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P. Celestino Berruti
Lo spirito di S. A.M. de' Liguori

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  • Cap. 10 SUA EROICA FEDE
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Cap. 10

SUA EROICA FEDE

 

Alla virtù della fede deggiono riportarsi tutte le altre virtù di un eroe cristiano; si perché essa e il fondamento di ogni perfezione, ed il principio di ogni giustificazione, si perché tutte le altre virtù sono da lei nutrite e sostenute, dicendo l'Apostolo, che il giusto vive di fede. Le azioni più esimie, qualora non siano animate da una fede viva, sono sempre languide e rimesse; e ben può giudicarsi della vivacità della fede in un'anima dal fervore e dalla fortezza con che esercita i suoi atti virtuosi, e prende ogni occasione d'incontrare il divino beneplacito coll'esercizio di nuove opere dirette alla sua gloria ed alla propria santificazione.

Alfonso Maria de Liguori fu adunque un eroe straordinario nella Chiesa di Dio per la grandezza e pel fervore della sua fede. Giusta un tal principio, a conoscere l'eroismo della fede di lui basterebbe dare uno sguardo anche di slancio al complesso delle sue strepitose eroiche gesta. Ma dovendo in particolare discorrere della virtù della fede da lui praticata, e farne ponderare quegli atti rispettivi, che più da vicino la riguardano, ampia materia mi si presenta in questo capitolo, che sarà di sommo elogio pel nostro santo e di grande edificazione ed istruzione ai lettori.

"Dobbiamo noi cattolici (così egli scriveva nella sua opera sulla verità della fede) da una parte continuamente ringraziare Iddio per averci dato questo gran dono della vera fede, aggregandoci tra i figli della santa Chiesa, e dall'altra dobbiamo con umiltà sottomettere le nostre menti alle verità della fede, quali umili e semplici bambini."

Ed altre volte ripeteva: "La nostra santa fede è la vera, per questa io darei mille volte il sangue: ringraziamo sempre Iddio, che  ci ha fatto nascere cristiani." Questi sentimenti lo indussero a ritirarsi nella Congregazione dei padri cinesi di recente


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fondata in Napoli dal sacerdote D. Matteo Ripa, bramando di andare fino alla Cina a spargere tra gl'infedeli il lume del vangelo, nella speranza di dar la sua vita per la fede. Ma poiché fu assicurato dal suo direttore non esser questa la volontà del Signore su di lui, cooperossi almeno col suddetto padre Ripa al maggiore incremento di detta Congregazione, dimorandovi per alcuni anni, ed edificando coi suoi rari esempi quella virtuosa nascente famiglia.

Dimostrava poi un amore tenerissimo ai giovani cinesi colà educati, gl'istruiva nelle scienze del ministero, e li confortava col suo fervore ad intraprendere con zelo e costanza l'importante missione, che loro veniva affidata.

Riputando il dono della fede come il più singolar beneficio del cielo, si recava Alfonso a somma gloria il recitare ogni dì gli atti cristiani con gran pietà, umiltà e divozione; il che praticò immanchevolmente per tutti gli anni di sua vita; ed essendo vescovo, non tralasciava di recitarli ogni sera unitamente ai suoi familiari dopo il rosario a Maria.

Essendo ancor secolare occupavasi ad istruire nei rudimenti della fede i poveri infermi, allorché andava a visitarli negli ospedali: mentre dopo aver loro rifatto il letto, curate le piaghe, apprestato il cibo, o le medicine, sollevavali con discorsi edificanti, ed insegnava loro i misteri di nostra santa religione. Ed appena vestito l'abito ecclesiastico, si recava a sommo onore di girare nei giorni festivi pei limiti della parrocchia, che gli fu assegnata pel servizio delle sacre funzioni, e raccogliendo i fanciulli li conduceva alla chiesa, ove con tutta la carità e destrezza gli ammaestrava nella dottrina cristiana.

Avendo di poi fondata la sua Congregazione, stabilì, che nelle missioni si desse principio ogni giorno agli esercizi predicabili con l'istruzione ai fanciulli nei rudimenti della fede; che niuno dei missionari si fosse esentato da un'opera sì necessaria e vantaggiosa al popolo cristiano; ed egli il primo ne dava l'esempio ai suoi compagni, adattandosi alla capacità dei ragazzi per istillare in quei teneri cuori i puri sentimenti della pietà e della religione. Che se Alfonso da missionario fu così zelante per


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quest'opera da vescovo non solo fu gelosissimo, che tutt'i parrochi ed altri ecclesiastici adempissero questo dovere di far la dottrina cristiana; ma egli stesso portavasi nei dì festivi ora in una, ora in altra parrocchia, e quivi rendendosi fanciullo coi fanciulli, l'interrogava su i misteri della fede, li spiegava ad essi con somma chiarezza, e per maggiormente adescarli soleva complimentar loro oggetti di divozione, dispensando altresì a quelli, ch'erano poveri, vesti e denaro.

Or questo ardore per la fede, da cui era infiammato Alfonso, voleva egli che accendesse altresì il cuore dei suoi congregati. Spesso teneva loro ragionamento sul beneficio singolarissimo compartitoci dalla divina bontà col chiamarci alla vera fede: tanto il nostro santo apprezzava questo gran dono del cielo, che la sua lingua di altro par che non sapesse parlare. Esaltava la pietà insigne del grande s. Luigi re di Francia, di cui leggesi, che andava sovente al sacro fonte per rendere grazie al Signore di averlo fatto nascere nel grembo della santa Chiesa.

Voleva che i suoi congregati dirigessero frequenti preghiere a Dio per la conversione degl'infedeli e per la dilatazione della fede. Cercava di animarli coi suoi ferventi discorsi ad essere non solo disposti, ma a desiderare eziandio il martirio: nè può abbastanza esprimersi, qual gioia inondasse il cuore di lui, allorché avendo ricevuto dalla sacra Congregazione di Propaganda l'invito di spedire alcuni dei suoi congregati alle missioni degl'infedeli nell'Asia, ed essendosi con una apposita lettera circolare diretto alle case del suo Istituto per esplorare la volontà de' soggetti, n'ebbe in risposta l'offerta spontanea di ben molti, i quali agognavano di andare nelle straniere regioni a predicarvi il vangelo di Gesù Cristo.

In questo tempo i suoi discorsi non raggiravansi, che sulla felicità dei martiri, sulla fortuna che hanno nel dar la vita per Gesù Cristo, e sulla grande consolazione interna, che provano i missionari applicandosi alla conversione degl'infedeli.

Avrebbe egli desiderato una tal grazia dal Signore; ma si confondeva, e si umiliava protestando di non esserne degno.


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Essendo passati per la città di Nocera due religiosi francescani, i quali venivano da Roma, ed erano diretti alle missioni degl'infedeli, appena lo seppe, mandò subito a chiamarli, se gli abbracciò teneramente, ed avendoli splendidamente trattati non lasciolli partire senza prima corroborare il loro proposito e la loro vocazione con analogo e fervente discorso.

Penetrato Alfonso dai vivi sentimenti di quella fede, che rendendolo tutto di Dio gli faceva prestare somma venerazione ed attenzione alla divina parola, volgeva continuamente le sacre pagine della Scrittura, ritrovando in esse il pascolo salutare del suo spirito. In questo Codice divino imparò quella scienza sublime, che lo fece così dotto nello scrivere i suoi libri, ed apprese quei concetti, che lo rendevano così veemente e pieno di unzione nel predicare.

In particolar modo applicossi alla lettura e meditazione dei salmi: tutti ne riscontrò i più accreditati interpreti, ed avendosi fatto familiare questo libro divino volle darne la traduzione al pubblico in una maniera semplice e chiara, affinché gli ecclesiastici secolari e regolari, ed eziandio le religiose imparassero, ad intendere il senso del divino parlare nella ecclesiastica salmodia. ordinò parimente, che i suoi congregati conservassero nelle proprie stanze la divina scrittura, acciocché leggendola sovente potessero modellare la loro predicazione sul concetto dei sacri libri.

Finalmente perché la fede non solo eleva la mente alla credenza delle verità rivelate da Dio, ma spinge il cuore a cercare fervidamente il divino onore ed in sé e negli altri; il nostro santo nulla tralasciò per impedire, che la fede ricevesse qualche ferita nei suoi dogmi con danno delle anime, e nell'eseguire le funzioni del sacro culto con la massima esattezza e divozione.

 Per rapporto al primo ognuno sa con quanta vigilanza, zelo, e fortezza impegnossi Alfonso per allontanare dalle mani de' fedeli i libri erronei.

Dirigevasi a tal uopo ben sovente alle autorità superiori, facendo loro osservare con forti ragioni il sommo pregiudizio, che sarebbe avvenuto alla vera fede introducendosi nel regno i libri de' novatori; e non ebbe timore


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di rivolgersi con supplica al medesimo Sovrano, inculcandogli di ordinare qual figlio prediletto della santa Chiesa l'allontanamento di tali libri dai luoghi del suo dominio, come quelli che avrebbero fatto vacillare benanche il suo trono. Che se poi avesse inteso d'essersi veramente introdotto in Napoli qualche libro infetto, chi può esprimere qual dolore ne sentisse il suo cuore, quante preghiere offerisse a Dio, e quante penitenze per ottenere dalla divina misericordia, che l'infezion dell'errore non ammorbasse le anime de' fedeli?

Una volta gli fu riferito da un padre carmelitano, che nella città di Napoli erasi dato alla luce un libro contenente vari errori contro la fede, e ne concepì tal dispiacere, che dopo essere stato lungamente in silenzio si rivolse al medesimo con santa agitazione, e lo scongiurò, che ricorresse al patrocinio della Vergine ss. del Carmine con un triduo di preghiere, affinché la Madre di Dio interposta si fosse presso il suo divino Figliuolo a non permettere questo gran danno alla Chiesa.

Per rapporto al secondo e incredibile qual fosse il contegno, la modestia, e la divozione di Alfonso nella celebrazione dei divini misteri e nell'esercizio delle sacre funzioni. Siccome l'anima sua era sempre tutta assorta in Dio, molto più si ravvisava in queste occasioni il suo raccoglimento; di modo che sembrava di emulare quei beati spiriti, i quali assistono al trono dell'Altissimo.

Non solo adempiva egli i minimi precetti imposti dalla rubrica, ma voleva inoltre, che i suoi congregati fossero diligentissimi osservatori dei medesimi; ed essendo vescovo, vigilava attentamente, che tutt'i sacerdoti della sua diocesi compissero con ogni maggiore attenzione e pietà tutte le sacre funzioni, ed in particolare la messa. A tal uopo, conoscendo quanto si manchi all'osservanza delle rubriche da vari sacerdoti, compose il suo manuale, con cui oltre il descrivere minutamente e praticamente le cerimonie della santa messa, inculca eziandio a tutti gli ecclesiastici, con quale decoro ed esattezza debbano celebrare i tremendi misteri della religione. Aggiunse a quest'opera un altro libro non meno utile,


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intitolandolo La messa ed uffizio strapazzato. In questo ammaestra i sacerdoti a recitare con attenzione le divine lodi per glorificare il Signore, e con affetti ripieni di santa unzione presenta loro il dovuto apparecchio, che debbono far precedere al sacrifizio della messa, non che il rendimento di grazie.

Questi libri complimentava volentieri ai novelli sacerdoti, insinuando loro di riandare mai sempre le rubriche della messa, affine di evitare quei difetti, che col tempo e colla negligenza si possono incorrere. Ordinò poi, che in tutte le parrocchie di sua diocesi, oltre il caso morale, si facesse eziandio il caso liturgico; e finché la sanità e le forze gliel permisero, vi assisteva personalmente nella sua cattedrale, e talvolta recavasi per sorpresa nei vicariati rispettivi, ove da sè medesimo praticar faceva da qualche sacerdote le rubriche della messa alla presenza degli altri, e notava i difetti, affinché si correggessero.

Che se taluno avesse mancato per negligenza all'osservanza delle rubriche, oppure gli fosse riferito, che celebrava con troppa prestezza e senza esterna divozione il santo sacrificio, sel faceva venire nel suo episcopio, lo tratteneva quivi a sue spese per vari giorni, lo istruiva praticamente, né il rimandava, finché non fosse sicuro di essersi quegli emendato dei suoi difetti nella osservanza delle sante cerimonie. E tal suo rigore era maggiormente pei suoi congregati.

Reso impotente negli ultimi anni di sua vita, una mattina nel celebrargli la messa uno dei nostri padri fu alquanto breve. Giunto il sacerdote all'Agnus Dei, ed accostandosi il fratello serviente per avvisarlo di esser prossima la comunione, il santo fingendo di non capire domandò replícatamente chi era quegli che diceva messa. Ed essendogli manifestato il nome del detto padre, perché egli non lo vedeva a cagione della sua vista debilitata, esclamò: Oh che messa corta ha detto questa mattina! In fatti dopo il rendimento di grazie sel fece venire davanti, e gli fece una forte riprensione.

Egli poi anche decrepito, ed offeso nella gamba, di modo che camminar non poteva senza l'altrui sostegno, pure finché celebrò i divini misteri, mantenevasi sempre


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dritto della persona, genufletteva fino a terra, sforzandosi fra gli acerbi dolori ad eseguire tutte le cerimonie con somma prontezza di animo ed esattezza singolare.

Quindi invidiava santamente il padre Garzilli, il quale benché più vecchio di lui, era nondimeno nello stato di eseguire le rubriche della messa con tutta la facilità. Domandò un giorno al padre Costanzo, quanti anni contasse il padre Garzilli, perché lo vedeva celebrar la messa con la disinvoltura di un giovane; ed avendogli il detto padre risposto, che aveva maggiore età di lui, congiunse le mani con rassegnazione, mirò il Crocifisso, e chinò la testa.

Tale insomma e così positiva era la fede, che animava questo gran santo. Immerso mai sempre nel pensiero della divina presenza, o camminava, o sedeva, o qualunque altra azione adempiva, la sua mente non dipartivasi giammai da questa santa meditazione.

Era poi singolarissima la sua divozione e rispetto nelle chiese. Benché storpio, appena metteva il piede nel tempio del Signore si faceva condurre all'acqua lustrale, e segnavasi nella fronte; il che praticava altresì nell'uscire, e finché trattenevasi nella chiesa, stava sempre inginocchioni con somma compostezza, benché acerbi fossero i dolori, che soffriva.

Dopo una lunga malattia da lui sofferta in Arienzo, appena incominciò a poter celebrare, sentivasi un'altra messa per rendimento di grazie; ma poiché non poteva starsene inginocchioni per tutto quel tempo, voleva almeno buttarsi prostrato a terra alle parole del Credo et incarnatus est, il che faceva eziandio all'elevazione dell'ostia e del calice. Divenuto poi totalmente sordo nella ultima sua età, e nel tempo medesimo quasi cieco, si doveva avvisarlo alle medesime parole del Credo, ed alla elevazione, poiché giacendo a letto si sforzava di usare quella maggiore riverenza, che dal suo stato di totale impotenza eragli permesso.

E pure un uomo, il quale visse solo di fede, chi l'avrebbe creduto, che andar dovesse soggetto a tanti assalti di tentazioni contro questa virtù? Ma tale è la sorte dei servi eletti del Signore, i quali perché sono prediletti al suo cuore divino,


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vengono dalla sua bontà per maggior loro merito sottoposti alle prove più dure.

E chi non sa, che fra tutte le tentazioni siano le più moleste, e cagionino maggior pena agli amanti di Dio quelle contro la fede? Alfonso aveva difeso la religione con lo zelo del più fervente apostolo, aveva eziandio per l'ardore di sua carità agognato il martirio: non per tanto le suggestioni diaboliche contro la fede furono in lui così violente, specialmente negli ultimi anni del viver suo, che talvolta lo facevano querelare in guisa da risvegliare la compassione in chiunque lo ascoltava.

Ricorreva in questi duri cimenti per consiglio e per soccorso non solo al proprio direttore, ma ancora palesava le sue tentazioni a qualunque sacerdote aver potesse: resisteva fortemente a questi assalti protestandosi di volere spargere mille volte il suo sangue per la fede.

Un giorno mentre era assalito più del consueto, domandò ad un padre ivi presente, se avesse tentazioni contro la fede, ed avendogli quegli risposto di no: Ringraziate Iddio, gli disse, che non avete tali tentazioni, mentre non potete immaginarvi quali pene io soffro internamente.

Ma coll'umiliazione, con la preghiera, e con la fortezza del suo spirito riuscì vittorioso contro ogni assalto infernale, e meritò in premio dal Signore, giusta l'espressione del Savio, un dono di fede molto sublime ed eletto, donum fidei electum, ed una rimunerazione copiosissima nel tempio santo della gloria, sors in templo Dei acceptissima. E se l'esempio di lui è stato finora, e lo sarà tuttavia, di grande istruzione e di conforto ai fedeli, gli scritti di lui spargeranno sempre un lume perenne nella Chiesa del divin Redentore.




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