Erano le riflessioni ch'io facevo fra me
tornando dalla Testa Grigia dove avevo voluto arrampicarmi un'ultima volta. E
la conclusione fu ch'io avrei quella stessa sera chiesto congedo per l'indomani.
La serietà di questo proponimento mi fe'
naturalmente rallentare il passo. Una singolare tenerezza mi legava a quei
luoghi. Le poche settimane colà passate rappresentavano per me un lungo e
notevole periodo della mia vita.
Un villaggio è spesso un piccolo mondo che
spicca sopra un orizzonte immenso: quivi gli umili casi quotidiani hanno sempre
per scena l'ampia campagna, il cielo infinito.
Il terreno era umido per un primo nevischio caduto
il giorno prima: avanguardia delle grosse nevi che per allora stavano attendate
sulle cime del Sempione. Aveva fatto una splendida giornata, di quelle limpide
che reca il vento dalla montagna. L'aria, fredduccia, ma in compenso tersa,
trasparente, quasi sopprimeva le distanze.
Ero ancora lontano un quattro miglia da
Sulzena e avrei detto di arrivarci in un salto.
Giravo la gola di Fontanile e vedevo il
villaggio rimpetto, un po' sotto a me, indorato dai raggi del sole che cadeva.
Distinguevo i più minuti particolari, le siepi, le finestre, coi pannilini
stesi, le pietre, le spire del fumo che usciva dai bassi comignoli.
È delizioso spettacolo questo di poter in una
occhiata riassumere la vita di un intero paese; da un sentimento di potenza,
quasi di superiorità; pare di poter disporre di quel gruzzolo di vite come si
fa di un alveare.
Istintivamente mi ero seduto e guardavo.
Ad un tratto un altro particolare attrasse la
mia attenzione.
Da quella parte il terreno degli orti di
Sulzena si divalla rapidamente tracciando una leggera concavità, il cui terreno
sassoso e scheggiato, è qua e là rivestito da radi cespugli di ginepro.
Notai che dei massi staccandosi a certi
intervalli saltellavano giù a precipizio per quella scesa e balzavano nel
torrente sottoposto.
Osservando meglio potei scoprire la causa di
questo franare poco naturale nella sua continuità; era una persona, un uomo in
abito scuro che di quando in quando spiccatosi da un cespuglio si lanciava ad
afferrare quello più vicino che gli soprastava. Così a salti e sforzi
intermittenti saliva verso il villaggio.
Chi poteva essere costui che preferiva alla
strada comoda che sale dalla parte di ponente, questo sentiero da scoiattoli?
Due sole ipotesi possibili, - uno cui preme non farsi scorgere, - oppure un
matto come me che abborre le strade battute e ama meglio fiaccarsi il collo che
seguir gli altri.
Questa seconda supposizione era la più
probabile.
La simpatia, ispiratami da questa somiglianza
di gusti, mi vinse e indugiavo guardando il curioso lavorio di quello
sconosciuto, - finchè un'ora dopo lo vidi sparire fra due siepi spostando
l'ultimo rovinìo di pietre che celebrò distesamente il suo trionfo.
Allora anch'io mi mossi.
Cominciava ad imbrunire.
I colori del paesaggio erano spariti: il
quadro acquistava il grandioso indefinito del bozzetto. Sparivano nell'ombre i
lineamenti e restavano ingrandite le linee. Le forme di quel poema di terra e
di cielo lasciavano a nudo il concetto. Il quale esprimeva una cupa tristezza,
Il profilo del villaggio si disegnava
debolmente sul fondo bianchiccio del monte: ai due capi opposti il presbiterio
e la casa del sindaco: il primo, a spigoli retti semplici, smussati agli angoli
da gruppi di piante: ritto in mezzo l'esile campanile tendente al cielo; -
l'altra tutta a sporgenze, a denti come una immagine di un accattabrighe. Si
sarebbe detto che quei due edifizi recassero impietrita la storia del lungo
dissidio fra i loro abitatori.
E la fantasmagoria acquistava man mano
efficacia: altre figure venivano ad aggiungersi alle prime.
In mezzo alle due case dominatrici un po'
indietro la specola quadrata dello speziale come un curioso che coi debiti
riguardi osserva due litiganti che stanno per venire alle prese.
Una quarta casupola si levava sopra la linea
media del villaggio; imboscata fra due noci giganti che le sorgevano ai due
lati: dopo lunghi calcoli, conchiusi che fosse l'abituro di Beppe, smilzo,
gramo.
Era notte chiusa. Affrettai il passo; facevo
d'indovinare le pietre meno aguzze per posarvi il piede, incespicavo sovente.
Qualche volta cadevo; una volta percossi colla fronte una delle croci disposte
lungo il sentiero a ricordo di una sciagura. Non so perchè avevo quasi paura
come quando ero bambino; involontariamente pensavo ai viottoli vivaci della mia
Milano, ai crocchi gioviali dell'osteria del Gallo.
Malgrado le difficoltà camminavo lesto, vo a
saltelloni, a sdruccioloni, e mi avvicinavo rapidamente a Sulzena.
Sbuco sotto la casa del Sindaco; sento la sua
voce aspra, collerica nel tinello che strapazza la fantesca. Tiro dritto,
infilo la strada del villaggio.
Una figura nera viene alla mia volta; poi si
ferma e torna indietro. Io proseguo: lo sconosciuto mi precede un tiro di
pietra; e ad un tratto sparisce non so dove.
Poco più in là passo innanzi alla casa della
povera Gina.
È la seconda volta che in una sola sera penso
a lei.
L'immagine di quella disgraziata mi s'affaccia
al primo mio giungere in Sulzena ed ora, alla vigilia della partenza, non
potevo allontanarla dalla mente.
Avvicinandomi al presbiterio incontro Baccio
che mi passa accanto frettoloso senza vedermi.
Entrando nel cortiletto mi sgomenta un po' il
trovarvi il cavallo del dottor De Emma.
Fosse malato don Luigi?
Mansueta si affrettò a rassicurarmi. Il dottore
è venuto da sè per affari; da un'ora è chiuso col curato nello studio.
Salgo ad aspettare la cena nella mia camera:
la finestra verso strada è aperta.
Nel villaggio è buio; un filo di luce che esce
dal nostro portone taglia a mezzo la piazzetta del sagrato.
Nel cortile scalpita la cavalcatura del signor
de Emma: s'ode qualche belato fioco come venisse di sotterra.
Il colloquio nello studio si prolunga.
Un passo s'avvicina. È Baccio che torna. Don
Luigi e il dottore gli vengono incontro a' piè della scala. Sento il sacrestano
che dice:
- In
casa non c'è.
Poi entra; la porta dello studio si chiude di
nuovo. Nessuno si ricorda di me.
Accendo un lume, prendo un libro.
Mentre sto per chiudere la finestra, un
lontano rumore mi colpisce. Parmi d'aver inteso un grido, un altro; poi
silenzio. Che succede all'altro capo dell'abitato? Segue un confuso vocìo.
Passano alcuni minuti di quiete profonda, - un cane abbaia e mugola.
Due contadini si avvicinano a passo a passo.
Parlano fra loro a monosillabi, sembrano commossi,
spaventati.
Uno dice:
- Tu
hai visto.
L'altro risponde:
- Che!
E tu?
-
Neppure.
- Che
si dice?
- Che
l'hanno ammazzato.
- Che
sia morto?
- Per
bacco! dieci coltellate.
-
Tredici....
- L'hai
contate?
-
Ohibò!
- E già
non lo vo' a ripetere.
- Me
l'ha detto lo speziale.
Sono passati; vanno a precipizio giù per la
scesa.
Un altro passo.
Questo si ferma alla nostra porta.
Una voce chiede nel cortile:
- C'è
in casa il dottor di Zugliano?
Mansueta risponde di sì.
L'altro aggiunge qualcosa ed ella dà in
esclamazioni.
Alla sua voce accorrono il curato e il
dottore: parlano tutti insieme. Scendo anch'io.
Appena mi vede, Mansueta alza le braccia:
- Oh
che disgrazia, oh che disgrazia, il sindaco....
-
Andiamo, dove l'hanno portato? domandò il signor de Emma.
- Nella
farmacia, risponde il montanaro. E s'avvia. Li seguo.
Per istrada il buon uomo conta al dottore che
Beppe, tornato improvvisamente in paese, ha appostato il sindaco che all'ora
consueta si recava dallo speziale, l'ha forato da tutte le parti.
Accorse alle grida lo speziale col suo
garzone, lo trovarono che trascinava pei piedi il moribondo. Ci vollero tutti
gli sforzi per levarglielo dalle mani. Egli era furibondo, gridava: - l'ho
finito io, - e vo' buttarlo nell'acqua: non bisogna sotterrarlo in terra di
cristiani, vicino alla Gina!
Il dottore, a cui certo premeva assai più la
salute del feritore che non la vita del ferito, s'informò di Beppe.
Il montanaro rispose ch'era scomparso. Nessuno
aveva tentato di trattenerlo. Tutto il paese era per lui: si sapeva bene,
s'egli aveva menato era che gli avevano fatto il solletico nelle mani.
Naturale! levate il sentimento ad un uomo e diventa lupo.
Era giustizia greggia, ma giustizia giusta.
Potei accorgermi quanto fosse odiato a Sulzena
il signor Angelo: dopo il primo momento di allarmi il villaggio era tornato
silenzioso. Non era indifferenza, ma noncuranza volontaria e ostile.
Notai che molte finestre erano socchiuse,
altre semiaperte; ma non vidi una sola porta aperta.
Entrammo nella farmacia. Il ferito era disteso
sopra un pagliericcio: coperto di cenci insanguinati: il capo chino sulla
spalla sinistra, la bocca intrisa di bava nerastra.
Il dottore De Emma s'inginocchiò e appressò
l'orecchio al cuore del giacente.
Batteva ancora.
Le donne dello speziale immobili assistevano
con glaciale curiosità alla visita, e guardavano il ferito come se fosse stato
un sacco di noci.
Il signor Bazzetta ritto in mezzo a un mucchio
di bende, di fiale, enumerava al medico le operazioni da lui praticate, e vi
aggiungeva coll'usata garrulità le sue diagnosi e le sue prognosi.
Il dottore ordinò a tre omaccioni, dipendenti
del De Boni, che l'avevano soccorso, di sollevarlo nel pagliericcio; e lo fece
recare a casa.
Ci andai anch'io.
Bisognò picchiare un quarto d'ora di seguito
perchè la fantesca si decidesse ad aprirci.
Deposto che fu sul letto, il dottore esaminò
attentamente il ferito: aveva il petto, la schiena, il collo tempestati di
trafitture larghe e profonde. Viveva ancora, ma per morire in breve.
Appena gli astanti intesero la gravità del suo
stato, sfumarono tutti. Anche la serva, donnaccia ributtante colla quale,
dicevasi, il De Boni viveva maritalmente, disperando della ulteriore liberalità
del morente, fatto fagotto delle robe sue o non sue, se n'andò senza neppur
volgergli uno sguardo.
Rimanemmo noi due col signor Bazzetta che,
pratico della casa, aiutò il dottore a trovare le cose necessarie alla
medicazione.
Finito ch'egli ebbe ci sedemmo a quel desolato
capezzale. Lo spettacolo di quella triste esistenza, che si spegneva in così
profondo abbandono, in così cupa solitudine di affetti, era cosa da stringere
il cuore.
E nella lugubre solennità di quel momento mi
ripugnava la calma del dottore: non potevo levarmi dalla testa, che, unico al
mondo, egli avesse dei torti verso quello sciagurato.
Il farmacista non poteva rimaner silenzioso un
pezzo: la sua cinica loquacità era ributtante. Egli discorreva delle cose più indifferenti,
narrava storielle come fossimo a veglia dinanzi a un tavolo d'osteria: - e, se
volgeva la sua attenzione al moribondo, era per biasimarne la condotta, il
carattere e sopratutto la caparbietà nel non dar ascolto ai suoi vantati
consigli.
La sua voce ineguale, garrula era accompagnata
dal rantolo cupo del morente e dal lontano rambazzo dello Strona.
M'ero messo accanto alla finestra e guardavo
giù nella valle, contemplavo la sublime, schiacciante indifferenza della
natura. Il sentiero che avevo percorso poche ore prima allacciava il monte
dirimpetto come una cintura biancastra.
Mi vennero a mente le strane immagini che
avevano preconizzato alla mia fantasia il dramma terribile alla cui catastrofe
in quel punto assistevo.
L'agonia del signor De Boni fu più lunga e più
travagliosa di quel che il dottore avesse previsto. La vitalità tenace di
quella tempra eccezionale tentò un ultimo sforzo disperato.
Verso la mezzanotte si dichiarò la riazione
con una febbre violenta. Il respiro si fe' più forte e più frequente; un
tremito convulso squassò le membra del moribondo.
Poco dopo cominciò il delirio.
La ferita del collo e la tumidezza da essa
prodotta rendeva quasi inintelligibile quel ch'egli diceva.
Erano, per quel che ho potuto comprendere,
bestemmie, imprecazioni, a cui si mescolava di frequente il nome spregiativo di
"chierica".
Senza dubbio voleva designare il curato.
L'infelice minacciava il suo avversario come se possedesse ancora tutte le
forze della sua salute e della sua influenza.
La crisi durò tutta la notte. In quel mezzo
capitò don Luigi.
Per lui le persecuzioni sofferte non erano un
motivo sufficiente per credersi dispensato dal prestare i suoi caritatevoli
uffici verso un suo parrocchiano.
Il sant'uomo entrò nella camera senz'ombra di
ostentazione, dimessamente, col contegno di chi compie un doloroso dovere.
Il dottore non gli permise di accostarsi al
letto.
Senza dar retta alle obbiezioni insipide dello
speziale che annusava con ingorda ansietà lo spettacolo di uno scandalo, gli
fe' capire che la sua visita non era opportuna.
Il sindaco continuava nei suoi farnetici.
Don Luigi potè intendere alcune delle sue
parole: una crucciosa, una sincera afflizione si dipinse sul suo volto.
S'arrese alle rimostranze del dottore ed uscì piangendo.
Furono queste le sole lagrime che vidi intorno
a quel letto.
Venne in vece sua don Sebastiano.
Amministrò all'inferno l'estrema unzione,
brontolando frettoloso fra i denti le preghiere rituali.
Poi spogliò il rocchetto, la stola e chiese al
dottore se sarebbe stato possibile il confessare il moribondo.
Il signor De Emma disse che non poteva dir
nulla con certezza: se voleva aspettare, verso l'alba, la febbre sarebbe
scemata oppure....
A questa reticenza il prete soggiunse
duramente:
- Va
bene.
E sedette. Era un'indifferenza di più.
Tutto ciò era brutto, mi irritava.
Uscii. Cominciava il crepuscolo, l'ora
preferita dell'angelo della morte.
Rompevano il silenzio dei belati che
sembravano lamenti. Gli alberi si agitavano alla brezza mattinale come
rabbrividissero e gocciolavano lagrime di rugiada. Un gallo cantava colla
sicumera crudele di un diacono che intona le esequie.
Baccio suonava l'angelus, e insieme l'agonia
del sindaco.
Poi la scena mutava rapidamente: al funereo barlume
sottentrava l'incarnato dell'aurora, il paesaggio usciva dal grigio lenzuolo,
salendo a poco a poco la gamma dei suoi colori: il giorno usciva dai limbi
misteriosi dell'alba.
Io aspiravo con voluttà l'aria vivace;
assaporavo con delizioso egoismo le pulsazioni possenti della vita.
Un rumore misurato di passi mi riscosse dalla
estatica contemplazione.
Sbucavano di dietro il muro della chiesa
quattro carabinieri condotti da un brigadiere, un'atletica figura di savoiardo.
Un montanaro di Sulzena li accompagnava.
Il signor Bazzetta aveva colta con premura
l'occasione di esercitare le sue funzioni di assessore. Egli aveva mandato
avviso alla stazione di Mirasco.
I cinque soldati sostarono un minuto sulla
piazzetta. Poi il brigadiere mi si accostò e mi chiese se sapevo notizie del
feritore.
Risposi in buona fede che credevo avesse
lasciato il paese.
- È
probabile, soggiunse, però bisogna compiere le formalità,
E volto alla guida che l'aveva accompagnato:
- Alla
casa di Giuseppe Rivella, andiamo.
Mi salutò e s'avviò coi suoi uomini.
Tenni loro dietro.
Eravamo tutti convinti che la ricerca
intrapresa dal brigadiere fosse una pura formalità.
Tuttavia egli per quella puntualità allobroga
che nelle faccende quotidiane rado fallisce, essendo il mondo routinier più di
quanto lo si creda, dispose le cose come se avesse a far una cosa seria; e
seria era perchè doverosa.
Per ordine suo, due uscirono dalla strada e
vennero ad appostarsi dalla parte degli orti. Egli cogli altri due si avanzò
per la strada del villaggio e si presentò alla porta della casa. Era socchiusa.
Il brigadiere lasciò ancora uno di guardia
alla soglia e vi entrò.
Io osservavo dalla strada questa manovra e
s'era fatto un crocchio di gente intorno a me; tutti erano del mio avviso.
Chissà dove poteva essere a quell'ora il
povero Beppe!
Ma era appena entrato il brigadiere, che
intendemmo il comando ed un alterco. Accorremmo.
Beppe era in casa! Ritto in capo alla scala,
coll'aria sconvolta, l'occhio smarrito e minaccioso, spianava una carabina di
custode in faccia agli agenti della forza publica gridando:
-
Indietro, indietro.
Il brigadiere s'era fermato al primo gradino
e, senza punto sgomentarsi, coll'aria di chi ha da far con un ragazzo, dicevo
risoluto:
-
Giovinetto, giudizio! Abbassate quell'arma e venite con noi.
-
Vengo, ma ad un patto.
- Ma
che patto!
- Vo'
sapere se colui è morto e vo' vedere il cadavere.
-
Andiamo, andiamo, sclamò seccato il brigadiere e si moveva.
Poteva nascere disgrazia.
Mi lanciai e lo trattenni.
- Lasciate
ch'io gli parli, dissi.
E fattomi innanzi:
-
Beppe, volete darmi retta a me?
Mi ravvisò, e togliendosi con moto istintivo
la berretta:
- Sì,
signor pittore.
-
Ebbene, obbedite al brigadiere, sarà pel vostro meglio, - e la giustizia terrà
conto dei vostri dolori.
-
Signor pittore, ditemi che il sindaco è morto ed io vengo dove vogliono.
Ci teneva alla sua vendetta.
- Il
sindaco non è morto ma non tarderà ad esserlo
-
Sicuro?
- Come
son sicuro che stassera tramonterà il sole.
Il suo volto balenò di una gioia selvaggia.
Il brigadiere, che in questo momento era
salito, lo disarmò e lo consegnò a' suoi uomini, che gli misero le manette.
Egli li lasciò fare; pareva istupidito.
Prima che lo menassero io gli presi una delle
sue mani legate e gliela strinsi senza ripugnanza per l'atto di cui s'era
macchiata.
-
Coraggio, gli dissi, i vostri amici si ricorderanno di voi.
Egli mi fe' un sorriso ebete e chinò il capo.
Lo trassero alla casa comunale, dove fu per il
momento rinchiuso.
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