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Pio XII
Sempiternus Rex Christus

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Capitolo I

 

4. Ma, per procedere con ordine, bisogna rifarsi all'origine dei fatti da commemorare. L'autore di tutta la controversia, che si agitò nel concilio di Calcedonia, fu Eutiche, sacerdote e archimandrita di un celebre monastero di Costantinopoli. Datosi a combattere a fondo l'eresia di Nestorio, che affermava due persone in Cristo, cadde nell'errore opposto.

5. «Molto imprudente e assai ignorante»,3 con incredibile pertinacia faceva queste asserzioni: bisogna distinguere due momenti: prima dell'incarnazione le nature di Cristo erano due, cioè l'umana e la divina; ma dopo l'unione non vi fu che una sola natura, avendo il Verbo assorbito l'uomo; da Maria vergine ha avuto origine il corpo del Signore, che però non è della stessa sostanza e materia nostre, giacché esso è umano, ma non consostanziale a noi né a colei che ha partorito Cristo secondo la carne;4 perciò Cristo non è nato né ha patito né è stato crocifisso né è risorto in una vera natura umana.

6. Ciò dicendo Eutiche non si accorgeva che prima dell'unione la natura umana di Cristo non esisteva affatto, perché cominciò a esistere dal momento della sua concezione; che dopo l'unione è assurdo pensare che di due nature se ne faccia una sola, perché in nessun modo le due nature vere e reali si possono ridurre ad una, tanto più che la natura divina è infinita e immutabile.

7. Chi considera con sano giudizio tali opinioni, vede facilmente che tutto il mistero della divina economia svanisce in ombre vane e impalpabili.

8. Alle persone assennate l'opinione di Eutiche apparve evidentemente del tutto nuova, assurda, in assoluta contraddizione con gli oracoli dei profeti e i testi del Vangelo, come pure col Simbolo apostolico e col dogma di fede sancito a Nicea: un'opinione attinta alle fonti impure di Valentino e di Apollinare.

9. In un sinodo particolare, riunito a Costantinopoli e presieduto da san Flaviano vescovo della medesima città, Eutiche, che andava disseminando ostinatamente e largamente i suoi errori per i monasteri, su formale accusa di eresia del vescovo Eusebio di Dorileo, fu condannato. Ma Eutiche, come se la condanna fosse ingiusta per lui, che reprimeva la rinascente empietà di Nestorio, si appellò al giudizio di alcuni vescovi di grande autorità. Una siffatta lettera di protesta ricevette lo stesso san Leone Magno, pontefice della sede apostolica, le cui splendide e solide virtù, la vigile sollecitudine per la religione e per la pace, la strenua difesa della verità e della dignità della cattedra romana, l'abilità nel trattare gli affari, pari all'armoniosa eloquenza, riscuotono l'inesauribile ammirazione di tutti i secoli. Nessuno più di lui sembrava capace e idoneo a rintuzzare l'errore di Eutiche, perché nelle sue allocuzioni e nelle sue lettere con magnificenza pari alla pietà egli soleva esaltare e celebrare il mistero, mai abbastanza predicato, dell'unica persona e delle due nature in Cristo: «La chiesa cattolica vive e prospera di questa fede, per cui in Gesù Cristo non si crede né l'umanità senza la divinità né la divinità senza l'umanità».5

10. Ma l'archimandrita Eutiche, avendo poca fiducia nel patrocinio del romano pontefice, appigliandosi alle astuzie e agli inganni, per mezzo di Crisafio, al quale era legato da stretta amicizia e che era molto accetto all'imperatore Teodosio II, ottenne dallo stesso imperatore che la sua causa fosse riveduta e si riunisse ad Efeso un altro concilio, cui presiedesse Dioscoro, vescovo di Alessandria. Questi, intimo amico di Eutiche, ma avverso a Flaviano, vescovo di Costantinopoli, ingannato da falsa analogia di dogmi, andava dicendo che come Cirillo, suo predecessore, aveva difeso una sola persona in Cristo, così egli voleva difendere con tutte le forze una sola natura in Cristo dopo l'«unione». San Leone Magno, per motivo di pace, non ricusò di mandarvi i suoi legati, che portassero, insieme con altre due lettere - una al sinodo, l'altra a Flaviano, in cui gli errori eutichiani erano confutati con la chiarezza di una dottrina perfetta e copiosa.

11. Ma in questo sinodo Efesino, che Leone denominò giustamente latrocinio, arbitri Dioscoro ed Eutiche, tutto fu manipolato con violenza; fu negato ai legati apostolici il primo posto nel consesso; fu proibito di leggere le lettere del sommo pontefice, i voti dei vescovi furono estorti per via d'inganni e di minacce; insieme con altri Flaviano fu accusato di eresia, privato dell'ufficio pastorale e gettato in carcere, dove morì. E la temerità del furibondo Dioscoro arrivò a tal punto che (nefando delitto!) osò lanciare la scomunica alla suprema autorità apostolica. Appena Leone venne a sapere per mezzo del diacono Ilaro le malefatte del conciliabolo brigantesco, disapprovò tutto ciò che si era fatto e decretato, ordinandone un nuovo esame, e ne soffrì acerbo dolore, alimentato dai frequenti appelli al suo giudizio da parte di molti vescovi deposti.

12. Degno di menzione è ciò che scrissero in quella circostanza Flaviano e Teodoreto di Ciro al supremo pastore della chiesa. Così si esprime Flaviano: «Volgendo, come per un partito preso, tutte le cose iniquamente a mio danno, dopo quell'ingiusta sentenza pronunziata contro di me [da Dioscoro], come a lui piacque, mentre io mi appellavo al trono dell'apostolica sede di Pietro, principe degli apostoli, e a tutto il beato sinodo soggetto a vostra santità, subito mi vidi circondato da molti soldati, che non mi permettevano di rifugiarmi presso il santo altare, ma cercavano di tirarmi fuori della chiesa».6 E questo scrive Teodoreto: «Se Paolo, araldo della verità, si recò dal grande Pietro, molto più noi umili e piccoli ricorriamo alla vostra apostolica sede, per ottenere da voi rimedio alle piaghe delle chiese. Perché a voi spetta esercitare il primato su tutte. ... Io aspetto il giudizio della vostra apostolica sede. ... Anzitutto io prego di essere istruito da voi, se debba rassegnarmi a questa ingiusta deposizione oppure no; attendo la vostra sentenza».7

13. Per cancellare tanta macchia, Leone spinse con insistenti lettere Teodosio e Pulcheria a porre rimedio a così tristi condizioni di cose e perciò a radunare nei confini dell'Italia un nuovo concilio che riparasse le malefatte di quello Efesino. Un giorno ricevendo nella Basilica Vaticana Valentiniano III, la madre di lui Galla Placidia e la moglie Eudossia, circondato da una fitta corona di vescovi, con gemiti e pianto li indusse a provvedere immediatamente secondo le loro forze al crescente disagio della chiesa. Allora scrisse un imperatore all'altro; scrissero le stesse regine. Ma invano: Teodosio, circondato da astuzie e da inganni, non una riparò delle ingiustizie commesse. Ma quando l'imperatore inopinatamente morì, sua sorella Pulcheria assunse il governo e prese come marito, associandolo nell'impero, Marciano, ambedue stimati per pietà e saggezza. Allora Anatolio, che Dioscoro aveva messo arbitrariamente sulla cattedra di Flaviano, sottoscrisse la lettera di Leone a Flaviano intorno all'incarnazione del Verbo; la salma di Flaviano fu trasportata con grande pompa a Costantinopoli; i vescovi deposti furono restituiti alle loro sedi; unanime divenne la riprovazione dell'eresia eutichiana, sicché non si vedeva più la necessità di un nuovo concilio, tanto più che le condizioni dell'impero romano erano malsicure a causa delle invasioni barbariche.

14. Tuttavia il concilio si radunò e si celebrò per desiderio dell'imperatore e col consenso del sommo pontefice

15. Calcedonia era una città della Bitinia, presso il Bosforo di Tracia, di fronte a Costantinopoli, situata sull'opposta sponda. Quivi nell'ampia basilica suburbana di S. Eufemia vergine e martire, l'8 ottobre, partiti da Nicea, dov'erano già a tale scopo raccolti, si riunirono i Padri, in numero di circa seicento, tutti dei paesi orientali, eccetto due africani profughi dalla patria.

16. Collocato in mezzo il libro dei Vangeli, davanti ai cancelli del santo altare prendevano posto diciannove rappresentanti dell'imperatore e del senato. Il compito di legati pontifici fu affidato ai piissimi personaggi Pascasino, vescovo di Lilibeo in Sicilia, Lucenzio, vescovo di Ascoli, Bonifacio e Basilio sacerdoti, ai quali si aggiunse Giuliano, vescovo di Cos, per aiutarli con la sua diligente opera. I legati del romano pontefice occupavano il primo posto tra i vescovi; per primi sono nominati, per primi prendono la parola, per primi firmano gli atti e, in forza della loro autorità delegata, confermano o rigettano i voti degli altri, come avvenne apertamente nella condanna di Dioscoro che essi ratificarono con queste parole: «Il santissimo e beatissimo arcivescovo della grande e antica Roma, Leone, per mezzo di noi e di questo santo sinodo, insieme col beatissimo e degnissimo di lode Pietro apostolo, che è la pietra e la base della chiesa cattolica, e il fondamento della fede ortodossa, ha spogliato lui [Dioscoro] della dignità episcopale come anche lo ha rimosso da ogni ministero sacerdotale».8

17. Del resto, che non solo i legati pontifici abbiano esercitato l'autorità di presiedere, ma che il diritto e l'onore di presiedere sia stato anche riconosciuto loro da tutti i padri del concilio, senza alcuna opposizione, risulta chiaro dalla lettera sinodica inviata a Leone: «Tu in verità - essi scrivono - presiedevi come il capo alle membra dimostrando benevolenza in coloro che tenevano il tuo posto».9

18. Non vogliamo qui passare in rassegna i singoli atti del concilio, ma soltanto toccarne brevemente i principali, in quanti sono utili a porre in luce la verità e a giovare alla religione. Pertanto non possiamo, dal momento che si agita la questione della dignità della sede apostolica, passare sotto silenzio il canone 28 di quel concilio, nel quale si attribuiva il secondo posto di onore dopo la sede romana alla sede episcopale di Costantinopoli, come città imperiale. Sebbene nulla vi sia stato fatto contro il divino primato di giurisdizione, che da tutti era riconosciuto, tuttavia quel canone, compilato in assenza e contro la volontà dei legati pontifici, e perciò clandestino e surrettizio, è destituito di ogni valore giuridico e da san Leone fu riprovato e condannato in molte lettere. E del resto a tale sentenza di annullamento aderirono Marciano e Pulcheria, anzi lo stesso Anatolio, il quale, scusando la riprovevole audacia di quell'atto; così scrisse a Leone: «Di quelle cose che nei giorni scorsi sono state decretate nel concilio universale di Calcedonìa a favore della sede costantinopolitana, sia certa vostra beatitudine che io non ho alcuna colpa ..., ma è il reverendissimo clero della chiesa costantinopolitana, che ha avuto questo desiderio ...; essendo state riservate all'autorità di vostra beatitudine tutta la validità e l'approvazione di tale atto».10

 




3 S. LEO M., Ep. 28 (Ad Flavianum), 1: PL 54, 755s



4 Cf. FLAVIANUS, Ep. 26 (Ad Leonem M.): PL 54, 745.



5 S. LEO M., Ep. 28, 5: PL 54, 777.



6 SCHWARTZ, Acta Conciliorum Oecumenicorum, II, vol. II, pars 1. p 78.



7 THEODORETUS, Ep. 52 (Ad Leonem M.), 1.5.6: PL 54, 847 et 851; cf. PG 83, 1311s et 1315s.



8 MANSI, Conciliorum amplissima collectio, VI, 1047 (Act. III); SCHWARTZ, II, vol. I, pars altera, p. 29 [225] (Act. II).



9 SYNODUS CHALCEDONENSIS, Ep. 98 (Ad Leonem M.), 1: PL 54, 951; MANSI, VI, 147.



10 ANATOLIUS, Ep. 132 (Ad Leonem M.), 4: PL 54, 1084 MANSI, VI, 278s.






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