2.4. La
vita consacrata "memoria vivente" del Cristo povero
Le persone
consacrate professano di essere povere secondo un programma di povertà
evangelica volontaria. Questo significa che il senso e le dimensioni della loro
povertà non possono essere stabiliti se non facendo riferimento esplicito al
Vangelo e, più concretamente, all'esempio e all’insegnamento del Cristo povero
del Vangelo.
La povertà della vita consacrata, quindi,
non può essere descritta in una prospettiva esclusivamente orizzontale o con
criteri meramente socioeconomici. Già nell'ambito della rivelazione dell'Antico
Testamento il contenuto dell'espressione "povero di Jahvé" non
coincideva con il concetto socioeconomico di "povero". Chi non aveva
fede in Dio non era ritenuto "povero di Jahvé".
Nell'era evangelica, Cristo può essere
chiamato "povero di Jahvé". Meglio, tuttavia, chiamarlo "il
povero del Padre", cioè il povero per eccellenza di Dio Padre. La sua è
stata la povertà più evangelica e più volontaria, perché è stata scelta
liberamente per attuare nel modo più generoso il piano di salvezza disegnato dal
Padre: "Da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste
ricchi per mezzo della sua povertà" (2 Cor 8, 9).
Il Cristo povero non è nettamente
separabile né dal Cristo obbediente né dal Cristo casto. Non è possibile
infatti delineare la profondità della povertà di Cristo senza metterla in
stretto rapporto con la sua vita di perfetta obbedienza al Padre e con la sua
totale docilità nel compiere la missione ricevuta.
Il Papa offre questa illuminante prospettiva: "La
profondità della sua povertà si rivela nella perfetta oblazione di tutto ciò
che è suo al Padre" (VC 22b). Veramente Cristo mise se stesso e
tutte le sue cose nelle mani del Padre (cfr Lc 2,49; 23, 46). Egli offrì
al Padre nel modo più incondizionato tutto ciò che era e che aveva.
Cristo è stato il sommo povero del Vangelo
perché, per amore al Padre e all'umanità povera, bisognosa di redenzione,
"spogliò ('ekénosen') se stesso" (Fil 2,7): fece il vuoto di
se stesso di fronte al Padre. La realtà della sua carne e le realtà di cui
poteva disporre sono state consacrate totalmente al Padre: "Tutte le cose
mie sono tue" (Gv 17, 10).
Entro questa cornice trovano il loro
giusto posto e la loro armonia i particolari sullo stato socioeconomico di
Gesù. Durante la vita pubblica Gesù vestiva in modo decente (cfr Gv 19,23-24),
accettava offerte (cfr Lc 8, 3) e decideva, sempre in obbedienza al
Padre, la destinazione concreta del contenuto monetario di una
"cassa" (Gv 12,6; 13, 29). Tale cassa era una borsa comune,
una borsa che serviva alle finalità specifiche della "nuova famiglia"
che Gesù, per volontà del Padre, aveva inaugurato scegliendo i Dodici.
Chi professa la povertà evangelica
volontaria si impegna a vivere in povertà come Cristo. Non si può affermare che
l'impegno di povertà è uguale per tutti i cristiani. Non è vero, ad esempio,
che nell'uso dei beni una persona consacrata può fare tutto quello che è
permesso a qualsiasi altro fedele. Ogni fedele, infatti, partecipa alla povertà
di Cristo secondo il programma delle comuni esigenze di povertà del battesimo.
Ma la persona consacrata vi partecipa, inoltre, con un nuovo e speciale titolo
di configurazione evangelica al Cristo povero: "Ogni rigenerato in Cristo
è chiamato a vivere (...) un ragionevole distacco dai beni materiali (...). Ma
il battesimo non comporta per se stesso (...) la rinuncia al possesso dei beni
(...) nella forma propria dei consigli evangelici" (VC 30b; cfr LG
46b; PC 13a).
In virtù della sua norma di speciale
sequela di Cristo, ogni persona consacrata deve vivere come un "povero del
Padre". L'uso dei beni, nel caso delle persone consacrate, è limitato e
determinato dallo specifico carisma di peculiare consacrazione e di particolare
missione consegnato dal Padre ai membri dell'Istituto.
La vita consacrata, abbracciando con
atteggiamento cristologico il consiglio evangelico della povertà, è
"memoria vivente" del Cristo povero.
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