Mi rivolsi al suono dei suoi passi, mi rizzai,
e gli mossi incontro. Egli si fermò, mi stese ambe le mani, e, prima ch'io
trovassi una parola, mi disse:
-
Quanto vi sono grato di non aver proseguito il vostro viaggio. Oh! non l'avrei
perdonata a Baccio, se vi avesse lasciato partire.
E data un'occhiata intorno per la cucina, si
rivolse a Mansueta, che si era pur alzata al suo arrivo e che lo stava
contemplando come una imagine santa.
I rintocchi dell'agonia continuavano.
- Sei
colta all'improvviso, non è vero, poveretta? Hai detto a questo signore
l'abbondanza dei nostri paesi?
- Oh! è
un signore alla buona. Ed ecco le ova che ha desiderato; fresche come l'acqua
del pozzo.
- Una
cena simile! disse il curato; e abbassando la voce, soggiunse tristamente:
- E
accompagnata da musica siffatta.
Mi introdusse dipoi nel tinello dove la
vecchia fante non tardò a depormi innanzi, sopra un tovagliolo bianchissimo, le
ova ed il pane accanto a una bottiglia di vino.
Il curato, cui non avevo ancora avuto modo di
rivolgere il mio discorso tranne che a monosillabi, mi sedette vicino e, pur
ripetendomi le sue scuse per la grettezza della cena, mi guardava con
quell'occhio interrogativo, sebbene meno adamitico, che aveva veduto, al primo
entrare, sotto la cuffia di Mansueta.
Il curato poteva contare sessantacinque ai
settanta anni; ma la tarda età appariva in lui più che dalle rughe del viso,
ch'era ancor fresco e rubizzo, da una cert'aria di stanchezza grave, direi
quasi solenne, che circondava tutta la sua persona. Avea la fronte altissima e
singolarmente convessa: la fiamma della lucerna vi poneva una larga pennellata
lucente che illuminava una pelle così rosea e così tersa che si sarebbe detta
di un fanciullo. Poche ciocche di capelli, bianchi come la neve, gli circondavano
la testa; ma così fini, così vaporosi, che parevano sospesi nell'aria, e gli
incorniciavano il viso meglio di una chioma di vent'anni. Il naso aquilino e
finissimo pareva di un gentiluomo spagnuolo; la bocca, da cui apparivano
ancora, a dispetto degli anni, due file intatte di denti, era forse un po'
larga in confronto alla perfezione dei lineamenti che la circondavano; ma il
difetto era cancellato da due piccole pieghe ai lati che le perpetuavano il
sorriso: aggiungete due occhi limpidi e profondi, l'abito modestissimo, ma di
nitidezza inappuntabile, una mano quasi femminile, una voce dolce e nel tempo
stesso piena di vibrazioni, l'erre di una duchessa - e vi spiegherete le parole
che rivolsi al mio ospite, assaporando le ova eccellentissime del suo pollaio.
-
Signor curato, gli dissi, davvero che, se non avessi coscienza della strada che
ho percorso, crederei che qui non sono in Italia. La stranezza del modo con cui
oggi ho dato tregua al mio viaggio, la cordialità che mi circonda, il vostro
aspetto, tutto mi farebbe supporre d'essere in una di quelle case della
Tebaide, dove son vive tuttavia le memorie bibliche, e gli uomini santi le
respirano ancora, e le ripetono con antica sapienza....
Il vecchio mi interruppe:
-
Tebaide, sì, è una Tebaide questa valle: ma soltanto per la solitudine; quanto
al resto, sono troppo indegno del paragone. - Questo pezzetto di cacio...
assaggiatene... è dei nostri pascoli. - Ed è per questo che l'ospitalità è qui,
oltre che è un dovere, un bisogno, una vera consolazione.
Una malinconia velata, ma che tentava
nascondersi invano, suonava nella voce del prete.
- Pochi
viaggiatori, m'immagino, passeranno per questi gioghi, diss'io. E son così
belli! Da quindici giorni vado errando quassù, e non so come mi reggerà il cuore
a riveder la pianura. Vorrei poter vivere sempre in alto, in quest'aria pura,
in mezzo a queste scene sublimi; esse valgono, ve ne assicuro, signor curato,
tutti gli svaghi e tutti gli agi della città. Io vi invidio....
- Oh!
non ditelo! Voi siete giovane, e, alle vostre parole mi sembrate poeta - siete
pittore, del resto, e... ut pictura poësìs; gioventù e poesia mostrano il lato
bello di ogni cosa, e il lato brutto e triste lo nascondono. Pensate la vita di
un uomo che è solo da quarant'anni!... senza un'anima con cui ricambiare
un'idea!... le scene della natura, voi dite; le amo anch'io, le ammiro, le
adoro, sono le mie confidenti, la mia società... ma sono mute, non mi
rispondono; e si ha bisogno di chi risponda quando si interroga, quando si
pensa, quando si soffre.
Alzai la faccia: quella del curato si era
fatta più pallida e pareva che un velo gli fosse sceso sugli occhi. Incontrando
il mio sguardo si ricompose, e mutò tono alla voce, forse pentito di quelle
parole che implicavano quasi una confidenza a un uomo conosciuto da pochi
minuti.
-
Pochissimi viaggiatori, pochissimi; e viaggiatori della vostra condizione ancor
meno. Di solito è qualche mulattiere ritardato dalle intemperie che viene a
chiedermi un posto per sè e per le sue mule; e' mi dà le notizie delle borgate
ove ha corse le fiere e udito parlar di politica all'albergo o ai caffè. Oppure
son compagnie di tagliapietre che vanno a esercitare il loro acerbo mestiere
sulle cime; povera gente onesta che di solito ha girato molto il mondo, e avuto
avventure. Ecco i miei ospiti. Capirete come io sia riconoscente a voi...
-
Signor curato, lo interuppi, io sì che debbo essere riconoscente a Baccio ed
alla mia buona stella di avermi condotto in questa casa. Ah! la gioventù e la
poesia non sono per me tutto riso e splendore; perchè sono giovine ed artista,
sono pieno di dubbi e di sconforti, e perchè sono, o meglio sento che sarò un
giorno poeta, l'anima mia assorbe già, insieme colle bellezze, tutti i lamenti
e tutti i terrori della natura.
Salendo al villaggio, signor curato, mi
sentivo triste come un moribondo; pensavo a mia madre, stranamente. Avevo
anch'io bisogno di trovar chi mi rispondesse, chi mi capisse!... bevo questo
bicchiere alla salute di Baccio, di quel bravo uomo che mi ha condotto davanti
a un'anima buona e bella come la vostra!
Prendendo il bicchiere speravo vincere o
almeno sviare l'emozione che sentivo salirmi dal cuore alla faccia. Fu invano:
io stavo sotto un fascino: l'amicizia che doveva legare dappoi il giovine
pittore al vecchio curato aveva già stese le ali sulle nostre teste.
Alle mie parole egli si era alzato, e, con un
gesto che avea del fratello insieme e del padre, mi prese le mani, mormorando:
- Dio
vi benedica!
In questo, Mansueta entrò con una candela accesa
e mi disse:
-
Quando desidera, il letto è pronto.
Persuaso che fosse l'ora in cui conveniva
ritirarsi, strinsi la mano un'altra volta al mio nuovo amico, e, a malincuore,
giacchè non sentivo più nessuna stanchezza, seguii la fantesca.
Ella mi fece salire una piccola scala dai
gradini larghi e lisci, e mi trovai davanti a un letticciuolo pulito,
fiancheggiato da un ampio seggiolone che aveva l'aria di aver passato i begli
anni della sua gioventù fra la musica e l'incenso del coro.
Del resto la camera destinatami non offriva
molta materia di analisi. Una sedia coperta di paglia stava al posto del tavolo
da notte, coll'inevitabile bicchier d'acqua e il mazzo dei zolfanelli; in
faccia al letto, sotto la finestra, un tavolino quadrato con una gamba più corta
delle altre, pareva un ballerino nell'atto di spiccare la pirouette; una fila
di quadretti coprivano in simmetria le pareti bianchissime: sotto i vetri
punzecchiati dalle lentiggini delle mosche, riconobbi il Crisostomo, San
Filippo abate, San Luigi Gonzaga, - litografie colorate con toni azzurri e
rossi crudi e duri come gli scheletri che si trovano nelle sabbie dei tropici -
brava gente che certo faceva le meraviglie di veder quel letto vestito a nuovo
e me beatamente distesovi sopra.
Non era quella la camera che il curato offriva
agli scalpellini ed ai mulattieri; non tardai a persuadermi che per me si era
scelto il locale delle grandi occasioni, in cui chi sa da quanto tempo nessuno
aveva dormito.
Ne può essere prova l'anedotto innocentissimo
che mi piace contarvi, benchè affatto estraneo al soggetto. Prendo anzi
quest'occasione per ripetere ch'io qui non scrivo un romanzo col suo principio,
col suo mezzo, col suo fine, colle sue cause, il suo sviluppo e le sue
conseguenze, e tutte le belle cose che si leggono nei trattati di estetica; ma
bensì raccolgo impressioni di scene e di fatti, sensazioni di luoghi e di
persone in cui mi sono scontrato e che, per un mero effetto del caso
convergeranno, se mi si presta attenzione, a far cornice utile se non anche
necessaria al soggetto doloroso che è la ragione di essere di questo studio.
Mi ero dunque coricato e riandavo col
pensiero, già ondeggiante nell'atmosfera magnetica che precede il sonno, i casi
della giornata. Macchinalmente i miei occhi erano fissi alla finestra chiusa,
dalle fessure della quale penetrava un pallido bagliore di luna. D'improvviso
mi parve che qualche cosa si movesse sul tavolino sottoposto, qualche cosa di
nero, un volume o una scatola. Concentrai l'attenzione, trattenendo il respiro,
e... un sudore freddo mi coperse dal capo ai piedi; era un berretto da prete
che dondolava, che s'inchinava, che saltellava diabolicamente. Mi rizzai senza
volerlo; il berretto, come se mi avesse veduto o sentito, si arrestò; riposi la
testa sul guanciale, il berretto si diè a ballare di nuovo.
Bisogna ch'io confessi che ho la disgrazia di
credere a una quantità sterminata di cose a cui la maggioranza degli uomini non
crede; e voi sapete l'influenza della solitudine sugli spiriti inclini al
soprannaturale.
A quell'epoca non avevo ancor letto Edgardo
Poë, ma avevo già tutti sognati i sogni di quell'anima infelice; e quell'amore
pieno di voluttuoso sgomento che mi lega adesso al poeta dell'Inesplicabile, mi
avvinceva già, inconscio, al mondo tenebroso delle sue scoperte. Quel berretto
magico che mi aveva atterrito, cominciavo a osservarlo, col capo quasi sepolto
nelle coltri, collo sguardo immobile, col respiro represso, eppure con una
sorta di godimento che somigliava a quello che prova il naturalista quando, frugando
nelle roccie, gli vien dato di scoprire una specie rara d'erba o di minerale.
Ballonzolando capricciosamente, a furia di piccoli sbalzi, il berretto era
giunto sull'orlo del tavolo, e il fiocco, traboccatone, penzolava,
coll'ondeggiamento monotono e regolare di una campana.
Allora mi parve di udire ancora i rintocchi
della dell'agonia della Gina, e di veder la giovane morta distesa attraverso la
camera.
L'eccessiva stanchezza, gli avvenimenti
impreveduti danno - coll'aiuto di una materassa di piume, - di così fatte
allucinazioni.
Il pallore di quella faccia, rovesciata sulle
spalle, illuminava le pareti; gli occhi, coperti di un velo diafano, come se i
ragni vi avessero filato di sopra, spalancati e pieni di stupore, scintillavano
fiocamente; del corpo, sepolto nella penombra, non scorgevo che indistintamente
i contorni. A poco a poco svanirono del tutto, quasi assorbiti dalla oscurità:
ma, in compenso, il lume del viso cresceva. Io l'affisava senza batter ciglio,
per tema che, abbandonandola solo un minuto secondo, la visione dovesse
sparire. La contemplazione indefessa la incatenava; ma fra essa e i miei occhi
passavano dei globi e delle striscie di fuoco. Cominciavo a sentirli di
soverchio stanchi, e già anche la faccia del cadavere si scioglieva: non ne
restavano che due scintille sotto le palpebre; ma quelle due scintille (mi
toccai per accertarmi che non sognavo) quelle due scintille non erano una
illusione, quelle due scintille esistevano, quelle due scintille erano occhi
veri, due occhi oscuri che mi guardavano, che mi guardavano fissi fuor da quel
berretto infernale!...
Balzai nel mezzo della stanza e nello stesso
tempo... diedi in uno scroscio di risa.
Il berretto rotolò per terra, e il più
leggiadro topolino del mondo mi passò tra le gambe.
- Ecco
uno, pensai, ricacciandomi fra le coltri, uno che ha avuto più paura di me.
E spento il lume, e mormorato come il bramino:
Tutto non è che ombra vana!
mi addormentai per non risvegliarmi che a
mattino inoltrato.
|