XVII.
Dopo agitatissimi sogni, fui risvegliato dal
signor De Emma, o, - per essere più veritiero, - dai ferri aguzzi del suo
ronzino, i quali, così, tra la veglia e il sonno, mi somigliarono ai colpi di
un martello che mi battesse sulla nuca.
I galli, sparsi qua e là nelle soffitte e
nelle cantine, eruttavano il loro rantolo singhiozzoso; i passeri cominciavano
a pispigliare; si udiva il risveglio della luce nel fruscio sommesso delle
foglie. In lontananza, le imposte, aperte da braccia ancora intorpidite dal
sonno, sbattevano contro le pareti, quasi paurosamente.
Il giardino apriva anch'esso le sue mille
palpebre d'ogni colore. I fiorelli che si schiudono all'apparire del sole,
cominciavano a sorridere, e i loro petali si intravedevano fra le corolle, come
ansiosi di osservare all'intorno che cosa fosse accaduto durante la loro
prigionia.
Tutti i sudditi dell'entomologia, dal paria al
sultano alzavano la testa e si sentivano a rivivere, e le farfalle spalancavano
l'ali per abbandonarsi alla caccia avventurosa degli effluvii e dei raggi. Le
lumache appese alle scabrosità dei muri, esponevano i loro quattro tentoni
filiformi, occheggiando. Le lucertole, svegliate dai primi tepori del sole,
facean ballonzolare la coda fra l'una e l'altra fessura. I mosconi ronzavano: i
ragni cominciavano a guatare le ragnatele e i moscerini cominciavano ad
ingarbugliarvisi....
Dalla cucina del presbiterio usciva un odore
delizioso di caffè tostato.
Il cielo splendeva serenissimo.
- Buon
dì, mi disse scavalcando, il dottore, già desto così per tempo?
La voce del signor De Emma aveva una
vibrazione dolce di cui il giorno prima non la avrei creduta suscettibile.
È certo che il buon curato gli aveva parlato
sul conto mio a quattrocchi con quella strana benevolenza, non so come meritata
da me fino a quel punto, che in lui pareva una divinazione di ciò che doveva
accadere in seguito nei nostri cuori.
Il dottore era salito alla camera del suo
infermo. Io scontrai sotto un viale del giardino il povero Beppe. Egli andava
davanti a me coll'indescrivibile incesso che hanno i sonnambuli, rimondando,
sbadato, quasi senza saperlo, - per abitudine di campagnuolo forse, i vigneti
delle giovani viti, con gesti da automa. Stropicciava ad una ad una le
raffilature che gli restavano in mano, poi le lasciava cadere dietro di sè.
Portava la testa immota, alquanto volta all'insù, ma quando l'ebbi accostato,
senza che egli se ne avvedesse, rimarcai che gli occhi avea rivolti al suolo,
semichiusi, immobili. Tutto il suo volto spirava il terrore e la pietà insieme
che i poeti ci fanno supporre spirassero dalle maschere formidabili dell'antica
tragedia. La desolazione e la sete della vendetta avevano tramutato in una
notte quella faccia idillica di contadino, in una faccia di non so qual lugubre
eroe. Giacchè le notti che seguono le sventure, sono le grandi trasmutatrici.
Ogni loro minuto è un colpo di scalpello michelangiolesco. Il marmo candido,
innocente, insciente s'atteggia in poco volgere d'ore a sovrumano furore di
demone, la carne atteggiata alla espressione della pace, della mestizia, della
mansuetudine, si è fatta brutale, freme, sogghigna, sembra volersi concentrare
in un morso.
Tale almeno la faccia di Beppe.
Essa mi colmava di tanto stupore che non
sapevo decidermi a rivolgergli la parola; e, poichè egli non aveva l'aria di
accorgersi della mia presenza, continuai a camminare al suo fianco, pareggiando
i miei ai suoi lentissimi passi.
A un tratto al dissopra di noi, dalla finestra
della camera di don Luigi si fe' udire la bella voce del medico.
-
Signori, diceva, l'ammalato non più ammalato, desidera la loro presenza, e
prega il signor pittore a voler passare in cucina ad avvisar Monna Mansueta che
si prenderà quassù il caffè in compagnia.
Queste parole furono dette con un umorismo
misto di serietà che mi piacque immensamente.
- Si
viene, risposi; ed a Beppe:
-
Saliamo.
Egli mi guardò, si toccò la falda del cappello
e mi seguì.
Quando entrai con Beppe nella camera del
curato, lo trovai diffatti intieramente riavuto.
Sorrise a me, stese la mano a Beppe e, tirandolo
a sè, gli disse:
-
Dunque senti figliuolo, abbiamo, il dottore e io, abbiamo concertato qualcosa
per te. Tu non puoi rimaner qui: hai bisogno di far vita nuova. Il dottore t'ha
trovato un posto di guardiano presso alcuni suoi ricchi parenti nel bresciano.
Tu lascierai qui i bimbi, Mansueta n'avrà cura finchè non sii in grado di
prenderli teco. Tu seguirai il dottore a Zugliano e domani ti condurrà egli
stesso alla tua nuova dimora. Va bene così?
Il poveretto teneva il capo basso, perplesso
fra la reverenza e un gran desiderio di dire di no.
Finalmente balbettò fra i denti:
-
Perdoni, ora non posso partire.... ancora qualche giorno per sbrigar certe
faccende....
- Dimmi
il tuo bisogno, - farò io per te ogni cosa...
Beppe fatto più ardito scoteva il capo.
- Non
hai più confidenza nel tuo vecchio amico... di' su cosa hai da far qui.... di'
su, - e gli figgeva con inquietudine i suoi grand'occhi in viso.
Il mandriano stornava smarrito i suoi in cui
balenavano lampi sinistri di ferocia.
Il curato si turbò e, con voce tremante dallo
sgomento, tendendo l'indice verso Beppe.
-
Ragazzo, tu pensi a colui.... soggiunse severamente.
Beppe non potè più contenersi: lo vinse un
terribil parossismo: si buttò a terra, si contorceva, si mordeva i pugni e con
rantolo straziante:
- Me lo
levino dal sole.... lo nascondano.... lo mettano in un carcere profondo.... ci
sono i tribunali per questo.... non lo lascino a mia portata....
Egli parlava dell'assassino della povera Gina.
Io non ressi a questo spettacolo straziante;
le sue istanze mi parvero giuste e dissi:
- Egli
ha ragione; perchè non consegneremmo quello scellerato alla punizione della
legge? Il suo delitto è abbastanza accertato.... Io stesso andrò a far la
denunzia.
- No,
sclamò il curato.
Poi diventò smorto come un cencio lavato.
Il medico mi avvertì con un'occhiata
supplichevole di non insistere. Beppe era ricaduto nel suo cupo sbalordimento.
Tuttedue gli furono intorno a confortarlo e a persuaderlo. Egli era tanto
avvilito e tanto abbattuto che non durarono fatica a indurlo a scendere dopo il
desinare col dottore a Zugliano.
L'infelice baciò le sue creature senza far
parola, senza spargere una lagrima e s' avviò barcollando come trasognato
dietro alla mula del dottore.
Lo accompagnammo sino in fondo al villaggio;
poi il curato tornò indietro; io continuai la mia passeggiata.
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