Cardenio appoggiato ad un
nodoso bastone entrando
in iscena dalle falde della rupe; indi Kaidamà dalla capanna.
CARDENIO
Tutto è velen per me! Per me sconvolto
è l'ordin di natura! Aprile istesso
sol fecondo è di spine! Amare l'erbe,
(gitta il bastone, ed intreccia desolato le mani)
amarissimi i pomi. Ardente vampa
l'aura spira per me. L'onda del
rivo
mi par liquido fuoco... E io vivo? Io vivo
per vendicarmi... sì... perfida! E come
tanto bella, e perché? No, quei begli occhi
sospettar non faceano un cor tiranno.
Fatal, tremendo inganno!
Ma di': perché tradirmi, Eleonora?
Va', spietata, va'... No, no: t'amo ancora!
M'ami ancor tu?... Ti veggo... Oh, il
bel sorriso.
Caro incanto d'amor, che fa beato
anche in mezzo al dolor!.. Ma che?
Spergiura!
Al mio rivale a lato!
No, non mi fuggirai...
Il mio pugnal dov'è?... Morrai,
morrai.
(in atto di vibrar colpi, poi rimanendo immobile)
KAIDAMÀ
(uscendo gli chiudono la porta dietro)
Vado, vado. Stia fermo col frustino.
È un gran brutto destino
quel non comandar mai!
CARDENIO
(da sé desolato)
Fuggi!
KAIDAMÀ
Coraggio.
Cielo, allontana il matto…Eh! tocca
a me.
Un pugno, poi, cos'è?... Che
imbroglio è questo?
(inciampando nel bastone; lo raccoglie; indi lo
bacia,
lo brandisce, e lo ruota in atto di menar colpi)
Bel bambucchetto! A tempo ti ritrovo.
Sei piovuto dal cielo! Finalmente
il matto non è un uomo? E un
uom non sono?
Se mi scarica un pugno, io lo bastono.
(accorgendosi di Cardenio, gitta il bastone e
ca de in ginocchio)
Misericordia!
CARDENIO
Anima mia!
(stendendo le braccia amorose)
KAIDAMÀ
Stia fermo.
Giù, giù con quelle mani.
Son scherzi da villani.
CARDENIO
Oh, quanto! Oh, quanto
io smaniavo per te! Sentiami attratto
da un arcano potere...
KAIDAMÀ
Io niente affatto.
CARDENIO
Perché tremi?
KAIDAMÀ
E un'usanza
che non posso lasciar.
CARDENIO
Mio ben!
KAIDAMÀ
Mio male!
CARDENIO
Fior di vera beltà!
KAIDAMÀ
Ma io son Kaidamà.
CARDENIO
Povero moro!
KAIDAMÀ
Ma povero davvero!
CARDENIO
Hai fame?
KAIDAMÀ
E come!
CARDENIO
Senti: un'alma pietosa entro quel cespo
mi provvede ogni dì. Mangiamo insieme.
(corre nel cespo, cava il paniere e le provvisioni,
e siedono l'uno contro l'altro a cavallo alla panca)
KAIDAMÀ
(Complimenti indigesti!)
CARDENIO
Ma dimmi: non sapesti
mai, mai nuove di lei!
KAIDAMÀ
Matto mio caro...
CARDENIO
Non chiamarmi così.
KAIDAMÀ
Savio mio bello!
Davver nulla ne so.
CARDENIO
Vedi: una volta
noi pranzavamo insiem dietro un boschetto.
KAIDAMÀ
Si mangia bene al fresco.
CARDENIO
Noi stavamo così: l'un contro l'altro.
KAIDAMÀ
(mangiando il pollo)
Bellissimo tablò!
CARDENIO
Colei
KAIDAMÀ
Mangiava
CARDENIO
No.
KAIDAMÀ
Mangio io.
CARDENIO
Taceva, e mi guardava.
Dei begli occhi i lampi ardenti
rispondeano agli occhi miei,
rinnovando i giuramenti
che il bel labbro articolò.
La sua man la mia stringea
qui su i palpiti del
core...
Mano iniqua, ingiusta rea!
La mia morte poi segnò.
(improvvisamente scagliando la mano di
Kaidamà sulla panca)
KAIDAMÀ
Mano mia, che avevi fatto
da soffrir sì gran dolore?
Ma del matto
fu più matto
chi la man gli consegnò.
CARDENIO
La conosci?
KAIDAMÀ
No.
CARDENIO
Tu menti.
KAIDAMÀ
Anzi sì: siamo amiconi.
CARDENIO
Ecco il reo, che ai tradimenti
il mio bene trascinò.
KAIDAMÀ
Ma vi pare!
CARDENIO
Ed or dov'è?
KAIDAMÀ
Stava là; ma poi sparì.
CARDENIO
Qualche volta pensa a me?
KAIDAMÀ
Sì, no, sì, no, no, sì, sì.
CARDENIO
Il rimorso la cangiò?
Qualche volta piangerà.
KAIDAMÀ
Sì, signore, la cangiò.
Se ne ha voglia, piangerà.
Cardenio improvvisamente passa dallo sdegno alla
preghiera con le mani protese, implorando pietà da
Kaidamà.
CARDENIO
Dunque mangiar non vuoi?
Cotanto ingrata sei!
KAIDAMÀ
Ma va pe' fatti tuoi;
ch'io vo pe' fatti miei.
CARDENIO
Ma un pezzo di biscotto,
idolo mio! ...
KAIDAMÀ
No, no.
(Io tanto gonfio e abbotto,
che or ora schiatterò.)
CARDENIO
Barbara!... Io piango!
KAIDAMÀ
Eh! via.
Non pianger più: mangiamo.
CARDENIO
Mangiar!.. Chi!.. Tu?
KAIDAMÀ
Ci siamo!
Il tempo si cangiò.
CARDENIO
Deciditi: la voglio.
KAIDAMÀ
E chi ce l'ha?
CARDENIO
Rendila.
KAIDAMÀ
Che ho da rendere? Si sa?
CARDENIO
Era il sorriso de' giorni miei:
da lei diviso tutto perdei.
Un'alma ardita me l'ha rapita;
ma fin nell'Erebo la troverò.
Rendimi, rendimi l'anima mia,
vedi ch'io spasimo di gelosia.
Più di contento non ho un momento,
e in tanto strazio viver non so.
KAIDAMÀ
Ah! ne vuol troppo la stella mia!
Lasciami in pace, matto! va via.
Non so se in testa ho più la testa.
Eh! via, finiscila che far non so.
Son paralitico per lo spavento.
Ma pure a correre farei col vento.
Ad eclissarmi vorrei provarmi.
Trecento miglia scappando andrò.
Cardenio afferra una pietra, e cerca lanciarla
contro Kaidamà.
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