Uscito nella via mi fermai per accendere il
sigaro: e, senza volerlo, intesi che il sindaco parlava di me chiamandomi
"lo scarabocchino".
Non era un'ingiuria tanto atroce ch'io potessi
aver diritto di offendermi.
Eppoi non ci tenevo punto alla stima del
sindaco: e non ero curioso di sapere ciò che diceva di me.
Mi disponevo ad andarmene, quando mi accorsi
che qualcuno mi spiava dalla porta socchiusa della bottega.
Era il signor Bazzetta il quale certamente
veniva ad accertarsi se ero già abbastanza lontano da poter sparlare di me.
Non potei trattenermi dal dirgli ad alta voce:
- Oh
bravo! Se voleste aver la bontà di farmi un po' di lume, ve ne sarei obbligato.
Io adoro la polizia.... urbana, l'unica che manchi a Sulzena.
Comprese la doppia allusione ch'io volli far
al suo racconto di poco prima e alla sconvenienza di quell'ultimo atto, perchè
rispose:
-
Anch'io una volta, - ora non ci penso più. Aspettate vengo colla lucerna.
Uscì poco dopo e volle rimanere a rischiararmi
la strada finchè io non ebbi svoltato verso la chiesa.
Mi volsi parecchie volte ed osservai che man mano
svaniva sul suo musettino il sorriso di riguardosa premura con cui mi aveva
augurato la buona notte.
Don Luigi era arrivato da Novara.
Era tanto soprappensiero quando entrai, che
non si mosse.
Aveva fatto l'ultimo tratto di strada a piedi
con quella belletta; era stanco, infangato, - ma s'era fisso di aspettarmi.
Indovinai che il buon prete aveva d'uopo di
uno sfogo.
Gli parlai di Aminta, supponendo che la
separazione da lui fosse il motivo della sua afflizione.
Mi disse che l'aveva lasciato felicissimo
della sua nuova condizione.
Poi ad un tratto mi domandò:
-
Credete, caro Emilio, che abbiamo fatto il suo bene?
Risposi che non si poteva dubitarne.
-
Ebbene, guardate, soggiunse dondolando tristamente il capo più curvo del
solito, guardate, c'è chi ne dubita,
- Oh,
qualche ignorante.
- No,
sono persone savie e prudenti, ma mal prevenute.
Quel giorno a Novara era stato a visitare il
Vicario, il quale, come sapesse lo scopo della sua gita, prima quasi che
aprisse bocca, gli aveva parlato di Aminta soggiungendo che era costretto di
esternargli il suo biasimo per avere stornato quel ragazzo dalla carriera
ecclesiastica. Poi, senza lasciargli dire una parola a propria discolpa, aveva
soggiunto che la cosa farebbe scandalo, molto scandalo; era vero il fatto sì o
no? Non poteva negarlo; dunque non ci era altro da dire, - egli non sapeva
davvero come pretendesse giustificarsi, - che nome darebbe a un capitano che
facesse disertare i soldati; e pensare che lei, un sacerdote..... brutto
esempio.... pessimo esempio!....
- Ma,
esclamai io, chi può averlo informato? Don Luigi si strinse nelle spalle:
diamine, era facile indovinarlo.
- E che
avete risposto? chiesi.
-
Nulla; sono uscito di là che mi girava la testa. Però dicano quel che vogliono;
il ragazzo sta bene dov'è e ci resterà.
- Ma
possono darvi dei fastidi per questo?
- Non
so; faranno quel che vorranno.
E il buon prete si curvò in aria di
rassegnazione.
Quella notte stentai a prender sonno: il
racconto di Mansueta, quello dello speziale, le confidenze di don Luigi mi
giravano per il capo come le aste di un arcolaio; pensavo a Rosilde, al dottor
De Emma; costui mi stizziva; mi pentivo di avergli accordata la mia simpatia.
Anzi d'essermela lasciata scroccare. Non era egli causa di tutte le disgrazie
dei miei amici?
Mi pareva evidente.
Sicuro era lui che aveva abusato della
solitudine di Rosilde, della dappocaggine del De Boni, della credula bontà di
Don Luigi. Questo era il peggio; compromettere un onest'uomo, esporlo a delle
persecuzioni tormentose, implacabili. In fin dei conti facesse la penitenza chi
aveva peccato!
Il suo contegno riguardo ad Aminta mi
indignava! Perchè ricusava egli il suo appoggio al figlio di Rosilde? Per
riguardo alla moglie? Magra scusa quando altri, quando un innocente, per
riparare al suo abbandono, mettono a repentaglio tutta l'esistenza. Crudele
egoismo!
La requisitoria era compiuta e la condanna non
si faceva troppo aspettare.
La mattina seguente accadde a Baccio cosa
tanto straordinaria che egli, per la prima volta in trenta anni di esercizio,
si lasciò precedere nel suonare il mezzodì dal sacrestano di Sumasco, noto per
la sua negligenza. E c'è di peggio.
Egli piombò nello studio del curato tenendo in
mano, per distrazione, il raggio d'oro delle grandi solennità.
Mansueta gli corse dietro, don Luigi si avanzò
rapidamente ad incontrarlo, ma entrambi dimenticarono tosto la stranezza del
suo contegno perchè egli balbettò:
- Il
sindaco la vuole in sacristia.
Incredibili parole che, per l'affanno, non
potè ripetere.
Don Luigi era già uscito per corrispondere
alla richiesta del sindaco, che il pover'uomo era ancora sbalordito ritto in
mezzo alla camera,
Il signor Angelo non era certo venuto con
delle buone intenzioni.
Il colloquio fu breve, non durò più d'un
quarto d'ora, che però alla nostra ansietà sembrò interminabile.
Nessuno assistè. Il linguaggio del sindaco
deve essere stato violento al solito: uscito dalla sacristia, sul sagrato si
volse indietro e disse:
-
Pensateci dunque: fra tre giorni o mi date quelle carte o preparatevi a ciò che
vi ho detto.
Don Luigi, pallidissimo, rispose:
- Sarà
quel che Dio vorrà.
Non capivo la minaccia del sindaco, e il
curato non mi fe' quel giorno alcuna confidenza.
Si ritirò nella sua camera e non ne uscì per
tutta la giornata.
Mansueta, sollecita della salute del padrone,
si recava sovente in punta di piedi a spiare dal buco della serratura, ed ogni
volta tornava tentennando dolorosamente il capo.
Don Luigi passò tutte quelle ore ginocchioni
pregando.
I dì seguenti il sindaco passò e ripassò più
volte davanti al presbiterio coll'aria provocante di un creditore inesorabile.
Le sue occhiate, volta a volta beffarde e furiose, causarono una quantità di
disordini.
Mansueta lasciò due volte struggersi la cena
sul fuoco. Il solo appressare del noto passo la metteva in convulsione.
E la non poteva sapere qual nuovo genere di
tortura colui avesse potuto trovare, ma capiva che doveva essere formidabile
dal contegno di Don Luigi, che da quel colloquio in poi non aveva più
ricuperato la sua calma e anzi diventava sempre più inquieto e sofferente.
Pertanto io cominciavo a trovarmi a disagio.
Ero rimasto per riguardo a Don Luigi, e avrei
voluto davvero essergli utile in quel frangente di cui mi era ignota la
gravità. Ma la sua afflizione non pareva di quelle che si alleviano colle
parole.
Il curato si manteneva stavolta chiuso con me
come con tutti; noi ci vedevamo appena all'ora solita e si capiva che malgrado
tutti gli sforzi egli non riusciva a dominare la cura segreta dell'animo.
Non volevo, al postutto, dargli soggezione.
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