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P. Celestino Berruti
Lo spirito di S. A.M. de' Liguori

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  • Cap. 11 SUE OPERE POLEMICHE.
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Cap. 11

SUE OPERE POLEMICHE.

 

Lo zelo di Alfonso per la fede non si restrinse tra i confini della sua Congregazione e della sua diocesi, né tampoco riguardò solamente il vantaggio spirituale del regno di Napoli, che fu il luogo del suo apostolato. Col suo sguardo penetrante perlustrò tutti gli angoli del mondo cattolico, e piangendo sulle perdite, che la fede andava ognor facendo nel cristianesimo per le arti inique e seduttrici dei novatori, né potendo con la sua voce farsi udire da per tutto, pensò soddisfare al suo ardore ed attaccamento alla religione, impugnando la penna, e scrivendo opere ben adatte alle circostanze de' suoi tempi.

E' pur vero, che uno scrittore molto recente in una operaa con parole franche e quasi dogmatiche asserisce, che il nostro santo " è conosciuto come apostolo, non come autore: che i suoi scritti risentono tutta la fretta di un missionario continuamente occupato: e che alcuni di essi in particolare, per un nuovo sistema di dottrina, anziché giovare, sono causa di perdizione a tante anime, non che d'ignoranza al clero, il quale generalmente li consulta, e li studia".

Or io in difesa della verità avrei in buon punto la più giusta e più forte confutazione, col fare osservare ai lettori, che la Chiesa guidata sempre ed assistita dallo Spirito di Dio ha già condannata non solo quest'opera sciagurata, ma tutte le opere di quest'autore antireligioso: che l'Italia e quasi tutta Europa, se nel principio restò abbagliata dal falso splendore dei concetti e nelle forme, con cui si presentò al pubblico attonito questo proteo novello, ora scopertone il vero carattere, non cessa dal gridare altamente contro i suoi errori ed i suoi sistemi anticattolici ed antisociali: che il suo nome, quanto caro ai


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protestanti, agli atei, ed in generale a tutti i demagoghi, altrettanto si ascolta con orrore e con abbominio da tutt'i sensati e fedeli cristiani.

Ma senza trattenermi su di ciò, dico soltanto che non poteva essere amico di un santo, qual fu Alfonso, chi, essendosi fatto ravvolgere dai tenebrosi progetti della demagogia moderna, abusò di quei talenti scientifici, di cui gli era stata prodiga la Provvidenza.

Quindi consistendo la più bella gloria di nostra santa religione nell'avere per nemici ed oppugnatori gli uomini più empi e perduti: sarà un argomento il più luminoso della sublimità e della perfezione degli scritti del nostro santo la critica insussistente ed irragionevole, che per cattiva prevenzione e per forza di sistema ha osato di farne un uomo, sul cui capo si sono già scaricati i fulmini tremendi del Vaticano.

Alfonso scrisse i suoi volumi non per abbagliare gli spiriti con nuove scoperte e recondite erudizioni, né si servì di uno stile elaborato per allettare i suoi lettori, ma sì bene per riformare i cuori, e per ristabilire la vera fede sulla rovina di tutte le profane novità del suo secolo: perciò raccolse religiosamente le più sode ragioni tramandate in ogni secolo dagli apologisti della religione; s'istruì a fondo di tutt'i rapporti, che potevano aver cogli errori del suo tempo le confutazioni degli antichi sostenitori della verità, e convertendo nella sua propria sostanza quel che già erasi detto e scritto dagli autori ecclesiastici di ogni età, si è reso per tal modo formidabile ai nemici della Chiesa.

Non può negarsi, che ai tempi di Alfonso si stabilì, e si diffuse un'ardente congiura, la quale giusta la frase de' santi libri minacciava Dio ed il suo Cristo. Uscite dalla Francia le grida dell'irreligione, risuonavano, e facevansi ripetere con applauso in quasi tutte le parti del cristianesimo. Le opere di Alembert, di Rousseau, di Voltaire, di Elvezio, di Bayle, Diderot, Mirabeau, e di cento altri increduli sorpassate avendo le Alpi, erano già diffuse nella povera Italia, e circolavano furtivamente con immenso danno della fede per la metropoli e pel regno delle due Sicilie.

Il nostro santo così zelante della


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religione, ed animato da una fede così perfetta, non potette mirare senza spavento i rapidi progressi, che tuttogiorno faceva da per ogni dove l'errore. Se ne rammaricava, e se ne affliggeva grandemente nel silenzio della sua orazione, piangendo talvolta a lagrime inconsolabili. Alzava il tuono di sua voce nei suoi sermoni e nelle sue prediche per prevenire i fedeli contro la peste dei dominanti errori. Ma tutto ciò parvegli ancor poco al suo zelo di missionario e di vescovo. Perciò quantunque dalle fatiche oppresso, dalle malattie indebolito, e dalle moltiplici cure defaticato, pure si accinse per la gloria di Dio e pel bene delle anime a scrivere in difesa della verità la quale per mezzo di tante sue opere venne da un nuovo trionfo illustrata.

Compose da prima la Verità della fede contro i materialisti, deisti, ed altri settari, i quali negano che la Chiesa cattolica sia l'unica vera, confutando parimenti in detto libro l'opera intitolata l'Esprit, ed un altro libro francese intitolato De la prédication; e conchiude l'opera sua con una fervente esortazione ai zelanti della fede di Gesù Cristo, inculcando a tutti di non restarsi oziosi nell'osservare i danni deplorabili della Chiesa.

In quest'opera il nostro santo raccoglie a favore della religione cattolica le prove valevoli a convincere chiunque voglia aprir le orecchie alla ragione, e non disprezzi i lumi della divina grazia. In quest'opera smaschera gli empi capricciosi sistemi dei materialisti, e generalmente di tutti gl'increduli, mostrandoli ad evidenza privi di fondamento e di ogni verisimiglianza; giacché tutt'i miscredenti vogliono sforzarsi a credere, che si possa vivere impunemente da malvagio. E poiché gli errori di tutt'i tempi posteriori altro non sono, che quei medesimi inventati fin dai primi secoli contro la religione di Gesù Cristo, che or si riproducono vestiti di altre forme, Alfonso in questo libro somministra tutte le ragioni, onde rispondere adeguatamente ad ogni sofisma ed a tutte le artificiose fallacie dell'empietà. Siccome poi il nostro santo in tutte le sue opere cerca sempre di guadagnare il


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cuore umano; così, a differenza degli altri autori polemici, ripieno qual era dello spirito di Dio, vi sparge ben sovente delle massime ascetiche si convincenti, che costringono con dolcezza ad amare ed a seguire in pratica le regole di una religione, la quale propone a credere dommi superiori all'umana ragione, e precetti opposti agli appetiti disordinati dell'uomo.

Fra tutt'i miscredenti, che vissero nel secolo scorso, e che sforzaronsi di abbattere sin dalle fondamenta la nostra santa religione, il primo luogo deve senza dubbio attribuirsi a Voltaire. Costui ammorbò il cristianesimo con una colluvie di opuscoli, nei quali fa tracannare il veleno dell'empietà con uno stile piacevole e gradito a tutti quelli, i quali volendo scansare la fatica di leggere opere elaborate e prolisse, trovano in quest'autore il loro gusto per le satire, di cui sovente sparge i suoi detti, per le storielle di cui ridondano i suoi volumi, e per le grazie del suo dire, con cui s'insinua facilmente negli spiriti leggieri.

Osservando perciò il nostro santo, quanta impressione facessero alcune obiezioni di quell'empio contro le verità rivelate, perché gli spiriti massimamente giovani, tirati dagli appetiti del senso, amano sentir parlare di libertà, e che in qualunque religione l'uomo salvar si possa; benché avesse combattuto già questi principii così perversi con altra operetta intitolata pure Verità della fede, si determinò di attaccarli nuovamente con un opuscolo quanto ristretto, altrettanto forte in ragioni e adatto all'intelligenza di ognuno, intitolandolo Riflessioni sulla verità della divina rivelazione.

Prova in quest'opera, che all'uomo creato da Dio non per questo mondo avendolo dotato di un'anima spirituale ed immortale, né pel paradiso di Maometto, che lo renderebbe inferiore alle bestie, la divina rivelazione è assolutamente necessaria, affinché possa conseguire il suo ultimo fine, mentre essa sola gli può somministrare i lumi per conoscerlo, e la forza per acquistarlo. Inoltre sgombra la solita obiezione dei novatori, che la rivelazione renda l'uomo infelice su questa terra; giacché mentre non ha altro in mira se non di felicitarlo nella eternità, non


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tralascia tuttavia di renderlo felice nel tempo presente secondo la sua capacità, e che questo non può ottenersi né dalle leggi umane, né dalla sola minaccia de' castighi temporali. Finalmente addimostra, che la tranquillità pubblica e la prosperità de' regni non è l'opera delle lettere e della filosofia, ma della religione cristiana cattolica, e specialmente del sacramento della penitenza.

Un'altra opera non men giovevole alla religione che alla salute degli uomini scrisse Alfonso animato da quello spirito, che sempre lo moveva alle imprese tendenti al dilatamento e conservazione della fede. Fu da lui intitolata La condotta della divina provvidenza ammirabile in salvare l'uomo per mezzo di Gesù Cristo. Non è altro questa che una compendiosissima raccolta di quasi tutt'i fatti più principali, che riguardano la religione, per dimostrare gli amorosi disegni di Dio nella creazione dell'uomo, e la cura ammirabile da lui manifestata in tutt'i tempi per salvare l'uman genere, col fondare la sua Chiesa fin dal principio del mondo, conservarla, e difenderla sempre col mezzo ed in virtù della croce contro gli sforzi dell'inferno, che ha cercato devastarla.

La vastità della dottrina, il discernimento dei giudizi nelle materie istoriche, e l'ingegno di racchiudere in un quadro così piccolo dei fatti tanto svariati dà a divedere qual fosse l'autore, che compose questo opuscolo. Alfonso aveva in mira di crescere i libri concernenti la fede, per fare un contrapposto ai miscredenti novatori, i quali con una moltiplicità di opuscoli cercavano di infettare la Chiesa di Gesù Cristo introducendosi presso ogni classe di persone.

Vero è che i libri del nostro santo par che non possano stare a fronte di quelli per la semplicità del suo dire; ma se riflettesi, che la chiarezza ed unzione di esso lo rende intelligibile non meno agli idioti, che piacevole ed ammirevole ai dotti, si resterà convinti del gran bene operato da Alfonso a beneficio della religione, e quanto perfettamente compiuto abbia la missione ricevuta da Dio.

Ma non finisce qui lo zelo del nostro santo a favor della


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fede. Egli non era mai stanco di dettare, e scrivere nuove opere, per far risuonare la sua voce da per ogni dove.

Diede alla luce eziandio un'altra opera più voluminosa, e molto interessante, che chiamò Trionfo della Chiesa. In questa dopo aver descritto minutamente la storia di tutti gli eresiarchi e delle eresie di tutti i secoli, incominciando da Simone il mago fino ai tempi suoi, confuta nel terzo volume con la più sana filosofia e teologia gli errori tutti, che a danno della Chiesa han vomitato gl'increduli di tutte l'età. Ma in particolar modo fa rilevare gli errori degli ultimi tempi, la contraddizione dei loro dogmi, e la fermezza invariabile della romana Chiesa. Quanto applauso ricevesse quest'opera di Alfonso, si può leggere nella Vita del Tannoia; imperocché con questa il nostro santo ha presentato ai giovani teologi un corredo abbondantissimo per lo studio di questa scienza, ed a tutti gli ecclesiastici specialmente ha dato un mezzo per rinnovare nella loro memoria con somma facilità le ragioni per confutare ogni sorta di errori.

Ma non essendo giammai pago abbastanza lo zelo di Alfonso per la fede, e volendo sempre più premunire i fedeli contro gli errori, e dare altresì ai ministri del santuario le armi opportune per resistere ai nemici della religione, pensò di scrivere un'altra opera molto utile ed interessante da lui intitolata Opera dogmatica contro gli eretici pretesi riformati.

Nell'esercizio ben lungo del suo ministero aveva egli scorto, qual danno cagionasse alla fede la storia scritta da Paolo Sarpi; e benché quest'autore sia stato abbondantemente confutato dal cardinale Pallavicino nella sua Storia del Concilio di Trento, riflettette, che ben pochi sono quelli, i quali abbiano la comodità ed il tempo di leggere quest'autore. Inoltre sono per lo più sparse qua e là, e confuse le molte cose, che si discettarono nel Concilio di Trento, quantunque il suddetto autore abbia procurato di raccoglierle tutte con diligenza. Alfonso pertanto imprese il lavoro di unirle ordinatamente in un compendio, affinché trattate le questioni secondo l'ordine di


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ciascuna materia, possano più facilmente scoprirsi i sofismi degli eretici, ed acquistare nella mente di ognuno maggior luce le verità della nostra santa fede. Sebbene e d'uopo dire, che il nostro santo non si restrinse a quel solo, che vien trattato dal Pallavicino, trovandosi nella sua opera dogmatica, siccome egli stesso attesta nell'introduzione, molte altre quistioni dogmatiche e scolastiche appartenenti ai dogmi definiti dal Concilio.

E poiché eragli sempre a cuore di fissare nel cuor dei fedeli il rispetto e l'ubbidienza dovuta alla Chiesa, aggiunge un trattato utilissimo sulla infallibilità della medesima, sulla regola della fede, e sulla necessità di un giudice infallibile nelle definizioni della Chiesa stessa. Il papa Clemente XIV, cui Alfonso dedicò questo suo lavoro, se ne compiacque grandemente, e lodò il suo gran zelo nel promuovere fra i miscredenti la cognizione della vera fede e fra i cattolici l'attaccamento alla medesima.

Ed appunto per infervorare vie maggiormente tutt'i cristiani nell'amore a Gesù Cristo e nell'attaccamento alla santa fede, si prese anche la cura Alfonso di descrivere le vittorie dei martiri più rinomati, e presentare allo sguardo di ognuno il loro eroismo nel difendere a costo del sangue e della vita il vangelo.

Diede per titolo a questa nuova opera Vittorie de' Martiri. Ragiona in sul principio con utilissime riflessioni sulle virtù esercitate dai campioni della fede nei loro combattimenti; narra i diversi e molteplici tormenti, coi quali furono cruciati, e fa considerare i gran frutti, che possono ricavarsi sia col leggere i vari generi di martirio da loro sofferti, sia col meditare le loro sublimi virtù. Dopo di ciò egli narra partitamente la storia di ciascuno sino a quegli eroi, i quali si resero tanto ammirabili nel Giappone.

Non v'ha dubbio, che presso molti autori trovansi registrati i trionfi de' martiri, e specialmente ne han trattato gli autori tutti della storia ecclesiastica, e degli annali della religione; ma il pensiero di radunare in succinto le virtù, le gesta, ed il trionfo dei principali eroi della Chiesa era solo di Alfonso, il quale nella mira


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di promuovere con tutt'i mezzi possibili la gloria del suo Dio, inventar seppe i mezzi più facili per farsi udire nel cristianesimo da ogni classe di persone; e difatti si osserva, che questi suoi libri mentre per la loro chiarezza e per la comodità, che presentano, vanno per le mani finanche degli idioti, incontrano parimente il gusto dei dotti, e sono ai medesimi di non piccolo aiuto per la loro erudizione e dottrina.

Alla classe dei libri polemici di Alfonso deve anche riportarsi quella sua egregia operetta intitolata La fedeltà dei vassalli verso Dio li rende fedeli al proprio principe. Mentre oggidì vuolsi sostituire la sovranità del popolo a quella del principe giusta i principii di tutti i protestanti, per giungere in tal guisa a distruggere insieme col trono eziandio la religione; il nostro santo nella chiarezza e profondità delle sue vedute, ed infiammato sempre dallo zelo della vera fede, che lo divorava, pensò, che un tale argomento sarebbe stato un ottimo preservativo contro gli errori dominanti.

Difatti essendosi fatta pervenire quest'opera a tutti i principi cattolici e loro ministri, produsse gran bene, e fu molto applaudita. Stabilisce da prima alcune massime tendenti e proprie a promuovere la gloria di Dio, il bene dei sovrani, ed il vantaggio dei sudditi: quindi mette in veduta vari esempi di principi savi e santi, i quali col promuovere nei propri sudditi i vantaggi spirituali resero florido il loro stato, e goderono insieme col popolo i frutti della pace.

Dal detto fin qui risulta chiaramente, che avendo la divina Provvidenza destinato Alfonso per un apostolato di sommo vantaggio alla Chiesa nel secolo scorso, versò nello spirito di lui la piena salutare della sua divina sapienza: Aqua sapientiae salutaris potavit illum: affinché la missione di lui non fosse limitata al periodo troppo breve della vita di un uomo, ma fosse permanente nei secoli posteriori. Nella Chiesa di Dio vi saranno sempre degli errori, i quali benché vestiti di nuove forma saranno però gli stessi in ogni età; ma nelle opere di Alfonso potran rinvenirsi gli argomenti per confutare tutti


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gl'increduli nemici della religione. I suoi scritti per la difesa della fede si riguarderanno nei secoli avvenire, come son riguardati al presente, quali opere utilissime; ed il nostro santo sarà un apologista da potersi paragonare ai più forti sostegni, che a beneficio della religione siano stati nei secoli precedenti. Anzi poiché con tanta chiarezza discopre egli le mentite apparenze di ogni errore, e lo combatte animosamente, e lo insegue nei suoi giri tortuosi; quindi dalle nuove dimostrazioni del nostro santo riverbera una luce brillantissima, per cui dileguandosi le orribili e dense tenebre, che l'incredulità si sforza spargere da per tutto, la gioventù non solo, ma ogni classe di gente, che sia amante della verità, può rinvenire nelle opere di lui il pascolo salutare da rinvigorire lo spirito, ed allontanarlo da ogni novità tanto pregiudizievole alla vera fede.

Quivi si vede confusa l'insolenza e la sfrontatezza de' nemici del santuario; quivi la scienza vana del secolo, che gonfia ed insuperbisce, cede il suo posto alla semplicità del vangelo, che illumina, ed edifica; quivi finalmente le artificiose parole della più seducente eloquenza perdono tutto il loro prestigio per la virtù; sovrana della croce.

Insomma mentre Alfonso attacca e combatte i superbi filosofi del suo tempo coll'umile semplicità e chiarezza evangelica; poiché mercé la sua profonda dottrina incalza da per tutto i nemici della fede, e confonde mirabilmente con sode ed ineluttabili ragioni i loro sistemi rovinosi, ha il vantaggio di essere da tutti inteso, da tutti amato, da tutti riverito per la sua santità e dottrina.

 

 

Posizione Originale Nota - Libro V, Cap. 11, pag. 97




a Gesuita moderno, tom. 2, cap. 7






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