Theodule Rey-Mermet
Il santo del secolo dei lumi
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Parte seconda “VA’, VENDI I TUOI BENI E SEGUIMI” (1723-1732)

17. - LE CAPPELLE SEROTINE (1728-1732)

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17. - LE CAPPELLE SEROTINE

(1728-1732)

 

In questa Napoli dalle cento “cattedrali” la vita religiosa esplodeva nelle strade quasi quanto nell’interno del suo mezzo migliaio di santuari. Per le strade si bestemmiava, si pregava, si andava in processione, si predicava; un sacerdote, Crocifisso in mano, saliva su un muretto, una scalinata o un banco tirato fuori da una bottega e subito oziosi, artigiani, bottegai, massaie e bambini si accalcavano rispettosi intorno a lui, mentre a cento passi un giocatore di bussolotti, un ciarlatano, un narratore o un burattinaio divertiva a sua volta il proprio pubblico. Un intero popolo di straccioni chiedeva l’oblio almeno per un’ora o la speranza per l’eternità.

Viaggiatori tedeschi, inglesi o francesi venivano ad assaporare le delizie della bella Napoli - vedi Napoli e poi muori! - , ma poi la ringraziavano con pagine beffarde sull’ignoranza, sulla sporcizia, sulla furfanteria, sulla religiosità superstiziosa e ciarlatana del suo popolo. Certo il sinodo del 1726 aveva a ragione legiferato con forza contro la bestemmia, la superstizione, la magia, la stregoneria, la divinazione, gli abusi riguardo alle immagini dei santi, le indecenti processioni di flagellanti nudi, la pubblica impudicizia e altri eccessi dello stesso tipo; usando estrema severità, aveva perfino messo alla berlina ventitré peccati, riservandone l’assoluzione all’arcivescovo e aggiungendo a sedici di essi la sanzione della scomunica 1 .

Il localizzare la fognatura in una casa o in una città non è forse anche segno che non tutto in essa è sporcizia? Le generalizzazioni frettolose dei nostri viaggiatori in veste di cronisti mondani dipendevano sia dalla loro innatasuperiorità ” di liberi pensatori, sia dal loro freddo puritanesimo protestante, sia più semplicemente dalla loro mancanza di finezza. Si racconta ancora la storia del prestigiatore transalpino che pensava di tenere a lungo banco tra quegli “ arretrati ” del sud e che, dopo solo quarantotto ore, dovette smontare il suo palco, perché tutti i suoi giochi erano imitati alla perfezione dai lazzaroni di Largo del Castello 2. La povertà non è un vizio, si dice e

 

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si può aggiungere che la mancanza di cultura non è stupidità, la pietà non è magia, la fede espansiva non è superstizione, la predicazione per le strade non è ciarlataneria.

Dopo Gesù e gli apostoli, dopo Francesco d’Assisi e Ignazio di Loyola, Filippo Neri aveva predicato sulle piazze e i crocicchi di Roma e Francesco de Geronimo l’aveva imitato a Napoli quasi fino alla morte (1716). Con amici quali il gesuita Francesco Pepe (1684-1759) e il giovane e famoso domenicano Gregorio Rocco (1700-1782), Alfonso de Liguori riprese la fiaccola di questa permanente missione della capitale, che lo porterà ben presto a fare il suo primo Esodo: passare cioè ai “popolani”, alla massa di poveri e di ignoranti che penava, brulicava, faceva baccano e si sforzava di ridere nei bassifondi mai dimenticati della parrocchia di Sant’Eligio o nei “bassi” dei palazzi privati.

Napoli infatti non aveva relegato i tuguri cadenti lontano dalle residenze eleganti, ma aveva segnato verticalmente la frontiera tra le classi: il povero abitava a pianoterra e il privilegiato occupava i piani superiori. A livello di strada si trovavano non solo le scuderie e le rimesse dei padroni, ma anche i “bassi” da affittare: vani senza finestra con una porta bassa che dava sulla strada o sul cortile. In queste umidegrotte” che sostenevano gli appartamenti superiori, il locatario sistemava, bene o male, un piccolo commercio al dettaglio. un laboratorio o, il più delle volte, due larghi giacigli direttamente sul suolo, un fornello e tutta la sua famiglia, spesso numerosa. Così i “lazzari” si trovavano distribuiti in quasi tutta la città, anche se si sentivano in qualche maniera a casa propria in quel guazzabuglio di costruzioni lungo il mare dal Castello al Mercato. E poi abbondavano i vagabondi senza una dimora fissa.

Proprio Alfonso non tarderà ad accendere il fuoco delle Cappelle serotine.

 

Raramente una grande opera nasce da una grande idea, perché non si pianta un albero di trenta metri in un vaso da fiori; nasce dalla vita, un po’ per volta, come ogni vivente che viene al mondo: fiore, albero o bambino.

Le Cappelle serotine furono non una talea delle associazioni o delle confraternite già esistenti, ma veramente una pianta nuova, una creazione originale dell’irradiarsi della fede di Alfonso tra gli umili. Basterà leggere con onestà la storia nelle sue fonti non alterate: la testimonianza resa al processo apostolico di Nocera da uno dei protagonisti fin dalla prima ora, il P. Giovanni Mazzini; le narrazioni raccolte da Tannoia dalle labbra stesse di coloro che vi parteciparono;

 

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la vita di chi, accanto al Liguori, ne fu il più stretto promotore, Gennaro Sarnelli 3.

Bisogna ritornare a quel pugno di amici, che l’amore per l’Eucaristia e il prestigio umano e spirituale di Alfonso avevano raccolto fin dai primi mesi del suo seminario: i giovani chierici Giovanni Mazzini, Giuseppe Panza e Giuseppe Maria Porpora; poi ben presto i sacerdoti Domenico Letizia, Vincenzo Mannarini, Luigi Lago, Michele de Alteriis e altri ancora. Ogni sera, dopo le lunghe ore di fervore ai piedi del Signore e della Madonna, per proseguire i loro discorsi appassionati sulla scoperta di Dio, guadagnavano un angolo tranquillo extra muros, il più delle volte la Piazzetta Stella, dinanzi alla chiesa dei Minimi di S. Francesco di Paola, un po’ più su dell’attuale Museo Nazionale, dove, sotto le stelle, facevano cerchio a lungo.

Tutto era cominciato con l’oro delle foglie dell’autunno 1723. I neofiti della santità avevano ben presto deciso di fare insieme, ogni mese, tre o quattro giorni di ritiromonasticolontano da Napoli, scegliendo come primodeserto” la proprietà del più anziano di loro, Don Domenico Letizia, ad Arzano, due leghe a nord della città 4. Un vano era stato adibito a oratorio con un altare e una bella statua della Vergine, dove celebravano insieme le sette ore dell’ufficio divino, L’orazione, il rosario, le litanie della Madonna e, certamente, l’adorazione delle quarantore. I documenti tacciono sulla messa, unica celebrazione che i sacerdoti non potevano vivere insieme, perché si era solo a metà strada fra Trento e il Vaticano II; in comune invece, oltre che in privato, ci si flagellava anche a sangue. Si mangiava poco e ognuno a suo piacere alleggeriva il proprio piatto mettendo qualcosa in quello posto ai piedi della statuetta di Gesù Bambino, che presiedeva a tavola in nome dei poveri (non si dimentichi che nell’Italia meridionale non ci si serviva da un unico piatto comune, ma ognuno riceveva la propria razione). Terminato il pasto, si cantava qualche canzoncina per distendersi, poi si tornava all’orazione. Anima e trascinatore del gruppo era il Liguori: con la sua personalità prestigiosa l’aveva raccolto, con il suo esempio, con la sua parola e con il suo zelo, senza che ne fosse consapevole, stimolava tutti a darsi senza risparmio.

I vicini però ben presto si irritarono per il “rumore” degli eremiti (cantavano troppo, impossibile sopportare uffici tanto lunghi); ai salmi cominciarono a rispondere con la cagnara, al “ baccano ” con un baccano e mezzo, finché i nostri ritiranti furono costretti ad abbandonare casa Letizia. Alfonso “con danari suoi ne comprò5 un’altra, più isolata e meno lontana, vicino a S. Gennaro extra moenia, nel “suo” Borgo dei Vergini, e per quattro anni canti e fervore ripresero in crescendo per alcuni giorni al mese. Poi ognuno ritornava

 

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o agli studi o al ministero, per ritrovarsi però ogni sera all’appuntamento dell’Ostia, della Madonna e del fervoroso e gioioso conversare.

Intanto Alfonso era asceso al sacerdozio, seguito da Panza, da Porpora e poi da Mazzini il 22 maggio 1728; s’erano aggiunti altri sacerdoti: Gennaro Fatigati, Bartolomeo Capozzi, Giuseppe Sersale 6 , Giuseppe Jorio, un certo Pirelli e un certo Molitelli, dei quali ignoriamo il nome; altri seminaristi: Giambattista Fusco, Giambattista Coppola; e “laici numerosi”, come dice Mazzini, dei quali ci limitiamo ora a citare Gennaro Maria Sarnelli (1702-1744), avvocato anche lui, già legato al cavaliere de Liguori ai Tribunali e agli Incurabili, che lo seguirà in seminario nel settembre 1728 e poi alle Apostoliche Missioni. Saranno due fratelli per la vita e per la morte, con Mazzini in qualità di terzo.

Nomi, penserà il lettore, venti nomi, dimenticati appena letti. Al contrario, con queste pietre di amicizia si costruisce una vita, con questa unione di forze si costruisce un’opera.

E una prima grande opera spuntava già da terra, anche se ancora ignorata, come il bambino concepito e pronto a nascere del quale nessuno conosce ancora il nome e il volto: le Cappelle serotine.

 

Alfonso, dice Tannoia, “per lo più operava nel Mercato, e nel Lavinaro, ove vi è la feccia del Popolo Napoletano; anzi godeva vedersi circondato dalla gente più vile, come sono i Lazzari, così detti, e da altri d’infimo mestiere. Questa gente piucché ogn’altra aveva Alfonso a cuore; e non mancava illuminarla colle prediche, e ridurla a Dio colla Sacramentale Confessione. Uno dando voce all’altro, si vedevano concorrere ogni nuovi penitenti da ogni parte, e servir tutti come di pabolo all’ardente zelo, che aveva di salvar Anime, e donarle a Cristo. Tanti e tanti, ancorché scellerati e peccatori, che non lasciarono di frequentarlo, non solo presero in orrore il peccato; ma addivennero Anime di orazione non ordinaria, e sommamente impegnati in amare Gesù Cristo7.

Ben presto Alfonso non ebbe più neppure una briciola di tempo per dare a ciascuno il cibo spirituale che reclamava. Non importa! Poiché si era nella bella stagione, li raccoglierà allora in qualche sobborgo tranquillo e li istruirà in comune. Occorrerà aspettare il calare del sole, dopo le ventiquattr’ore, dato che la giornata lavorativa trattiene imperiosamente i poveri . La sera allora ? Alla stessa ora delle abituali riunioniclericali” con Mazzini, Panza, Porpora e gli altri? Perché no? Non hanno lo stesso Dio, lo stesso Cristo, la stessa perfezione cristiana da raggiungere, la stessa missione di portare la buona novella? I due ruscelli allora si congiunsero e formarono un solo fiume: all’inizio dell’estate 1728, al suono dell’Angelus della sera,

 

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sacerdoti, chierici e lazzaroni confluirono all’appuntamento di Alfonso di fronte alla chiesa di S. Teresa degli Scalzi.

- Che cos’è questa folata di uccelli notturni ? si chiesero sospettosi i buoni Carmelitani scalzi.

La truppa ritenne prudente emigrare al di sopra di S. Agnello, arrestandosi in Piazzetta Stella, più comoda e meno frequentata. Il gruppo primitivo ritrovava così il “ suo terreno ”, sotto le finestre indulgenti dei padri Minimi.

Ma non per molto...

Per quanto giovane e gioviale, la gente di Chiesa, che vi si era raccolta da quattro anni, era rimasta sempre “ grave e moderatasecondo la definizione del concilio di Trento, ed era perciò passata quasi inosservata. Ora invece si trattava di folla che veniva dal Mercato, dalla Conceria, dal Lavinaro e da più lontano ancora. “Non erano questi persone nobili, ma Lazzari, Saponari, Muratori, Barbieri, Falegnami, ed altri Operarj”. Tannoia delinea dei volti.

In primo luogo, Pietro Barbarese: un santo fin dal biberon, dice Vincenzo Pino che nel 1776 ne pubblicherà la vita; un mascalzone di prima qualità, precisa Tannoia che pure aveva letto Pino; santo o no, a ventisei anni, celibe, maestro degli scugnizzi del Mercato, discepolo incondizionato del Cristo e di Alfonso, si era messo a fare il catechismo e a preparare ai sacramenti i monelli dei quartieri bassi, come nessun prete aveva saputo fare 8.

Luca Nardone - riguardo a lui; non ci sono contestazioni - era un soldataccio licenzioso, espulso dall’esercito, salvato dal palo dal re di Francia in persona, un disperato agli occhi della società e agli stessi suoi occhi; messo sottosopra da una predica di Alfonso, accolto a braccia aperte, perdonato, scelto da Cristo, questo “capestro da condannato, addivenne in seguito... un funicolo di carità, ma molto atto per tirare Anime a Gesù Cristo e strapparle all’Inferno”. Il gioco di parole è dello stesso Tannoia che l’aveva conosciuto, al pari di altri:

Conosco io e sono noti a tutta Napoli, un vecchio venditor di farina chiamato Giuseppe il Santo al Mercato; Ignazio Chianese vasajo al ponte della Madalena; e Bartolomeo d’Auria venditore d’Istoriette, e libri vecchi: tutti e tre uomini di sopraffina virtù. Si sanno Bernardino Vitale vaccinaro, Pasquale Sorrentino anche farinajo, un certo Giuseppe Falegname, un Matteo Ortolano, Gennaro Camparatolo Sensale agli Orefici, Giuseppe Carozziere, Agnello Fabricatore di fuochi artificiali, ed un Francesco Stampatore, venerati tutti per Anime innamorate di Gesù Cristo. Sono noti, omettendo tanti a tanti altri, Antuono o sia Antonio Pennino, che vendendo uova per Napoli, riscattava Anime dall’Inferno, che anche morto comparendo a taluni li

 

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distolse dal peccare; Nardiello, o sia Leonardo Cristano, che benché per Napoli, col somaro avanti, andasse vendendo chiappari e castagne, tuttavolta guadagnava Anime a Gesù Cristo. Questi tutti e due operarono prodigi in vita e dopo morte”.

Sociologi e pastori parlano oggi di religione popolare. Si trattava di questo allora, ma non era per niente una fede al ribasso. Come avveniva la formazione spirituale in quelle assemblee?

Ogni sera con parole toccanti Alfonso metteva alla portata dei più semplici una verità centrale della fede o una virtù cristiana: poi gli altri sacerdoti intervenivano con gustosa varietà. Si susseguivano così esortazioni pratiche sui doveri più essenziali (amore di Dio, carità fraterna, rinunzia e mortificazione, imitazione del Cristo crocifisso), racconti edificanti di vite di santi, preparazione alle feste più vicine e ai sacramenti; il tutto intervallato da preghiere e canti (ma non troppo forte: i padri Minimi sentono!) e da scambi liberi e calorosi. Troppo liberi, troppo calorosi! Lo vedremo.

 

Quella sera l’incontro verteva sul digiuno e la mortificazione e un penitente troppo fervoroso, che viveva solo di erbe crude e di radici, venne accusato di imitare i monaci della Tebaide:

- E’: un povero artigiano che deve lavorare duro per sfamare la famiglia !

- Il troppo è troppo, rimproverò dolcemente Alfonso, hai il dovere di non ammazzarti e di mantenere vigorose le tue braccia.

Don Giuseppe Porpora rincarò sorridendo:

- Iddio vuole che si mangi, e se vi sono date quattro costatelle, anche buon pro vi faccia.

Scatenò l’ilarità generale e tutti vollero aggiungere la propria.

I padri Minimi, all’erta, credettero di avere finalmente in mano la chiave dell’enigma:

- Hanno detto: “ costatelle

- E “buon pro vi faccia”!

- Deve trattarsi di una setta di sibariti, condotta per di più da sacerdoti ! Ma guarda che ti tocca vedere a questo mondo

- Non sarà un circolo di “molinisti”?

Il sacerdote spagnolo Miguel de Molinos ( 1628-1696 ), da poco tradotto in italiano e accreditato a Napoli dall’alcantarino Giovanni di S. Maria, aveva sostenuto che certi atti esteriori immorali non macchiano l’anima dei perfetti, perché, rapiti in Dio, “sono al di sopra di tutto ciò”. Si apriva così la porta alle orge. Ecco perché il sospetto:

- Senz’altro dei molinisti... a meno che non si tratti di luterani!

Dopo la dominazione austriaca, con la presenza di truppe tedesche, quei buoni napoletani vedevano luterani dappertutto.

 

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- Bisogna prontamente avvertire l’arcivescovo..

Il cardinale mise in allarme il Reggente della Vicaria, governatore della capitale e prefetto di polizia, che spedì per informazioni il capitano della guardia Vincenzo Langelli. Col favore della notte, Vincenzo si infiltrò nel gruppo, spalancando gli occhi e tendendo le orecchie. Si era ai primi giorni del settembre 1728 e Alfonso preparava il suo uditorio alla festa della natività di Maria, facendo ricorso a simboli familiari, culla, fasce, fiori... Da buon poliziotto, il capitano non se ne intendeva di allegorie, così, formatosi in fretta un giudizio, tornò a fare rapporto: “ C’è del buono, c’è del cattivo, ma il tutto è molto misterioso”.

Governatore e cardinale decisero per l’indomani una retata per tutta la banda.

In mattinata, Alfonso si trovava a passare nel palazzo arcivescovile, quando gli giunsero alle orecchie voci di arresti previsti a sera contro una setta misteriosa. “Ma è la mia riunione” si disse tra sé e scaltro, fece avvertire tutta la sua gente, perché non si allontanasse da casa. I suoi corrieri però non riuscirono ad avvertire in tempo i più lontani, Barbarese, Nardone e qualche altro, che caddero nella trappola: invece del “loro padrespuntarono sergenti e arcieri e ognuno tra due sbirri fu condotto al corpo di guardia a Porta S. Gennaro.

Cammin facendo, commosso non più di tanto, Nardone diceva a Barbarese:

- Compagnone forse ti dispiace questo complimento?

- Sì, rispose Pietro, perché Gesù Cristo fu condotto ligato con funicelli, e noi andiamo civilmente col solo fazzoletto al braccio.

Furono presentati prima al giudice ecclesiastico:

- Che cosa avete da complottare tutte le sere in Piazzetta Stella? domandò severo il canonico Giordano.

- Da poveri ignoranti che siamo, Monsignore, andiamo a farci istruire sui nostri doveri cristiani da Don Alfonso de Liguori e un gruppo di altri sacerdoti.

Al solo nome di Alfonso, il mistero finì in scoppi... di risa:

- Dio vel perdoni, si sforzava di dire il serio canonico, avete mantenuto in moto tutte e due le corti, Ecclesiastica e secolare.

La stessa scena si ripeté con il governatore e alla prima parola il pallone gonfiato scoppiò tra le risa. Poi il magistrato prese gusto a far confessare ai suoi “criminali” i delitti delle famose riunioni “delle costatelle”, quando dalla strada si sentì il campanello dei chierichetti che accompagnavano un sacerdote con il viatico e i nostri uomini, con un balzo, girate le spalle al governatore, corsero a prostrarsi sul balcone, esclamando pieni di gioia: “Lo Sposo! Lo Sposo!”. Commosso

 

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il magistrato li lasciò accompagnare il loro Signore e se ne andò a letto, diviso tra il riso e lo stupore.

Alle voci che correvano già in città con le brume autunnali del primo mattino, Alfonso non ebbe voglia di ridere e, corso dal cardinale, lo mise al corrente di tutto, chiedendo di punire solo lui, unico responsabile, se la cosa fosse ritenuta colpevole.

- Ma no, ma no! - rispose Sua Eminenza - Credetemi! Al contrario, sono pieno di gioia per tutto il bene che si fa. Occorre però evitare questi grossi assembramenti. Sono tempi troppo sospetti; e bisogna evitare che i lupi non si cuoprano sotto la pelle degli Agnelli e fare del male all’ombra del vostro nome.

Il pastore condivideva la psicosi di tutto il suo popolo verso le nuove sette e le adunanze notturne, dal momento che l’illuminazione delle piazze e delle strade con le migliaia di lampade ad olio di oliva delle edicole votive sarà opera molto geniale del “ buon padreRocco, ma solo verso il 1770 9; intanto le stelle potevano coprire ogni cosa, dai luterani alla... “setta delle costatelle”...

Infatti correva in tutta Napoli la voce di una setta delle costolette, che al cader della notte viveva il suo sabba in Piazzetta Stella. “Si tratta di molinistiprecisavano i bene informati, con orrore misto a desiderio e Alfonso, Mazzini, e altri “fratelli”, per la loro santità di vita, venivano avvicinati confidenzialmente per via, perché pregassero Dio di liberare la città da quei nuovi eretici!

 

L’incidente da burla fu però un colpo dello Spirito, perché la proibizione della grande adunanza segnò la fine del Cenacolo e l’esplosione della Pentecoste, cioè la dispersione degli apostoli. Alfonso, valutando i suoi discepoli laici già ben formati, decise di farne, ciascuno nel proprio quartiere, i perni e gli animatori di numerosi piccoli gruppi, che avrebbero riunito i “lazzarelli” e il popolo minuto delle strade in botteghe o in case private; egli stesso con gli altri sacerdoti sarebbe stato ora qua ora per mantenere i legami, confortare e assicurare i sacramenti. Il programma suggerito a Barbarese ci offre un quadro chiaro del cammino indicato a tutti.

Barbarese... incominciò ad istruire in varie pratiche di pietà varii Facchinelli nella Bottega di un Barbiere avanti la Chiesa del Carmine. Sminuzzava il buon uomo il miglior che poteva, qualche massima Evangelica; istruiva quella gente nelle cose necessarie; ed animava ognuno a visitare il Sacramento, ed alla divozione di Maria Santissima. Similmente per un quarto d’ora porgeva loro praticamente la meditazione o sopra i novissimi, o sopra la Passione di Gesù Cristo 10; ed in tutto trattenevali circa un’ora. Essendo cresciuto il numero, e vedendosi il bene, che risultava, fu insinuato a Pietro dal Sacerdote D. Giuseppe

 

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Gargano, che fatto avesse una tal opera di pietà nella Cappella de’ Berrettari 11. Lo fece il Barbarese, e vi concorrevano ogni sera in quella Cappella fino a sessanta tra giovinetti, ed altri di avanzata età”.

Luca Nardone piantò altrove la sua cattedra di catechesi e la sua scuola di preghiera; un altro penitente di Alfonso, un barbiere di Piazza della Pignasecca (non lontano dall’attuale chiesa dei Redentoristi) lasciava i suoi rasoi e diventava teologo e maestro spirituale, e come loro altri, attraverso l’intera Napoli. Alfonso faceva il giro di queste “assemblee delle costatelle” (non si finiva di riderci su), stimolando gli antichi discepoli e guadagnando nuovi convertiti all’amore del Crocifisso. “Il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità coloro che erano salvati” (Atti, 2, 47).

Una domenica sera un giovane cardatore di lana, venuto a farsi radere dal nostro figaro della Pignasecca, restò meravigliato, mentre il maestro insaponava qualche barba e lavorava velocemente con il rasoio, nel vedere umili persone entrare come a casa loro e passare nel retrobottega. Punto dalla curiosità le seguì e ne scoprì con sorpresa molte, alcune assise altre in ginocchio, intorno a una statua della Madonna su un piccolo altare illuminato.

- Ma che succede qua? chiese.

- Qui viene ad istruirci D. Alfonso Liguori nelle cose della Santa Fede; e mancando esso, supplisce il Mastro.

Alfonso quella sera non venne, ma il padrone di casa se la cavò benissimo nell’evangelizzare l’adunanza e nel farla pregare. Conquistato, il nostro giovanotto divenne un assiduo e ben presto, invaso dalla grazia, smise di farsi radere per piacere alle ragazze ed entrò tra gli Alcantarini di S. Lucia del Monte con il nome di fratello Angiolo.

Identica fu la sorpresa del canonico Romano la sera in cui, mentre con alcuni confratelli stava a prendere il fresco, incontrò un amico che gli chiese:

- Vostra Signoria se la sta divertendo: venga, e veda che fa al Mercato Pietro Barbarese, che resterà stupito.

Meravigliato, corse a manifestare la sua ammirazione al cardinale Pignatelli, che, a sua volta stupito: “ Dei laici che fanno tanto bene! ” aprì loro tutti gli oratori pubblici, cappelle e chiese della diocesi. Le riunioni serali lasciarono perciò i caffé e le botteghe per le Cappelle serotine.

Pienamente incoraggiato dall’autorità e senza problemi di locali Alfonso moltiplicò i gruppi popolari e se stesso per visitarli, aiutato dai sacerdoti amici, riuscendo a stento il sabato a far fronte alle confessioni e la domenica alla celebrazione dell’Eucaristia.

La domenica per queste piccole comunità, come per le confraternite volute da Filippo Neri, era interamentegiorno del Signore ”:

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al mattino, mezz’ora di meditazione sulla passione, poi Eucaristia, preparata a lungo e prolungata nel ringraziamento, quindi assistenza a numerose altre messe dinanzi al SS. Sacramento esposto, secondo una tradizione che si è prolungata fino a metà del XX secolonecessario riconoscerne la fervente ispirazione, anche se è giusto pensare che il suo significato e il suo valore non sono stati abbastanza chiariti); al pomeriggio adunanza di tutti i “ fratelli ” della città in una stessa chiesa per una lunga adorazione silenziosa del Signore e una visita alla Madonna, poi, cantati i vespri, visita e servizi, col cuore e con le mani, ai loro “ signori ” degli Incurabili, terminando con un’esortazione spirituale e con la benedizione del SS. Sacramento in tutti i cameroni delL’ospedale; infine un momento di distensione, tutti insieme, in campagna nelle giornate buone, nel chiostro di qualche convento d’inverno (forse tra i Minimi di Piazzetta Stella?); a sera, al suono dell’Ave Maria, non più assembramenti notturni, ma quotidiana adunanza per ogni gruppo nella propria sede.

E si cantava, dice Tannoia, e si faceva ressa, “ed in ogni Adunanza contavasi i cento, centotrenta, e centocinquanta”.

 

E le donne ?

“Anche per le donne, come attestava il mentovato Fra Angiolo, intrecciato aveva Alfonso una simile scuola, dirigendo una savia donna tutte le altre, ed egli non mancava visitarla; ma quest’opera non ebbe durata”, perché le Cappelle serotine si rivolgevano agli “abbandonati”, cioè agli emarginati della cultura e della ricchezza, non a un mondo economicamente e socialmente indipendente. Gli uomini, dopo la dura giornata lavorativa, potevano intervenire, mentre le donne dei bassi e dei bassifondi dovevano continuare il loro lavoro alle prese con pertosse, crup e altre malattie dei bambini. Ma come dubitare che i convertiti delle Cappelle non portassero il Cristo prima di tutto in casa? E per le donne non era un piccolo pezzo di paradiso ritrovare mariti fedeli e figli giovani pieni di amore, che non bestemmiavano, non bevevano, non giocavano, non erano più brutali ?

Le Cappelle serotine infatti trasformavano la vita, essendo non adunanze di biascicatori di paternostri, ma movimento di conversione, di perseveranza e di santità, forte di due motori: la meditazione e la preghiera mentale. I testi primitivi ci descrivono gli animatori laici prima di tutto come catechisti della fede e maestri spirituali. D’altra parte in tutta l’opera ascetica di Alfonso si ritrova ad ogni passo l’orazione, mentre la recita vocale ha un ruolo quasi insignificante: la visita al SS. Sacramento era orazione, il rosario meditato doveva essere altrettanto. La storia attesta che le Cappelle serotine formarono

 

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santi, mentre le preghiere vocali allungate a dismisura fanno solo inefficaci bigotti.

Le Cappelle serotine furono movimento di educazione di base, di miglioramento sociale e di risanamento dei costumi: aiuto reciproco e spartizione di beni tra poveri; economie su giochi, bisbocce, bevute e crapule, dove prima si consumava il poco denaro di casa; nuova coscienza professionale in migliaia di domestici, artigiani, operai e commercianti; il lavoro invece del rubacchiare; rosari e opuscoli di meditazione sulle Massime eterne o la passione di Gesù Cristo al posto di pugnali e pistole consegnati ai confessori 12, Veramente il secolo XVIII questo secolo della “illuminazione”, brillò di autentiche luci a livello dei bassi di Napoli e delle sue “ trinceeselciate di pietra nera, orazie alle Cappelle serotine.

 

Rispondendo evidentemente alle Memorie istoriche (II, p. 365 di G. Sparano, il quale nel 1768 con bassa adulazione aveva attribuito la paternità del movimento al cardinale A. Sersale, allora “regnante” il P. Tannoia stese questo illuminante paragrafo:

“Non altrimente per opera di Alfonso, e de’ suoi Penitenti ebbero origine in Napoli le Cappelle... ora (nel 1798) sono in numero settantacinque, e si sa da ognuno il gran bene che ne ritraggono gli artieri e la gente più minuta. Veggonsi assistite queste Cappelle da zelanti Sacerdoti; e di presente sonó la gioja più cara degli Arcivescovi di Napoli. Non ci è pagamento in queste Adunanze. né Officiali, ed altre formalità. La porta è aperta a tutti; e più si gode, se vi entra gente discola e scostumata”.

Perciò non un club di pii borghesi, in quanto le Cappelle miravano alla popolazione costretta a sbarcare la vita con mille espedienti o con quei mestieri chiamatisordida” dai Romani.

Inoltre erano prima di tutto un richiamo per i “mascalzoni”: un luogo di conversione, poi di santificazione, ma di peccatori, infine di apostolato, ma per peccatori.

Vi si entrava - terza caratteristica - come in un porto di mare (sociologi non cercate registri o regolamenti!), avendo come solaistituzione”, sempre in perpetuo movimento vitale, i luoghi di adunanza e le persone responsabili. I regolamenti arriveranno più tardi e saranno come palate di terra sul fuoco 13.

I responsabili - punto arditamente profetico - erano dei laici che già due secoli prima di Pio XI attuavano un apostolato d’ambiente attraverso l’ambiente. Il leader di ogni fraternità era un lavoratore manuale, un povero, un “sordido” come tutti gli altri e i sacerdoti solo “assistenti”; Alfonso sapeva che tutti quegli umili battezzati possedevano ugualmente lo Spirito Santo e, in più, L’esperienza della vita terra

 

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terra e il linguaggio concreto, tutto cose, che creano la comunicazione assicurando a chi sa ciò che dice, autorità e giusto tono anche e prima di tutto se parla del peccato e della Misericordia.

Infine - quinta caratteristica della Cappelle - si tenevano ogni giorno, poiché il ritrovarsi quotidiano intorno al Signore di una comunità di vicini aveva il carattere di una fraternità carismatica.

Questi gruppi, perciò, hanno anticipato in un certo senso i nostri movimenti di azione cattolica, i nostri gruppi di preghiera, le nostre fraternità carismatiche e le comunità di base dell’America latina.

 

Finché risiederà a Napoli - per quattro anni ancora - , Alfonso vi si impegnerà “a corpo perduto” (è una volta tanto la parola giusta!), come il P. Rocco dirà in seguito al redentorista Pietro Paolo Blasucci (1729-1817):

- Il vostro D. Alfonso mio amico era nella sua gioventù così infiammato di Zelo per la salute de’ peccatori, che avrebbe voluto santificar tutto il mondo a un sol colpo 14.

Con lui rivaleggiava nello zelo il gruppo dei sacerdoti, del quale egli era il fuoco centrale: i ritiri mensili nella sua casa di S. Gennaro extra moenia, attraverso l’incontro, ne assicuravano gli scambi e la coesione e ne rianimavano la fiamma dello Spirito. Tra essi il più “ avvintoera l’ex-avvocato Gennaro Sarnelli, non ancora tonsurato, che diventerà sacerdote nel giugno 1732, qualche mese prima della partenza del Liguori.

“Anche quando portavasi in Napoli, fondata che ebbe la Congregazione, non lasciava visitare queste sue care Adunanze, ed invogliarle a perseverare nel divino servizio, ed a tirare nuove Anime a Gesù Cristo. Consolavasi soprattutto, che da un’Opera contradetta dall’Inferno, erane risultata un’altra più grande, e di maggior gloria di Dio15.

Tannoia nel 1798 censiva settantacinque Cappelle con un migliaio di membri; Rispoli nel 1834 ne conterà un centinaio con circa trecento partecipanti ciascuna; probite dalla rivoluzione del 1848, riprenderanno vigore dalla loro stessa brace e ritroveranno i trentamilafratelli” nel 1894 16 .

 

Frattanto le scintille avevano portato il fuoco altrove, suscitando grandi incendi. A tale proposito si citano soprattutto l’Amitié chrétienne e la Sainte Famille, a torto la prima e a ragione la seconda.

L’associazione segreta Amitié chrétienne fu fondata a Torino, tra il 1778 e il 1780, dal P. Nicola Diessbach (1732-1798), gesuita svizzero (in realtà però la Compagnia di Gesù era stata disciolta nel

 

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1773). Amico personale di san Clemente Maria Hofbauer, redentorista ceco, egli aveva incontrato Alfonso de Liguori, diventando alfonsiano entusiasta. Il suo movimento fu certamente liguorino nello

spirito, però egli era figlio del Liguori del secondo periodo: del Liguori della penna, moralista, apologeta e autore spirituale (1748-1778). Creazione originale del Diessbach, fervidamente animata in seguito da Pio Bruno Lanteri ( 1759-1830), L’Amitié chrétienne mobilitava un’élite intellettuale, avendo come leva della sua azione apostolica la stampa (edizioni traduzioni, diffusione) e come fine arginare l’incredulità e gli errori del tempo e diffondere la buona dottrina. Veramente altra cosa delle Cappelle serotine! Si propagherà in Italia, Svizzera, Austria, Baviera, Francia, Polonia e sarà uno dei

maggiori fattori della diffusione dei libri di Alfonso de Liguori 17 .

Al contrario, i Barbarese, i Nardone e gli altri santi del Mercato e del Castello si sarebbero subito ritrovati nella iniziale Association de la Sainte Famille, che nascerà a Liegi il 23 maggio 1844, un lunedì di Pentecoste, come per “caso”. Il capitano Henri Belletable era un convertito del Signore e un penitente del redentorista Victor Dechamps (1810-1883), futuro cardinale arcivescovo di Malines. Ufficiale del genio, distaccato presso le fonderie di cannoni, conoscendo da vicino la “miseria immeritata dei lavoratori” e il loro quasi totale abbandono religioso, con il giovane sarto Charles Joseph Hacken, organizzò, nella bottega del falegname Gille Jongen a via de Foulons, delle riunioni serali settimanali, subito moltiplicatesi nel resto della città. Ben presto, non potendo più essere contenute nelle officine, nelle botteghe e in altri piccoli locali, emigreranno nelle chiese, poi in altre città, poi in altri Paesi, tanto che nel 1900 avranno circa mezzo milione di membri in milleseicento centri. Frattanto saranno sorte anche delle confraternite di donne. Però...

Nei Paesi del nord l’operaio non andava certo in chiesa in tenuta di lavoro e, nelle chiese, i chierici non gli lasciavano la parola; la Sainte Famille non restò, quindi, a livello dei paria, di coloro che “lavoravano la domenica, bevevano il lunedì e bestemmiavano tutti i giorni”, ma finì per innalzarsi in “arciconfraternita” con privilegi, indulgenze e statuti (la corazza di Golia!). Nel 1900 farà certo un gran bene, ma a tutt’altra gente 18.

E’ l’eterna storia della Chiesa: lo Spirito suscita nella base un gruppo di poveri per i poveri; questo gruppo prima o poi evade sempre dal suo disagevole livello, per salire, come bolla di sapone, e, come questa, alla fine scoppiare nelle alte sfere. Così muoiono le opere di Dio, ma lo Spirito, instancabile, rimpiazza nella base quelli che hanno abbandonato gli umili... e che, per questo, sono morti.

 

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Non di questo “fataleimborghesimento moriranno le Cappelle serotine trapiantate... in Cina, proprio in Cina, mentre Alfonso sarà ancora in vita, da amici e ammiratori cinesi, discepoli di un famoso missionario, il P. Matteo Ripa, L’incontro con il quale non è possibile più rimandare 19.

 

 

 

 

 





p. 218
1 PIGNATELLI, Synodus diocesana, pp. 14 ss. 28 ss., 134.



2 CROCE, Uomini e cose della vecchia Italia, serie 2, pp. 112-116.



p. 220
3 Summarium, pp. 93-96; TANNOIA, I, pp. 38, 40-41, 43-50; R. GIOVINE, Vita di d. Gennaro Sarnelli, I, pp. 87-93, 97, 136-140. G. SPARANO, compagno di Alfonso alle apostoliche missioni, non gli perdonerà l’aver fondato un’altra congregazione, cassandolo, non senza cattiva fede, nelle sue memorie istoriche; attribuisce perciò l’origine delle cappelle serotine al cardinale Sersale delle apostoliche missioni, arcivescovo di Napoli dal 1754!



4 Tannoia attribuisce la casa a M. de Alteriis; Mazzini, che era del gruppo, a D. letizia; sappiamo d’altra parte che quest’ultimo possedeva ad Arzano un padiglione circondato da un giardino; cf. Summarium, p. 95 e TELLERIA I p. 138, n. 17.



5 MAZZINI nel Summarium, p. 96; GIATTINI, op. cit., p. 56; RISPOLI, op. cit., p. 40.



p. 221
6 Diventerà arcivescovo di Sorrento; da non confondere con antonino sersale, arcivescovo di Napoli nel 1754.



7 TANNOIA, I, p. 40.



p. 222
8 “S. Alfonso”, 12 (1941), pp. 167 ss., 181 ss.; TANNOIA, I, pp. 40, 47; TELLERIA, I, p. 124, n.24.



p. 225
9 CAPECELATRO, Vita del P. Rocco, pp. 118-130.



10 TANNOIA, I, p. 47. contestando DE MEULEMEESTER, Bibliographie..., I, p. 185, il p. Gregorio vede qui un’allusione a un opuscolo di Alfonso (la via del paradiso) che, a suo avviso, non sarebbe smarrito, ma integrato nelle opere di Sarnelli, cf. “S. Alfonso”, 6 (1935), pp. 92 ss., 177 ss. Alfonso ha certamente pubblicato una via del paradiso, ma gli editori delle opere ascetiche, “introduzione generale”, p. 3, si schierano per la sua perdita.



p. 226
11 Berrettari azzarda TELLERIA, I, p. 125. Perché? noi ci atteniamo a TANNOIA, I, p. 47 (contro p.49) e a GIOVINE, op. cit., I, p. 139. la cappella di S. Maria della Purità fu distrutta dai bombardamenti del 1943.



p. 228
12 GIOVINE, op. cit., i, pp. 138-139.



13 DE MAIO, op. cit., p. 277, n. 51.



p. 229
14 P. P. BLASUCCI, Orazione recitata nella chiesa cattedrale di Girgenti ne’ sollenni funerali di Mons. D. Alfonso M. de Liguori, 1887, p. 57.



15 TANNOIA, I, p. 48.



16 SH 25 (1977), p. 99.



p. 230
17 SH, Ibid.; GUERBER op. cit., pp. 173-180; L. Cristiani, un pretre

redouté de napoléon. p. Bruno Lanteri, nice 1956, pp. 21 ss., 46-51, 75. come mai però cristiani ha potuto ignorare l’azione del Lanteri per la diffusione dell’opera, soprattutto della morale alfonsiana?



18 P, LEJEUNE, L’archiconfrérie de la sainte famille établie à liege, son histoire et ses fruits, Desclée de Brouwer 1894; DE MEULEMEESTER, Influences ascétiques de S. A. de Liguori en Belgique, Esschen 1922, pp. 42-48; M. BECQUE, Le cardinal Dechamps, t. II, Louvain 1956, pp. 75-76.



p. 231
19 A. M. SANTONICOLA, Sant’Alfonso e l’azione cattolica, p. 74; SH 6 (1958), pp. 313-314.



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