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P. Celestino Berruti
Lo spirito di S. A.M. de' Liguori

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  • Cap. 32/2 1. Estasi e rapimenti di spirito.
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Cap. 32/2

1. Estasi e rapimenti di spirito.

 

Quantunque l'estasi e il rapimento di spirito, propriamente parlando, appartengano al decimo ed undecimo grado dell'orazione soprannaturale ed infusa, né si possano appellare grazie gratis date, perché a formare qualunque grado di contemplazione può bastare il dono della sapienza e dell'intelletto; tuttavia,


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secondo la dottrina dell'Angelico, è d'uopo distinguere due sorte di sapienza.

L'una produce, il retto giudizio delle cose divine, e regola le azioni ad acquistare con perfezione la propria salute, e questa sapienza si possiede da tutte le anime, che sono in grazia, e si appartiene ai doni dello Spirito Santo, i quali sono comuni a tutti i giusti. L'altra produce un giudizio più sublime delle divine cose, a fin di poterle agli altri comunicare, e dirigere le loro azioni, e questa si addice alle grazie gratis date. Dicendum, quod sapientia importat rectitudinem judicii circa divina conspicienda, et consulenda: quidam enim tantum sortiuntur de recto judicio in contemplatione divinorum, quantum est necessarium ad salutem, unde dicitur 1. Ioannis 20: Unctio docet vos de omnibus: quidam vero al tiori gradu percipiunt sapientiae donum, et altiora mysteria cognoscunt, et aliis manifestare possunt: et iste gradus sapientiae magis pertinet ad gratias gratis datas, secundum illud 1. ad Cor. 12: Alii datur per spiritum sermo sapientiaea .

Ciò premesso, oltre di essere stato fornito il nostro eroe dei doni mirabili della sapienza e dell'intelletto abitualmente per compiere con profitto la sua missione, come ho detto di sopra, ne fu anche profusamente dotato dallo spirito del Signore in quanto all'unione mistica di amore, la quale aliena l'anima totalmente dai sensi con somma soavità e senz'alcuna violenza, affinché non solo lo spirito di Alfonso fosse più altamente illustrato a cooperare alla santificazione dei prossimi, ma un lustro maggiore si diffondesse sulla santità di lui a pubblica edificazione.

E' fuor di dubbio, che l'estasi vien prodotta dall'unione di amore, giusta il detto dell'Areopagita: Amor extasim facit, poiché l'amore unitivo cavando l'anima dai sensi e da sé stessa la trasforma in Dio: il che avviene in due modi secondo l'insegnamento di s. Tommasob .

In primo luogo disponendola a questa unione per mezzo della meditazione; in secondo luogo


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direttamente a Dio congiungendola e in Dio trasformandola: Primam quidem extasim facit amor dispositive, in quantum facit meditari de amato: intensa enim meditatio unius abstrahit ab aliis; sed secundam exctasim facit amor directe. Secondo tale principio è d'uopo dire, che Alfonso sia stato ordinariamente favorito da Dio nell'orazione di questo dono soprannaturale.

Imperocchè la frequenza delle sue contemplazioni, il fervore delle sue aspirazioni, la lunghezza del tempo che v'impiegava, dimostrano abbastanza che il Signore discoprendogli gli arcani della sua sapienza, traeva a sé dolcemente lo spirito di lui, e lo rafforzava coll'unzione soavissima della sua eterna sostanziale carità.

Lo attestò il venerabile servo di Dio D. Mariano Arcieri, il quale lo ammirò più volte estatico nelle sue giornaliere adorazioni avanti il divin Sacramento esposto per le 40 ore.

Lo attestarono molti altri pii sacerdoti, i quali da lui attinsero lo spirito della divozione, e furono suoi emuli nell'adorare giornalmente il santissimo Sacramento: questi hanno deposto, che nell'ottavario del Corpus Domini, il quale si celebra ogni anno con solenne pompa nella reale chiesa di santa Chiara, Alfonso si tratteneva assiduamente nella detta chiesa, solito a chiamare quest'ottava la sua campagna.

Lo attestarono infine tutti i nostri congregati suoi contemporanei, ed altri spettatori, i quali frequentavano le nostre case, che allorquando Alfonso mettevasi in orazione, diveniva subito estatico: tanta era la veemenza, con cui il suo spirito s'immergeva nella contemplazione delle divine cose. Il che viene registrato nelle lezioni del suo uffizio col seguente encomio: Prae amoris vehementia vel seraphicis liquescebat ardoribus vel insolitis quatiebatur motibus, vel abstrahebatur a sensibus.

Difatti fu osservazione costante di tutti quelli, che lo assistevano, che il santo appena cominciava la celebrazione dei divini misteri, vedevasi tosto assorto in Dio: il suo volto s'infiammava per la ridondanza della celeste carità, e talvolta diveniva luminoso al pari di un serafino. Lo stesso gli avveniva nel visitare il santissimo Sacramento, nel rendimento di grazie,


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ed ogni qualvolta meditava qualche mistero di nostra santa religione. Fece collocare nella sua cappella domestica, essendo vescovo, un quadro della santissima Annunziata dal lato del vangelo, dimodoché gli veniva di prospetto, allorquando recitava il vangelo di s. Giovanni nel fine della messa.

Ora fissando egli i suoi sguardi in quell'immagine, era subito rapito alla contemplazione dell'ineffabile mistero dell'Incarnazione del divin Verbo in estasi sublime. Alle volte andando qualcheduno a visitarlo nella sua stanza lo ritrovava colla mente assorto ed elevato in Dio, dimodoché vi era bisogno di riscuoterlo. Non di rado avveniva, che stando rapito in Dio, e col volto acceso per tutto il tempo della messa, appena la terminava, diveniva pallido a guisa di un cadavere cogli occhi aperti e fissi in Dio, e così trattenevasi assorto per lungo tempo, finché non era riscosso dal fratello, che lo serviva.

Ma specialmente negli ultimi anni del viver suo trattenendosi lungamente avanti il santissimo Sacramento lo si vedeva corteggiare il Re del cielo tutto estatico, ed ora sentivasi esclamare e prorompere in profondi sospiri, ora faceva dei gesti inopinati, ora sfogava in repentini slanci di amore accompagnati da movimenti in tutto il corpo, ora sbalzava improvvisamente dalla sedia, ove era seduto; dopo di che esclamando: oh Dio! oh Dio! rimettevasi nello stato di quiete.

Or queste elevazioni della sua mente, questi rapimenti del suo spirito osservavansi in tutte le solennità dei sacrosanti misteri di nostra religione e nelle festività di Maria Vergine. Nella notte di Natale assisteva fervorosamente alla recita del divino uffizio, dopo il quale celebrava la santa messa con istraordinario fervore, cogli occhi bagnati di lagrime, col volto arrossito e risplendente, che restavano inteneriti tutti gli assistenti, e sentivansi liquefare il cuore di tenera divozione.

Soprattutto vedevasi elevato sopra sé stesso nei tre ultimi giorni della settimana santa, nei quali assisteva ai divini misteri della passione con fervore inusitato, trattenendosi per molte ore del giorno e della notte estatico avanti al santo sepolcro. Fu ritrovato una volta in


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questi giorni dal P. Negri consultore generale con le mani congiunte e cogli occhi verso del suo crocifisso, e sentito dire: Gesù Cristo mio, mi paiono mille anni di morire, e di venire a vedervi in paradiso, e dopo avervi baciati i piedi, la prima cosa, che voglio dirvi, sarà questa: Ah! Gesù Cristo mio, vi ringrazio, che avete voluto assai patire per me: quanto vi ha costato l'anima mia!

E chi può ridire, quali fossero le comunicazioni, con cui il Signore liberalissimo verso i suoi servi diletti inebriava con soavissimo liquore di santa carità lo spirito di Alfonso? Può rilevarsi in qualche modo da quell'espressione solita a proferirsi dal santo, allorché parlava dell'orazione per innamorare di questo santo esercizio lo spirito dei suoi congregati: Io esco sazio dall'orazione, allorché mi sono raccomandato a Dio con fervore. Può argomentarsi singolarmente da quei sublimi rapimenti ed estasi profonde, con cui fu le tante volte favorito dal suo Dio al cospetto di molti, per manifestarne l'altezza della santità.

Fra le altre è ammirabile quella, che lo sorprese nel chiostro dei padri domenicani in s. Caterina a Formello. Trattenevasi il santo colà per attendere, che si fosse aperta la Chiesa ed entrarvi ad orare. Ma poiché erano le ore 21 del mese di luglio, ed il sole era ardentissimo, si sedé sopra uno dei parapetti del chiostro medesimo all'ombra. Ingolfatosi frattanto nella sua meditazione, e divenuto estatico, il sole cominciò a colpirlo coi suoi raggi infocati, e le mosche svolazzandogli d'intorno lo tormentavano. Trovossi per caso a passare colà un parroco di Monteforte, il quale vedendolo così esposto al sole, e da quegli insetti morsicato, e credendo che fosse addormentato si accostò per isvegliarlo. Ma qual fu il suo stupore, allorché l'osservò cogli occhi aperti e rivolti verso il cielo, colle mani piegate innanzi al petto, tutto assorto in contemplazione? Chiamò vari di quei religiosi ad ammirare l'estasi sublime di Alfonso. Sebbene dopo qualche tempo rinvenuto in sé, e vedendo gente d'intorno a sé, tutto confuso, e senza dir parola velocemente se n'andò alla chiesa.

Non meno stupenda fu un'altra estasi, nella quale fu veduto


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immerso da un sacerdote della nostra Congregazione, mentre entrava nella camera di lui per parlargli: siccome non rispondeva il santo al bussare, che si faceva la sua porta, aprì confidentemente, credendo che non avesse inteso. Ma lo ritrovò inginocchiato col volto risplendente, e fuori di sé. Però essendosi scosso al rumore del calpestio, il detto sacerdote se ne fuggì immantinente per non recargli soggezione.

Altra volta fu inteso il santo prorompere in alte grida, mentre era nella sua stanza. Vi accorse subito un sacerdote per vedere, se fosse stato assalito da qualche male, ed avesse bisogno di alcun soccorso. Ma che? Lo rinvenne cogli occhi chiusi, col collo come svenuto, con le braccia aperte ed alzate in aria, tutto immobile, e fuor di sé stesso.

Ravvisandolo in tal positura, ed accorgendosi esser questo uno dei soliti favori soprannaturali, di cui regalavalo sovente il Signore, se ne rimase colà in osservazione, e vide, che dopo un tempo notabile spalancò gli occhi estatico in faccia al crocifisso, che gli era di rimpetto, ed il volto da pallido qual era divenne tutto infiammato e quasi raggiante.

Il che dinotò senza dubbio, che essendosi il santo ingolfato nel meditare la passione di Gesù Cristo, fu da prima sorpreso da intensa pena nel contemplare le piaghe del Salvatore, e di poi infiammossi ardentemente il suo cuore al riflesso della divina carità. Ora il suddetto padre attestò, che dopo quest'epoca l'estasi del santo avvennero poi per lungo tempo ogni giorno, giacché celebrando egli la messa mentre Alfonso stava ad orare, o a farsi il rendimento di grazie avanti il ss. Sacramento, lo vide spesse volte sbalzare dalla sedia; e trovandosi altre fiate nel coro in unione di lui lo vedeva sempre assorto, e sorpreso dagli stessi movimenti nel suo corpo.

Da ciò si rileva, che l'estasi in Alfonso erano quasi abituali, e tanto era per lui il mettersi in orazione, quanto ingolfarsi tosto nella più sublime contemplazione, ed essere rapito col suo spirito fuor dei sensi. Né deve recar maraviglia a chiunque abbia una cognizione anche tenue delle operazioni mirabili della grazia verso quelle anime, le quali per il totale alienamento


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dalle cose misere di questa terra, per l'esercizio continuo delle più ardue virtù, e per l'uso frequentissimo dell'orazione essendo sgombre da ogni affetto, che impedir possa l'avvicinamento al sommo Bene, meritano, che l'altissimo dispensatore dei suoi doni le ristori con un pascolo tutto intellettuale, che le attragga soavemente all'unione mistica del suo amore.

Ora tale essendo stata la condotta di Alfonso fin dalla prima sua gioventù, ed avendo agognato mai sempre il consorzio col sommo Bene, fu dotato perciò dal Signore di questo dono rarissimo, che illustrandogli supernamente l'intelletto, e distaccando il suo spirito da tutto il creato e da sé stesso, lo rapiva soavemente con quei vincoli di amore, che dai teologi vengono appellati sposalizio dell'anima con Dio, ovvero matrimonio spirituale col sommo infinito Bene.

E' ben vero però, che queste estasi amorose di Alfonso erano soventi volte accompagnate da ammirabili e portentose elevazioni del suo corpo; avvegnaché lo spirito di lui assorto in Dio con perfetto rapimento, giusta il linguaggio della mistica teologia, anche il corpo veniva in alto sollevato, divenendo agile e standosi sollevato in aria lungo tratto di tempo: quindi compariva agli occhi dei circostanti acceso e rubicondo nel volto, e talvolta anche luminoso.

Siccome avvenne in Foggia avanti l'immagine miracolosa di Maria Vergine detta l'Icone Vetere a vista di numeroso popolo, come altresì in Amalfi, in Arienzo, ed in s. Giorgio. In questi rapimenti fu veduto dall'uditorio sollevarsi più palmi sopra il pergamo col volto raggiante di celesti splendori, e grande compunzione suscitossi nel cuore di ognuno.

Ma ben altre volte fu da Dio favorito in segreto di simil grazia. Difatti essendo entrato una mattina nella stanza del santo un nostro sacerdote per recitare con lui le ore canoniche, lo ritrovò in atto di stare ginocchioni, sollevato però da terra due in tre palmi colle braccia mezzo aperte, cogli occhi elevati verso il cielo, col volto risplendente, immobile, e privo di sensi. A questo spettacolo s'inginocchio il medesimo dietro di lui con gran riverenza, e così stava contemplandolo per


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buona pezza, sentendosi risvegliare nello spirito la più fervente divozione. Allorché avendo il santo mandato un profondo sospiro dicendo: Mio Dio, mio Dio, calò pian piano a terra, e situossi nel proprio luogo. Ma avvedutosi di essere stato osservato, si coprì il volto di rossore, e gl'impose di non manifestare a chi che sia cosa alcuna.

Parimente assistendo un canonico della sua cattedrale alla messa del santo prelato si accorse da prima, che era fuor del solito attonito ed assorto fuor di sé. Dié principio alla messa, e la proseguì con istraordinario fervore e commozione di animo fino al canone. Allora quel canonico si curvò sulla sedia per fare la sua orazione: ma vedendo, che passava lungo tempo fino alla consacrazione, alzò la testa, e vide, che il santo tenendo fra le sue mani l'ostia aveva gli occhi fissi alla croce, i capelli rizzati e che stava sulla predella dell'altare con la sola punta dei piedi in atto di spiccare un volo, di modo che non avrebbe potuto sostenersi in quella positura senza una forza soprannaturale, che sostenuto lo avesse. Corse perciò a chiamare il fratello Francescantonio, il quale niente stupito del caso andò a tirargli un poco la veste, e così mandando un dolce sospiro consacrò, e proseguì la messa.

Or da questi favori, e da molti altri, i quali non sono giunti a nostra notizia, perché tenuti occulti dal santo per la sua umiltà, si raccoglie chiaramente, che il Signore ora per accreditare la missione di Alfonso, ora per compensarlo anche in questa vita dei tanti travagli e pene, che sosteneva per la sua gloria, si compiacque favorirlo sovente coi ratti più perfetti, in cui si celebra lo sposalizio dell'anima col suo Dio, e che alle sole anime si concedono, le quali siano del tutto purificate e capaci di ricevere i doni dello spirito purissimo.

Mentre in tali eccessi di mente l'anima vien rapita con dolce violenza fuor dei sensi esterni, ed anche degl'interni, vien trasportata a cognizioni puramente intellettuali, ed alla unione mistica, e trasformativa dell'amore con Dio. Mercé questo dono sublimissimo poteva dire Alfonso al pari dell'Apostolo, che


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egli medesimo non sapeva spiegare, se nel suo rapimento fosse stato nel corpo, o fuori del corpo con lo spirito: Sive in corpore, sive extra corpus nescio, Deus scitc Ma ben veniva il suo spirito nobilitato, abbellito, ed esaltato con grazie eccelse, rimanendo con tutte le sue potenze, e coi suoi atti sommerso e sprofondato in un abisso di luce, di soavità, di pace, e di riposo a segno tale, che le più dure persecuzioni, le contraddizioni di ogni genere, le infermità più tormentose, lungi dal discostarlo dal suo Dio, a Dio lo congiungevano coi vincoli tenaci della sua divina volontà e della somiglianza con Gesù Cristo capo di tutti i predestinati.

E dalla impressione, che lasciavano in lui questi doni, ne conseguì ancora, che Alfonso possedeva una cognizione assai eminente e stima altissima della grandezza di Dio, ed insieme un amore così fervido verso il sommo Bene, che avrebbe voluto struggersi per la gloria di lui, come si è potuto considerare in tutto questo libro.

Di qui ancora quel basso conoscimento e disprezzo di sé medesimo accoppiato ad una cognizione così pronta del suo interno, sicché ai suoi sguardi traspariva subito ogni minimo mancamento ed ogni atomo d'imperfezione. Di qui quel distacco rarissimo da ogni cosa terrena, e quel desiderio ardentissimo di presto congiungersi a Dio nella beata immortalità. Di qui quella robustezza di animo nel divino servizio, mercé di cui anche in mezzo alle più veementi distrazioni, il suo cuore e la sua mente mai non disgiungevasi anche per un istante dall'unione con Dio. Di qui quel desiderio sempre ardente e sempre crescente di operare nuove cose a promuovere l'onor di Dio.

Di qui quella pace inalterabile, per cui in mezzo alle calzanti avversità lo spirito di Alfonso godeva la tranquillità di uno scoglio immobile tra i flutti del mare più tempestoso.

Di qui in somma tutti quei beni incalcolabili, che Iddio fonte perenne di grazia e di felicità versa nelle anime pure e sommamente tenaci nel proposito di amare solo quell'Essere supremo e degno d'infinito eterno amore.

 

 

Posizione Originale Nota - Libro V, cap. 32b, pag. 307, 314




a 2.2. quaest. 45, a. 5



b 1.2. q. 28. a. 3



c 2. ad Cor. 12






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