Theodule Rey-Mermet
Il santo del secolo dei lumi
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Parte seconda “VA’, VENDI I TUOI BENI E SEGUIMI” (1723-1732)

14. - GLI ANNI DI SEMINARIO: INCONTRI PER LA VITA (1723-1726)

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14. - GLI ANNI DI SEMINARIO: INCONTRI PER LA VITA

(1723-1726)

 

Abelly e Genet, un manuale benigno e uno rigido; dietro loro due correnti ecclesiali diverse o meglio opposte; su loro lo sguardo e la parola di Torni, spirito vivo su parole morte; intorno, altri libri raccomandati dal maestro, cominciando con Tommaso d’Aquino, che Alfonso da scrittore si farà un dovere di citare quale sua fonte 1.

Ben al di sopra di tutti e di tutto stava però il libro della Parola di Dio, la Bibbia, e, tramite questa, l’incontro ormai giornaliero col Dio che parla. Scrive Rispoli:

“La Divina Scrittura fu il Libro prezioso, e graditissimo per Alfonso. Non passava giorno, che non avesse letto, meditato e contemplato qualche Capitolo della Scrittura Santa 2

In seminario fu il primo incontro vitale: non contentandosi delle due sorsate della messa, quasi un bicchiere d’acqua alla fonte, si gettò a grandi bracciate nell’oceano della Scrittura.

Riscontrava i più Dotti Espositori, continua Rispoli, per capire i veri, e sublimi sensi della Divina Parola”, cioè i più rivelatori del pensiero di Dio.

La generazione dei grandi esegeti si era spenta da tre quarti di secolo e per molto tempo; il deserto biblico riprenderà a fiorire solo verso il 1880. Il Rinascimento però aveva ridestato la curiosità e stimolato l’impegno dei letterati nei riguardi delle istituzioni, delle lingue, dei testi dell’antichità e la Bibbia, precedentemente caccia proibita, si era finalmente aperta ai ricercatori, che dal secolo XVII avevano, cominciato a comprenderne i problemi critici e letterari. Gli studi linguistici presero slancio, si moltiplicarono le edizioni poliglotte della Sacra Scrittura (otto nel corso del secolo) e l’ebraico entro nei seminari come a casa propria, soprattutto a Napoli.

Per il momento tutto questo movimento scientifico restava senza apprezzabili influssi sull’esegesi. L’oratoriano Richard Simon (1638-1712), il fondatore della critica biblica, era morto da semplice parroco fedele e povero sotto i colpi di Bossuet, dei cattolici, dei protestanti e

 

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dell’Indice. Dodici anni più tardi, quando Alfonso entrerà in seminario, il pur necessario matrimonio tra la critica e il messaggio biblico era quindi ancora lontano nel tempo: camminavano per strade parallele, senza veramente incontrarsi; così nello Studium diocesano di Napoli abitavano insieme da buoni amici, ma non da amanti.

Le opere di base messe tra le mani degli studenti erano per la critica l’Apparatus biblicus molto moderno di Bernard Lamy (1640-1715), confratello e amico di Richard Simon, e per l’esegesi i commenti di Willem Hessel van Est, detto Estius (+1613), Jacobus le Thiry (+1636) e Giovanni Stefano Menochio (+1655) 3 . Costoro facevano parte a pieno diritto dell’epoca aurea (1550-1650) dell’interpretazione biblica suscitata dal Concilio di Trento, insieme con altri grandi Gesuiti come Juan Maldonato (+1583), Roberto Bellarmino (+1621) e Cornelius a Lapide (+1637), con i quali il nostro giovane teologo strinse amicizia fin d’allora per tutta la vita, tanto da impreziosire i suoi scritti con le loro citazioni.

Questa pleiade di grandi studiosi aveva fatto risorgere con maestria i metodi dell antica esegesi cristiana, basata sulla ricerca dei sensi letterali e sullo studio dei commenti patristici.

“L’antica esegesi cristiana, ha potuto scrivere il padre de Lubac, e una cosa grandissima... Essa organizza tutta la Rivelazione attorno a un centro concreto, segnato nello spazio e nel tempo dalla Croce di Gesu Cristo. Essa è anche una dommatica e una spiritualità complete, e completamente unificate. Essa si è espressa non solo nella letteratura, ma nell’arte, con un vigore e una ricchezza stupenda. Insomma l’antica esegesi cristiana è tutt’altro che una vecchia forma di esegesi. "la trama" della letteratura cristiana e dell’arte cristiana. E’ l’antico pensiero cristiano, in uno dei suoi aspetti essenziali. E’ la forma principale assunta per molto tempo dalla sintesi cristiana. E’ almeno lo strumento che ha permesso a questa sintesi di costruirsi, ed è oggi una via indiretta per poterla utilmente accostare4

Nella prima sua esplorazione dell’esegesi e della critica, Liguori fu guidato da qualche altro vivo maestro, oltre che dallo Spirito Santo? Non sembra 5.Le sue opere dommatiche saranno la testimonianza di un uomo al corrente, per le sue vastissime letture, dei complessi problemi scientifici sollevati dal canone e dall’ispirazione dei libri sacri, dai loro autori e dalla loro storicità, dai testi originali e anche dalla lingua ebraica 6 , come naturalmente poteva allora parlarne una scienza ancora balbettante. Però per lui quello che contava era altro: predicatore, scrittore, ricorrerà incessantemente alla Scrittura come prova delle sue affermazioni e proprio nel punto cruciale del loro articolarsi, ma citerà solo la Volgata, il testo latino tradizionale della Chiesa occidentale, l’unico dichiaratoautentico” dal concilio di Trento. Si

 

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affidava alle scelte della Chiesa con un atteggiamento di fede, per lui fondamentale disposizione cristiana: la parola ispirata arriva a noi attraverso la tradizione della Chiesa, essendo tale il suo peso da non poter essere portato che nella Chiesa e come Chiesa.

Tutto ciò dimostra che la sua interpretazione non mirerà a novità o all’erudizione, cercando solo la verità: “Avea la Santa Scrittura, prosegue Rispoli, come il Libro delle Verità, delle Leggi, delle Direzioni, della Vera Sapienza, e come il Codice, che c’insegna tutt’i nostri doveri”.

Non per niente aveva fatto cinque anni di diritto e se il codice era stato la Bibbia dell’avvocato, ora la Bibbia diventava il codice del futuro sacerdote. La sua esegesi evidentemente risentirà delle deficienze del suo tempo, generalmente però sarà più sobria, più perspicace e soprattutto fedele più all’interpretazione dei Padri che a quella dei suoi contemporanei: dinanzi alla Bibbia i Padri faranno per lui “giurisprudenza”. Il Vaticano II non gli darà certo torto, anzi al contrario:

“La Sposa del Verbo incarnato, la Chiesa, ammaestrata dallo Spirito Santo, si preoccupa di raggiungere un’intelligenza sempre più profonda delle Sacre Scritture, per poter nutrire di continuo i suoi figli con le divine parole; perciò a ragione favorisce anche lo studio dei santi Padri dell’Oriente e dell’Occidente7 .

 

I Padri, come del resto i concili, si intrecciavano continuamente nella trama dell’insegnamento teologico del tempo (evidentemente in secondo piano, dietro la Scrittura), però né la patristica, né la storia della Chiesa figuravano come discipline nel programma seminaristico. Sulla storia si era addirittura abbattuto un vento di ingiusto disprezzo proveniente d’oltralpi: “Che cosa è più inutile dell’arrestarsi tanto su ciò che non è più?”, aveva scritto Bossuet 8; e i cartesiani si indispettivano di fronte ai racconti e alle testimonianze del passato che non potevano dedursi dal cogito ergo sum: “Adamo nel paradiso terrestre possedeva la scienza perfetta e ignorava la storia”.

Al contrario Alfonso, figlio spirituale di Filippo Neri e quindi, almeno un poco, di Cesare Baronio, si era nutrito durante i pomeriggi domenicali ai Girolamini con la storia della grande famiglia cristiana e ad essa consacrerà due voluminose opere: la Storia delle eresie (1772) e le Vittorie dei martiri (1775). Leggerà e ammirerà il padre della storiografia italiana, Ludovico Antonio Muratori (1672-1750) 9, i cui Rerum italicarum scriptores (28 volumi) cominciavano ad apparire proprio nel 1723, e nell’attesa che i seminari comprendessero che c’era più teologia nella storia vissuta del popolo di Dio che in tutta la Summa di san Tommaso, divorava i Padri della Chiesa, le vite e gli

 

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scritti dei santi 10 per conoscere Dio e per imparare a vivere concretamente il Vangelo. “I santi sono il Vangelo vissuto”, ripeterà volentieri.

Così, dopo quello con la parola di Dio, gli incontri più importanti e le amicizie più profonde della sua vita saranno con Teresa d’Avila e Francesco di Sales, santi non cari al “devozionalismofestaiolo e chiassoso (Alfonso si guarderà bene dal favorire ogni genere di manifestazione superficiale, anche per san Gennaro), ma maestrimoderni ” di santità e di zelo apostolico, con i quali farà i suoi “ corsi ” di ascetica e di mistica.

 

L’altera Spagna, nell’olimpo delle sue ambizioni e prima di tutto della sua fede, con Teresa d’Avila (1515-1582) e il suo discepolo Giovanni della Croce (1542-1591) aveva dato al mondo una scuola di spiritualità di ineguagliabile splendore. Grazie alla “colonizzazione” che rendeva ricchi e rapidi gli scambi culturali tra le due penisole, almeno quattordici edizioni italiane delle opere di Teresa d’Avila videro la luce tra il 1603 e il 1723. Fortunata Italia invitata per prima a questo stupendo banchetto!

Santa Teresa, una delle penne più belle di tutta la letteratura castigliana, fu la scrittrice più istintiva prodotta dal genio spagnolo e forse dallo stesso genio cristiano. Convinta di essere capace solo di filare lasciò il suo arcolaio per ubbidienza e scrisse come respirava senza previe ricerche, abbandonandosi alla sua intelligenza e alla sua sensibilità insuperabili, il cui unico maestro era l’esperienza. Teresa ti trascina sul suo stesso cammino, portandoti dalla tiepidezza alla virtù, alla santità, alla contemplazione, al cuore stesso del divino. La sua intuizione finemente lucida scopre le energie più segrete dell’uomo e, nella piu intima unione mistica, contempla e svela le profondità stesse di Dio, unendo a tutto ciò un senso solido e chiaro, una franchezza umile e affascinante, una grazia che incanta e avvince, uno slancio generoso ed entusiasta; in un parola, la gioia che nasce dall’amore. Infatti era amore, ma amore attivo, tanto da fondare sedici monasteri e da consumarsi di zelo per il suo Signore e per la Chiesa. Era contemporaneamente san Giovanni sul cuore di Cristo e san Paolo sul cammino della missione.

Alfonso la “incontrò” al suo ingresso in seminario, rimanendone sedotto per tutta la vita.

Aveva già conosciuto Teresa da ragazzo e da avvocato, avendola “respiratafin dal suo primo vagito, tramite Donna Anna di origine spagnola per via dei marchesi di Avenia. Nella costellazione familiare brillavano quattro Terese: una zia, una sorella, una nipote e la cugina-fidanzata ” che al carmelo del Santissimo Sacramento :era in

 

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gioiosa tensione verso il cielo (30 ottobre 1724). Finora si era trattato però di un vicinato superficiale.

Dal momento in cui varcò la soglia dello stato ecclesiastico, Alfonso, per opera dello zio Gizzio, superiore del seminario, divenne un appassionato di Teresa d’Avila, si attaccò a lei, la prese come sorella maggiore e come madre, sforzandosi di imitarla tanto da impegnarsi come lei con il voto di non far niente se non per Dio solo e la sua maggior gloria 11 . Nell’ascetica e nella mistica la terrà come “maestra di orazione”, nella vita come la “seconda mammadopo la Madonna; d’allora in poi le sue lettere avranno come motto, quasi bandiera spiegata al vento: “ Viva Gesù, Maria, Giuseppe e Teresa ”Il fervore, divenuto ben presto un grande fuoco, porterà il giovane prete a scrivere nel suo diario spirituale (Cose di coscienza), che avrà sempre in tasca, questo sorprendente patto filiale:

Serafica Vergine, diletta sposa del Divino Verbo, S. Teresa di Gesù, I, benché indegnissimo d’esser vostro servo, mosso nondimeno dalla vostra gran bontà e dal desiderio di servirvi, vi eliggo oggi alla presenza della SS. Trinità, dell’Angelo mio Custode e di tutta la Corte celeste (doppo Maria) per mia particolar Madre, Maestra e Avvocata, e fermamente propongo di volervi sempre servire, e di fare quanto potrò, che da altri ancora siate servita. Vi supplico dunque, Serafica Santa mia, per il sangue del vostro Sposo sparso per me, che mi riceviate nel numero degli altri vostri divoti per vostro servo perpetuo. Favoritemi nelle mie azioni et impetratemi grazia che da qui avanti imiti le vostre virtù, caminando la strada vera della christiana perfezione. Assistetemi con modo particolare nell’orazione e intercedetemi da Dio parte di quello dono, che in voi fu sì grande, acciocché contemplando et amando il Sommo Bene, i miei pensieri, parole ed opere non abbiano di offendere, benché leggermente, gli occhi vostri e del nostro Dio. Accettate questa picciol offerta in segno della servitù che vi professo, assistendomi in vita, e in particolare nell’ora della mia morte”.

Seguono sette promesse riguardanti la preghiera, l’orazione e la penitenza, poi questo distico:

 

“Sia lodato Gesù, Giuseppe e Maria

e S. Teresa in compagnia12 .

 

Alfonso non era uomo da dimenticare gli impegni. Nel 1743 consacrerà proprio a santa Teresa la sua prima pubblicazione dal respiro e dalle dimensioni di un libro: Considerazioni sopra le virtù e pregi di S. Teresa di Gesù; finché avrà occhi che reggeranno alla fatica, saranno gli scritti di lei che, dopo la Scrittura, leggerà di più, citandoli più di ogni altro. Insomma Teresa de Ahumada fu, duecentocinquantanni

 

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prima che ne ricevesse ufficialmente il titolo, il primo dottore del nostro dottore della Chiesa.

 

Il secondo fu Francesco di Sales (1567-1622), tanto vicino del resto a Teresa d’Avila.

L’incontro questa volta ebbe Iuogo nella congregazione dei chierici secolari di Propaganda, chiamata comunemente delle Apostoliche Missioni, sotto il patrocinio di santa Maria Regina degli Apostoli.

Il nome di questa congregazione, fondata nel 1646 da un parroco santo della cattedrale, Sansone CarnevRle (1595-1656), ne proclamava con forza il fine: missio ad infideles; vi si lavorava sodo nell’ambito della teologia, dell’apologetica, dell’arabo, del turco, ecc. Avendo sfortunatamente le guerre tra la Spagna e il Portogallo impedito loro di imbarcarsi per l’Africa, i missionari fin dal 1650 s’erano impegnati nelle missioni parrocchiali in città e in tutto il regno e, nel 1688, pur non rinunziando alle proprie mire verso i territori pagani e musulmani, avevano adattato le regole della Congregazione a questo ministero in patria.

I “Preti secolari della cattedrale” (si dava loro anche quest’altro nome) avevano scelto quale “patrono, guida e modello del loro laborioso ministero” il savoiardo Francesco di Sales canonizzato nel 1655 a soli 43 anni dalla morte. Questi sacerdoti diocesani, senza voti, senza comunità, che erano agli ordini dell’arcivescovo, loro primo superiore, ne avevano voluto un secondo in questo vescovo, in questo predicatore, in questo missionario del clero secolare, moderno per di più e di quale statura!

I missionari della cattedrale non si contentavano di celebrarne la festa con un Gloria e un allegro bicchiere di “Lacrima Christi”, ma ne recitavano l’ufficio durante le missioni una volta la settimana, ne diffondevano la dottrina, la devozione e... le monache visitandine a Napoli e nel resto del Paese, avendolo come maestro di pensiero, di evangelizzazione e di vita 13 .

Perché Alfonso scelse la loro scuola? Perché avevano la sede vicinissima, in una cappella, che faceva un corpo solo con il seminario, dedicata secondo lo spirito di Francesco di Sales alla Vergine apostolica della visitazione, la cui immagine dominava dalla pa]a dell’altare; almeno sette dei suoi professori - e tra i più eminenti - ne facevano parte; il grande Torni e lo zio Gizzio ne costituivano i principali pilastri; infine era la. più notevole delle tre congregazioni, tra le quali i giovani chierici potevano scegliere per il loro tirocir.io, per la “classesociale, intellettuale e pastorale dei membri, chiamati senza ironia illustrissimi 14 . Però non fu certo il titolo ad attirare Alfonso (la toga gli aveva già dato più “lustro” di quanto non gliene poteva

 

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promettere la cotta), ma la vicinanza, la qualità e l’amicizia dei “fratelli”.

Perciò, non contento di farvi i prescritti quattro anni di tirocinio pastorale, chiese di diventarnefratello” di pieno diritto per tùtta la vita. Dovette però attendere un anno essendone condizione indispensabile la tonsura.

Alfonso divenne chierico tonsurato nell’autunno del 1724, dopo che Don Giuseppe gli ebbe assegnato sulla proprietà Cardovino a Marianella il patrimonio di 40 ducati annui richiesto dal diritto canonico. Il 23 settembre, sabato delle quattro tempora, durante le ordinazioni generali nella basilica di S. Restituta 15, quattro ciuffi di neri capelli caddero dalla testa di Alfonso sotto le forbici di Mons. Salvatore Miroballo, arcivescovo titolare di Nazareth e vescovo dimissionario di Barletta, che cercava di vincere la noia della sua “disoccupazione” accanto al cardinale Pignatelli. Proprio questa sua inattività, il successivo 23 dicembre, gli permetterà di conferire i quattro ordini minori (ostiariato, lettorato, esorcistato, accolitato) al nostro ex-avvocato 16 .

Appena tonsurato, Alfonso bussò alla porta delle Apostoliche Missioni; passato per il vaglio attento di due consigli (era la regola), il 27 ottobre 1724 fu accettato all’unanimità dai 51 membri presenti e nel corso dell’assemblea di lunedì 13 novembre fu ricevuto come novizio: si inginocchiò dinanzi all’immagine della Madonna, poi davanti al superiore in carica quell’anno, Giovanni Venato, che, raccomandatogli di essere fedele alla regola e perseverante nel buon proposito, lo affidò ai maestri dei novizi, Francesco Zacchetti e Pietro Marco Gizzio 17 .

Dobbiamo allo zio Gizzio la felice idea di condurre il novizio a Francesco di Sales, come già a Teresa d’Avila? A lui e a tutta la congregazione che viveva in maniera esplicita dell’opera del santo, del suo spirito, del suo esempio e della sua preghiera. Gli scritti di Francesco di Sales, tradotti da Giuseppe Fozzi s.j. e Daniello de Nobili, erano stampati e ristampati a Venezia fin dal 1667, ma chi sa se il nostro apprendista missionario poté leggerli anche in francese, come quelli di Teresa in spagnolo? La cosa certa è che si trattò di un’altra amicizia per tutta la vita e di un’altra fonte inesauribile. Francesco di Sales, come lui gentiluomo, avvocato, missionario, vescovo, venne scelto per modello e guida e preferito al severo Carlo Borromeo. Silvio Pellico e poi Giovanni Papini non a caso chiameranno Alfonso “il Francesco di Sales dell’Italia” e Celestino Berruti (1804-1872), superiore dei Redentoristi napoletani, ne metterà abbondantemente in luce il parallelismo di lampante evidenza.

Il fervore salesiano però non chiuderà alle altre correnti Alfonso che fraternizzerà a lungo con Giovanni della Croce e con tanti eminenti

 

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discepoli di sant’Ignazio, ma, dopo Teresa “la madre”, sarà Francesco il maestro spirituale del quale vivrà maggiormente. Dall’inizio del suo seminario saranno la madrina e il padrino della sua santità e del suo insegnamento, ai quali dirà con ardente familiarità: santa mia... santo mio, oppure semplicemente: Teresa 18, Cosa si riprometteva frequentandoli? L’arte di amare Dio, di amare Gesù Cristo pienamente, la “scienza dell orazione”, il fuoco dello zelo che li aveva divorati. Cosa implorava dalla loro potente amicizia? Di essere condotto, mano nella mano, fino alle vette della santità.

In questa ascensione egli, che è ancora un “novellino”, ha la grazia e la gioia di procedere con compagni degni della sua ammirazione, che, “legatolo in cordata” con Teresa e Francesco, saliranno anch essi con passo deciso. Nel 1718 Alfonso scriverà a proposito delle congregazioni secolari:

“In queste congregazioni v’è il fior fiore del clero napoletano, che e mirabilmente acclamato in tutto l’orbe cattolico per dottrina e santità19 .

Dobbiamo cogliere in questa affermazione una punta di iperbole e di fierezza? Perche no? Il fondatore e il vescovo, benché santo, o meglio, proprio perché santo, guarderà volentieri agli altri con ammirazione. E’ un tratto del suo carattere, ma anche un tratto dell’autentica santità, che è partecipazione dello sguardo d’amore di chi “vide che tutto era buono”.

 

Alfonso de Liguori non dissocierà mai “dottrina e santità”, né nella sua vita, né nella sua visione del sacerdote. Niente è più dannoso di un seminarista pio ma asino, dal momento che la pietà può passare, ma l’ignoranza resta. La Scrittura del resto identifica volentieri scienza e sapienza.

Per Alfonso l’approfondimento delle scienze ecclesiastiche farà ormai parte della santità. Data la sua resistenza al lavoro, seminario e Apostoliche Missioni non gli basteranno e non avendo più niente a che fare con il salotto Caravita (addio foro! addio giustizia traditrice!), frequenterà le migliori accademie teologiche istituite in città da sacerdoti illuminati, tra le quali senz’altro quella del suo confratello alle Apostoliche Missioni, Don Ciro de Alteriis, inaugurata proprio nel 1723, che, in quel tempo di Europa degli spiriti (la Noo-Europa, direbbe Teilhard), sarà citata come esempio dai Gesuiti del Journal de Trévoux nel marzo del 1731 20. Il suo ambizioso programma prevedeva sette sezioni di ricerca: sacra Scrittura, domma, eresie, concili, diritto canonico, disciplina ecclesiastica, storia della Chiesa; mancava, notiamolo, la morale. L’aspetto convenzionale di questo tipo di circoli, nei quali

 

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venivano stimolati il lavoro, l’informazione e lo scambio, non impediva certo i rapporti di amicizia.

In comunità si coltiva meglio l’intelligenza, ma anche l’anima e il cuore. Alfonso ai piedi della Madonna delIa Mercede aveva giurato - di entrare tra i Girolamini, sua prima fonte e vivaio spirituale, e alla loro confraternita dei dottori della Visitazione (che caso: dovunque la Vergine della Visitazione, la Vergine del cammino apostolico) sarebbe rimasto fedele per tutta la vita. Però - e non è un paradosso - dal momento che i figli di san Filippo avevano dovuto rinunziare ad accoglierlo tra di loro, egli veramente fece parte del gruppo dei padri diventando fratello di tutti, per la gioia e il profitto degli uni e degli altri, e scelse la loro monumentale chiesa, da vent’anni chiesa dei suoi uffici domenicali, a chiesa di tutte le mattine per la messa e la comunione e di tutte le sere per la visita al SS. Sacramento al ritorno dal servizio agli Incurabili. Don Buonaccia aveva già lasciato questo mondo? Forse si era ritirato dal servizio o spendeva le ultime briciole di pazienza con il beniamino dei Liguori, Ercole. Non lo sappiamo. Alfonso, estraneo in casa sua, diventatouomo di chiesa ” e non più “ di cappella ”, sostituì l’oratorio domestico con la comunità del suo P. Pagano, da cui ogni sera partiva per partecipare a lungo e ardentemente alla solenne adorazione delle quarantore 21 .

 

Una sera autunnale del 1723 proprio le quarantore provocarono un incontro - ancora uno - il cui lato umoristico ne nasconde l’incalcolabile portata.

E’ necessario ritornare a quel seminarista di diciotto anni. Giovanni Mazzini, appassionato del SS. Sacramento, che non si stancava di ammirare il fervore estatico di un giovane cavaliere insieme a Giuseppe Maria Porpora e Giuseppe Panza, seminaristi esterni al pari di lui e compagni nella pietà eucaristica. Si interrogavano su quel nobile più fervoroso di dieci ecclesiastici messi insieme, ma non avevano mai osato disturbarne la preghiera e neppure avvicinarlo all’uscita, non solo perché i chierici di quel tempo erano di natura troppo timidi, ma anche perché sarebbe stato necessario aspettarlo chi sa fino a quando. Chi era quel principe così assorto e staccato?

Dall’ultima estate lo vedevano arrivare prima e immergersi più profondamente e più a lungo in Dio quasi volesse assicurare una ininterrotta guardia di amore al suo Signore. Ma perché non portava più lo spadino?

Ora, verso la fine di ottobre all’affascinante cavaliere dalla instabile parrucca si era sostituito un giovanepretesconosciuto, sottana e capelli corti: stessa aria, stessa immobilità, stesso fervore... Era forse il loro cavaliere? Non era possibile, eppure...

 

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Volendo mettersi il cuore in pace, si fecero coraggio e, aspettatolo all uscita, gli Si avvicinarono rispettosamente. Mazzini, il più giovane del fervoroso gruppetto (sarà lui che riporterà punto per punto il dialogo) gli rivolse la parola:

- Scusate la nostra curiosità, ma avete una sconvolgente somiglianza con un laico, senza dubbio un cavaliere, assiduo alle quarantore Siete voi? Per l’amor di Dio, illuminateci.

Alfonso “ con tutta modestia, e garbatezza e con lieto riso ”:

- Ma sì, disse, sono io.

- Che è successo allora? Come mai questa mutazione di voi?

- Cosi e stata la volontà di Dio.

- Possiamo chiedervi il nome? Che facevate prima? Che cosa è successo?

- Sono Alfonso de Liguori. Finora sono stato avvocato...

(E’ proprio lui, pensarono i nostri tre timidi curiosì soddisfatti).

- ...Avevo una clientela ben grande e con certa speranza di acquistare grandi ricchezze non meno che posti i più sublimi ne’ Tribunali... Dio pero mi ha mostrato che tutto è vanità, tranne il solo servire ed amar lui... Mio padre è molto deluso, si aspettava facessi la fortuna e la gloria della famiglia! Ha scatenato non pochi fracassi contro la mia vocazione. Grazie a Dio, ne sono uscito ed ora eccomi sulla strada del sacerdozio...

- Se ce lo permettete, faremo insieme questo cammino.

Divennero amici nell’irradiamento dell’Eucaristia e da allora ogni sera si raccoglieranno a lungo dinanzi all’ostensorio delle quarantore per poi andare a visitare la Madonna in uno dei santuari a lei dedicati. Lungo la strada i cuori bruceranno come quelli dei discepoli di Emmaus e, sera dopo sera, non smetteranno di gustare le meraviglie di Dio, della Vergine, dei santi, tanto che, dopo la visita a Maria, la passeggiata spesso ricomincierà portandoli fuori città. Intorno ad Alfonso ci si attardava volentieri in appassionate discussioni spirituali e, apostoliche.

Il cerchio ben presto si allargò, dal momento che tutta l’aristocrazia napoletana lo conosceva e lo ammirava; si aggiunsero altri seminaristi e alcuni giovani sacerdoti (Domenico Letizia, Vincenzo Mannarini, Luigi Lago, Michele de Alteriis...) e più tardi anche dei laici. Dall’improvvisato incontro sulla soglia di una chiesa napoletana nacquero grandi famiglie spirituali 22.

Però se il nome de Liguori ha fatto, come un sole, il giro del mondo, lo si deve al figlio del comandante della galera ammiraglia che aveva voltato le spalle alla gloria e alle ricchezze.

 

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Povero Don Giuseppe! Avrebbe pagato qualsiasi prezzo perché il “suo abaterassomigliasse a quegli ecclesiastici mondani, che si pavoneggiavano sui balconi, nei salotti e nelle strade, vestiti di setacolla veste corta, colla chioma incipriata, coi manichetti ai polsi con occhielli d’oro alla ciamberga, con fibbie d’argento alle scarpe23, come un giorno li descriverà lo stesso Alfonso. Avrebbe conservato, allora, qualche speranza di ricuperarlo per i suoi sogni di grandezza umana: ma c era tanta strada tra l’inizio del seminario e il sacerdozio! C’era tutto il tempo per cambiare idea lungo il cammino. Chi sa?

Aveva perciò sperato di non vederlo mai in sottana, anzi aveva deciso che non l’avrebbe mai portata. Se gli aveva imposto di restare in famiglia, era più per tenerlo soggetto al suo potere che per affetto. S’era rifiutato quindi - è un dettaglio che sottolinea la soggezione in cui teneva il figlio avvocato - di fornirgli la sottana, adducendo a pretesto che in casa non c’era denaro sufficiente per un guardaroba conveniente a un ecclesiastico! Un caso di coscienza per Alfonso: dare tempo al tempo o andare decisamente oltre? Per consiglio del P. Pagano si procurò una talare prendendola dal deposito degli stracci, che allora - non mancava in alcuna comunità: i morti e i vanitosi lasciano volentieri ai poveri di cuore gli abiti che hanno smesso.

Il 23 ottobre 1723 Alfonso si presentò in casa vestito da “ umile prete ”. Un’esplosione! Don Giuseppe letteralmente saltò in aria con un grido straziante, gettandosi sul letto folle di dolore e di rabbia 24.

Chi avrebbe pensato che dilazionare il dramma temuto lo avrebbe reso piu atroce?

“Per un anno, scrive Tannoia, iscanzò l’incontro, non volendo vedere un oggetto, che per esso era causa di ogni amarezza A capo di questo tempo, avendolo veduto a caso, e di lontano in una delle i stanze, diede D. Giuseppe in un urlo, ma troppo amaro, e schiaffeggiandosi gli voltò le spalle, e ritirossi altrove. Così per un pezzo passarono le cose tra Alfonso, e suo Padre. Non così colla madre. Questa, perché Dama di altra virtù, persuasa del volere di Dio, mitigava per quanto poteva la pena del marito, e coadjuvava il figlio in tutte le occasioni25.

E facile immaginare l’insopportabile gioco a rimpiattino, la sofferenza interiore e l’usura psicologica di quegli anni! Il comandante cercò certo di dimenticaredistraendosi” più spesso e più a lungo nella caccia al “turco26 e il figlio, preso interamente dalla preghiera, e dallo studio, fu come assente nel palazzo Liguori anche durante i pasti, quando il padre si trovava “di passaggio”. Molte volte Alfonso; dovette desiderare di andare a vivere altrove, ma dove? Gli Oratoriani gli erano stati proibiti dal padre, i missionari della cattedrale non vivevano in comunità e poi in casa c’era la madre.

 

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“Anche gli Amici, prosegue Tannoia, ebbero a male, e si disgustarono non poco per questa sua risoluzione. Ove prima Alfonso tirava a sé colle sue attrattive i cuori di tutti, fatto Ecclesiastico, addivenne la favola di ognuno. Avvocati, e Senatori, che l’amavano, e l’avevano in istima, nol caratterizavano che per un giovane leggiero, e travolto di mente. In ispezialità non se ne poteva dar pace il Capo-Ruota D. Muzio di Majo, che, come dissi, lo amava con tenerezza di Padre. Essendo Alfonso andato da lui, per non so che, non solo non volle ammetterlo, ma lo fece bruscamente licenziare, come persona, che non meritava tant’onore. Non pensava però così a capo di tempo, quando, colto dalla morte, era per vedersi presentato al Tribunale di Dio. Avendo saputo Alfonso, che D. Muzio stava infermo, e che il suo male era grave, non mancò visitarlo. In vederlo il Capo-Ruota entrare nella sua stanza, aprendo, ed alzando le braccia si pose ad esclamare: Oh D. Alfonso, tu l’hai indovinata: Beato te!”.

 

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p. 178
1 Theologia moralis, ed. Gaudé, I, p. LVI; Monitum della VII ed., 1772 - 1773, par. 2.



2 RISPOLI, op. cit., pp. 30-31.



p. 179
3 Cf. TELLERIA, I, pp. 102-103.



4 H. DE LUBAC, Exégese médiévale, parte I, t. I, Paris 1959, pp. 16-17

(trad. ital., Roma 1962, pp. 19-20).



5 A torto, gli è stato attribuito come maestro il celebre Alessio Simmaco Mazzocchi (1684-1771). dal 1721 al 1735, questi insegnò nel seminario di Capua, sua patria, diventando anche decano del capitolo. Solo nel 1735 si stabilì a Napoli, passando nel seminario come una cometa, per poi illustrare con la sua “abissalescienza la cattedra biblica dell’università. Cf. Sparano, op. cit., II, pp. 300, 339-340; Telleria, Ii, p. 103; P. Pietrafresa in “Rivista di letteratura e di storia ecclesiastica”, 3 (1971), p. 264, n. 20; De Maio, op. cit., pp. 293-294.



6 Cf. l’indice dell’Opera dogmatica, edizione latina di A. Walter, t. II, p. 789: “scriptura sacra”; G. Rondelez, S. Alpfonse exégète, 25 pp. dattilografate.



p. 180
7 Costituzione sulla Divina Rivelazione, 23.



8 Traité de la Concupiscence, Paris 1742, c. VIII, p. 49.



9 Lettera ad religioso amico, 3: Marietti, III, p. 299.



p. 181
10 RISPOLI, op. cit., p. 31; TANNOIA, I, p. 23.



p. 182
11 TANNOIA, I, p. 184 (per errore impaginata come 176).



12 AGR, SAM (Manoscritti di S. Alfonso), VI, 10. Cf. SH 23 (1975), pp. 241-245; V. PEREZ DE GAMARRA, El discipulo mas illustre de la Escuela ascétic espanola. S. Alfonso M. de Ligorio, Madrid 1924.



p. 183
13 SPARANO, op. cit., I, pp. 1-47; II, pp. 120 ss.; Cf.Campania Sacra”, 2 (1971), pp. 165-210.



14 Cf. De Maio, op. cit., pp. 11, 38, 52, 56, ecc.; SH 8 (1960), pp. 393 ss



p. 184
15 La basilica di S. Restituta e’ una grande cappella laterale sulla fiancata sinistra della cattedrale; dinanzi al suo altare si erano sposati i genitori di Alfonso un mattino di primavera, 29 anni prima.



16 ASDN, Sacri Patrimoni, n. 9324; cf. SH 10 (1962), pp. 326-329.



17 ASDN, Apostoliche Missioni, “Giornali”, vol. 1924-1925 36, foll. 3-7, 11, 31 e 122. L’esercizio annuale delle cariche va da luglio a luglio e, naturalmente, anche la cronaca dei volumi dei Giornali, che costituiscono la nostra fonte riguardo alle missioni fatte da Alfonso dal 1724 al 1732; cf. anche SH 8 (1960), pp. 393-452.



p. 185
18 Lettere, I, pp. 1, 7; Novene e meditazioni, parte II: Marietti, II, pp. 444 ss., 471. cf. C. KEUSCH, la dottrina spirituale di S. Alfonso M. de Liguori, pp. 83-84; opere ascetiche, a introduzione generale”, pp. 182-184; C. BERRUTI, Lo spirito di S. Alfonso, pp. 11-14, 300-301.



19 Medulla Theologiae Moralis, Napoli 1748, col. 1030; cf. SH 8 (1960), p. 410.



20 TANNOIA, I, p. 32. Tannoia l’incorpora all’accademia tenuta in casa di don nicola guerriero, ma è un anacronismo, perché “quest’uomo illuminato e sapienteera vescovo di Scala e Ravello dal 1718. però Alfonso, giovane patrocinante, avrà certo stretto amicizia con lui, quando era avvocato della curia arcivescovile e avvocato dei poveri presso la nunziatura; cf. TELLERIA, I, p. 136.



p. 186
21 RISPOLI, op. cit., pp. 27-28.



p. 187
22 Deposizione dello stesso Mazini: Summarium, pp. 93-96.



p. 188
23 Selva, parte II, istr. II, 9: Marietti, III, p. 103.



24 GIATTINI, op. cit., p. 35; Summarium, pp.74-75,80,89.



25 TANNOIA, I, pp. 29-30.



26 Cf. SH 14 (1966), pp. 393-394.



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