XI.
Ed io?...
Io vorrei che la vostra curiosità, lettori,
somigliasse, anche solo in diciottesimo, quella che mi faceva immobile sotto la
cappa del camino, quando Bazzetta fu arrivato a questo punto della sua
narrazione. La mia vanità di romanziere ne sarebbe più che solleticata,
Ma io e voi siamo meno fortunati, assai meno
fortunati degli uditori del signor Intendente, i quali dopo aver aspettato per
bene che egli delibasse il suo trionfo, facendoli languire a fuoco lento, alla
perfine seppero quanto volevano sapere senza che nessun Baccio e nessun medico
venisse a frapporsi e a troncar sul più bello la storia. Facciamo di necessità
virtù, e vediamo che cosa succede di nuovo al presbiterio.
La notte (ve lo potete imaginare) era già di
molto avanzata, quando, durante una meditata pausa del mio novelliere, ci
giunse attraverso il giardino il suono ben distinto del passo di una
cavalcatura.
- Il
dottore! sclamò Bazzetta. e, vuotato d'un fiato un altro bicchiere, s'alzò,
scosse dalla giubba le ceneri della pipa e si avviò verso la porta. Nel tempo
stesso Baccio picchiava colle sue dita nocchiute contro i vetri della finestra
da cui la sua figura traspariva lunga lunga, per il riflesso della lampada e
l'oscurità della notte.
Uscii per la porticina che Bazzetta si era
affrettato ad aprire, la quale metteva nell'orto attiguo al giardino, il quale
orto fiancheggiava il presbiterio dal lato opposto alla chiesa. Da quello
un'altra uscita sì apriva sulla strada dei monti.
Allora mi si presentò una figura, o meglio due
figure che ne facevano una sola, degna della matita di Goya o della penna di
Hoffman. Immaginatevi un uomo alto quasi tre metri e una rozza lunga più di
quattro; sottili, allampanati, e cavallo e cavaliere, come due candele poste in
croce, e il grottesco profilo del famoso cavaliere dalla trista figura, vi
parrà al confronto, una immagine di quasi greca bellezza..
- I
miei rispetti, signor dottore, disse il farmacista toccandosi il cappello, e
aiutando il mio più che don Chisciotte a disbrigarsi dalle staffe e a smontare.
Ella era già a letto mi immagino; io non volevo che la disturbassero; come
vede, vegliavo io, e giacchè trattasi delle solite bagatelle....
- Eh,
interruppe il medico con una voce timbrata e sonora, e bella come poche ne
intesi in mia vita, sono abituato a queste passeggiate notturne. Fanno bene
all'anima e al corpo. E come va ora Don Luigi?
Attaccato, così dicendo, il cavallo ad una
inferriata, si avviò, come pratico della casa, verso la scaletta per dove si
saliva alle camere del curato. Ma Bazzetta gli precluse il cammino e, presolo
dolcemente per un braccio, lo trascinò verso un angolo della cucina e gli si
pose a parlare a bassa voce, gesticolando con molta energia (ne avea vuotate
delle bottiglie!) e, non dubito, sforzandosi, con una diagnosi delle più scrupolose,
di scongiurare le tanto paventate cacciate di sangue. Così ebbi agio di
considerar per bene la figura stranissima del medico.
Dissi stranissima; ma in questo caso la parola
va presa nel suo senso più artistico e più nobile, giacchè, una volta diviso
dalla sua rozza, quell'uomo presentava un aspetto le mille miglia lontano dal
ricordare l'eroe di Cervantes.
Calvo come un ginocchio, con due sole ciocche
di capelli grigi, nascenti poco più in su delle orecchie e cadenti su quelle
come due pezzuole bagnate, pareva che egli illuminasse gli oggetti intorno a sè
col raggio della fronte vastissima nella quale le protuberanze che accusano
l'istinto della meditazione assumevano quasi le proporzioni di una
difettuosità. I suoi occhi nerissimi sembravano voler far dei pertugi nelle
pareti; portava due baffi grigi anch'essi, folti e corti, e un pizzo quasi
bianco del tutto, lunghissimo e aguzzo come un'ala di rondine. Vestiva
semplicemente: ma in quella semplicità traspariva alcunchè di ricercato che
tradiva la presenza di una donna amorosa alla sua toletta. Era un gentiluomo
campagnuolo sotto le spoglie di un discepolo di Esculapio.
- Sono
intirizzito, Baccio, e poichè Don Luigi dorme ancora, una fiammata mi farebbe
bene.
-
Subito, rispose il campanaro, ma prima vado a mettere in stalla quella povera
bestia che è là fuori. La conosco da un pezzo; se le rientra il sudore la vi ha
la tosse per quindici giorni.
Il dottore lo lasciò uscire, e, senza darsi
pensiero alcuno di quella strana precedenza data alla sua bestia da Baccio,
andò ai fornelli, ne tolse di sotto una fascina, la gettò sul fuoco e, voltogli
il dorso, e spalancate le gambe, prese di buon grado la tazza di vino
presentatagli da Bazzetta.
Il quale, passandomi vicino, mi gettò
all'orecchio queste parole:
- A
domani il resto della storiella; intanto, acqua in bocca, mi raccomando.
- Vi
pare? ho promesso e vi basti.
- Ecco,
signor dottore, un ospite giunto da ieri al signor curato. Un grande artista, uno
scrittore, che so io, un poeta di Milano, che si diverte ad andare attorno a
ritrattare le montagne, sicuro; un signore di Milano. Di Milano, non è vero?
Il lungo dottore si inchinò col miglior garbo
del mondo.
Stavo per compire, o meglio, per rettificare a
modo mio la presentazione, quando ai piedi della scala apparve la faccia
pallida e sconvolta di Mansueta.
La poveretta aveva finto di obbedire
all'ordine pietoso del farmacista, ma, invece di andarsi a coricare, aveva
passato quelle lunghe ore, rannicchiata su di una seggiola, a piedi del letto
del suo padrone, compulsandone il respiro, contandone i tremiti, - e veniva ad
avvertirci che Don Luigi si era svegliato, che sospettava la presenza del
medico e che era pronto a riceverlo.
Si salì tosto, i due della scienza in capo
fila, io, Mansueta e Baccio dietro, sulla punta dei piedi e rattenendo il
respiro.
Dal fondo della camera dove mi arrestai per
non disturbare la visita, l'aspetto del buon curato mi apparve assai più calmo
e riposato che non fosse l'ultima volta che lo avevo veduto. Egli era sul
letto, meno coricato che seduto, appoggiando il dorso su tre ampi cuscini.
colle braccia distese lungo il corpo, fuori della coltre, arrivandogli questa,
stretta e distesa, alla metà del petto soltanto. Cosa non comune per un
vecchio, nessuna benda o berretta gli cingeva la testa; la sua canizie riposava
liberamente sul capezzale.
Ci mandò un sorriso collettivo, e stese la
mano al dottore, il quale, con mia meraviglia somma e somma dolcezza, chinò il
bel capo e baciolla. Allora vi fu uno scambio di sguardi che non dimenticherò
mai. Quello di Don Luigi pareva dire:
"Voi sapete come e perchè!"
E quello del medico, corrucciato prima
terribilmente, poscia d'un subito rassegnato:
"Pur troppo!"
Que' due sguardi racchiudevano tutto un
dramma.
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