Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
P. Celestino Berruti
Lo spirito di S. A.M. de' Liguori

IntraText CT - Lettura del testo

  • Cap.31 SUO RACCOGLIMENTO ED INTIMA UNIONE CON DIO.
Precedente - Successivo

Clicca qui per attivare i link alle concordanze

- 295 -


Cap.31

SUO RACCOGLIMENTO ED INTIMA UNIONE CON DIO.

 

Il più nobile effetto dell'orazione si è certamente il raccoglimento e l'unione dello spirito con Dio. Un'anima, la quale conversa sovente col Signore, perde ogni gusto delle cose terrene, e non ama di trattenersi nella conversazione degli uomini. L'orazione distaccando il cuore dalla terra lo innamora del sommo Bene, lo dispone e lo rende atto a comunicare con Dio, lo accende della divina carità in proporzione della docilità di lui alla voce, con cui interiormente gli parla il Signore; perciò, quanto più frequente e più fervida sarà l'orazione, tanto ancora più stretti verranno a formarsi i vincoli dell'anima con


- 296 -


Dio. Giudichiamo pertanto del raccoglimento di spirito e del1'intima unione con Dio in Alfonso dalla eccellenza e dal fervore della sua orazione.

Fin da che dimorava ancora nel secolo, era già tanto innamorato di Dio il nostro santo, che di altro parlar non sapeva conversando coi suoi colleghi, coi suoi penitenti, e con chiunque lo avvicinava, se non che dei mezzi onde avanzarsi nello spirito e piacere al Signore; e fra le altre massime, che sempre si raggiravano nei suoi discorsi, la principale era sulla vanità delle cose mondane. Il che dimostra, che lo spirito di Alfonso era tutto alieno dalla terra, e che concentrato viveva nello studio delle cose celesti. Quindi quel suo zelo veemente, con cui diè principio alla sua vita apostolica, non curando disagi, fatiche, ed anche infermità per promuovere il bene delle anime; quindi quelle espressioni così toccanti e sentimentali, che lo fecero distinguere ben presto qual uomo veramente apostolico nell'annunziare la divina parola; quindi quelle esortazioni così patetiche e commoventi, le quali nel tribunale della penitenza compungevano i cuori, e li attraevano soavemente e tenacemente ad un vivere cristiano ed esemplare.

Or questo raccoglimento, che di sua natura conduce l'uomo ad operare rettamente nell'esercizio dei suoi doveri, fu quello che contraddistinse Alfonso nella lunga carriera del suo apostolato, facendolo ravvisare mai sempre intento a procurare la divina gloria, a non avere alcun riguardo di sè stesso, per incontrare unicamente il beneplacito di Dio; fu quello che lo fece vivere su questa terra, ma senza alcun affetto anche minimo a qualunque siasi cosa; fu quello insomma, che ingolfò il suo spirito talmente in Dio, che la vita di lui può rassomigliarsi a quegli spiriti beati, i quali assistendo al divin trono, mentre pel sommo rispetto si coprono il volto con le ali per non essere abbagliati dallo splendore della divina maestà, compiono in pari tempo il loro uffizio di correre in aiuto degli uomini al cenno del Re della gloria.

Così Alfonso mentre viveva di una vita interiore e nascosta in Gesù Cristo,


- 297 -


ricoprendo sé medesimo e le sue virtù sotto il velo del proprio annientamento, eseguiva fedelissimamente il suo ministero, senza che alcun pensiero di terra occupasse giammai il suo cuore.

Questo raccoglimento produceva in Alfonso quella sollecitudine non interrotta di cercare in tutte le cose il mezzo di sollevarsi a Dio col suo pensiero e coi suoi affetti. Dai dolori, che soffriva a cagione delle sue prolungate ed intense malattie, prendeva occasione di rivolgersi al Signore con atti di eroica rassegnazione. Volle un giorno il fratello laico fargli fare un po' di moto, ed egli ubbidiente mentre ad ogni passo risentiva un tormento, sfogava col suo cuore e colla sua lingua in atti di ringraziamento e di offerta a Dio.

Dalla lezione spirituale, che ogni giorno gli faceva sulle glorie di Maria, prendeva motivo di alzare sovente i suoi sguardi ad un'immagine della Vergine, che gli stava rimpetto, e che teneva il bambino Gesù nelle sue braccia; ed erano così teneri e divoti questi suoi sguardi da innamorare gli astanti.

Anzi leggendosi una volta il terzo dolore di Maria santissima si elevò cotanto a riflettere sulla povertà della madre di Dio, che interruppe il lettore, e cominciò a dire, che la Vergine santissima andava vestita da povera, e che il Signore la tribolava di quando in quando con qualche dolore il che disse con tanto fervore, che si commosse colui che leggeva, ed altri ch'erano presenti.

Facevasi leggere fra gli altri libri anche la vita di D. Paolo Cafaro da lui scritta, e ad ogni atto di virtù dal medesimo praticato si fermava, e facendo atto di ammirazione esclamava: oh D. Paolo!

Negli spasimi di testa, che lo afflissero frequentemente nel corso di sua vita, pensava alla coronazione di spine del nostro Signor Gesù Cristo, e qualora giaceva a letto tormentato dalla febbre, o dai suoi dolori acutissimi di artritide, esclamava: Non trovo sito, sto con Gesù Cristo sulla croce, ma egli stava appeso a tre uncini di ferro, ed io sto sul materasso.

Raccogliendo i fiori nel giardino, come era suo costume, allorché vi andava


- 298 -


a prendere un po' d'aria, per collocarli avanti a Gesù sacramentato, andava ripetendo: qui pascitur inter lilia, o altro testo adatto alla circostanza, facendo conoscere, che nel fare quest'azione egli meditava la purità di Gesù Cristo, che si rassomiglia al giglio del campo, la umiltà di lui, che lo paragona alle viole, il martirio e la passione, con che si rassomiglia alla rosa. Ora tutto ciò dà a divedere, che la mente di Alfonso era sempre occupata in Dio e nelle cose sante, perloché il suo cuore tramandava a somiglianza di un vaso pieno di celeste liquore la soave fragranza della sua intima unione col sommo Bene.

Da questo raccoglimento del suo spirito nasceva altresì quella purità d'intenzione, che lo accompagnava in tutte le sue opere. Se egli studiò cotanto, e si rese così celebre nelle scienze divine ed umane, non ebbe altra mira nel suo studio indefesso, se non che la gloria di Dio; e niente più; riputava, se non che la scienza di Gesù Cristo.

Quindi diceva ai suoi congregati in una delle sue esortazioni: « La scienza è sapere solo Gesù Cristo. A che serve la scienza se non per cercare solo Iddio? Possiamo dire, che il nostro fratello Blasucci già defunto ha avuta la vera scienza, mentre in tutte le cose cercava solo Dio, e perciò ha fatto una morte da santo » .

Per questo suo raccoglimento, nel sollievo stesso, che dava al suo corpo defaticato, cercava solamente il gusto di Dio, e diceva: E' vero che dobbiamo prenderci un poco di ricreazione; ma è vero ancora, che nelle medesime ricreazioni dobbiamo cercare solo Dio e dobbiamo sollevarci, perché lo vuole Iddio, solo per Dio.

Ed insegnando ai suoi come dovevano comportarsi nel conversare, così si esprimeva: La vita nostra deve esser lontana dalle cose secolaresche, e nel trattare scambievolmente fra di noi, e anche nello scrivere, non dobbiamo servirci degli usi del mondo. Nel trattare con secolari sempre dobbiamo insinuare massime di spirito, e dobbianio fuggire i discorsi delle cose del mondo.

Al qual proposito il nostro santo servivasi di un paragone molto calzante e patetico. Siccome il compasso, diceva, con una punta sta fisso, e coll'altra forma il circolo


- 299 -


ritornando al punto della sua partenza: così dobbiamo noi diportarci nel nostro operare. Con questa massima dipingeva il santo sé medesimo, ed ammaestrava i suoi congregati, i quali chiamati da Dio alla vita apostolica non debbono giammai permettere, che la distrazione s'impossessi del loro spirito, ma operando con rettitudine d'intenzione, e vivendo uniti con Dio debbono promuovere la salvezza delle anime senza detrimento della propria perfezione.

Difatti mentre il raccoglimento dello spirito produce il distaccamento dalle cose terrene e l'unione con Dio; a proporzione che l'anima a Dio si congiunge, viene in pari tempo a concepire maggiore alienazione dalle creature. Ciò si osserva nella vita di Alfonso, mentre in lui si diedero la mano scambievolmente il distacco dal mondo e l'intima unione con Dio.

Era perciò sua massima, che per non amare altro che Dio bisogna stare distaccato da tutto: che dobbiamo cercare in tutte le cose solo Iddio, ed essere distaccati anche dalle cose spirituali, giacché la perfezione consiste nell'unione con Gesù Cristo per poter dire coll'Apostolo: Vivo ego jam non ego, vivit vero in me Christus. Questo fu lo studio del nostro santo, il quale durò per tutto il lungo corso del viver suo: e quasi che dopo un lungo stadio avesse fatto ancor poco, spronava sé medesimo sull'esempio de' santi, e specialmente su quello del divin Redentore.

Avendo imposto nella sua regola a tutti i suoi congregati di dover vivere raccolti in Dio per l'avanzamento nella perfezione, egli il primo ne dava esempio lucidissimo di osservanza.

«Siamo venuti in Congregazione, diceva, per imitare più da vicino Gesù Cristo: Gesù Cristo non parlò che della dottrina ricevuta dal suo divin Padre; e la notte spendevala nel silenzio e nell'orazione. Noi adunque dovendo imitare questo divino modello dobbiamo persuaderci, che nella solitudine dello spirito si avanza l'anima nostra nella santità: un'anima raccolta vien consolata dal Signore coll'affluenza delle sue grazie celesti, e specialmente col dono delle lagrime; un'anima raccolta, se predica, se parla, infiamma i cuori,


- 300 -


perché comunica agli altri quelle impressioni celesti, che in sé ha ricevute dall'unione con Dio».

Specialmente poi si osservava in Alfonso quest'ammirabile raccoglimento di spirito nelle sue infermità, mentre non tralasciava anche in mezzo ai suoi dolori di tenere la mente sollevata in Dio, e di praticare i soliti suoi esercizi di pietà.

Risvegliatosi una mattina dal sonno chiamò il fratello serviente, e gli dettò questi sentimenti: Io mi compiaccio di tutte le compiacenze, che ha Gesù Cristo verso la Chiesa, per le anime, e per la gloria dell'Eterno Padre; e mi compiaccio di tutti gli atti di volontà, con cui Gesù Cristo se ne compiace.

Or questo è un contrassegno non equivoco, che il suo spirito era talmente ingolfato nel pensiero delle cose sante, che anche assopito, oppresso, o addormentato raggiravasi quale eliotropio intorno al Sole divino; e che lo splendore de' lumi celesti rifletteva sempre i suoi raggi sulla bell'anima di lui, potendo gloriarsi colla sposa de' sacri cantici: Ego dormio, et cor meum vigilat. Quindi allorché si sentiva arido, faceva leggersi i succennati sentimenti, protestandosi che in ogni Ave Maria del rosario intendeva di fare questi atti medesimi. Argomento di questa sua intima unione con Dio furono altresì quelle singolari azioni del santo nella sua ultima infermità. Chiunque si recava a visitarlo era da lui pregato, che gli avesse parlato un poco del paradiso; e la lezione spirituale nei giorni della sua malattia doveva versarsi sopra questo soggetto. Dopo la comunione si faceva leggere Gisolfo nei suoi sermoni sul paradiso e sul beatifico amore; volle anche sentire la lettura della predica del Segneri, che Iddio è l'amico più fedele degli uomini.

Sfinito di forze, e quasi già morto, traspariva nel suo volto la serenità del paradiso; ed avendogli detto un padre, che i medici stavano osservando, se mai sopraggiungesse un tale parosismo, che sarebbe stato di cattivo indizio: Che malo segno? rispose il santo, il malo segno è di morire in disgrazia di Dio. Ripeteva sovente quest'aspirazione: San Francesco mio, vorrei morir presto per venirti a vedere in paradiso: intendeva parlare di s. Francesco


- 301 -


di Sales, la cui vita aveva letto frequentemente, e le cui virtù aveva così bene imitate.

Nei suoi ultimi vaneggiamenti e debolezza di testa voleva sempre ripetere gli atti cristiani, ed altre sue divozioni; e benché gli si affermasse di averle già dette, non si quietava punto, finché non le avesse ripetute.

Ora da tutti questi sentimenti di Alfonso, dalla sua continua occupazione e pensiero delle cose sante, dal suo impegno ed amore per l'esercizio delle virtù, e per cercare il solo gusto di Dio in tutt'i tempi di sua vita non escluse le infermità gravissime, le quali sogliono abbattere lo spirito dell'uomo e alienarlo da qualunque pensiero, rendendolo quasi inabile ad esercitare le sue facoltà, ne risulta chiaramente, che Alfonso distaccatosi una volta dal mondo, e da tutti i suoi beni, prese il Signore per unica sua eredità, e a lui si strinse con vincoli così tenaci, che la vita di lui fu piuttosto una vita celeste, che terrena.

I tre gran mezzi insegnati da Alfonso, e da lui fervidamente praticati per conversare sempre con Dio furono la divozione al santissimo Sacramento dell'altare, alla passione di Gesù Cristo, ed a Maria santissima. Per rapporto al Sacramento dell'altare abbiam già detto, che questo amore lo congiunse intimamente con Dio, fu il principio della sua eroica santità, ne fu il progresso e la consumazione su questa terra.

Imperocché fino all'ultimo respiro altro non agognava questo santo, che di conversare familiarmente con Gesù Cristo nella santa Eucaristia. Impotente per la sua decrepitezza e per i suoi malori, voleva essere trascinato nella chiesa per trattenersi con Gesù Cristo, e corteggiare il Re del cielo. Avendogli detto un giorno il fratello serviente: Padre, andiamo un poco al coro, perché conoscevane il desiderio, Alfonso rispose attonito: Un poco ? Un poco assai; giacché altro non bramava questo santo divenuto impotente ad ogni altra cosa, se non che di spendere le sue ore avanti il divin Sacramento. Riguardo alla sua tenera divozione e meditazione sulla passione di Gesù Cristo, fu questo l'altro mezzo, di cui si avvalse per


- 302 -


vivere unito con Dio nelle piaghe del divin Redentore. Alcuni in un subito, così egli si esprimeva, vorrebbero giungere alla perfezione, e perciò sono sempre inquieti. Bisogna prima attaccarsi ai piedi di Gesù Cristo, poi baciargli le mani, indi penetrare nel suo sacratissimo costato.

Ecco in qual guisa il nostro santo viveva confitto alla croce di Gesù Cristo, associandosi con profonda meditazione alle pene dell'Uomo - Dio crocifisso. Per questa via egli giunse a somiglianza di s. Bernardo a fermare la sua dimora nel sacro cuore di Gesù Cristo, partecipando in questo divino santuario l'intima comunicazione dei suoi meriti, e di quelle grazie sopraffini, che sono riservate alle anime più amanti. E ben può dirsi, che a questo oggetto permise il Signore, che Alfonso fosse negli ultimi anni di sua vita percosso da quella fiera artritide, la quale gli curvò di tal maniera il collo, fino ad apparire agli sguardi di ognuno quale un altro crocifisso.

Finalmente per mezzo della Vergine santa, mediatrice degli uomini presso Dio, dispensatrice delle divine grazie, organo di comunicazione del santo amore alle anime, pervenne Alfonso a quell'intima unione col sommo Bene, per cui altro non sapeva respirare se non che la volontà e l'amore di Dio. Andato a visitarlo in Pagani il sacerdote D. Salvatore Tramontana cotanto a lui affezionato per antica amistà, e tanto altresì dal santo amato e stimato, quantunque si trovasse Alfonso giacente a letto, e quasi assopito, pure con volto gioviale gli domandò ben tre volte, come ne stesse in salute; ed interrogato dal detto sacerdote, come anche egli la passasse: Sto secondo il solito, rispose, cadente, e colla morte vicina; ma voglio solo Dio, e ripeté quest'espressione varie volte.

Gli affetti adunque di Alfonso erano sempre rivolti a Dio in tutt'i tempi, in tutte le infermità, in tutte le circostanze senza alcuna riserva. Questi suoi affetti d'amor di Dio sono stati da lui palesati nelle sue opere, perché erano gli affetti del suo cuore innamorato sempre di Dio, e a Dio intimamente congiunto. Ora contemplando, ora facendo l'orazione mentale, ora trattenendosi nelle sue visite prolungate a Gesù


- 303 -


Cristo ed a Maria santissima, ritraeva quei sentimenti che gli uscivano spontanei dal labbro, che imprimeva con la sua penna nei libri dati alla luce, che promulgava dalla cattedra di verità ai fedeli, per compungerli e tirarli all'amore di Dio.

E questa sua unione col Signore si osserva ancora nel comporre le sue canzoncine, che son ripiene di santa unzione. Il vescovo di Monopoli diceva rapporto alle medesime: Per quante canzoncine spirituali antiche e moderne ho lette, mi pare che il Liguori abbia riformato questo canto, unendo ai pensieri sublimi sentimenti così divoti, che compungono e muovono lo spirito.

Poiché adunque non havvi maggior tormento per le anime amanti di Dio, quanto l'apprensione ed il timore di perdere il sommo bene da esse amato, non è maraviglia, che cagionasse ad Alfonso tanta pena quella prova, a cui fu assoggettato come anima singolarmente prediletta per vari anni dal suo Signore.

Nelle oscurità del suo spirito gli sembrava essere ributtato da Dio; perciò diceva piangendo al suo direttore D. Andrea Villani: Parlo con Dio, e ad ogni parola, che dico, pare che mi ributti: è cominciata questa mattina una tale tempesta. Dico: Gesù Cristo mio, ti voglio amare con tutto il cuore, e mi sento dire: non è vero. Non mi sono mai veduto così miserabile, come sto adesso.

Altra volta nel tempo che mangiava interruppe il suo cibo, e si pose ad esclamare: Mi sento dire: tu hai lasciato Dio, e Dio ha lasciato te: non posso mangiare, perché mi si stringe la gola. D. Andrea Villani ivi presente gli suggerì tosto un passo della scrittura per suo conforto; ed Alfonso facendolo scrivere sulla carta per rammentarselo in altra simile circostanza ripeteva: oh Dio! quante volte l'ho insegnato agli altri.

Così quest'anima veramente sublime per la sua intima unione col Signore fu provata nella sua fedeltà da quel Dio, il quale si compiace, dirò così, di scherzare coi suoi servi per dare ai medesimi occasione di confermare con atti di protestazione e con testimonianze non equivoche di affetto il loro perfetto amore.




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

IntraText® (V89) Copyright 1996-2007 EuloTech SRL