IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
1 - L’ANNO 1696 NEL REGNO DI NAPOLI
Il biografo si ispirò o all’antica proclamazione del martirologio del mattutino di Natale o all’annunzio dell’entrata in azione di Giovanni il Battista, secondo il vangelo di Luca, quando scriveva:
“Sorti i suoi Natali Alfonso Liguori in un Casino della propria Casa in Marianella, uno de’ Casali di Napoli, correndo l’anno di nostra salute 1696; e propriamente ad ore tredici del ventisettesimo di Settembre, giorno, com’è noto, dedicato ai gloriosi Martiri i Santi Cosma, e Damiano. Reggeva la Chiesa di Napoli l’Eminentiss. Cantelmi; sedeva sul Vaticano Innocenzo XII; e felicitava l’Impero e questo Regno Leopoldo Augusto primo di questo nome tra Romani Imperatori. Trasportato in Napoli, rinacque alla grazia Alfonso nella Parrocchia di S. Maria delle Vergini a 29 del medesimo mese, in giorno di Sabato, sotto gli auspici dell’Arcangelo S. Michele... Con modo speciale però venne posto Alfonso, nato che fu, sotto la protezione di Maria Santissima che, come a suo figlio, in ogni bisogno gli avesse fatto d’Avvocata e Madre, e perciò gli fu dato il nome di Alfonso Maria. Tale fu il nascimento di Alfonso Liguori ”.
In questi termini, il P. Antonio Maria Tannoia, nei suoi tra volumi di memorie, presentava colui del quale Ludwig von Pastor scriverà nella monumentale Storia dei Papi: “Alfonso ha tuttavia raggiunto questa gloria suprema, di essere, nell’empio secolo XVIII, la figura più grande e più imponente” 1.
Il secolo XVIII sembra tanto lontano... come i concerti di Vivaldi e le fughe di Bach, come Mozart e il suo Flauto magico, come Voltaire e Rousseau, come Goethe e Schiller, come l’affermassi dell’indipendenza americana. Ma e proprio così lontano? Al contrario: vicino come le nostre stesse radici.
Quando Alfonso venne al mondo, gli europei erano già sbarcati e penetrati nell’Estremo Oriente, nelle due Americhe, sulle coste africane; compagnie “multinazionali” vi avevano da tempo le loro rappresentanze;
- 23 -
giovani metropoli, quali New York, Québec, Boston o Rio avevano più di un secolo. Come noi oggi, la madre di Alfonso già allora aveva potuto addolcire il suo caffè americano con zucchero delle Antille e portare diamanti incastonati in oro africano o brasiliano. La calcolatrice, il termometro, il barometro, l’orologio, il microscopio e il telescopio, la macchina a vapore non avevano certo aspettato il nostro futuro santo. Il pensiero antico, sistematico e astratto, era già sepolto; sbocciavano la scienza, lo spirito, la filosofia moderna. L’uomo, da duemila anni immobile come un manichino in una natura che si supponeva eterna e immutabile, riacquistava vita e movimento: si scuoteva, si impennava, si metteva in cammino, lasciandosi plasmare diverso da prima dal ritmo accelerato della storia. E pur si muove: a dispetto dei giudici di Galileo (+1642), l’uomo si muoveva verso un’era nuova. Una visione “laica”, perciò matura del mondo, delle tecniche e delle politiche lo spingeva a prendere in mano il timone e a guidare da adulto la nave che lo portava verso il domani.
Il secolo XVIII lontano? Ancora oggi viviamo del ribollire di questo a Secolo dei Lumi”; le insopprimibili lotte che ha acceso tra un mondo sorpassato (l’Ancien Régime) e un mondo nuovo hanno dato spesso la febbre al Concilio Vaticano II e il dopo concilio non ha ancora finito di esserne contagiato.
Uno dei giganti di questa epoca-cardine, “il più grande nella Chiesa del Settecento”, attento al grido degli uomini e agli appelli del Cristo, santamente “rivoluzionario” nella morale e nella pietà cristiana perché determinò un rapporto nuovo tra le leggi e la libertà, fu Alfonso de Liguori che “sortì i suoi Natali correndo l’anno di nostra salute 1696, mentre sedeva sul Vaticano Innocenzo XII e felicitava l’Impero e il Regno di Napoli Leopoldo Augusto primo di questo nome”.
L’Impero Romano e il Regno di Napoli non fanno più notizia oggi, ma non appartengono certo al tempo dei Faraoni! Il Sacro Impero Romano-Germanico, diventato in seguito Impero Austriaco, tramonta nel 1918; il Regno di Napoli, annesso all’Italia nel 1861, finisce sol nel 1946... La loro storia, che si era sviluppata ieri sulla scena europea e italiana, è la nostra storia che, oggi, si estende all’intero pianeta: due “superpotenze” si sorvegliano a vicenda e una terza, la Cina, si sta svegliando; quattro o cinque cosiddetti “grandi”aspirano al ruolo di “potenze”; intorno a loro, un centosettanta Stati più o meno autonomi. Questo è l’attuale quadro politico in cerca di un “equilibrio mondiale” per la nostra terra umana.
Tuttavia, fino a non molti anni fa, il panorama della nostra storia era cento volte più ristretto perché abbracciava solo il nostro vecchio continente, ma si viveva lo stesso dramma: un “equilibrio europeo”
- 24 -
cercato nella violenza, non tra popoli poiché si era ancora nell’era dei principi, ma fra tre “grandi”, i sovrani di Francia, Spagna e Austria. Per un pretestuoso “diritto divino”, poche famiglie reali si dichiaravano padrone dei territori e degli uomini, dividendosi o vendendo i regni e i principati, i ducati e le repubbliche, come i contadini quando commerciano o si disputano un pezzo di terra o un capo di bestiame. Tutto questo accade ancora oggi sotto i nostri occhi a livello mondiale; ieri come oggi, si trattava già di concorrenza tra grandi nella “colonizzazione” dei piccoli.
Quest’opera di colonizzazione per l’Italia non era recente, perché era diventata una sola cosa con la sua storia. Terra di sole e di dolce vita, dai colori cangianti fin nella ricca gamma dei suoi marmi, penisola incantevole nei suoi ottomila chilometri di coste paradisiache, stagliata nei mari più azzurri del mondo, questa gemma dell’Europa aveva da sempre esercitato un fascino irresistibile. Gli Etruschi, i Greci, i Celti, prima di Cristo; i Cartaginesi, i Barbari di ogni specie (Cimbri, Unni, Magiari, Teutoni) e i Longobardi, prima di Carlo Magno; successivamente i Germani, i Normanni, i Saraceni, gli Slavi, i Francesi avevano aspirato a questo eden, alla sua splendida civiltà, alla sua tecnica avanzata, al numero e alla prosperità commerciale dei suoi porti, braccia aperte a tutte le ricchezze dell’Africa, dell’Oriente e dell’Occidente. A ondate successive l’avevano invasa, occupata, saccheggiata non senza lasciare sedimenti delle loro culture e tracce delle rispettive legislazioni.
L’avvocato Alfonso de Liguori ne saprà qualche cosa!
Nell’interno stesso della Penisola, appetiti reciproci di città e di signori non avevano denti meno aggressivi: l’ambizione propria di ognuno e la cupidigia comune a tutti avevano per lungo tempo suddiviso il Paese in una cinquantina di Stati incessantemente rivali. Fin dall’inizio del Quattrocento i conflitti tra i principi italiani e il ricorso all’aiuto straniero consegnarono l’agognata Italia alle contrastanti brame degli Angioini, dei Valois, degli Aragonesi, degli Asburgo. Dal momento che secondo le migliori leggi della giungla i grossi divorano sempre i piccoli, alla metà del Quattrocento gli Stati italiani non saranno più di una ventina e alla fine dei Seicento una decina; la storia interna dell’ Italia moderna attraverso i risucchi della sua unificazione e complessa quanto quella di un continente, per non dire del mondo.
“Correndo l’anno di nostra salute 1696”, quindi, dieci Stati si dividevano l’Italia: cinque “piccoli”, quattro “grandi” (tra questi gli Stati Pontifici nel centro della Penisola) e un “supergrande” almeno per le sue proporzioni nel sud, il Regno di Napoli o delle Due Sicilie,
- 25 -
che contava allora la quarta parte dell’intera popolazione italiana, tre milioni e trecentomila abitanti e, caduta Costantinopoli nel XV secolo, la capitale più popolosa del mondo, dopo Londra e Parigi (214.000 anime, quasi il doppio di Roma). Questa popolazione risulterà raddoppiata (442.000 abitanti) alla morte di Alfonso de Liguori 2 .
L’immagine sportiva disegnata dalla carta geografica del Regno di Napoli e quella di una scarpetta che calcia verso l’alto un pallone sgonfio. Con le componenti, continentale e insulare, dal rilievo tormentato, le metropoli, Napoli e Palermo, i mostri sacri, Vesuvio e Etna le Due Sicilie hanno sempre avuto il fascino seduttore dei rischi inebrianti. Cinquecento anni prima di Cristo gli Ateniesi avevano costruito Neapolis (città nuova) nell’ansa che prolungava verso est la Palaiapolis (città vecchia), l’antica Partenope fondata in epoca incerta dai Greci di Cuma.
Vagheggiata con amore dai Greci e popolata con fiorenti colonie efficacemente protette dalle incursioni dei pirati e disseminate all’intorno, la terra partenopea duemila anni prima aveva raggiunto lo stupefacente numero di quindici milioni di abitanti felici.
Questo affascinante Mezzogiorno più del brumoso Nord è stato saccheggiato da Romani e da Barbari, da Longobardi e da Normanni, da imperatori d’Oriente e d’Occidente, da papi desiderosi di potere e, lungo le coste, da pirati. Successivamente fino al 1700 divenne dominio degli Hohenstaufen, degli Angioini, degli Aragonesi e degli Asburgo di Spagna.
Carlo V (1500-1558, un Asburgo del ramo austriaco per parte di padre, nato da una regina di Castiglia, erede successivamente di Aragona) riunì tutte le carte del gioco occidentale, in Europa e in America, divenendo in una volta sola Carlo I di Spagna, Carlo IV di Napoli, Carlo V di Germania e del Sacro Impero Romano-Germanico... tanto da non sapere più egli stesso a quale numero della serie fosse giunto!
Questo sovrano è interessante per noi, perché è all’origine del processo “internazionale” che trasformerà l’avvocato Alfonso de Liguori in fratello dei lazzaroni dei “bassi” napoletani.
Nel 1556, dopo quarant’anni di regno, Carlo V abdicò e divise i suoi Stati in due parti: la Germania e l’Impero al fratello Ferdinando I (1503-1564); la Spagna, Milano, le Due Sicilie, i Paesi Bassi e l’America spagnola al figlio Filippo II (1527-1598). L’anno stesso nel quale questi salì al trono, Enrico II di Francia e il papa Paolo IV, accordatisi, tentarono di ricacciarlo fuori dell’Italia, ma la loro disfatta a St. Quentin ( 1557) e il successivo trattato di Cateau Cambrésis ( 1559 ) consacrarono la dominazione spagnola sul Regno di Napoli e sul Milanese per centocinquant’anni... Dominazione di tranquillità relativa, in
- 26 -
quanto le armate uccidevano e bruciavano altrove, ma umiliante e onerosa, tanto che si dirà: “Gli Spagnoli rosicchiano in Sicilia, mangiano a Napoli e divorano in Lombardia”, sottolineando con ciò il contrasto economico che dal XV secolo si approfondirà tra il Nord e il Sud della Penisola.
Nel Nord: dei terreni fertili con clima regolare, una fiorente industria tessile (seta, panno, fustagno), attivi cantieri navali, compagnie commerciali dalle braccia forti e dalle mani lunghe, banchieri la cui genialità nelle trattative assicurava il dominio finanziario dell’Europa, forme di governo democratiche nelle quali il popolo non era solamente il bestiame per arare il suolo e portare le armi. Nel Sud: l’87% del suolo montagnoso o collinoso, il restante terreno coltivabile periodicamente disastrato dalle piogge o calcificato dalla siccità, le colture spesso flagellate dal maltempo, le campagne saccheggiate secolo dopo secolo da guerre continue, le coste “disabitate” perché lasciate indifese alla mercé dei barbareschi che spuntavano dal mare nelle notti senza luna, i contadini ridotti a una servitù che spezzava le braccia da una feudalità onnipotente che invece di assicurare i necessari miglioramenti al territorio lo lasciava in preda alle paludi esalanti malaria e morte, i borghi inerpicati sui banchi o sulle cime delle montagne per sfuggire all’aria insalubre e alle incursioni dei mori e dei briganti. Alla fine del secolo XVIII G.M. Galanti potrà ancora scrivere: “Le terre migliori della Campania sono ricoperte da paludi”; anche le città sono spopolate, eccetto “Napoli, la cui grandezza funesta è il frutto della miseria di un Regno intero” 3.
Questa miseria non è indolenza, ma disoccupazione endemica dei lavoratori dei campi, chiamati “braccianti”, perché le braccia sono il loro unico capitale. Riunendosi all’alba sulla piazza del villaggio come i lavoratori della parabola evangelica, aspettavano di essere assoldati da un amministratore per lavori stagionali o giornalieri. La fame accumulata giorno dopo giorno li spingeva, insieme alle loro famiglie, a Napoli, dove ogni mendicante era sicuro di mangiare e di bere. Per questo fin dal XVII secolo la pressione demografica interna aveva ristretto fino all’impossibile le strade della capitale, sopprimendo parchi e giardini pubblici e trasformando i tetti delle case, che si erano spinte sempre più in su, in terrazze per godere un po’ d’aria e di sole... terrazze trasformate poi in rifugi supplementari.
Il popolo napoletano non aveva certo bisogno di bocche forestiere per “sgranocchiare”le sue olive e “mangiare”il suo grano duro, il suo mais e le sue arance!
Dopo tanti altri, il giogo spagnolo per ben duecento anni, dal 1504 al 1713, peserà sul popolo napoletano, puntigliosamente governato da Madrid, occupato
- 27 -
militarmente dalle truppe iberiche e spiritualmente, soprattutto a Palermo, dalle armi della onnipotente Inquisizione. Si trattava insomma di una vera colonizzazione politica e economica.
Gli intellettuali più sensibili lo avvertivano bene, da una parte e dall’ altra. Nel conclave del 1605 la Spagna faceva fallire il tentativo di eleggere al soglio pontifico il cardinale Cesare Baronio, al quale Filippo III non perdonava che negli Annali Ecclesiastici avesse qualificato come usurpazione il governo di Filippo II sulla Sicilia. Così pensava questo santo storico napoletano, dichiarato poi “Venerabile” da Benedetto XIV; il suo tratto di penna fece tanto male a Madrid perché aveva colto nel segno.
Infatti la casa di Spagna, per alimentare le sue guerre e il fasto della corte, reclutava soldati e spremeva ducati dai domini italiani, a tal punto che nel 1647 due insurrezioni partiranno dal popolo minuto dissanguato da una fiscalità insopportabile: una a Palermo e l’altra a Napoli capeggiata dal giovane Masaniello 4.
Ottant’anni dopo la soppressione violenta del rivoluzionario pescivendolo il popolo minuto del quartiere Mercato e di quella che diventerà la piazza... Masaniello sarà scosso da un altro fermento del quale fiamma più viva sarà Alfonso de Liguori, un cui bisavolo dello stesso nome (1615-1666) nel periodo caldo della precedente insurrezione aveva comandato un reggimento di corazzieri dell’armata spagnola e forse caricato senza rimorsi i rivoltosi per ordine del viceré spagnolo 5 . Un traditore allora? No, un onesto cavaliere, perché la maggior parte dei napoletani viveva la situazione di sottomissione a un potere straniero, vecchia quanto la storia, più come fatalità che come scelta Bisognava adattarvisi per trarne il miglior partito possibile. Così il padre di Alfonso sarà nel 1696 fuciliere di marina sulla Capitana, ammiraglia della squadra militare agli ordini del re di Spagna, dal 1713 al 1735 ufficiale superiore nell’armata navale dell’arciduca d’Austria Carlo VI d’Asburgo (1685-1740), imperatore del Sacro Impero Romano-Germanico: “Capitano delle galere austriache”, come scrive senza complessi uno dei primi biografi del figlio 6.
Ma non anticipiamo. Nel 1696 Carlo d’Asburgo non contava ancora undici anni, il padre Leopoldo I (1640-1705) regnava sulla Germania e l’Austria, la Boemia e l’Ungheria, come erede legale del “fittizio” titolo imperiale di Carlo Magno, la cui corona, prestigiosa di storia ma vuota di potere, era ritenuta presiedere per diritto divino al benessere politico dell’Occidente cristiano in generale e del Regno di Napoli in particolare... In realtà, al di sotto di questa augusta e inutile aura evocata pomposamente dal Tannoia, re di Napoli era il malaticcio Carlo II (1661-1700), re di Spagna, che da Madrid governava Napoli e Palermo da vero spagnolo e alla spagnola, rappresentato da viceré spagnoli fino al midollo.
- 28 -
A Napoli allora era viceré Luis de Lacerda, duca di Medina Coeli.
In questo contesto politico-economico nel 1696 veniva accolto colui che sarà chiamato “il più santo dei napoletani e il più napoletano dei santi”.