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Cap.31
SUO RACCOGLIMENTO ED INTIMA
UNIONE CON DIO.
Il
più nobile effetto dell'orazione si è certamente il raccoglimento e l'unione dello
spirito con Dio. Un'anima, la quale conversa sovente col Signore, perde ogni
gusto delle cose terrene, e non ama di trattenersi nella conversazione degli
uomini. L'orazione distaccando il cuore dalla terra lo innamora del sommo Bene,
lo dispone e lo rende atto a comunicare con Dio, lo accende della divina carità
in proporzione della docilità di lui alla voce, con cui interiormente gli parla
il Signore; perciò, quanto più frequente e più fervida sarà l'orazione, tanto
ancora più stretti verranno a formarsi i vincoli dell'anima con - 296 -
Dio. Giudichiamo
pertanto del raccoglimento di spirito e del1'intima unione con Dio in Alfonso
dalla eccellenza e dal fervore della sua orazione.
Fin
da che dimorava ancora nel secolo, era già tanto innamorato di Dio il nostro
santo, che di altro parlar non sapeva conversando coi suoi colleghi, coi suoi
penitenti, e con chiunque lo avvicinava, se non che dei mezzi onde avanzarsi
nello spirito e piacere al Signore; e fra le altre massime, che sempre si
raggiravano nei suoi discorsi, la principale era sulla vanità delle cose
mondane. Il che dimostra, che lo spirito di Alfonso era tutto alieno dalla
terra, e che concentrato viveva nello studio delle cose celesti. Quindi quel
suo zelo veemente, con cui diè principio alla sua vita apostolica, non curando
disagi, fatiche, ed anche infermità per promuovere il bene delle anime; quindi
quelle espressioni così toccanti e sentimentali, che lo fecero distinguere ben
presto qual uomo veramente apostolico nell'annunziare la divina parola; quindi
quelle esortazioni così patetiche e commoventi, le quali nel tribunale della
penitenza compungevano i cuori, e li attraevano soavemente e tenacemente ad un
vivere cristiano ed esemplare.
Or
questo raccoglimento, che di sua natura conduce l'uomo ad operare rettamente
nell'esercizio dei suoi doveri, fu quello che contraddistinse Alfonso nella
lunga carriera del suo apostolato, facendolo ravvisare mai sempre intento a
procurare la divina gloria, a non avere alcun riguardo di sè stesso, per incontrare
unicamente il beneplacito di Dio; fu quello che lo fece vivere su questa terra,
ma senza alcun affetto anche minimo a qualunque siasi cosa; fu quello insomma,
che ingolfò il suo spirito talmente in Dio, che la vita di lui può
rassomigliarsi a quegli spiriti beati, i quali assistendo al divin trono,
mentre pel sommo rispetto si coprono il volto con le ali per non essere
abbagliati dallo splendore della divina maestà, compiono in pari tempo il loro
uffizio di correre in aiuto degli uomini al cenno del Re della gloria.
Così
Alfonso mentre viveva di una vita interiore e nascosta in Gesù Cristo, - 297 -
ricoprendo sé medesimo e
le sue virtù sotto il velo del proprio annientamento, eseguiva fedelissimamente
il suo ministero, senza che alcun pensiero di terra occupasse giammai il suo
cuore.
Questo
raccoglimento produceva in Alfonso quella sollecitudine non interrotta di
cercare in tutte le cose il mezzo di sollevarsi a Dio col suo pensiero e coi
suoi affetti. Dai dolori, che soffriva a cagione delle sue prolungate ed
intense malattie, prendeva occasione di rivolgersi al Signore con atti di
eroica rassegnazione. Volle un giorno il fratello laico fargli fare un po' di
moto, ed egli ubbidiente mentre ad ogni passo risentiva un tormento, sfogava
col suo cuore e colla sua lingua in atti di ringraziamento e di offerta a Dio.
Dalla
lezione spirituale, che ogni giorno gli faceva sulle glorie di Maria, prendeva
motivo di alzare sovente i suoi sguardi ad un'immagine della Vergine, che gli
stava rimpetto, e che teneva il bambino Gesù nelle sue braccia; ed erano così
teneri e divoti questi suoi sguardi da innamorare gli astanti.
Anzi
leggendosi una volta il terzo dolore di Maria santissima si elevò cotanto a
riflettere sulla povertà della madre di Dio, che interruppe il lettore, e
cominciò a dire, che la Vergine santissima andava vestita da povera, e che il
Signore la tribolava di quando in quando con qualche dolore il che disse con
tanto fervore, che si commosse colui che leggeva, ed altri ch'erano presenti.
Facevasi
leggere fra gli altri libri anche la vita di D. Paolo Cafaro da lui scritta, e
ad ogni atto di virtù dal medesimo praticato si fermava, e facendo atto di
ammirazione esclamava: oh D. Paolo!
Negli
spasimi di testa, che lo afflissero frequentemente nel corso di sua vita,
pensava alla coronazione di spine del nostro Signor Gesù Cristo, e qualora
giaceva a letto tormentato dalla febbre, o dai suoi dolori acutissimi di
artritide, esclamava: Non trovo sito, sto
con Gesù Cristo sulla croce, ma egli stava appeso a tre uncini di ferro, ed io
sto sul materasso.
Raccogliendo
i fiori nel giardino, come era suo costume, allorché vi andava - 298 -
a prendere un po'
d'aria, per collocarli avanti a Gesù sacramentato, andava ripetendo: qui pascitur inter lilia, o altro testo
adatto alla circostanza, facendo conoscere, che nel fare quest'azione egli
meditava la purità di Gesù Cristo, che si rassomiglia al giglio del campo, la
umiltà di lui, che lo paragona alle viole, il martirio e la passione, con che
si rassomiglia alla rosa. Ora tutto ciò dà a divedere, che la mente di Alfonso
era sempre occupata in Dio e nelle cose sante, perloché il suo cuore tramandava
a somiglianza di un vaso pieno di celeste liquore la soave fragranza della sua
intima unione col sommo Bene.
Da
questo raccoglimento del suo spirito nasceva altresì quella purità
d'intenzione, che lo accompagnava in tutte le sue opere. Se egli studiò
cotanto, e si rese così celebre nelle scienze divine ed umane, non ebbe altra
mira nel suo studio indefesso, se non che la gloria di Dio; e niente più;
riputava, se non che la scienza di Gesù Cristo.
Quindi
diceva ai suoi congregati in una delle sue esortazioni: « La scienza è sapere
solo Gesù Cristo. A che serve la scienza se non per cercare solo Iddio? Possiamo
dire, che il nostro fratello Blasucci già defunto ha avuta la vera scienza,
mentre in tutte le cose cercava solo Dio, e perciò ha fatto una morte da santo
» .
Per
questo suo raccoglimento, nel sollievo stesso, che dava al suo corpo
defaticato, cercava solamente il gusto di Dio, e diceva: E' vero che dobbiamo prenderci un poco di ricreazione; ma è vero
ancora, che nelle medesime ricreazioni dobbiamo cercare solo Dio e dobbiamo
sollevarci, perché lo vuole Iddio, solo per Dio.
Ed
insegnando ai suoi come dovevano comportarsi nel conversare, così si esprimeva:
La vita nostra deve esser lontana dalle
cose secolaresche, e nel trattare scambievolmente fra di noi, e anche nello
scrivere, non dobbiamo servirci degli usi del mondo. Nel trattare con secolari
sempre dobbiamo insinuare massime di spirito, e dobbianio fuggire i discorsi
delle cose del mondo.
Al
qual proposito il nostro santo servivasi di un paragone molto calzante e
patetico. Siccome il compasso,
diceva, con una punta sta fisso, e
coll'altra forma il circolo - 299 -
ritornando al punto della sua partenza:
così dobbiamo noi diportarci nel nostro operare. Con questa massima
dipingeva il santo sé medesimo, ed ammaestrava i suoi congregati, i quali
chiamati da Dio alla vita apostolica non debbono giammai permettere, che la
distrazione s'impossessi del loro spirito, ma operando con rettitudine
d'intenzione, e vivendo uniti con Dio debbono promuovere la salvezza delle
anime senza detrimento della propria perfezione.
Difatti
mentre il raccoglimento dello spirito produce il distaccamento dalle cose
terrene e l'unione con Dio; a proporzione che l'anima a Dio si congiunge, viene
in pari tempo a concepire maggiore alienazione dalle creature. Ciò si osserva
nella vita di Alfonso, mentre in lui si diedero la mano scambievolmente il
distacco dal mondo e l'intima unione con Dio.
Era
perciò sua massima, che per non amare
altro che Dio bisogna stare distaccato da tutto: che dobbiamo cercare in tutte
le cose solo Iddio, ed essere distaccati anche dalle cose spirituali, giacché
la perfezione consiste nell'unione con Gesù Cristo per poter dire
coll'Apostolo: Vivo ego jam non ego, vivit vero in me Christus. Questo fu
lo studio del nostro santo, il quale durò per tutto il lungo corso del viver
suo: e quasi che dopo un lungo stadio avesse fatto ancor poco, spronava sé
medesimo sull'esempio de' santi, e specialmente su quello del divin Redentore.
Avendo
imposto nella sua regola a tutti i suoi congregati di dover vivere raccolti in Dio
per l'avanzamento nella perfezione, egli il primo ne dava esempio lucidissimo
di osservanza.
«Siamo
venuti in Congregazione, diceva, per imitare più da vicino Gesù Cristo: Gesù
Cristo non parlò che della dottrina ricevuta dal suo divin Padre; e la notte
spendevala nel silenzio e nell'orazione. Noi adunque dovendo imitare questo
divino modello dobbiamo persuaderci, che nella solitudine dello spirito si
avanza l'anima nostra nella santità: un'anima raccolta vien consolata dal
Signore coll'affluenza delle sue grazie celesti, e specialmente col dono delle
lagrime; un'anima raccolta, se predica, se parla, infiamma i cuori, - 300 -
perché comunica agli
altri quelle impressioni celesti, che in sé ha ricevute dall'unione con Dio».
Specialmente
poi si osservava in Alfonso quest'ammirabile raccoglimento di spirito nelle sue
infermità, mentre non tralasciava anche in mezzo ai suoi dolori di tenere la
mente sollevata in Dio, e di praticare i soliti suoi esercizi di pietà.
Risvegliatosi
una mattina dal sonno chiamò il fratello serviente, e gli dettò questi
sentimenti: Io mi compiaccio di tutte le
compiacenze, che ha Gesù Cristo verso la Chiesa, per le anime, e per la gloria
dell'Eterno Padre; e mi compiaccio di tutti gli atti di volontà, con cui Gesù
Cristo se ne compiace.
Or
questo è un contrassegno non equivoco, che il suo spirito era talmente
ingolfato nel pensiero delle cose sante, che anche assopito, oppresso, o
addormentato raggiravasi quale eliotropio intorno al Sole divino; e che lo
splendore de' lumi celesti rifletteva sempre i suoi raggi sulla bell'anima di
lui, potendo gloriarsi colla sposa de' sacri cantici: Ego dormio, et cor meum vigilat. Quindi allorché si sentiva arido,
faceva leggersi i succennati sentimenti, protestandosi che in ogni Ave Maria del rosario intendeva di fare
questi atti medesimi. Argomento di questa sua intima unione con Dio furono
altresì quelle singolari azioni del santo nella sua ultima infermità. Chiunque
si recava a visitarlo era da lui pregato, che gli avesse parlato un poco del
paradiso; e la lezione spirituale nei giorni della sua malattia doveva versarsi
sopra questo soggetto. Dopo la comunione si faceva leggere Gisolfo nei suoi
sermoni sul paradiso e sul beatifico amore; volle anche sentire la lettura
della predica del Segneri, che Iddio è l'amico più fedele degli uomini.
Sfinito
di forze, e quasi già morto, traspariva nel suo volto la serenità del paradiso;
ed avendogli detto un padre, che i medici stavano osservando, se mai
sopraggiungesse un tale parosismo, che sarebbe stato di cattivo indizio: Che malo segno? rispose il santo, il malo segno è di morire in disgrazia di
Dio. Ripeteva sovente quest'aspirazione: San Francesco mio, vorrei morir presto per venirti a vedere in paradiso:
intendeva parlare di s. Francesco - 301 -
di Sales, la cui vita aveva letto frequentemente, e le cui virtù aveva così
bene imitate.
Nei
suoi ultimi vaneggiamenti e debolezza di testa voleva sempre ripetere gli atti
cristiani, ed altre sue divozioni; e benché gli si affermasse di averle già
dette, non si quietava punto, finché non le avesse ripetute.
Ora
da tutti questi sentimenti di Alfonso, dalla sua continua occupazione e
pensiero delle cose sante, dal suo impegno ed amore per l'esercizio delle
virtù, e per cercare il solo gusto di Dio in tutt'i tempi di sua vita non
escluse le infermità gravissime, le quali sogliono abbattere lo spirito
dell'uomo e alienarlo da qualunque pensiero, rendendolo quasi inabile ad
esercitare le sue facoltà, ne risulta chiaramente, che Alfonso distaccatosi una
volta dal mondo, e da tutti i suoi beni, prese il Signore per unica sua
eredità, e a lui si strinse con vincoli così tenaci, che la vita di lui fu
piuttosto una vita celeste, che terrena.
I
tre gran mezzi insegnati da Alfonso, e da lui fervidamente praticati per
conversare sempre con Dio furono la divozione al santissimo Sacramento
dell'altare, alla passione di Gesù Cristo, ed a Maria santissima. Per rapporto
al Sacramento dell'altare abbiam già detto, che questo amore lo congiunse
intimamente con Dio, fu il principio della sua eroica santità, ne fu il
progresso e la consumazione su questa terra.
Imperocché
fino all'ultimo respiro altro non agognava questo santo, che di conversare
familiarmente con Gesù Cristo nella santa Eucaristia. Impotente per la sua
decrepitezza e per i suoi malori, voleva essere trascinato nella chiesa per
trattenersi con Gesù Cristo, e corteggiare il Re del cielo. Avendogli detto un
giorno il fratello serviente: Padre,
andiamo un poco al coro, perché conoscevane il desiderio, Alfonso rispose
attonito: Un poco ? Un poco assai;
giacché altro non bramava questo santo divenuto impotente ad ogni altra cosa,
se non che di spendere le sue ore avanti il divin Sacramento. Riguardo alla sua
tenera divozione e meditazione sulla passione di Gesù Cristo, fu questo l'altro
mezzo, di cui si avvalse per - 302 -
vivere unito con Dio nelle piaghe del divin Redentore. Alcuni in un subito, così egli si esprimeva, vorrebbero giungere alla perfezione, e perciò sono sempre inquieti.
Bisogna prima attaccarsi ai piedi di Gesù Cristo, poi baciargli le mani, indi
penetrare nel suo sacratissimo costato.
Ecco
in qual guisa il nostro santo viveva confitto alla croce di Gesù Cristo,
associandosi con profonda meditazione alle pene dell'Uomo - Dio crocifisso. Per
questa via egli giunse a somiglianza di s. Bernardo a fermare la sua dimora nel
sacro cuore di Gesù Cristo, partecipando in questo divino santuario l'intima
comunicazione dei suoi meriti, e di quelle grazie sopraffini, che sono
riservate alle anime più amanti. E ben può dirsi, che a questo oggetto permise
il Signore, che Alfonso fosse negli ultimi anni di sua vita percosso da quella
fiera artritide, la quale gli curvò di tal maniera il collo, fino ad apparire
agli sguardi di ognuno quale un altro crocifisso.
Finalmente
per mezzo della Vergine santa, mediatrice degli uomini presso Dio,
dispensatrice delle divine grazie, organo di comunicazione del santo amore alle
anime, pervenne Alfonso a quell'intima unione col sommo Bene, per cui altro non
sapeva respirare se non che la volontà e l'amore di Dio. Andato a visitarlo in
Pagani il sacerdote D. Salvatore Tramontana cotanto a lui affezionato per
antica amistà, e tanto altresì dal santo amato e stimato, quantunque si
trovasse Alfonso giacente a letto, e quasi assopito, pure con volto gioviale
gli domandò ben tre volte, come ne stesse in salute; ed interrogato dal detto
sacerdote, come anche egli la passasse: Sto
secondo il solito, rispose, cadente,
e colla morte vicina; ma voglio solo Dio, e ripeté quest'espressione varie
volte.
Gli
affetti adunque di Alfonso erano sempre rivolti a Dio in tutt'i tempi, in tutte
le infermità, in tutte le circostanze senza alcuna riserva. Questi suoi affetti
d'amor di Dio sono stati da lui palesati nelle sue opere, perché erano gli
affetti del suo cuore innamorato sempre di Dio, e a Dio intimamente congiunto.
Ora contemplando, ora facendo l'orazione mentale, ora trattenendosi nelle sue
visite prolungate a Gesù - 303 -
Cristo ed a Maria santissima, ritraeva quei sentimenti che gli uscivano
spontanei dal labbro, che imprimeva con la sua penna nei libri dati alla luce,
che promulgava dalla cattedra di verità ai fedeli, per compungerli e tirarli
all'amore di Dio.
E
questa sua unione col Signore si osserva ancora nel comporre le sue canzoncine,
che son ripiene di santa unzione. Il vescovo di Monopoli diceva rapporto alle
medesime: Per quante canzoncine
spirituali antiche e moderne ho lette, mi pare che il Liguori abbia riformato
questo canto, unendo ai pensieri sublimi sentimenti così divoti, che compungono
e muovono lo spirito.
Poiché
adunque non havvi maggior tormento per le anime amanti di Dio, quanto
l'apprensione ed il timore di perdere il sommo bene da esse amato, non è
maraviglia, che cagionasse ad Alfonso tanta pena quella prova, a cui fu
assoggettato come anima singolarmente prediletta per vari anni dal suo Signore.
Nelle
oscurità del suo spirito gli sembrava essere ributtato da Dio; perciò diceva
piangendo al suo direttore D. Andrea Villani: Parlo con Dio, e ad ogni parola, che dico, pare che mi ributti: è
cominciata questa mattina una tale tempesta. Dico: Gesù Cristo mio, ti voglio
amare con tutto il cuore, e mi sento dire: non è vero. Non mi sono mai veduto
così miserabile, come sto adesso.
Altra
volta nel tempo che mangiava interruppe il suo cibo, e si pose ad esclamare: Mi
sento dire: tu hai lasciato Dio, e Dio ha
lasciato te: non posso mangiare, perché mi si stringe la gola. D. Andrea
Villani ivi presente gli suggerì tosto un passo della scrittura per suo
conforto; ed Alfonso facendolo scrivere sulla carta per rammentarselo in altra
simile circostanza ripeteva: oh Dio!
quante volte l'ho insegnato agli altri.
Così quest'anima
veramente sublime per la sua intima unione col Signore fu provata nella sua
fedeltà da quel Dio, il quale si compiace, dirò così, di scherzare coi suoi
servi per dare ai medesimi occasione di confermare con atti di protestazione e
con testimonianze non equivoche di affetto il loro perfetto amore.
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