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Cap. 27
SUA EROICA FORTEZZA
L'umiltà
e la mansuetudine, che giusta il linguaggio evangelico formarono la
caratteristica dell'umanato Figliuolo di Dio, e che furono così mirabilmente ricopiate
dai suoi diletti discepoli, non possono andar disgiunte dalla fortezza. Senza
di essa l'umiltà degenera in pusillanimità e bassezza, e la mansuetudine in una
spregevole condiscendenza, che aprirebbe il campo all'insubordinazione e
rilasciatezza.
Or
questa fortezza, che, al dir dell'Angelico, consiste principalmente
nell'intraprendere cose ardue e difficili, e nel sostenere con magnanimità di
spirito le cose avverse, se infuse tanto vigore ad Alfonso per sopportare con
eroica rassegnazione i dispregi, le umiliazioni, e le inaudite traversie, che
il mondo ed il demonio gli suscitaron contro in mille guise per distornarlo
dalle sue imprese, e per farlo retrocedere dalle grandi opere di Dio; lo rese
altresì invincibile e costantemente giusto nel difendere l'onor di Dio, e nel
dirigere per la via della virtù i propri sudditi e tutte quelle anime, che dai
suoi consigli dipendevano, senza cedere nulla di quei dritti, che si
appartenevano alla perfetta esecuzione dei propri e degli altrui doveri. Tutta
la vita di Alfonso presenta continui e non dubbi argomenti del suo eroismo in
questa nobile virtù: nondimeno a render più gloriosa la sua memoria, altre
riflessioni ed altri fatti registreremo in questo capitolo.
E
primieramente rapporto alla sua Congregazione, fa veramente stupire chicchessia
il vedere un'opera intrapresa da Alfonso per la sola gloria di Dio, esser
nondimeno bersagliata cotanto e contraddetta con indicibile amarezza del suo
cuore, con immenso strapazzo della sua vita, con inaudite umiliazioni, che
dovette sostenere. Eppure in mezzo a tanti marosi, che sembravano voler
ingoiare e sommergere la piccola barca - 261 -
di sua Congregazione, saldo mai sempre nella sicurezza di aver adempito la
volontà di Dio, e sicuro altresì, che dilatavasi per mezzo di lei la divina
gloria; se da una parte umiliavasi al divino cospetto attribuendo alla sua
indegnità tutte le traversie, che agitavano il suo istituto, dall'altra non
cessò giammai di resistere a tutte le impugnazioni dell'inferno per sostenerlo
ed aumentarlo. E bevendo così egli solo il calice amarissimo di tante
contraddizioni, diede al mondo lo spettacolo luminoso di eroica fortezza.
Ma
tutto ciò sarebbe stato ancor poco, se non avesse dovuto soffrire le
contraddizioni e le opposizioni di alcuni suoi congregati, i quali spinti da
uno zelo non secondo Dio sommersero veramente la nave della Congregazione, e
quasi la ridussero a totale naufragio. Sebbene afflittissimo il santo, ed
offeso ancora, fece conoscere qual fosse la sua fermezza congiunta all'umiltà
ed alla mansuetudine; imperocché sostenendo i dritti della Congregazione e
della santa Sede, la quale aveva approvato la regola, si sforzò, affinché senza
mancarsi al rispetto dovuto alla maestà del Re ne riuscisse il regolamento
imposto conforme alla regola stessa approvata da Roma. E ben lo diede a vedere,
allorché spedì, tosto che fu terminata l'assemblea del 1780, due dei suoi
congregati a trattare con monsignor cappellano maggiore in Napoli, ordinando ai
medesimi, che punto non si ledesse alcun articolo della regola già approvata.
Che
se il Signore per giusti suoi giudizi permise, che tutto all'opposto avvenisse
di quanto aveva Alfonso ordinato, e che anzi da molti de' suoi in cattivo senso
si prendesse l'operato da lui, e quindi ne risultasse quella sua umiliazione di
vedersi scissa la sua Congregazione, e lui deposto dalla carica di superiore
generale, manifestò ancor più eroica la sua fortezza nel protestarsi alieno da
ogni novità, e nel proferire con lettera la sua ubbidienza e sommissione al
superiore generale eletto nello Stato pontificio.
Quantunque
tutt'i servi diletti del Signore abbiano partecipato alla passione amarissima
di lui, perché volendone formare, - 262 -
altrettante pietre preziose da ornare la celeste Gerusalemme si compiacque
conformarli perfettamente al suo divino esemplare; si osserva non pertanto che
Alfonso fra molti è stato dal suo Dio in ciò contraddistinto. Imperocché se
l'Altissimo volle di lui servirsi come di un istrumento abilissimo alla
santificazione delle anime, permise nondimeno in lui un continuo contrapposto
di umiliazioni e di onori, di disprezzi e di gloria, di cose prospere ed
avverse.
Quindi
si è osservato, che questo santo in sua vita fu reciprocamente sconosciuto e
ricercato, stimato e non curato: dal che presero occasione i suoi emuli di
perseguitarlo, di bersagliarlo, di studiarsi ad opprimerlo in ogni maniera. Ma
sostenuto dalla virtù potentissima, di cui fornito lo aveva il Signore, come di
un arme, nel chiamarlo a tante imprese, serbò il suo spirito sempre
imperturbabile con una serenità maravigliosa di aspetto, tanto che con animo
intrepido operava francamente giusta il divino volere; esercitava con coraggio
ed instancabilmente il suo ministero, non avendo altro a cuore, che la sola
gloria di Dio ed il bene del suo prossimo. Questa costanza e fortezza risplende
in tutta la vita del nostro santo.
Da
ciò ne avveniva, che senza alcun riguardo umano difendeva nelle occorrenze i
dritti di chicchessia, e palesava la verità senza alcuna illusione e senza
mistero. Lungi da lui quella insana politica, che trattiene ben sovente anche i
più savi dall'operare rettamente per garantire le altrui ragioni; lungi da lui
quel panico timore, che trattiene alle volte dalle imprese riguardanti l'onor
di Dio e della sua Chiesa.
E'
ben vero, che Alfonso regolavasi con saviezza e prudenza dettatagli dallo
spirito di Dio: ma poiché si danno la mano amorevolmente la prudenza e la
fortezza, mentre ambedue concorrer debbono alla sublimità ed eccellenza delle
opere sante; senza deviare punto dalle regole della prudenza evangelica seppe
Alfonso operare e di portarsi sempre con eroica fortezza. E per quel che
riguarda i propri dritti e gli altrui, abbiamo non pochi esempi di questa
gloriosa virtù.
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Scriveva al Rettor di Ciorani nei seguenti termini:
«Scorgo dalla
vostra, che cotesti signori fratelli servienti conservano poco riguardo di me e
delle mie lettere. Prego Dio, che li faccia santi: ma non mi pare, che ne
prendano la via con far tanto poca stima del superiore. Io spero dalla Vergine
santissima, che li faccia ravvedere ». a
Altra
volta destinato aveva nella nuova casa di Scifelli un fratello, il quale stava
a Deliceto, e per essere di molta utilità a quel collegio, la comunità non voleva
perderlo. Quindi si avanzarono molte rimostranze al santo, perché avesse
rivocato l'ordine emanato. Egli però considerando il maggior bisogno di quella
nuova fondazione, e volendo serbare i dritti della sua carica con la perfetta
sommissione ai suoi ordini, si mantenne forte nella disposizione già data.
Essendo
stato ricevuto da lui nella Congregazione un giovane di rari talenti e di molte
speranze, fu tale la guerra intimata ad Alfonso dal genitore di lui, che
minacciollo di promuovere un dispaccio reale per riavere il suo figlio. In
questo mentre recatosi a Ciorani, e fattoglisi avanti il detto giovane, il
santo lo ragguagliò di tutto, e poi gli soggiunse: Ho risposto a vostro padre, che noi non tenghiamo i soggetti per forza;
ma non posso mandarvene senza la vostra volontà. Avendo voi pertanto volontà di
servire Iddio della Congregazione, attendete a farvi santo, e non temete di
nulla.
Un
fratello serviente fu punito ingiustamente, o troppo severamente dal suo
rettore, ed il santo prese le sue difese con la seguente lettera: «E' venuto da
me il fratello N. N., il quale si lagna di essere stato pubblicamente corretto
con poca carità, e non secondo le regole di Gesù Cristo, poiché giammai è stato
avvisato segretamente. Dopo questa correzione è stato tolto dall'uffizio di
economo da lui lodevolmente esercitato per tutto il tempo, ch'è stato fra noi.
A me è dispiaciuto essersi così operato con un fratello vecchio, osservante, e
che ha dato buon - 264 -
esempio. Prego V. R. d'informarmi con esattezza della condotta di detto
fratello, e specialmente se avesse mancato all'ubbidienza, o altra cosa notabile ». b
Ad
un rettore, il quale fabbricar doveva, diede questo avvertimento per la sua
quiete, e per mantenere il buon ordine: In
qualunque dubbio minimo che sia, vi dico, come ho detto sempre, che si faccia
quel che dice l'architetto, e non quello che dicono i nostri padri, i quali non
sanno di queste cose.
Al
padre Villani suo vicario, il quale temeva di avere operato con poca carità nel
licenziare un sacerdote ed un fratello serviente dalla Congregazione, così
scriveva per rincorarlo: Avete operato
bene circa il padre N. ed il fratello N: in simili casi servitevi di tutte le
mie facoltà. E la domanda del padre N, anche è principio di licenziata. Buon
viaggio: basta che ci resti chi vuol camminare dritto c.
Un
altro soggetto erasi da sé medesimo licenziato dalla Congregazione; ma
pentitosi, voleva essere riammesso. Il santo così scrisse al suddetto padre
Villani: In quanto al rientrare se lo
scordi, perché la Congregazione non riceve più nel suo seno questi traditori d .
Essendosi
lagnati taluni soggetti di sua Congregazione riguardo alle lettere, che giusta il
prescritto della regola non possono mandarsi, né riceversi senza il permesso
del superiore, e che giusta gli statuti fatti nel Capitolo generale del l764
possono aprirsi, e leggersi dal superiore stesso; volendo Alfonso conservare
nella sua osservanza questo articolo così rescrisse a chi produceva i suoi
lamenti: Non si possono né ricevere, né
mandar lettere senza il permesso del superiore: solo per quelle che riguardano
cose di coscienza si è stabilito nel Capitolo, che il superiore non le apra e .
In
una parola era sì costante nel difendere i dritti o della sua carica, o della
Congregazione, o della regola, o - 265 -
della mensa vescovile, che non si dipartiva giammai dalle sue risoluzioni,
allorché eran queste in conformità del divino volere, unico scopo di tutt'i
suoi affetti ed operazioni. Di modo che giunse a dire un giorno: Io anche dopo dieci anni dico lo stesso,
finché non si metta in esecuzione ciò ch'è di gloria di Dio, e bene delle anime.
E'
ammirabile di poi la fortezza dimostrata da questo santo nel difendere la
Compagnia di Gesù, che ai suoi tempi fu molto bersagliata dai nemici della
Religione.
Avendo
saputo, che si era dato alla luce un libro dal padre Norbert, in cui molte
calunniose imputazioni si addossavano ai gesuiti, e che una copia innumerevole
di altri opuscoli si spacciavano dai novatori per denigrare la Compagnia di
Gesù, e così pervenire al loro intento di farla intieramente sopprimere, si
diresse con una sua al superiore generale della medesima nei seguenti termini:
"Benché non abbia avuta la sorte di essere della Compagnia, nondimeno
l'amo, come fossi di essa; onde vedendola ora così tacciata per i fatti, che
rapporta nel suo libro, benché proibito, il padre Norbert, ho cercato dai
vostri sudditi specialmente del collegio di Napoli qualche scrittura per poter
rispondere ai letterati di oggidì, ai quali par di non potere conseguire la
laurea di letterato, se non dicendo male de' gesuiti.
Scusi
V. Paternità reverendissima, se mi avanzo a tanto. La vostra Compagnia è stata
posta da Dio nella sua Chiesa per il bene universale del cristianesimo; e noi
vediamo il bene, che ha fatto, e fa ancora in oggi in tutto il mondo per lo
spazio appena di due secoli per mezzo de' suoi operai.
Agli
operai è necessario il buon nome, ed il buon concetto. Ora tal concetto cercano
di toglierle i nemici, con addurre il libro del padre Norbert, quale oggi va da
per tutto, ed in cui come saprà V. P. R. si raccontano fatti orrendi. Ora non
vedendosi risposta a tali fatti, si fa un dilemma: o tali fatti non son veri, e
perché i gesuiti non rispondono, e non mettono in chiaro la verità? o sono
veri, e perché i superiori non li castigano e condannano, - 266 -
anzi li difendono? Uniscono poi ai fatti del Malabar
e della Cina altre orribili imputazioni, ed io mi sento morire in udir tali
cose. Per l'onore dunque della Compagnia, e per la gloria di Dio mi sono spinto
a mandarle questa mia supplica, in cui la prego di scrivere dove bisogna, e
dare ordine, che si mettano in chiaro i fatti e le discolpe. Questa fatica e
questa diligenza mi pare che sia necessaria. Sento che in Francia è uscita una
certa scrittura contro il padre Norbert.
Almeno
V. P. R. la faccia venire, e la faccia stampare o in Roma, o in Napoli.
Perdoni, di nuovo ne la prego, se mi sono avanzato a tanto; replico, l'affetto
che porto alla Compagnia mi ha spinto a scriverle: io non valgo a niente, ma
sappia che sono il predicatore delle lodi della Compagnia » f .
Rispondendo
poi al padre de Matteis gesuita così anche si esprime: « Ho inteso ancor io le
notizie funeste di Portogallo. Povero regno! Lo piango. In questo ottobre sarò
a riverirla in Napoli: frattanto non lascio di pigliarmela con alcuni, che
vogliono accettare per vere tutte quelle cose, che si dicono contro i gesuiti.
Dico almeno, che anche i tiranni non lasciano d'interrogare i rei prima di
condannarli; solamente i gesuiti si condannano senza sentirli. Mi consolo non
però con dire che vi è Dio, il quale un giorno scoprirà la verità » g .
In
altra lettera al medesimo padre così diceva: « Ho cominciato a leggere i libri
di Venezia in difesa de' gesuiti, e li ho dati a leggere ad altri, anche ad
alcuno antipatico, e tutti restano ammirati dell'insolenza del riflessionista.
Monsignor Borgia specialmente li loda al sommo. Io li farò leggere a quanti
potrò, e me ne sto facendo un compendio delle cose più notabili » h .
Finalmente
riscriveva al detto padre ei termini seguenti: «Circa le notizie di Portogallo
io finora sono stato sempre afflitto, portandomi tutti delle notizie di - 267 -
dolore, ed alcuni pareva
che ne godessero, ed io all'incontro sentiva quelle notizie funeste, come
fossero succedute alla mia Congregazione. Almeno mi son consolato nel sentire
da V. P. la costanza de' non professi; segno che nella Compagnia vi è lo
spirito di Dio. Io sto non però colla speranza certa, che il Signore ne ha da
ricavare da questa tempesta qualche gran cosa di gloria sua, ed anche in bene
della Compagnia. So per altro per notizia certa, che il papa ed i cardinali
molto favoriscono la Compagnia »
i .
Così
palesava il nostro santo i suoi sentimenti a favor della Compagnia nel 1760; ed
ognuno sa quanto l'abbia sempre stimata, e quanto abbia detto e scritto a favor
della medesima. Dal che evidentemente risulta la sua fortezza di animo in mezzo
alle persecuzioni, da cui fu bersagliata la medesima.
Or
quella medesima fortezza, che lo accompagnava nell'adempimento de suoi doveri
per lo zelo della gloria di Dio, inculcava altresì, ed insinuava coi suoi
avvertimenti e consigli a tutti coloro, che a lui dirigevansi. Ad un economo
curato, il quale l'interrogò sulla condotta, che doveva tenere per
corrispondere degnamente al suo uffizio, così egli scrisse: «La vera divozione
consiste nell'adempimento dell'obbligo proprio. Voi essendo economo curato
invigilate a far questo uffizio come si deve. Non risparmiate fatica per
togliere gli scandali e indirizzare le anime nel cammino della perfezione. Ai
curati sono dirette quelle parole del vangelo: Bonus pastor animam suam dat pro ovibus suis » j .
Al
proprio fratello non cessava dal dirigere sante ammonizioni pel vantaggio
dell'anima sua: ed una volta trattandosi di un interesse temporale non ebbe
ritegno di scrivergli, che temeva in lui qualche ingiustizia con sommo
detrimento della sua coscienza.
Ad
una superiora di un monastero la quale pur gli domandò qualche regolamento,
così rispose: « Le dico in breve, che sempre è obbligata a far tutto quello - 268 -
che può così
nell'operare, come nel correggere le religiose, che non volessero ubbidire: e
quando fa l'uffizio suo, se la vedranno esse con Dio, quando non ubbidiscono.
Badi bene ad impedire, che non s'introducano usi nuovi » k .
Ad
un'altra superiora di monastero parimente rispondeva: « Leggo nella sua lettera
essere stata confermata priora per altro triennio. Il Signore le dia fortezza
per fare un buono e santo governo, del che ne la prego a stare con tutta
l'oculatezza, perché mi è stato avvisato, che V. R. sempre scusa, e fa vedere
sante le sue monache col vescovo, onde il medesimo non può pigliare l'occasione
di fare a chi se la merita qualche correzione. Se ciò è vero, pare a me che non
faccia bene; ma bisogna che chi si merita la correzione, sia corretta » l .
In
una parola, questo santo, il quale ebbe in mira soltanto il divino beneplacito
in tutte le sue imprese, operazioni, discorsi, e scritture, seppe mantenere nel
suo giusto equilibrio la dolcezza e la fortezza, ambedue virtù necessarie a
formare la vera santità, ed a promuovere il bene delle anime.
La natura si risente, di sé medesimo parlava il
santo, ma colla volontà mi pare di esser
sempre unito alla volontà di Dio. Imperciocché non può negarsi, che spesse
volte nell'esercizio del proprio ministero deve un ecclesiastico vincer sé
stesso ed il proprio temperamento per resistere all'offesa di Dio, e per
dirigere le anime nella via della salute: ma allorquando lo spirito di Dio
trasforma in sé stesso un'anima prescelta alle grandi imprese, suole
avvalorarla con la sua divina virtù acciò non declinando né a destra, né a
sinistra, sia nei suoi ammaestramenti, sia nelle sue risoluzioni, sia nelle sue
azioni, mai non si diparta dal divino volere.
Oltre
i fatti di sopra riferiti innumerevoli altri concorrono nella vita di questo
santo a fare risplendere questa sua fortezza. Nella impossibilità adunque di
tutti registrarli, mi restringerò - 269 -
ad alcuni più particolari, facendo al solito parlare il santo medesimo, giacché
le sue parole avendo un carattere di semplicità e verità, mettono in più
bell'aspetto lo spirito di lui.
Trattandosi
di un padre, che gli chiedeva la dispensa dei voti, così gli scrisse: « D.
Giuseppe mio, sento che ancora state in Napoli, vi prego a non far più
sacrilegi: onde vi precetto per ubbidienza a ritirarvi in una delle nostre a
case. E non occorre farmi scrivere da alcuno, perché io non posso dispensare in
questo modo, poiché un tal esempio ne potrebbe rovinare molti altri » m .
Sentendo,
che alcuni fratelli servienti violavano l'articolo delle nostre costituzioni
riguardo alla misura delle loro vesti, così scrisse al rettore di Caposele:
«State attento alli fratelli, che portino la sottana un palmo da terra, e chi
si trova colla sottana più lunga starà tre giorni senza frutti » n .
Avendo saputo,
che altri fratelli pretendevano di troppo uguagliarsi ai padri, e dispensarsi
da taluni uffizi loro propri, così scrisse al medesimo rettore: «Vi scrissi già
le cose dei fratelli, ed ora ve le ripeto di far loro fare la sera gli atti
comuni, ora che è inverno, e di levar loro il riposo del giorno, ora che le
giornate sono corte, perché quell'ora si è data solo ai coristi, che studiano.
E vi raccomando, fate quasi sempre servire a tavola, e lavare i piatti ai
fratelli. Basterà una o due volte il mese far servire, e lavare i piatti ai padri o .
Ed ammonite che
non parlino, perché alcuni, che han parlato a Ciorani, ora ne stanno pagando la
penitenza, e la pagheranno per un pezzo. Onde da oggi avanti non ammetterò forse
più fratelli all'oblazione, se non dopo 10 anni. E perciò avvertite il fratello
nuovo, che io l'ammetto, ma con questo patto, che servirà per molti anni da
secolare prima di esser ammesso al noviziato.
Credo, che V. R.
in tempo del suo rettorato non - 270 -
mi cerchi per costui vestizione. Per gli altri poi, che debbono fare
l'oblazione, avvisatemi di ogni minimo difetto commesso, perché pure allungherò
l'oblazione. Questi benedetti fratelli, fatta l'oblazione, tutti si guastano, e
pigliano superbia » p .
Posizione Originale Nota - Libro
V, Cap.27, pagg. 263, 264, 266, 267, 268, 269, 270
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