IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Ci sarebbe forse dello humour, ma anche materia di riflessione, se si desse come patrono ai musicisti, in mancanza di una santa Cecilia leggendaria e senza voce (cantava solo “col cuore”), il protettore dei moralisti e dei confessori.
Difatti Alfonso de Liguori, pittore dilettante e disegnatore esperto, sarà anche un notevole musicista e il suo nome si troverà in opere specializzate e precise della storia della musica italiana 1 . I suoi versi e le sue melodie impressi nel cuore e nella memoria delle masse analfabete, divenuti patrimonio del folclore del popolo più canoro del mondo, saranno dopo la sua morte raccolti, trascritti, stampati e ristampati; il suo Duetto per voci e archi, composto a sessant’anni, sarà edito a Londra, a Vienna, a Parigi, a Roma. Ancora oggi la musica di Alfonso è incisa su dischi, è programmata in concerti, è trasmessa sulle frequenze radiofoniche 2 e fa anche capolino in qualche colonna sonora di film, discretamente, a volte senza “firma”, così come aveva fatto per i disegni delle sue stampe, ma facilmente riconoscibile dagli intenditori.
Prima di tutto e in maniera eccellente un italiano, un napoletano, “il più napoletano dei santi”.
Un viaggiatore francese del tardo Settecento, l’abate Coyer, osservava che “appena si passano le Alpi... si presenta la musica e senza che la si cerchi. Il violino, l’arpa, il canto vi fermano per strada... Più si avanza nell’Italia, più la musica si avvicina alla perfezione. Napoli ne è il punto più alto” 3 .
La Lande nel 1765 a proposito di questa città, celebre per i suoi cantanti e il suo genio lirico, scriverà: “La musica è soprattutto il trionfo dei napoletani. Sembra che in questo paese le corde dei timpani siano più sensibili, più armoniche, più sonore che in tutto il resto d’Europa; la nazione è un canto solo; il gesto, l’inflessione della voce, la prosodia delle sillabe, la stessa conversazione, tutto rivela e respira
- 107 -
l’armonia e la musica. Così Napoli, sorgente della musica italiana, è culla di grandi compositori e di opere eccellenti” 4 .
Alfonso venne al mondo nell’età d’oro del bel canto, quando Napoli diventava centro dell’opera italiana al suo zenit, irradiandola in tutta l’Europa, e della musica vocale religiosa la cui ampiezza e qualità ancora oggi non tutti conoscono. Solo nel 1930 infatti nell’Archivio musicale dell’oratorio filippino dei Girolamini fu scoperto dal musicologo Guido Pannain (+ 1977) un tesoro inestimabile di spartiti dimenticati di una tale importanza, quanto a numero e qualità, da rivoluzionare la storia della musica vocale religiosa dei secoli XVI e XVII: messe, inni, motteti, salmi, passioni, responsori - a tre, quattro, otto voci, stampati o manoscritti, logorati dal lungo uso, opera di autori fino ad allora sconosciuti o noti solo per la loro produzione profana 5 .
Perché proprio in casa degli Oratoriani?
Filippo Neri (1515-1595) aveva rifiutato la caricatura angelicata dell’uomo, del cristiano, del santo proposta dal nostro Occidente platonizzante che, sotto il pretesto della dignità e della spiritualità, aveva devitalizzato e disseccato l’uomo, come un fiore in un erbario, riducendolo a pensiero, a “ragione”. Restituiti i propri diritti alla vitalità incarnata, all’espressione corporale e vocale, danzava, cantava, voleva che i suoi fratelli venissero “ stimolati alla contemplazione per mezzo del concerto musicale”6, Maestro, amico, confessore di Pierluigi da Palestrina (1525-1594), che compose per lui alcune laudi e alcuni mottetti, e intimo di Tommaso Luigi de Victoria (1549-1611), fu tutto musica e volle per Dio un popolo che cantava. L’oratorio, l’oratorio volgare (cioè con testo in italiano) nacque a Roma nell’oratorio di Filippo Neri e diventerà nel diciottesimo secolo una specialità della scuola napoletana con Domenico Scarlatti, Nicola Antonio Porpora, Giovan Battista Pergolesi (tre “condiscepoli” di Alfonso), Niccolò Jommelli, Niccolò Piccinni, Giovanni Paisiello 7 .
Infatti a Napoli nel 1586 fu fondata la seconda comunità oratoriana di cui faceva parte un medico, il P. Giovenale Ancina (1545-1604), eloquenza e musica in persona. Ai Girolamini si ebbe ben presto la stessa animazione canora di Roma, ma perfezionata dalla forte musicalità napoletana; Ancina per potenziare le celebrazioni e le attività delle confraternite dell’oratorio accumulava composizioni di maestri, le cercava, le suscitava, le adattava, le stampava e il ciclone sonoro della fede gioiosa una volta lanciato si ampliava. Il centro filippino diventerà per cento anni e più un focolare ardente di animazione musicale, il più importante di Napoli, il più irradiante d’Italia.
Alfonso ne farà parte almeno dal 1706 al 1723, dal momento che, “fratello” della confraternita dei giovani nobili prima e poi di quella dei dottori, trascorrerà qui le sue domeniche e certamente anche le
- 108 -
serate dei “concerti” religiosi e ricreativi, voluti da san Filippo Neri e dal beato Giovenale Ancina.
“Non era ancora Alfonso in età di dodici in tredici anni, scrive Tannoia, che toccava il cembalo da maestro. Avendo fatta rappresentare i Padri Girolamini l’opera di S. Alessio (un dramma musicale di Bernardo Pasquini, 1637-1710) da varj Cavalerotti (= giovani cavalieri), vi recito anche Alfonso; e dovendo rappresentare la parte del Demonio in atto di sonar il cembalo, lo toccò con tal maestria, che tutta l’udienza ne resto stupita” 8 .
Non sapeva forse questa indolente nobiltà che dietro l’innata virtuosità del “piccolo diavolo”, dietro l’educazione intensamente musicale degli Oratoriani, c’era anche il polso di ferro del ben famoso capitano di galera?
“Essendo D. Giuseppe suo Padre molto appassionato per la Musica, aggiunge Tannoia, volle che anche il figlio con perfezione ci fosse riuscito (notiamo questo “anche”, che sta a indicare un’alta cultura musicale nel padre). Tre ore ogni giorno se la doveva divertire in camera Alfonso col Maestro; ed era tale l’impegno di suo Padre, che non potendoci tal volta assistere, come soleva, chiudeva al di fuori l’uscio con chiave, e lasciandolo col Maestro, partivane per gli suoi affari... Piangeva Alfonso nell’ultima sua vecchiaja questa sua applicazione: “Pazzo che sono stato, disse un giorno guardando il cembalo, in averci perduto tanto tempo; ma doveva ubbidire, perché così voleva mio Padre ”.
Alfonso quindi fin dalla tenera età veniva inchiodato da Don Giuseppe ogni giorno per tre ore, anche a volte con un giro di chiave nella toppa, al suo banco di “galeotto” (galeotto felice, pensiamo noi, ma da ragazzi tre ore sono lunghe); a dodici anni era già uno stupendo virtuoso di clavicembalo (compagno di quasi tutta la sua vita, che ancora oggi sembra aspettarlo a Pagani); nel corso degli anni d’università studierà armonia e composizione certamente con un altro maestro, riguardo al quale abbiamo varie supposizioni.
Si è parlato del prestigioso Alessandro Scarlatti (1660-1725), maestro della cappella reale; ma questi non insegnò in nessun conservatorio e, oltre al figlio Domenico (1685-1757), ebbe allievi solo per alleviare la solitudine dei suoi ultimi tre anni. Si è pure affermato con bella sicurezza che il nostro giovane cavaliere fu “certamente allievo di qualche Conservatorio Napoletano”9; ma questo è chiaramente falso per chiunque sappia cos’era un “conservatorio napoletano”. È vero però che la “musicalità” di Alfonso, oltre che al suo genio, è dovuta a tre realtà le cui virtù, allora all’apogeo, si sommavano in lui in un incontro meraviglioso: Napoli, oratorio, conservatorio; fu napoletano, nell’ambito dell’oratorio, nell’eta d’oro dei conservatori.
- 109 -
Il termine conservatorio con l’idea di preservazione, di internato, di casa chiusa indica chiaramente l’origine dell’istituzione, che serviva sia da educandato di lusso per le figlie dei ricchi (alcune famiglie nobili avevano un “proprio” convento) sia da rifugio per le pentite, da ricovero per i vecchi e soprattutto, all’altro lato della vita, da orfanotrofio per gli “scugnizzi” 10 . Si deve a questi ultimi se il termine napoletano conservatorio passerà alla storia e al linguaggio musicale internazionale con il significato di scuola musicale.
A Napoli, infatti, paradiso della musa Polinnia, la musica era per il popolo una seconda lingua, così questi conservatori divennero “gabbie di usignoli” e, presi dal gioco, nel corso del XVII secolo si evolveranno progressivamente in scuole musicali con un insegnamento sempre più approfondito e completo di “canto e suono di tutto”: impostazione della voce, tutta la gamma degli strumenti, armonia, composizione e anche stesura di libretti che costituiranno una ricca letteratura.
Anche se nel 1700 i quattro conservatori di Napoli erano al vertice del loro prestigio sia per i metodi pedagogici sia per i grandi maestri che ne uscivano, non è possibile affermare che il fiero capitano de Liguori facesse sedere il suo erede insieme ai “relitti della strada”, tanto più che i ragazzi vi entravano prima dei dieci anni con l’impegno da parte dei genitori, se ne avevano, di lasciarli almeno per otto anni 11 e tutto questo è il contrario di quanto sappiamo sull’educazione di Alfonso.
Però un testimone al processo apostolico di canonizzazione affermerà che Alfonso aveva avuto come maestro privato nientemeno che il maestro di cappella del Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo: “Tre anni prese lezione di contrapunto dal celebre D. Gaetano Grieco” 12 .
Gaetano Grieco (1650 circa - 1728), allievo del Conservatorio dei Poveri, dal 1685 maestro di cappella, insegnante di violino, contrappunto e composizione, lascerà alla storia, oltre pregevoli opere per voci, clavicembalo e organo, grandi musicisti, tra i quali i famosi Francesco Durante (1684-1755), Domenico Scarlatti (1685-1757), Nicola Antonio Porpora (1686-1768), Leonardo Vinci (1696-1730), Giovan Battista Pergolesi (1710-1736). “Condiscepoli” di Alfonso o più anziani, perché questi non potrebbero essere stati anche suoi amici di giovinezza e di musica nell’irradiamento del comune maestro?
Il nostro clavicembalista e compositore frequenterà e respirerà l’aria di questo ambiente di forte intensità artistica, attingendo per di più alle sue sorgenti:
“Intenso era il fervore delle varie Istituzioni musicali, dalla Cappella reale dell’Annunziata, nell’orbita spirituale dell’Oratorio filippino che soprintendeva idealmente a tutta l’attività musicale della Città, di
- 110 -
cui il suo ricco Archivio doveva diventare il depositario. Cappelle, Conservatori, Teatri furono il campo d’azione dei musicisti napoletani che tutti insieme conferiranno a quella Scuola destinata a diventare di fama europea” 13 .
Nel corso della sua lunga vita Alfonso non lascerà appassire nulla di tutto quello che il Signore aveva fatto spuntare nel suo giardino, investirà appassionatamente ogni talento per la gloria di Dio e non farà arrugginire nella sua testa e tra le sue dita alcuno strumento di lavoro. Esperto dottore in diritto, traccerà alla morale vie nuove in cui la tenerezza di Dio incontrerà il povero cuore degli uomini e, come riconosce il grande storico protestante Harnack (1851-1930), “con una chiarezza e una forza incomparabile farà del diritto l’alleato della libertà cristiana” 14 e non più il suo accusatore. Allievo di Solimena, amoroso disegnatore di Gesù e di Maria, solo la morte gli strapperà di mano la matita. Discepolo di Filippo Neri e di Gaetano Grieco, vivrà e invecchierà nella musica, “dilettandosi davanti a Dio in ogni istante, dilettandosi sul globo terrestre” (Prov. 8, 30-31), e abbandonerà il clavicembalo solo nella parentesi dei tredici anni del suo episcopato, come testimonierà Tannoia: “Riuscì così eccellente nella Musica, e nella Poesia, che anche vecchio metteva in nota, e componeva a meraviglia” 15 .
Perché allora una volta sacerdote e vescovo permetterà alle religiose solo il canto gregoriano? Contraddizione? No, non vorrà confondere il teatro S. Carlo con il coro delle monache, per le quali pubblicherà nel 1760 questa pagina in cui affiorano la sua esperienza di musicista “professionale” e la sua fine conoscenza degli ambienti religiosi del tempo:
“Diciamo ora qualche cosa circa la musica e ‘l canto delle monache. In sé il canto nella chiesa è cosa buona, perché si fa in lode di Dio; ma nel canto delle monache, io tengo per certo che ci ha più parte la vanità e il demonio che Dio
Ma, dirà taluna che male v’è in cantare? Che male v’è? Rispondo per prima che vi è perdita di tempo e di gran tempo; perché la musica è un’arte, che, se non si possiede perfettamente, non solo non alletta, ma positivamente dispiace...
Con altre parole: sorelle mie, dato che voi mobilitate giovani maestri per esercitarvi, vi prendete tanto gusto e il mondo viene nelle vostre cappelle ad applaudir le "cantanti", questo significa che, per farvi la voce, dissipate lunghe ore che potreste occupare in modo migliore.
Non pensate ch’io dica ciò, perché io sia nemico della musica, perché la musica mi piace, e da secolare vi sono stato molto applicato, meglio mi fossi applicato ad amare Dio” 16 .
1
de Liguori, ciclostilato, Pagani 1977
cit., p. 752; sui “ conservatori ”, vedere tutto il suo cap. v, pp. 745 ss.