UBALDO
Signor, giungi opportuno.
GHINO
Il mio sospetto
forse?
UBALDO Divien certezza.
Sorpresi un foglio.
GHINO
Di tue cure, Ubaldo,
premio condegno avrai.
(Ubaldo gli porge uno scritto)
"Quando sepolto
fia nel silenzio della notte il mondo,
inosservato per la via del parco
a te verrò: l'assenza
del tuo sposo abborrito a me concede
d'abbracciarti, oh, gioia, e tal mercede
soffrir mi fa la vita". O Pia mendace!
Ov'è il rigor, l'austera
virtude ov'è, che rampognar
ti fea
l'amor di Ghino. Ah, sempre, o fatal donna,
separati ne avesse
quella tremenda eredità degli avi,
la vendetta, il furor, né ghibellino
talamo accolta chi nascea di Guelfi,
che tanto sventurato
or non sarei, né vinto e lacerato
da rimorsi infernal, d'un mio congiunto
la sposa amando!
UBALDO
E che risolvi, o Ghino?
GHINO
Chiesi vederla... Oh, se repulse ardisci
oppormi ancor, paventa...
Un detto mio ti perde... Ove trascorro!...
Ah, ne morrei da fera doglia oppresso...
UBALDO
E tanto l'ami ancor?
GHINO
Più di me stesso.
Non può dirti la parola
qual desìo m'incalza e punge...
La speranza che s'invola
nuove fiamme al fuoco aggiunge.
Pia m'aborre, Pia mi fugge...
Ma non fugge dal mio cor.
Ah! l'incendio che mi strugge
è delirio, e non amor!
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