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P. Celestino Berruti
Lo spirito di S. A.M. de' Liguori

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  • Cap.13 SUA TENERA CONFIDENZA IN DIO.
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Cap.13

SUA TENERA CONFIDENZA IN DIO.

 


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La virtù della speranza vien chiamata a buon diritto dal grande Agostino sorella germana della fede; mentre, come insegna s. Bernardo, non potrebbe sperarsi quel che non si crede; e se noi speriamo il premio futuro, lo è in forza della fede, che cel propone a credere, appellata perciò dall'Apostolo sperandarum substantia rerum, argumentum non apparentium. Ma siccome senza il divino aiuto nessuna opera può dagli uomini praticarsi, che sia meritoria della vita eterna;  così oggetto della speranza non è solo l'eterna beatitudine, ma i mezzi altresì e la grazia, con che operando il bene possa conseguire il premio eterno.

 


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Mentre adunque la speranza distende i suoi slanci insino a Dio, aspetta il soccorso per conseguir questo sommo bene dalla grazia, che Dio stesso deve conferire: e premiando il Signore le nostre opere nell'altra vita, corona, dice Agostino, la sua grazia stessa, che ci ha confortati ad acquistar questi meriti.

Fu questa l'àncora sicurissima di Alfonso Maria de Liguori fino al termine di sua mortale carriera. Sperava con certezza di conseguire la propria salute non per i suoi meriti, ma per quelli valevolissimi del suo Redentore Gesù Cristo, e per l'intercessione di Maria santissima: potendosi ben dire, che la vita di lui fu un atto continuo di speranza col raccomandarsi sempre a Dio ed alla Vergine santa, con invocarla sua speranza dopo Dio, né diffidando mai del soccorso di Lei in tutt'i suoi bisogni sì spirituali sì temporali.

Alfonso era cotanto penetrato da questa gran massima, che la nostra salvezza dipende dalla confidenza in Dio e dalla preghiera, che compose a bella posta un libro intitolato Gran mezzo della preghiera, per affezionare i fedeli a questo divoto esercizio, e per rinfocolare nel loro cuore la fiducia in Dio.

Ordinò ai suoi congregati, che nelle missioni ed esercizi spirituali non avessero giammai tralasciato di animare i popoli alla confidenza in Gesù Cristo e Maria santissima; e stabilì ancora, che nelle missioni stesse dopo le prediche di terrore si facesse la predica in onore della Vergine santa, e si conchiudesse la missione coll'insegnare il modo di meditare e di ben pregare; giacché, come egli diceva, se il popolo dopo essere stato scosso, e convertito al Signore col terrore dei divini giudizi, non prosegue mercé la preghiera ad implorare il divino soccorso per la perseveranza nel bene incominciato, la conversione durerà poco tempo, e si ritornerà ai vizi primieri.

Ei medesimo nei suoi sermoni inveiva bensì con grande veemenza di zelo contro il peccato; atterriva i suoi uditori con le minacce del divino castigo, compungeva, e triturava, per così dire, il loro cuore: ma non terminava giammai il suo dire senza infondere nell'animo di tutti la speranza del perdono


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dalla divina misericordia, e degli aiuti necessari per mantenersi nel bene incominciato dai meriti di Gesù Cristo e dalla intercessione di Maria santissima.

Anzi è cosa rimarchevole, che questo santo, il quale oltre l'aver procurato la salute dei prossimi coll'annunziare per tanti anni con sì grande profitto la divina parola, e promosso eziandio la salvezza di tutti col comporre tanti libri di pietà, nei medesimi abbia stillato sentimenti tutti ripieni di tenera confidenza in Dio.

Ben convinto che l'uomo non può da sé stesso operare alcun bene meritevole della vita eterna senza il divino aiuto, che per i meriti del Redentore a noi si concede, penetrato della grande umana fragilità per la caduta originale, in tutt'i suoi libri non cessa d'inculcare sempre il ricorso a Dio e la confidenza in lui, con espressioni tanto affettuose, che il cuor di ognuno sentesi commosso e trasportato da tenero affetto a servire Dio, ad amarlo sopra tutte le cose, ed a disprezzare i beni caduchi di questa terra. Da ciò quell'unzione soave, che trovasi in tutte le sue opere; da ciò quel vantaggio, che ne ridonda per la vita spirituale in tutti coloro, che percorrono i suoi libri; da ciò finalmente quelle conversioni continue, che si ottengono col leggere i suoi volumi.

Che se tanto ripieno di confidenza era Alfonso rispetto alla sua salute eterna, molto più sviluppossi in lui questa virtù, allorquando Iddio per provare il suo servo permise, che assalito fosse da scrupoli ed angustie interne di spirito, da orribili fantasmi e tentazioni infernali. I suoi timori dileguavansi col solo pronunziare quelle parole del salmista: In te, Domine, speravi, non confundar in aeternum.

Tentato un giorno fortemente contro la medesima virtù della speranza, e fattosi chiamare il suo direttore D. Andrea Villani, gli manifestò che il demonio voleva indurlo a disperarsi. Il detto padre gli suggerì, che confidato avesse in Gesù Cristo e Maria santissima: ma il santo rispose di aver praticato questi atti, e ripigliò: Il demonio mi vuol far disperare, ma io voglio sempre confidare in Gesù Cristo. Quindi rivoltò coi suoi sguardi ad una


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immagine di Maria santissima esclamò: Ah mamma mia, tu sei la speranza mia: e poi volgendosi al crocifisso soggiunse: Gesù Cristo mio, tu sei morto per me, il sangue tuo è la speranza mia, e tutta la mia salute.

Così in tutte le sue desolazioni di spirito, in tutte le sue diffidenze, che non furono poche negli ultimi anni di sua vita, mentre il Signore per accrescere i meriti del suo servo, e per purgarlo sempre più nel crogiuolo della tribolazione permise, che sovente fosse turbato da orrendi fantasmi ed assalti di tentazioni; ripeteva sempre le medesime giaculatorie di confidenza nel suo Dio dicendo: Mihi autem adhaerere Deo bonum est, ponere in Domino Deo spem meam.

Ascoltando una mattina la messa nel suo oratorio in Pagani, fu tentato fortemente di diffidenza. Alza gli occhi il santo per mirare il gran crocifisso, che, ivi sta fisso sopra l'altare, per implorare conforto; ma così permettendolo Iddio, l'infernal nemico glielo toglieva dalla vista. Sbigottito allora Alfonso si rivolse al p. Mazzini ivi presente, e lagrimando gli disse: D. Giovanni, non mi lasciate solo, perché il demonio mi vuol far disperare. Quindi sempre replicava in un continuo esercizio di preghiera queste parole: Gesù mio, tu sei la mia speranza, mamma mia Maria, tu sei la speranza mia. La quale giaculatoria da lui pronunziata in tutto il tempo di sua vita, ogni qual volta s'incontrava in qualche immagine della Vergine santa, divenne tanto abituale nella sua bocca, che la ripeteva con somma confidenza in tutt'i suoi bisogni spirituali e temporali.

L'unico mezzo, così egli diceva, si è di abbandonarsi nelle mani di Dio, quando vengono le tentazioni ad assalirci. I nostri mezzi sono fallaci. Mio Dio, replicò, io mi butto nelle vostre braccia, e nel seno della vostra misericordia. Voi mi potete salvare.

Lungi pertanto dal mettere la sua confidenza per la salute eterna nelle opere buone, che in sì gran numero aveva praticato il santo nel lungo corso di sua vita, e ne' copiosi meriti, che aveva cumulato per la vita eterna, diffidando sempre di sè stesso, ed in Dio riponendo solo la sua confidenza, progredì costantemente nell'esercizio


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delle più eroiche virtù. Vedendolo uno de' nostri padri agitato grandemente da scrupoli, per rincorarlo gli rammentò le tante opere buone da lui fatte. Ma il servo di Dio l'interruppe immantinente dicendo: Che opere buone, che opere buone? La speranza mia è Gesù Cristo, e dopo lui la Madonna.

Così che manifestando, ed accoppiando somma umiltà ad eroica confidenza fece palese, qual fosse la virtù della speranza, che lo sosteneva nei travagli della presente vita, e lo innalzava al sommo bene, congiungendolo a Dio coi vincoli soavi di un figlio verso il proprio padre. E' singolare quella specie di testamento, che dettò una mattina al fratello Francescantonio nello svegliarsi. Gl'impose di prender la carta, e scrivere: "Oggi 21 dicembre 1785. Io Alfonso Maria de Liguori della Congregazione del santissimo Redentore fidato nella bontà di Gesù Cristo muoio sicuro, credendo certamente di salvarmi per i meriti di Gesù Cristo e di Maria santissima, sperando di andare presto a rendere loro le dovute grazie nel paradiso." Indi consegnò la detta carta nelle mani del suo direttore, affinché gliela potesse leggere nell'occasione di essere assalito da tentazioni di diffidenza.

Animato da questa speranza fu Alfonso eziandio intrepido sempre in mezzo alle continue difficoltà, che si presentarono per attraversargli lo stabilimento e l'incremento della sua Congregazione. Questi ostacoli eran di due sorta: opposizione per parte degli uomini nemici delle istituzioni religiose tendenti al vantaggio spirituale delle anime; deficienza di mezzi e di soccorsi, sia per fondare le case del suo Istituto, sia per mantenimento degl'individui, che aggregavansi alla sua sequela. Or quale sia stata la fermezza di sua speranza nel fondare la sua Congregazione si è veduto profusamente nel corso di sua vita, mentre ad onta di ogni opposizione scatenatagli contro dall'inferno per attraversargli il suo disegno, Alfonso a guisa di uno scoglio rimanendo immobile a tutti gli urti delle procelle pervenne all'adempimento del suo scopo, sol perché era sicuro di adempiere la volontà del suo Dio.

 


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  Gesù Cristo in queste nostre persecuzioni, così scriveva in una lettera, ha fatto miracoli, e son sicuro, che non permetterà, che l'opera sua si distrugga, essendo di tanto profitto ai poveri peccatori. Dalla Calabria, dalla Puglia, dalla Basilicata, da Sicilia e dallo Stato pontificio ho notizie, che m'inteneriscono per le fatiche dei nostri padri, e pel bene che fanno. Sia benedetto Dio  a

Similmente scriveva al p. Blasucci in riguardo alla fondazione della nostra casa in Girgenti: Alcuno qui vuol farmi diffidare di veder sussistere cotesta casa in Girgenti; ma io non mi risolverò mai a richiamare i padri, se non vedo le cose affatto disperate: spero in Dio, che mi liberi da questa afflizione prima di morire  b.

Ma riguardo ai mezzi necessari per istituire le nuove case, e per mantenere gl'individui risplende non minore la sua speranza in quel Dio, il quale veste colla sua provvidenza l'erbe ed i fiori del campo, ed alimenta gli uccelli dell'aria.

Sprovveduto di rendite e di tutti gli umani aiuti non vi voleva meno che la grande confidenza di Alfonso per non arrestarsi, e per non tralasciare l'opera intrapresa. Osservava le angustie ed i patimenti dei suoi alunni per la somma povertà, con cui si viveva: molti eziandio lo abbandonavano, non sapendo sopportare tanta penuria: ma il santo senza perdersi di animo ripeteva: Portiamoci bene con Dio, che Dio non mancherà di darci il necessario al nostro sostentamento.

E poiché alcuni de' suoi congregati lo dissuadevano alle volte di ricevere altri alunni per l'accennato motivo della grande povertà ed impotenza ad alimentarli, il servo di Dio ripieno di confidenza rispondeva: Quando mai Iddio ci ha fatto mancare il pane necessario? Se Dio li chiama, Dio loro darà da vivere: amiamo la gloria di Dio, che Dio penserà a noi. Che però i suoi discorsi familiari coi suoi congregati raggiravansi ben sovente sulla confidenza, che deve aversi in Dio. Un giorno, chiamatosi il


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p. Rossi, così gli disse: "Noi non dobbiamo fare come i secolari, i quali prima adunano il danaro, e poi danno di piglio alla fabbrica. Noi dobbiamo confidare in Dio, ed operare tutto all'opposto." Quindi volle, che senza dilazione si fosse cominciata la fabbrica in Ciorani con un zecchino. Difatti in un anno fu cominciato e finito un intiero lato della casa. Un superiore diffidava per la sussistenza della casa, che reggeva; ma il santo gli scrisse: Finché i nostri avranno cura della gloria di Dio, e si affaticheranno per la salute delle anime, loro non mancherà né Dio, né il prossimo. Dio è un Signore, che non si fa vincere in cortesia.

Ed altra volta fece, dirò così, una profezia, animato dalla sua tenera confidenza. Due rettori di recente nominati a tale carica si portarono in Arienzo per visitarlo, e prendere la sua benedizione. Egli li esortò a mantenere illibata l'osservanza regolare, e non aver timore per la sussistenza delle case, che andavano a governare. Quindi soggiunse: La Congregazione non è opera mia, ma di Dio, e Dio la manterrà, non dubitate. Non temete, né vi affligga la povertà. Se non avete pane, scopritevi a qualche benefattore, e quello si toglierà il pane dalla bocca, e lo darà a voi.

Quest'uomo tutto di Dio, e che altro non agognava, se non che la gloria del suo Signore, dimenticando sé medesimo e tutte le cose temporali, viveva a guisa di un bambino nelle braccia della divina provvidenza, sostenuto in tutt'i suoi travagli dalla sua eroica fiducia, e diretto in tutte le sue operazioni dal pensiero del divino beneplacito.

Difatti si osserva nella vita di Alfonso, che quella gran massima del divin Redentore, alla cui meditazione risolvette di abbandonare per sempre il mondo, influì efficacemente in tutto il tenore del suo vivere per la lunga carriera del suo apostolato. Facendo gli esercizi in Napoli nella chiesa di santa Restituta, allorché era già provetto nel ministero della predicazione, a quelle parole di Gesù Cristo: Quid prodest homini, esclamò dicendo: Sono stato fino all'età di 26 anni in mezzo al secolo, ma questa massima mi ha cacciato dal mondo; e


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ciò disse con tanta vivacità di espressione, che un sacerdote ivi presente per nome D. Gaetano di Geronimo segnossi queste parole, e se ne avvalse in altra occasione, in cui predicando alle monache di s. Andrea ottenne un mirabile effetto per invogliarle a maggior perfezione.

Or chiunque consideri la vita di Alfonso nel secolo già tanto virtuosa ed innocente, ed osservi di poi tutto il complesso delle sue eroiche azioni, dacché abbandonò il mondo fino alla sua decrepitezza, verrà a convincersi, che siccome la virtù della speranza fu il principio del totale distaccamento di lui dal mondo, così ne fu eziandio il sostegno in mezzo alle fatiche dell'apostolato, alle contraddizioni sofferte, alle imprese condotte gloriosamente a fine, non perdendo giammai di vista lo scopo, che si prefisse nel dedicarsi intieramente a Dio.

Discorrendosi un giorno del gran timore palesato da s. Andrea Avellino, e da s. Ludovico Beltrando intorno alla loro salute, asserì, che gli faceva molta impressione; ma subito confortando gli astanti alla speranza: Il timor nostro, disse, è simile a quello di chi ha la tempesta nel porto, ove difficilmente si perisce: ma quello dei mondani è simile a chi ha la tempesta in mezzo all'oceano, ove è quasi sicuro il naufragio.

Ma questa confidenza filiale verso il suo Dio, se da una parte gli infondeva coraggio ed ilarità nel soffrire per Dio, dall'altra accendeva in lui ardente il desiderio di presto morire per congiungersi intieramente ed eternamente col sommo bene. In tutt'i suoi discorsi parlava sempre della morte con piacere e senza alcuna tristezza; il qual pensiero gli era familiarissimo; ed in tutte le sue lettere raccomandava sempre a chi scriveva, che avesse pregato il Signore per concedergli una buona morte. Lo stesso praticava con coloro, che lo visitavano, o avvicinavansi a lui per consiglio.

Essendo arrivati in Pagani gli studenti destinati colà per lo studio della teologia, il santo se ne rallegrò grandemente nel vederli, e disse loro: Eh può essere, che vi troviate alla festa mia. Le sue ordinarie esclamazioni erano le seguenti: Gesù Cristo mio, mi paiono mille


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anni di morire per aver la bella sorte di vederti in cielo. Mi paiono mille anni, Gesù mio, di morire per vederti in paradiso. Il pensiero del paradiso gli era sempre fisso nella mente. Con questo si confortava in tutte le sue angustie e specialmente nelle tentazioni.

Invitato una volta già decrepito, e propriamente nell'anno 1782, a suonare il cembalo, condiscese piacevolmente; ma nel suonare fu assalito da una tentazione: cessa all'improvviso, alza le mani al cielo, ed esclama pietosamente: Io non vi acconsento; ma dicono molti autori, che nel paradiso vi è ogni sorta d'istrumenti. Perciò allorquando moriva un congregato esemplare, sentiva quasi una santa invidia per la morte di lui, dicendo al suo solito: Gloria Patri, oppure esclamando: Quando avremo noi ancora la bella sorte di essergli compagni nel cielo?

A tale oggetto avevasi notato quei testi della Scrittura, i quali parlano della confidenza in Dio, e dilatano il cuore alla speranza. Di questi ne teneva una raccolta per conforto del suo spirito, e per sollevare ancora gli altri, che tentati di diffidenza avessero avuto ricorso a lui; e sovente li ruminava, e nelle sue afflizioni ne riportava grande sollievo.

Essendo gravemente infermo in sant'Agata de' Goti, e temendo, che il demonio lo tentasse di diffidenza, affidò al padre Caputo domenicano un notamento dei succennati testi affinché glieli avesse suggeriti in punto di morte. Negli ultimi anni di sua vita, in cui era sovente afflitto da tentazioni di diffidenza, e talvolta in grande oscurità di spirito, fu veduto rivolgersi al crocifisso, e fu inteso esclamare: Dunque, Gesù mio, non ti debbo amare eternamente? Poi volgendosi alla Vergine santissima ripeteva: Mamma mia, perché non ti ho da godere in paradiso?

Anzi essendo un giorno talmente immerso in queste aridità di spirito, che sembrava non potersi con alcuna riflessione sgombrare i suoi scrupoli, un sacerdote avvicinandosi a lui gli disse: Monsignore, guardate il crocifisso, e dite con me: In te, Domine, speravi, non confundar in aeternum. A queste parole esultò di gioia il santo, e non finiva di ripetere: In te, Domine, speravi etc

 


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Ma quel Dio, il quale si compiace di provare i suoi servi diletti, e mentre sembra star lungi da essi, allora è più vicino, ricompensò abbondantemente il suo servo, infondendogli una pace invidiabile nel termine di sua carriera. Così verificossi in Alfonso quel detto infallibile dell'Apostolo, che la tribolazione opera in noi la pazienza, la pazienza è una prova della virtù, che si esercita pel divino amore; ma questa prova infonde maggiore speranza in Dio, e questa speranza lungi dall'apportare confusione, rallegra lo spirito, e dà il coraggio a sopportare dolcemente ogni avversità per incontrare il gusto di Dio.

Imperciocché essendo vissuto Alfonso di speranza, ed avendo sostenuto alacremente stenti e fatiche per amore del suo Dio, svanirono negli ultimi giorni di sua vita tutte le ansietà del suo spirito; la tranquillità perfetta successe ai giorni di travaglio e di pene, avverandosi in lui la sentenza del Savio: In timore Domini esto tota die, et habebis spem in novissimo; giacché, al dire di s. Gregorio, l'uomo che ripone in Dio la sua speranza, ed è conscio del suo bene operare, rallegrasi alla venuta del giudice supremo; ed allorquando si avvicina il tempo del suo passaggio da questa vita, nella certa espettazione di un premio eterno si conforta, e consola.

 

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Posizione Originale Nota - Libro V, cap. 13, pag. 117




a Lett. Ined.



b Lett. Ined.






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