sua eroica
mansuetudine. Essendosi adoperato presso un provinciale di far uscire dalla
diocesi un religioso del suo Ordine, il quale non serbava un'esemplare
condotta, offeso di ciò il fratello di lui secolare, si presentò furibondo
innanzi ad Alfonso, lo caricò di molte parole ingiuriose, e minacciò eziandio
di percuoterlo con calci. Ma qual fu la risposta del santo? Senza punto - 241 -
alterarsi altro non
rispose, che queste due parole: via mo,
via mo. Alfonso adempiendo per Gesù Cristo la sua legazione aveva fatto un
contratto con la sua lingua di non trascorrere giammai in alcuna espressione di
risentimento, per qualunque affronto avesse ricevuto, ed in tal guisa esercitò
eroicamente la virtù della mansuetudine. Come rispose ad un canonico, il quale in
un simile evento gli rappresentò, che il suo silenzio e la sua pazienza rendeva
più baldanzosi gl'indiscreti e gli imprudenti? oh! canonico mio, quando uno viene ingiustamente ingiuriato, non
bisogna pigliarsi collera, ma rimetterlo tutto a Dio.
Vi
furono ben molti, che criticarono Alfonso per questa sua condotta, credendo,
che se egli era lodevole nel soffrire in pace le ingiurie ed i disprezzi fatti
alla sua persona, non vi fosse però della convenienza in tollerare alcuni
affronti, perché degradavano la sua dignità ed il sublime suo carattere. Al che
si può rispondere, che Alfonso avendo ricopiato in sé medesimo la benignità e
la mansuetudine del divino Agnello, non credette di avvilire il suo stato col
soffrire pazientemente le altrui ingiurie. Il Salvator del mondo non solo fu
bersaglio agl'indegni ebrei di mille villanie, ma lasciossi altresì legare qual
malfattore, flagellare alla colonna, caricar di sputi, coronar di spine, e
trafiggere sul duro patibolo della croce.
Quindi
giusta la riflessione del principe degli apostoli, passus est, relinquens exemplum, ut sequamini vestigia eius.
Sull'esempio di lui tutt'i santi della Chiesa han sopportato con eroica
mansuetudine maltrattamenti, calunnie, e strapazzi di ogni genere, benché
fossero costituiti nelle più eminenti dignità, per sostener l'onor di Dio e la
causa della Chiesa. Alfonso del pari si è dimostrato paziente, ed ha imitato
non solo gli esempi degli altri santi, ma quel ch'è più l'esempio divino
dell'incarnata Sapienza.
Quindi
si possono leggere nella vita scritta dal p. Tannoia i molti casi, nei quali
fece risplendere questa virtù della mansuetudine, tollerando, e non
risentendosi delle ingiurie, anzi compiacendosi di essere vilipeso.
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Ma oltre di mettere in non cale la sua dignità giunse il nostro santo fino ad
impedire il corso della giustizia vendicativa, allorché adoperossi a tutt'uomo
per far liberare dalla prigione un uomo malvagio, il quale ardì tirar delle
pietre dentro la carrozza di Alfonso, e poi seguirlo fino al suo episcopio,
dove sforzò la porta con urtoni per entrare nel gabinetto del santo, e ciò non
per altro, se non che per essere stato ammonito più volte a lasciare una
pratica illecita.
Di
Gesù Cristo anche si legge, che predicando alle turbe i giudei presero delle
pietre per gettarle contro di lui: tuttavia non leggiamo, che in punizione di
tal misfatto, e per l'altrui esempio gli avesse castigati colla sua divina
potenza; ma sol contentossi di nascondersi, ed uscire dal tempio: Jesus abscondit se, et exivit de templo:
che anzi rispose ai suoi discepoli, i quali volevano invocare dal cielo un
fuoco divoratore contro quegli empi: Nescitis,
cuius spiritus estis. Filius hominis non venit animas perdere, sed salvare.
Questa
indulgenza praticata dal santo per le ingiurie ricevute estendevasi anche a
coloro, i quali nell'impeto della passione avessero offeso alcun altro.
Allorché
qualche sacerdote era chiamato in curia col mandato di arresto per qualche
trasporto di collera nel primo atto di sua passione, il santo lo compativa, e
per non interessarlo lo teneva nel proprio palazzo ed alla propria tavola, ed
in questo frattempo s'impegnava per dare soddisfazione alla parte avversa, e
toglier di mezzo ogni elemento di discordia; come avvenne nella persona di un
sacerdote, il quale nel primo movimento di collera diede un colpo di bastone al
notaio della curia. Con che esercitava il santo vari atti di eroiche virtù: la
prudenza, distinguendo colpa da colpa; la carità, alimentando i delinquenti, e
ritenendoli nel suo palazzo per non farli stare nella prigione; la mansuetudine
finalmente, di cui dava ed all'offeso ed all'offensore singolare esempio.
Essendo
venuto in contesa col proprio padre e fratello per cagione della divisione fra
di loro un sacerdote, questi senza badare al dovuto rispetto per trasporto
della passione colpì il - 243 -
proprio padre con un bastone. Non mancò il genitore di portarne querela al
santo vescovo; ma il figlio conoscendo il grave male commesso, va a gettarsi
tutto confuso e pentito ai suoi piedi. Alfonso calcolando la sorpresa della
passione, compatisce il figlio delinquente; si chiama il padre, e con soavi
maniere li fa riconciliare fra di loro senza dar luogo ad alcun processo in
curia: anzi per allontanare da ogni altra occasione il detto sacerdote, lo
destinò economo nella parrocchia di Luzzano, dove avendo per molti anni
adempiuto il suo dovere con edificazione universale meritò, che il prelato lo
facesse di poi mansionario nella collegiata di Arienzo. In tal modo Alfonso
anche presso gli altri impegnavasi a mantenere la virtù della mansuetudine.
In
tutti gli eventi mostrò adunque, quanto fosse eroica la sua mansuetudine, quasi
che non sapesse che cosa fosse il risentimento: ed era ben egli di un
temperamento collerico, come abbiam notato nel principio di questo libro. In
tutte le circostanze non solo soffriva gli affronti con animo imperturbabile,
ma presentandosi l'occasione procurava di beneficare eziandio chi lo aveva
offeso, praticando con ciò il precetto evangelico: Benefacite his, qui oderunt vos.
Alle
volte nel ricevere qualche ingiuria mostravasi soltanto confuso e mortificato,
e gli appariva sul volto un qualche rossore in segno della violenza, che faceva
a sé stesso nel reprimere eroicamente i moti dell'irascibile, che svegliavasi
nel suo interno inopinatamente. Altre volte con un sorriso e con una facezia
cercava divertire altrove il discorso sia per esercitare la mansuetudine sia
per ispezzare la collera di chi contro di lui osava d'inveire.
Altre
volte con belli ragionamenti e pacati si sforzava persuadere in contrario
qualcheduno, il quale presentavasi esasperato a richiederlo di qualche cosa,
che ei non poteva concedere. Così in tutte le occasioni era sempre uguale di
spirito, né mai dava luogo all'iracondia. Un congregato risentitosi fortemente,
perché credeva che il santo per castigo lo avesse destinato a Deliceto, ebbe la
temerità di scrivergli in modo impertinente, - 244 -
minacciando anche di chiedergli la dispensa dei
voti. Ma ecco la risposta mansueta di Alfonso: «San Paolo eremita nell'aprire
la porta a s. Antonio, il quale lo pregava di aprirgli col dire, che altrimenti
sarebbe morto all'uscio, rispose: questo è un bel modo di pregare, pregare
minacciando! Lo stesso dico a voi. Compatisco la vostra malinconia. Chi mai vi
ha mandato in castigo a Deliceto? E poi soggiungete: Altrimenti vi cercherò la
dispensa. Voi la cercate, chi ve la dà? Dunque non v'inquietate per le
tentazioni: rivolgetevi alla Madonna: ma per carità un'altra volta non tanta furia » a
Ma
fu ancor più perfetta la mansuetudine di lui con un altro padre, il quale era
suo consultore generale. Questi nel mentre era dominato da umor bilioso a
segno, che talvolta perdeva quasi la ragione, e dava in eccessi, era altresì
avverso alla morale di Alfonso, che egli condannava di lassismo al pari di
tanti altri in quei tempi. Ora un giorno nella ricreazione comune, discutendosi
una questione morale, attaccandosi al suo sentimento non ebbe ritegno di
appellare Alfonso col vituperevole titolo di irreligioso e dannato. Il santo
però senza perdere la sua mansuetudine conservò la sua placidezza, e le sue
labbra erano col sorriso. Tutti se ne ammirarono; ma egli punto non si offese.
Entrato dopo qualche tempo in sé medesimo il suddetto padre andò a trovarlo
nella sua stanza, e gli chiese perdono inginocchiato a terra secondo il
lodevole costume della nostra Congregazione.
Alfonso
credendolo ravveduto lo corresse dolcemente dicendogli: Padre mio, bisogna rimetterci in certe cose, e darvi carico,
specialmente in pubblico, che io sono superiore. Ma quegli benché in
ginocchio sostenendo pure il suo parere ripigliò: Padre, vi raccomando la Chiesa di Gesù Cristo. Allora si pose a
ridere il santo, e vi ringrazio, disse, del
bell'onore, che mi fate, mentre per poco non mi chiamate eretico: e lo
sopportò con tal pacatezza di animo e mansuetudine, che raccontò dipoi
l'accaduto per celia.
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Ugual mansuetudine e dolcezza
praticava con i suoi familiari, ai quali parlava sempre con indicibile carità.
Allorché doveva comandarli, non faceva mai uso di alcuna espressione, la quale
sapesse di autorità, ma le sue parole erano queste: fatemi la carità di fare questo o quell'altro. Sopportava le disattenzioni
dei medesimi senza lagnarsi giammai, e compatendo sempre chiunque mancava.
Una
volta palesò Alfonso un qualche leggiero risentimento, perché il suo servo non
lo aveva risvegliato a tempo, ma un quarto d'ora più tardi dell'assegnamento
fattogli. Alfonso temendo di aver perduto tempo per il voto che aveva di non
perderlo giammai, lo corresse di questa sua mancanza. Allora quel servo gli
rispose: Vostra signoria illustrissima
non ci dà tempo, né di mangiare, né di bere, né di dormire: qui non ci è
requie, né riposo. Ad una tale risposta arrogante di un servo al suo
padrone, Alfonso soffrendo con pace questo risentimento altro non soggiunse: Ch'è stato, o fratello! Forse avevi sonno?
Un'altra
volta chiamato il servitore, e non trovandosi, perché era andato alla sua casa
senza permesso, al ritorno se ne lamentò il santo dicendogli: Perché mi lasci
solo? Ma quegli rispondendo con arroganza: Quand'è
così, disse, io mi licenzio.
Tacque Alfonso, e dopo qualche tempo sel chiamò, e quasi gli chiese scusa: Io che ti ho detto? E vuoi lasciar me povero
vecchio? Restò confuso il servitore, e vieppiù si affezionò ad Alfonso.
Che
dirò poi della sua mansuetudine nel sopportare le imprudenze di coloro, che
andavano a ritrovarlo o per qualche consiglio, o per visitarlo? Per timore di
violare il suo voto stava sulle spine, allorché vedeva farsi o dei dubbi
inutili, o dei discorsi troppo lunghi: quindi cercava di rompere con soave
maniera questi trattenimenti.
Una
volta si rivolse ad un sacerdote imprudente, e lo corresse dicendogli: Io ho piacere, che mi vieni a trovare, ma mi
crocifiggi. Dopo qualche tempo temendo di averlo offeso, lo mandò subito a
chiamare, e gli cercò perdono. Dimodoché un nostro padre andando una volta a
sant'Agata, ed interrogando per la strada alcuni contadini: - 246 -
Che cosa qui si dice del
vostro vescovo? E' un santo, risposero; Dio
l'ha mandato a posta per noi: sente tutti, fa bene a tutti, continuamente
soccorre i poveri: chi vuol parlare a monsignore ci parla, i più poveri ugualmente
che i nobili.
Or
questa mansuetudine raccomandava ai suoi congregati sopra tutto, affinché
nell'esercizio del proprio ministero avessero potuto riportare gran frutto
coll'attirarsi i cuori di ognuno.
Avendo
inteso, che la nostra casa di Caposele aveva ricevuto non so qual torto e
contraddizione, si rivolse al rettore nei termini seguenti: Come? questa bella azione ci hanno fatta i
Caposelesi? Bisogna pensare a vendicarci; ma in che maniera? Eccola: allargate
di più la mano all'elemosina, che si fa alla porta; assistete con maggior
frequenza al confessionale; quando siete chiamati ad assistere gl'infermi,
correte subito senza mai ricusarvi: non vi lamentate di questo torto, che vi
hanno fatto, e questa sia la vostra vendettab .
Ed
ecco i suoi documenti intorno alla virtù della mansuetudine: «La mansuetudine è
virtù propria dei religiosi, e niuno è mansueto senza essere umile. La
mansuetudine fa stare in pace l'anima in tutti gli accidenti della vita. Ci è
necessaria per noi stessi, e per dirigere gli altri specialmente nelle cose
avverse. Nelle cose prospere ognuno sta allegro, ed in pace: ma se poi gli
accade qualche contrarietà, e si disturba, allora è segno che non vi è la
mansuetudine. Specialmente nell'infermità, fratelli miei, si conosce, se uno
possiede la virtù della mansuetudine. oh ! quanti nell'infermità si scoprono,
perché non hanno mansuetudine. Fratelli miei, stiamo attenti nell'infermità:
allora è tempo di far gran guadagno, di acquistarci gran tesori: e se non
avremo mansuetudine, ed umiltà, non faremo niente».
Per
questa sua mansuetudine, se pure doveva punire alcuno il santo prelato, puniva
sempre al di sotto del merito. Soleva dire esser meglio, che i vescovi siano
censurati per la - 247 -
soverchia dolcezza, che pel rigore. Si protestava, che nell'infliggere qualche
castigo, era mosso soltanto dallo scrupolo del proprio dovere, e non già da
altro motivo.
Contentavasi
della umiliazione e dell'ubbidienza di chi era punito, e dopo qualche tempo
condonava la punizione, liberando il delinquente, purché avesse dato segni di
ravvedimento. Era nemico di ogni lite o contesa, dicendo con s. Paolo: Oportet episcopum non esse litigiosum.
Che se talvolta fu costretto a sostenere qualche lite, lo fece soltanto per non
pregiudicare i dritti de' suoi successori.
Nell'ammonire
taluno dei suoi disordini si vedeva commosso fino alle lagrime, come avvenne
nel correggere un galantuomo scandaloso: compassionando lo stato infelice di
quell'anima, perché quegli era recidivo, scoppiò in un dirottissimo pianto, e
questo bastò per muovere a pianto quel galantuomo, e farlo ravvedere per
sempre.
In una parola con
la sua dolcezza e mansuetudine Alfonso non solo accumulò meriti senza numero
per gli atti virtuosi da lui frequentemente esercitati nella lunga carriera del
suo ministero; ma ancora questo suo ministero riuscì di somma edificazione alla
Chiesa e di sommo vantaggio alle anime.
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Posizione Originale Nota - Libro
V, cap. 25, pagg. 244, 246
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