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Cap.
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2. Dono di profezia e
scrutazione delle cose occulte.
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Quelle
anime avventurose, le quali per la mistica unione col Dio della verità e della
sapienza sono elevate alla cognizione delle cose altissime della divinità,
sogliono esser chiamate eziandio a parte degli arcani imperscrutabili della sua
provvidenza nel governo del mondo, e ben sovente sono favorite con
illustrazioni e rivelazioni intorno alle cose future e contingenti.
Questo
favore singolarissimo si appella dono, o grazia della profezia, e grazia della
discrezione degli spiriti; mentre la profezia è una manifestazione delle cose
avvenire, o di altre occulte verità, che a Dio solo potendo essere note per la
sua scienza infinita, ne conseguita, che l'uomo non possa spingere i suoi
sguardi limitati nei reconditi arcani delle sue disposizioni, senza esservi
ammesso dalla sua divina bontà.
Che
se poi questa manifestazione abbia riguardo ai segreti del cuore umano, allora
questo dono chiamasi grazia della discrezione degli spiriti, secondo la
distinzione e l'insegnamento del dottore Angelico: Ut possit manifestare ea, quae solius Dei est scire, et haec sunt
contingentia futura, et quantum ad hoc ponitur prophetia: et etiam occulta
cordis, et quantum ad hoc ponitur discretio spirituuma
.
Or
queste divine manifestazioni dovendo essere indirizzate alla utilità spirituale
dei prossimi sia per accreditare e stabilire la verità, che loro s'insegna, sia
per impedire qualche male, o promuovere qualche bene; Alfonso ne fu a dovizia
fornito dal sommo datore delle grazie e dei doni. In questo paragrafo parlerò
adunque del dono della profezia, il quale fu sì frequente nel nostro santo, e
così singolare, che ben potrebbe dirsi essergli stato conceduto da Dio per modo
di abito; ed altresì della penetrazione delle cose occulte e della scrutazione
dei cuori. Ma nella impossibilità di - 316 -
poter riferire tutte le predizioni di lui avverate, mi restringerò alle più
principali.
Trovandosi
Alfonso nella missione di Amalfi, ad una sola donna fece ad un tempo tre
predizioni. Era questa afflitta da una malattia, ed in pari tempo era incinta.
Essendosi
la medesima raccomandata a lui, per ottenere dal Signore la guarigione ed un parto
felice, il santo illuminato supernamente le profetizzò, che quantunque non
fosse volontà di Dio il risanarla dal suo male, avrebbe nondimeno partorito
felicemente una bambina, la quale a suo tempo abbracciato avrebbe lo stato
religioso, e che l'unico figliuolo maschio di lei sarebbe morto prima di
eleggere il suo stato. Or tutte queste profezie si avverarono puntualmente nel
progresso del tempo.
Non
men singolare fu il vaticinio di Alfonso ad un vescovo. Recandosi coi suoi
compagni a far la missione in un villaggio della sua diocesi, si presentò il
santo al suddetto prelato per ricevere la sua benedizione e le necessarie
facoltà. Ma il medesimo per la stima, che aveva di lui, voleva trattenerlo seco
in quella sera, tanto più, come diceva, perché dagli alunni del suo seminario
sarebbesi rappresentata una commedia sacra per esercizio di memoria e di
comica. Alfonso scusavasi fortemente, ed il vescovo vieppiù insisteva a farlo
rimanere. Allora disse il santo quasi sorridendo: Monsignore mio, sapete perché non posso trattenermi? Perché la sala,
dove si farà la rappresentanza, potrebbe crollare. Furono interpretate le
sue parole per un pretesto chiaro, per togliersi da ogni impegno, e fu lasciato
partire. Si diede in tanto principio all'opera nell'ora designata senz'alcun
pensiero. Ma nel meglio vacilla la stanza, e precipita con tutto il palco
scenico con non lieve danno degli spettatori e dei rappresentanti.
Sebbene
assai più prodigiosa fu la profezia fatta in visione al genitore del nostro
padre Bonopane. Chiamato questi dal Signore a seguire le pedate di Alfonso
coll'abbracciare il suo Istituto, non poteva ottenerne il consenso dal proprio
genitore, il quale anzi faceva mille opposizioni per attraversargli - 317 -
l'esecuzione delle sue
vive brame di consacrarsi a Dio nella nostra Congregazione. Per lo che il
fratello di lui, il quale anche sentivasi ispirato da Dio a seguire il suo
esempio, non ardiva manifestare anch'egli la sua volontà. Ma il Signore permise
che il santo benché vivente gli apparisse in sogno sotto le forme di un
missionario, e lo minacciasse di un gran castigo del cielo, se più oltre si
fosse opposto alla vocazione dei suoi due figliuoli; promettendogli in pari
tempo, che se avesse ubbidito alla divina volontà, il Signore in premio gli
avrebbe mandata altra prole maschile. Atterrito da questa visione cedette
all'istanza dei suoi figli, li accompagnò egli medesimo fino alla nostra casa
di Ciorani, e li presentò al santo. Or quale fu il suo stupore nel vederlo, e
riconoscere in lui quel servo di Dio, che gli era apparso in sogno, mentre nol
conosceva? Quindi rincorato da lui per l'ubbidienza fatta a Dio ebbe veramente
quattro figli in supplemento dei due, che consacrato aveva al Signore.
Egualmente
mirabile è quel gruppo di predizioni, che Alfonso fece nel conservatorio di s.
Maria Maddalena sopra Gesù e Maria in Napoli. Oltre di aver predetto alla sua
penitente suor Maria Maddalena del Crocifisso, che la infermità di lei sarebbe
stata insanabile, e che l'avrebbe tenuta inchiodata nel letto per lunghi anni
fino alla morte, profetizzò eziandio ad un'altra monaca inferma di male non
pericoloso, che sarebbe morta di quella infermità, insinuandole di abbracciarsi
col Crocifisso, e rassegnarsi al divino volere. Di più, essendo stato condotto
dall'Abbadessa a visitare un'altra religiosa di anni 21, parimente inferma, la
quale stava con gran timore e dispiacere della morte, rivoltosi il santo verso
di lei le inculcò di prendere il latte della volontà di Dio, soggiungendole
altri pii sentimenti in ordine al rassegnarsi di buon cuore al divino volere:
dal che si comprese, che egli le annunziava la morte, come difatti avvenne non
molto dopo, ma con grande tranquillità della paziente, attribuendosi questo
cambiamento alle preghiere e alla visita fattale dal santo.
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Trovandosi Alfonso da vescovo in Arienzo, essendo suo costume di visitare
gl'infermi, volle visitare la moglie del signor Lelio Romano. Ma nel salire le
scale pregato da chi l'accompagnava d'impegnarsi presso Dio con le sue orazioni
per la guarigione dell'inferma, rispose francamente: E' morta. Il marito di lei a queste voci proruppe in dirottissimo
pianto, ben conoscendo la sua santità: ma Alfonso replicò: E morta, quietatevi. Difatti la visitò, la confortò coi suoi santi
discorsi, e dopo tre o quattro giorni l'inferma morì.
Era
infermo nel convento di s. Pietro martire di Napoli il padre maestro fra
Tommaso Caputo, direttore del santo, e rettore del seminario di Sant'Agata de'
Goti: e poiché Alfonso erasi di già ritirato a convivere coi suoi nella casa di
s. Michele in Pagani, le religiose di sant'Anna della città di Nocera mandarono
a dirgli, che avesse pregato per la guarigione dell'infermo, sapendo in quanta
venerazione lo avesse avuto quand'era vescovo.
Ma
dopo alcuni giorni verso le ore 22, chiamò Alfonso il suo fratello serviente, e
così gli disse: Non sai, che il p.
maestro Caputo è morto? Non può essere, rispose il suddetto, perché le monache hanno scritto, che sta
meglio. A che il santo ripigliò: Via,
via, è morto. Spinto allora dalla curiosità scrisse subito al sacerdote D.
Salvatore Tramontana, pregandolo, che fosse andato a s. Pietro martire, e
s'informasse della salute del p. Maestro Caputo. Ma che? Gli fu riferito, che
era morto a due ore di notte in quel giorno medesimo, in cui alle ore 22, il
santo aveva asserito essere già morto.
Di
più trovandosi Alfonso per la visita pastorale nella città di Airola, e
sentendo che un giovanetto di anni tredici era infermo, e non ancora aveva
ricevuto il sacramento della confermazione, volle subito andare a cresimarlo;
ma al primo entrare nella stanza dell'infermo, gli disse: Pasquale, sta allegramente, che da qui ad altri tre giorni te ne
anderai in paradiso. Era già il terzo giorno, e l'infermo migliorava;
quando verso la sera del detto giorno aggravatosi il male se ne morì dopo poche
ore secondo la predizione del santo.
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Parimente quattro anni prima che Alfonso fosse chiamato da Dio agli eterni
riposi, era nella nostra casa di s. Michele per mutazione d'aria un giovane
distinto di nascita, il quale accorgendosi di non migliorare affatto, per
l'idea vantaggiosa, che aveva della santità di Alfonso, si fece un giorno a lui
presentare, e dopo avergli genuflesso baciata la mano lo pregò ad ottenergli da
Dio la salute corporale. Ma il santo benché non conoscesse la qualità del suo
male, quasi troncandogli le parole in bocca, gli disse con precise parole: Figlio, raccomandati alla Madonna, che ti
faccia fare una buona morte. Se ne partì atterrito il povero giovane, e
dopo poco tempo, da che erasi restituito in Napoli sua patria, passò
all'eternità.
Caduto
infermo per apoplessia Simone Taiano di Vietri molto devoto del santo, la
sorella di lui volò subito a ritrovare Alfonso, e gli raccontò il caso,
lamentandosi ancora della perdita, che sofferta avrebbe la sua famiglia,
essendo l'infermo impiegato nella regia dogana. Quindi lo scongiurò ad
interporre le sue preghiere presso Dio, onde ottenergli la guarigione. Ma il
santo le rispose: Vostro fratello ha da
fare qui il suo purgatorio col male sofferto, il quale andrà per le lunghe; ma
il suo figlio avrà l'officio del padre. Quanto egli disse, tutto si avverò
appuntino. L'infermo dopo lunghi patimenti se ne mori; ed il suo figlio fra
molti concorrenti fu preferito ad occupare l'impiego del genitore defunto.
Stando
Alfonso coi suoi compagni a far la missione nel villaggio di Raito, abitava
nella casa di un padrone di barca, il quale era partito per Sicilia, e doveva
fare ritorno fra giorni con un carico di tonnina. La moglie di lui vedendo
tutto il giorno il mare in tempesta, e sapendo, che la loro barca era vecchia e
mezzo sdrucita, se ne stava sempre in palpito pel timore di qualche naufragio,
che fosse avvenuto a suo marito. Ma Alfonso compatendo la sua angustia, se la
fece chiamare, e con termini risoluti l'assicurò, che niuna disgrazia sarebbe
accaduta a suo marito, che anzi fra pochi giorni sarebbe arrivato col suo
carico sano e salvo, come difatti si verificò.
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Una donzella sua penitente,
mentre egli trattenevasi nella casa di Ciorani, fu richiesta per isposa nel
medesimo suo villaggio di Carifi da un giovane ben nato. Nel confessarsi chiese
consiglio al suo confessore, se accettar doveva cotale partito. Alfonso le
disse rotondamente, che non lo avesse accettato, perché Iddio le aveva
destinato altro sposo in Napoli, dove sarebbesi maritata, e che nel primo parto
avrebbe dato alla luce un maschio, il quale a suo tempo si sarebbe fatto
religioso Carmelitano.
Tutto
si avverò giusta la predizione del santo, perché la suddetta giovane dopo
quattro anni ebbe un vantaggioso partito in Napoli; partorì un maschio, il
quale all'età di quindici anni, benché avesse fatto premura di entrare in altri
Ordini monastici, mai non gli riuscì l'intento, finché non decise di farsi religioso
carmelitano. Questi fu poi quel padre Imparati, il quale negli ultimi anni
della vita di Alfonso lo andava spesso a visitare; ed Alfonso aveva per lui
molta affezione. A costui fece lo stesso Alfonso molte predizioni, le quali
tutte si verificarono, come può vedersi nei processi della sua beatificazione.
Presentossi
al santo un giovane per essere ammesso nella sua Congregazione. I suoi
consultori non volevano che fosse ricevuto, mentre la sanità di lui non lo
rendeva abile a portare il peso delle fatiche di un missionario. Ma egli
sciolse loro ogni difficoltà dicendo, che quel giovane se non era buono per
operaio nella vigna del Signore, sarebbe almeno divenuto santo nella
Congregazione. Condiscesero i consultori al suo divisamento, il quale in realtà
fu un vaticinio. Fu il giovane ricevuto, e visse molti anni in Congregazione
con grande edificazione, benché non potesse operare al pari degli altri per la
sua troppo gracile complessione, e dopo la sua morte il Signore anche lo
glorificò con varie grazie miracolose concedute per sua intercessione.
Cadde
gravemente infermo il signor marchese di Marco benefattore di Alfonso e della
Congregazione ancora, avendola sempre difesa e protetta nelle contraddizioni
sofferte. Ora un suo - 321 -
intimo
amico spedì tosto un messo al santo in Sant'Agata, affinché avesse pregato per
la salute del marchese già spedito dai medici. Se ne afflisse grandemente
Alfonso: ma la mattina seguente sul fare del giorno chiamò di tutta fretta il
fratello Francescantonio, e volle, che si fosse mandato altro messo al suddetto
amico del marchese per fargli conoscere, che la notte stessa aveva l'infermo
migliorato, e sarebbe perfettamente guarito, perché monsignor Lucci vescovo di
Bovino gli aveva ottenuta la grazia, amandolo teneramente.
Nella
medesima lettera soccartò due immaginette, una del Crocifisso, e l'altra della
Vergine santissima dicendo, che gliele avessero poste sotto il capezzale, che
senza meno il marchese avrebbe ricuperata la sanità. Si spedì il messo, e si
ebbe in risposta, che il marchese veramente nella notte antecedente aveva
migliorato; quindi risanò perfettamente, come il santo aveva predetto.
Il
fratello del rinomato Selvaggi era molto afflitto per la nuova, che una nave,
la quale per suo conto trasportar doveva gran quantità di merci, dicevasi
naufragata. Corroborava tale notizia infausta l'intemperie della stagione, per
cui il mare era sempre in tempesta. Or egli essendo amico del santo, gli
scrisse, che avesse fatto a tal uopo delle preghiere al Signore. Ma il santo
gli rispose, che avesse calmato lo spirito del suo fratello con accertarlo, che
la nave era salva, e che sarebbe giunta felicemente nel porto di Napoli nel
tale giorno. Siccome predisse, così nel fatto si avverò.
Mentre
Alfonso risiedeva nella città di Arienzo s'infermò il giudice della Vicaria
signor Giovanni Maria Puoti, ed egli non mancava di visitarlo giornalmente. Ma
nel giorno antecedente alla sua morte andato secondo il solito, prima di
entrare nella stanza dell'infermo, chiamò la consorte di lui, e le domandò,
quale prognostico facevano i medici della malattia. La medesima gli rispose,
che essendo venuti da Napoli in quel giorno appunto vari medici, lo avevano
rinvenuto molto migliorato, perloché davano buone speranze della prossima guarigione.
Dio - 322 -
volesse,
rispose allora il santo; io compiango la
povera madre (era questa ancora vivente) ed i fratelli, che tanto si amano: e poi soggiunse: Io so, che monsignore (era questi
fratello dell'infermo, ed arcivescovo di Amalfi, e molto amico di Alfonso) non avrà coraggio di celebrare la messa
nella stanza dell'infermo: perciò io da ora do il permesso a D. Antonio di
celebrare.
Da
queste parole comprese la detta signora chiaramente, che suo marito sarebbe morto;
ma perché non compariva alcun indizio di prossima morte, che anzi si sperava di
vederlo tantosto guarito, il parlare del santo non fu creduto e da molti fu
preso a burla. L'evento però fece conoscere, che aveva profetizzato, poiché nel
giorno seguente il giudice Puoti contro il giudizio dei medici e l'aspettativa
comune passò da questa all'altra vita. Seguita la morte del medesimo, ritornò
Alfonso a consolare la vedova moglie, e con asseveranza le disse: Voi dovete raccomandarvi all'anima di vostro
marito, mentre sta in paradiso. Di fatti era pubblica fama, che il suddetto
magistrato per la sua santa vita fosse morto in concetto di santità.
Mentre
il santo stava ancora in Sant'Agata, e propriamente nell'anno della carestia,
si fece venire da Arienzo il canonico tesoriere di quella collegiata per
registrare tutte le scritture esistenti nella curia vescovile. Gli domandò
quanti giorni ci avrebbe a ciò impiegato, e sentendo, che almeno quindici
giorni, lo tenne seco nel suo palazzo a disbrigare tale faccenda. Ma erano
appena scorsi otto giorni, e stava appena il suddetto alla metà del suo lavoro,
allorché chiamandolo a se l'interrogò a che ne stesse? Avendogli il medesimo
risposto, che si richiedevano almeno almeno altri otto giorni, no, ripigliò
Alfonso, vattene subito in Arienzo,
perché colà avrai da fare. Ciò detto, ordinò al suo servo Alessio, che gli
avesse affittata una cavalcatura per condurlo in Arienzo, e partì. Or chi il
crederebbe? Nel giorno seguente per la mancanza della farina e del pane si ammutinò
il popolo contro il cognato di lui, cui apparteneva l'annona qual capo eletto,
e lo avrebbe ucciso, se il suddetto canonico e vicario foraneo non glielo
avesse - 323 -
strappato
dalle mani con le sue belle maniere, e per la stima, che godeva presso tutto il
popolo.
Ma
una sorprendente predizione fu quella, che fece alla donzella Felice Calenda
educanda nel monastero di santa Chiara nella città di Nocera. Predicava Alfonso
negli spirituali esercizi a quelle religiose, e questa giovinetta essendo
prossima all'età di monacarsi stava irresoluta, mentre da una parte sentivasi
inclinata alla vita claustrale, e dall'altra aveva molti pretendenti per lo
stato coniugale.
Or
un giorno la madre abbadessa con la maestra delle novizie la presentarono ad
Alfonso, interrogandolo, se quella giovane sarebbe stata monaca nel loro
monastero. Il santo domandò, come si chiamasse, e quelle risposero, che
chiamavasi Felice nel secolo, e sarebbesi chiamata Vittoria nel chiostro, se
facevasi religiosa. Allora egli alzò gli occhi al cielo, e dopo essere stato in
silenzio alcuni minuti ripigliò: Due
bellissimi nomi sono questi, e volgendosi alla giovinetta le disse: Vittoria, riporterai la vittoria di te
stessa: Felice, sarai felice di te
stessa. Insisterono le religiose: Ma,
padre, che vi sembra, sarà monaca con noi, perché è tempo di entrare nel
noviziato? Di nuovo alzò gli occhi al cielo, e dopo qualche spazio di tempo
rispose precisamente: Non sarà né del
chiostro, né del mondo, non sarà, vi dico, né del chiostro, né del mondo.
Di fatti niuna di queste parole cadde a terra.
Imperocché
nel giorno seguente essendo salita la detta giovane sopra un albero di fico nel
giardino del monastero, precipitò a terra, e si fece gran male nella spina
dorsale, cosicché fattisi gli ultimi sacramenti si ebbe per morta. Però con
istupore dei medici, e contro l'aspettazione comune si riebbe; ma dovette
uscire dal monastero, perché essendo restata storpia, era inabile per lo stato
religioso. Ricondottasi in sua casa, ed avendo solo la testa, il petto, e le
braccia sane, così è vissuta più di cinquanta anni, esercitando nello stato
penoso di sua salute le più esimie virtù, specialmente la rassegnazione al
divino volere nei patimenti, cui piacque al Signore di assoggettarla.
Inoltre
la medesima aveva un nipote, - 324 -
il quale in una rissa fu ferito con sette colpi di stile. Questi dopo un mese
di cura presentava qualche miglioramento; e poiché era ancor vivo Alfonso,
mandò il suo compare a raccomandarsi a lui per la guarigione di quello. Ma il
santo rispose, che il miglioramento creduto dai medici non era stabile, e che
in breve avrebbe avuto miglior vita nel cielo: quindi gli mandò una immagine
della Vergine della speranza. Il tutto si avverò, come aveva predetto, essendo
il giovane morto dopo alcuni giorni.
Visitato
un giorno da due sacerdoti della città di Cava, domandò al più giovane di essi,
dove andava? Quegli rispose, che andava in Napoli per trattare una lite. Allora
il santo gli soggiunse: Che liti, che
liti andate trovando? Voi avete una causa più importante per le mani, che si è
appunto la causa dell'anima vostra: trattate di aggiustarla, perché quanto
prima dovete morire. Ciò accadde verso la fine di luglio. Se ne afflisse di
molto il giovane sacerdote; ma quanto Alfonso predisse, il tutto si avverò.
Nei
principii del mese di settembre contro ogni aspettazione, morì il suddetto
sacerdote; per lo che l'altro suo compagno nel vederlo gravemente infermo gli
ricordò la detta profezia di Alfonso per farlo rassegnare al divino volere.
All'altro poi domandò lo stesso santo, chiamandolo parroco, dove andasse ?
Quegli rispose, che non era parroco. E'
vero, ripigliò Alfonso, che non siete
parroco; ma lo dovete essere per precetto formale del vostro vescovo.
Difatti dopo due anni il vescovo di Cava gli ordinò di presentarsi al concorso;
e poiché riluttava, fu obbligato dall'ubbidienza a concorrere, ed accettare la
parrocchia.
Due
anni prima del suo beato passaggio all'eternità, stando Alfonso tutto storpio
sul suo letticciuolo, andò a ritrovarlo D. Giovanni Adinolfi abate di Angri. Fu
introdotto nella stanza e poiché la vista del santo era indebolita, gli fu
detto, che quegli era l'abate di Angri. Nel sentire ciò Alfonso preso da un
santo estro proruppe con voce alta in queste parole: Abate di Angri? povero abate di Angri, povero abate di Angri! - 325 -
Quante ne ha passate, e quante ne ha da passare! Restò sorpreso il
detto abate, e confessò, che molte traversie aveva fino allora sofferte,
soggiungendo:
Povero me! apparecchiamoci a
quel che deve venire in appresso. Infatti crebbero i suoi mali all'eccesso sì rispetto
alle infermità, che per altri riguardi. Finalmente dopo aver perduto un
fratello, il quale era avvocato in Napoli, ed era il sostegno della famiglia,
un mese dopo la morte del santo, cioè due anni dopo la predizione, il detto
abate anch'egli morì.
Al
suo segretario D. Felice Verzella fece il santo altra mirabile profezia.
Dovendo partire da Arienzo per la sua patria andò a licenziarsi, e baciargli la
mano. Ma lo trovò col volto mesto, e sentissi dire queste precise parole: Già vuoi partire? Dio te la mandi buona.
Ma poiché tutto era allestito per la partenza, non fece alcun caso di questa
predizione. Però oltre le molte disgrazie sofferte nel viaggio, giunto in sua
casa dopo pochi giorni fu colpito casualmente da una palla di archibugio nel
ginocchio, cadendo a terra il detto fucile carico nella sua stessa cucina, e fu
costretto a stare in letto quaranta giorni per guarirsi.
Al
padre Tannoia scrittore della vita di Alfonso e tanto a lui caro fece altresì
Alfonso una profezia, la quale si verificò appuntino. Essendo egli giovinetto,
era travagliato da molti mali, di modo che i medici facevano cattivo
prognostico sulla vita di lui. Ma il santo avendolo a sé chiamato un giorno, lo
rincorò, e gli disse: Non avere timore,
ché non morirai: ma dovrai fare una vita stentata. Di fatti lo stesso padre
ha attestato a gloria di Dio e del suo servo Alfonso, che pel corso di
cinquant'anni fu sempre afflitto da gravi incomodi fino a sperimentare talvolta
le agonie di morte. Nondimeno ognuno sa, che il Tannoia pervenne, e sorpassò il
decimo sesto lustro di sua vita.
Similmente
profetizzò al p. Blasucci, quando era giovane studente in Deliceto, le grandi
cose, che avrebbe operate, dicendogli: Voi
quantunque siate un niente, pure Iddio vuole - 326 -
grandi cose da
voi. Ed in vero sono a tutti note le grandi cose operate dal medesimo a
vantaggio della nostra Congregazione. Egli fu il fondatore delle nostre case in
Sicilia, ove fu ammirato da ogni ceto per la sua profonda dottrina, e da tutti
venerato per la sua esimia virtù. Finalmente fu eletto rettore maggiore della
Congregazione dopo la morte di Alfonso, e governo l'Istituto con molta saviezza
per il corso di 24 anni.
Ma
sarebbe un andar troppo per le lunghe, se tutte distintamente narrar volessi le
profezie di Alfonso, quali ci vengono descritte nei processi di sua
beatificazione. Dirò pertanto qui poche cose della penetrazione del suo spirito
riguardo alle cose occulte ed all'interno dei cuori, comeché al dono della
profezia va congiunto ancor questo della scrutazione delle cose occulte e dei
cuori umani, benché distintamente si enarrino dal grande Apostolo delle genti.
Stava
uno dei suoi servi ad osservare in tempo di carnevale dalle finestre del
palazzo vescovile le maschere insieme ad altro suo compagno. Ora nel mirare fra
quelle una donna, fu tentato a commettere un peccato, ed esternò il suo cattivo
pensiero al detto suo compagno, il quale, lungi di ammonirlo e rimproverarlo,
entrando nel suo medesimo divisamento si compromise di far venire l'indomani di
soppiatto la donna in una stanza contigua alla porta del palazzo. Quanto disse,
tanto eseguì.
Introdotta
la predetta donna, mentre si accingevano a peccare, udissi un gran rumore di
catene, di calpestio, e di vento impetuoso. Restarono sbalorditi per buona
pezza; ma appena riavuti dalla paura, volendo pure commettere il peccato,
sentissi di nuovo il medesimo strepito, e così forte, che spaventati
desisterono dal peccare. A capo di tre giorni fu chiamato il suddetto servo da
Alfonso, e nel presentarsi a lui, mentre voleva baciargli la mano, acceso il
santo nel volto così gli disse: Aniello,
Aniello, tu mercoledì la notte volevi offendere Dio, e i diavoli si erano
preparati a portarti all'inferno; ed io vecchio e malsano mi alzai a pregare
Dio per te: sta attento, perché se altra volta inciampi, non so, se Dio ti
perdona. - 327 -
Voleva
il servo scusarsi; ma Alfonso troncandogli la parola in bocca gli soggiunse: Non ti ricordi quel rumore di catene?
Ammutolissi a questo parlare, e se ne andò piangendo. Ma non si ravvide il
misero; imperocché venendo dalla città di Airola una povera giovane a ricevere
la limosina dal santo in ogni settimana, fu talmente baldo da tentarla al
peccato. Però nel mentre così meditava di fare, fu chiamato all'improvviso da
Alfonso. Salì nella stanza di lui, ed il santo postosi in contegno gli disse: Aniello, tu sei un tizzone d'inferno.
Allora fu, che quello rimase talmente atterrito, che per sua confessione non
commise più alcun peccato nemmeno di pensiero, ben persuaso, che Alfonso
conosceva il suo interno.
Parimente
essendo prossimo a partire per il quaresimale un sacerdote della sua diocesi,
andò a licenziarsi da taluni suoi parenti, e quivi fra i complimenti e le
cerimonie si pose a scherzare con le sue cugine. Chi lo crederebbe? Alle ore 21
il santo lo fece chiamare nel suo palazzo vescovile, ed appena introdotto alla
sua presenza sentissi dire con tuono patetico:
"Voi prima di partire per il quaresimale avete voluto licenziarvi
da quella casa, e prendervi le cerimonie: basta, ricordatevi del detto di s.
Paolo: Ne cum aliis praedicaverim, a ipse
reprobus efficiar"
Il medesimo
sacerdote esercitando l'uffizio di cancelliere della curia attesta, che una sera
il santo lo chiamò ad un'ora di notte, e l'interrogò, che cosa ne fosse di una
tale donna maritata, la quale si era allontanata da Arienzo col marito per un
omicidio commesso? Al che rispose, che la medesima stava in Benevento presso
suo marito fuggiasco.
No, disse allora il santo, vedete
bene, che sta in casa sua, e volle, che in quel punto si fosse recato ad
accertarsi della verità. Di fatti vi andò, e si convinse, che poco prima la
suddetta era arrivata, come essa stessa gli confessò di sua bocca. Ritornato a
dargli risposta, che veramente poco prima era arrivata, gli consegnò quindici
carlini, affinché li avesse portati a lei, intimandole in pari tempo di
partirsi nella medesima notte.
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Posizione Originale Nota - Libro
V, cap. 32c, pag. 315
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