A questo passo il mio amico ed io ci guardammo
l'un l'altro ad un tempo e un sentimento di incredulità e di sorpresa dovette
trasparire dai muti volti, poichè il dottore soggiunse con maggior calore:
- È
strano; ma è così. Vorrei trasfondere in voi la metà della convinzione profonda
che il racconto di Rosilde mi ha dato. Vorrei riprodurre un'ombra di quella sua
eloquenza che un affetto senza limiti le ispirava. Ella, la poveretta, sapeva
confessare la sua colpa e giustificare nello stesso tempo Don Luigi.
Dimenticava il proprio pudore per difendere il suo e ci riusciva. Mi narrava
minutamente tutte le soavi e tristi scene del suo amore per farne risaltare la
innocenza, la purezza sopraffatta ma non vinta di lui. Ella aveva avvertito gli
ostacoli che le condizioni, i pregiudizi del mondo, gli anatemi della religione
metteva fra loro due: ella s'era tolto il compito di spezzarli da sola; di
sfidare ella sola il biasimo, le convenzioni, di commettere da sola il
sacrilegio, se sacrilegio c'era: - insomma poichè l'amore doveva costare una
colpa - ella volle prendere su sè stessa la colpa - dargli l'amore, -
prevenendo la sua coscienza, aveva creduto evitargliene i rimorsi. - Io vi dico
che quello era un gran cuore, e che il suo era un errore sublime.
Il signor De Emma pronunziò queste parole con
forza e ci guardava colla sicurezza di chi intende d'essere creduto - e noi due
chinammo assenzienti la fronte.
Il dottore ripigliò:
- Il
suo era l'amore meno l'egoismo - L'idillio progrediva rapidamente. Tuttavia
finchè non usci dalla cornice di austera realtà del presbiterio, esso rimase
sempre così sereno ed innocente. Don Luigi non sarebbe mai venuto meno alla
severa illibatezza del suo costume là all'ombra del suo campanile, accanto al
suo altare, dove tutto gli rammentava i doveri che la sua coscienza gli
rappresentava inviolabili.
Del resto egli non desiderava o non sapeva di
desiderare; le gravi occupazioni che venivano ad interromperlo lo premunivano
contro gli eccessivi abbandoni.
Ma egli usava passare qualche ora del
pomeriggio nella solitudine tanto cara della Carbonaia che forse voi conoscete.
E Rosilde cominciò a seguirlo colassù. Egli non fu sorpreso di trovarla in quel
soave rifugio dove egli dava da quindici anni convegno ai sogni della sua
gioventù; e si abbandonava alle vaghe carezze della fantasia. La fantasia fu la
galeotta. Egli non seppe mai bene ciò che gli accadesse colà. La realtà si
perdette nei limbi profondi di un misticismo inebbriante. Il pietoso inganno
per cui la povera Rosilde fe' sagrificio di tutta sè stessa, non sarebbe mai
svanito se non erano gli sciagurati avvenimenti di questi giorni.
I loro ritrovi, liberi di ogni estraneo
ritegno, presero una intonazione assai più ardente. Quando Rosilde arrivava per
sentieri remoti e veniva a sedersi presso di lui, spesso chinava il bel capo
sulle sue ginocchia e passavano delle ore in silenzio, oppure ella narrava del
teatro, gli raccontava le favole da lei eseguite. Una fra l'altre aveva la
preferenza. Quella del poema di Guarini, che era stata la sorgente del suo
primo successo a Venezia. Ella si godeva di ripeterne le scene gentili: di
fingersi Silvia e chiamare Aminta il suo compagno.
La funesta fantasia la sedusse al punto che un
giorno tirato fuori dal suo baule il costume in cui aveva sostenuta la parte
della ninfa - ella lo teneva sempre come ricordo - lo recò alla Carbonaia prima
dell'ora del ritrovo, e indossatolo quando Luigi venne a sedersi sotto le
querele centenarie, ella sfilò in mezzo alle macchie, e gli si presentò in
quella foggia, col gonnellino azzurro, i biondi capelli intrecciati di rose
bianche e coperti di un lungo velo sottilissimo, bella, affascinante, smagliante
di amore.
Al povero uomo parve una visione, egli cadde
sbalordito, delirante ai suoi piedi.
Da quel giorno essi non vissero più su questa
terra.
In casa non si incontravano quasi più:
Rosilde, per convenienza non erasi mai seduta alla mensa del presbiterio. Ella
evitava con cura di lasciarsi trovare in giardino: temeva i confronti, voleva
che la sua gioia fosse fuori della vita, lontana dal reale, immensa, senza
limiti. E tal fu per due mesi, in cui il povero Luigi spesse volte si sentì
venire meno dinanzi all'altare e visse come rapito in un sogno. Egli non viveva
più veramente che alla Carbonaia, dove dimenticava la vita, dove obblioso del
suo cielo muto, impassibile egli trova un paradiso di delizie ardenti.
La povera Rosilde fu la prima a risvegliarsi -
e pur troppo toccò a me il tristo ufficio di richiamarla alla triste realtà.
Un giorno ch'io mi recavo al Fontanile la
incontrai per istrada: dapprima parve volesse cansarmi, - ma poi mi venne
incontro ella stessa e mi accompagnò per un buon tratto. Le chiesi della sua
salute con premura.
-
Benissimo, rispose, ma impallidì un poco.
L'esaminai attentamente, le feci qualche altra
interrogazione.
Sembrava avesse a dirmi qualcosa e non
ardisse.
Allora presi il suo polso fra le mie mani, la
costrinsi con delle violenze a levare la fronte, le fissai uno sguardo
penetrante negli occhi. Una febbriciuola le serpeggiava per le vene: le sue
palpebre avevano dei toni lividi.
Il mio sospetto si mutò in certezza.
-
Povera amica mia, sclamai con accento di dolore e di sorpresa.
Ella capì, diventò smorta come fosse di cera e
mormorò:
- Lo
sapevo...
Mi parve intravvedere nel tono della sua voce
subitamente risoluta, una così profonda disperazione che mi sgomentai e per un
pezzo non seppi trovar parola.
Ma quando ella mi porse la mano per congedarsi
le dissi con tutto il calor dell'amicizia ch'io avevo per lei:
-
Rosilde, badate ad avervi cura... promettetemi di aver confidenza in me.
Qualunque cosa vi occorra - ricordatevi del vostro amico. - Io ripasserò a
prender vostre nuove.
Chinò il capo distrattamente e ritornò
indietro frettolosa.
Due giorni dopo ripassai da Sulzena e chiesi
di lei: era sparita.
Ma prima che la settimana finisse una sera per
un caso stranissimo, fui dal sospetto di un tentativo funesto condotto in una
casupola del sobborgo qui di Zugliano e vi ritrovai Rosilde.
Ella s'era posta nelle mani di un'empirica per
troncare le conseguenze del suo fallo.
La rampognai vivamente. Ella per un po' stette
chiusa, negò, ma le vedevo la triste risoluzione negli occhi.
Mi incollerii e mi lasciai sfuggire qualche
parola contro Don Luigi.
Allora, vedendo che io conosceva il suo
segreto, mi si buttò piangendo ai piedi, e mi scongiurò di non tradirla, di
rispettare la pace dell'uomo per cui ella stava morendo.
- Egli
non sa nulla, mi disse torcendosi le mani, non sa nulla..... io sola..... io
sola.....
E la piena della emozione le mozzava le
parole.
Era angosciata; le chiesi perdono, la levai da
terra, cercai di calmarla, di dissipare i suoi timori, di farle coraggio, di
prendere con leggerezza la cosa.
-
Giuratemi, disse, ch'egli nè altri non saprà mai nulla.
La guardavo sorpreso.
- Ella
mi afferrò le mani e mi guardò supplichevole in modo ch'io mi affrettai a
prometterle tutto quel che voleva.
Sedette, chinò la testa stanca sul petto
ansante e pianse lungamente, angosciosamente.
Mi alzai.
Ella si riscosse, e mi pregò di rimanere.
- Debbo
dirvi, soggiunse, com'è stato, voi non dovete sospettare che di me.....
Allora ella mi narrò le deplorevoli vicende
che erano seguite dopo il nostro ultimo colloquio sulla strada del Fontanile.
Già da alcuni giorni ella aveva avuto
presentimento della disgrazia. Le mie parole le avevano tolto le ultime
illusioni.
La buona creatura, al primo affacciarsi della
terribile certezza, aveva subito pensato: - che si dirà di lui?
Ella non si inquietava di sè, della sua vita,
della sua salute, ma della riputazione di lui - povera martire!
Ella che aveva voluto dargli la gioia, si
trovava repentinamente di fronte alla probabilità di nuocergli.
Questo pensiero la disperava. Ella fargli del
male? ella rovinarlo? - lo vide colpito dalle dicerie dei malevoli, dallo
scandalo, dalle condanne della disciplina ecclesiastica, che si immaginava crudele,
implacabile, e disse a sè stessa: - orsù, tu hai fatto il male, e tu devi
scontarlo: ma come? Il come si affacciò con una orribile limpidezza alla sua
mente: sparire colle prove che accusavano il suo Don Luigi.
- Ella
non arretrò: - ebbene, disse colla calma della disperazione, sparirò.
Ma per lei, senza mezzi, in quello stato, sola
al mondo, senz'altri parenti che la Mansueta, la quale non doveva saper nulla,
lo sparire, equivale a morire. Vide la necessaria conseguenza della risoluzione
e l'accettò tutta quanta. Riunì le sue robe migliori e venne a Zugliano, si
pose in casa di una lavandaia che aveva conosciuto quando stava qui con noi.
Ella era risoluta di morire - ma non poteva
andare lontano, eppoi temette che il suicidio non facesse rumore, e questo ella
non voleva per niun conto. Così si apprese al mezzo che mi condusse a scoprire
il suo rifugio.
Io cercai di confortarla dicendo che si
sarebbe potuto riparar tutto, evitare i sospetti. Ella non vi pensava; ma mi
ringraziava e mi scongiurava: - fatelo per lui - egli è innocente... io sola...
io sola...
Venni da lei qualche volta nei giorni
seguenti, - ma dovevo usare molte precauzioni per non suscitar le ciarle così
micidiali della provincia,
E una sera non la trovai più. La donna che
l'aveva ospitata mi disse che era andata con un uomo di cui non mi volle dire
il nome.
Seppi poco dopo ch'ella viveva quasi
matrimonialmente col De Boni in una cascina poco lontana di qui e che non
faceva mistero alcuno della sua sciagurata condizione.
A tutta prima questa notizia mi rivoltò contro
di lei, e mi ispirò dei giudizi che poveretta non meritava davvero... ma il
cuore mi diceva che Rosilde non era la donna volgare che allora sembrava a
tutti, che nella sua repentina arrendevolezza ci doveva essere un perchè non
ordinario, - mi diceva il cuore che doveva essere qualche nuovo sagrifizio.
Diffatti!.....
Io non potevo per diverse ragioni approfondire
la cosa: fra l'altre il timore di adombrare il De Boni, così permaloso. Ma
circa sette mesi dopo venne egli stesso a cercarmi e mi condusse nella
stamberga dove aveva nascosto, come un lupo la sua preda, la povera Rosilde e
dov'ella era agonizzante.
Egli mi fe' visitare la donna e s'informò da
me minutamente del suo stato e delle origini di esso. Mi tenni sulle generali -
uno sguardo supplice dell'inferma mi aveva messo sull'avviso.
Tornai da solo l'indomani.
Appena mi vide mi trasse vicino e mi disse
sommessamente:
- Son
sicura che voi non avete detto nulla al De Boni: ma perdonatemi, ho bisogno che
me lo promettiate solennemente... egli deve credere quello che voglio io.....
Mi ritrassi vivamente e la guardai con
isgomento. Avevo intravveduto il suo disegno. Frode orribile ed ammirabile! La
sua abnegazione mi schiacciava; non sapevo se doveva rimproverarla o benedirla.
Era una cosa enorme.
Ella aveva trovato sette mesi prima, mentre
dimorava dalla lavandaia, il De Boni un giorno che errava forsennata per la
campagna cercando con continua e disperata cura una morte certa e completa.
L'omaccio l'aveva perseguitata altra volta e qui, quando stava con noi e a
Sulzena dove si recava tutte le settimane. Egli aveva per lei una di quelle sue
feroci concupiscenze che sapete per il caso della povera Gina. Il luogo era
solitario.
Quella bestiaccia si lanciò su lei, le
attenagliò il braccio e le disse balbettando:
- Bella
ragazza, lasciate ch'io vi faccia un bacio.
Rosilde alzò di terra il suo occhio smarrito e
rispose con un'occhiata - un'occhiata aguzza di lince alla sua d'orso furioso.
Un pensiero, tutto un progetto le si era affacciato
alla mente ad un tratto. Per sopprimere i sospetti sul fatto di Don Luigi, ella
meditava di uccidere sè stessa; ora aveva trovato un mezzo più sicuro; uccidere
la sua riputazione. La maldicenza che avrebbe cercato i motivi del sagrifizio,
sarebbe indotta nell'inganno dalla finta dissolutezza.
Per questo ella aveva quasi ostentata la sua
relazione col De Boni. Chi può sapere quel che l'infelice abbia sofferto in
quei mesi! Fissa nel suo divisamento essa non tentennò un minuto: i
maltrattamenti dello sciagurato non valsero a smuoverla; anzi servivano di
scusa alla sua frode, a darle un acre sapore di vendetta. Ella persistette sino
alla fine, fino alla morte... Era riuscita ad acquistare una certa influenza su
quella belva; a dominarlo ad intervalli col desiderio. E se ne giovò per
strappargli delle confessioni scritte di una paternità supposta. Quando egli
andava a Sulzena, gli scriveva fingendo una subita disperazione del suo stato
ed esprimendo l'intenzione di sottrarsi alla vergogna di cui mostrava grande
paura. Egli, imprudente, che non poteva rassegnarsi a perdere quest'insperata
avventura, le rispondeva qualche volta ed ella conservava le lettere.
S'era informata e sapeva che potevano servire
come principio di prova legale.
Quando ebbe finito il suo racconto, il
sentimento del giusto si sollevò in me.
-
Rosilde, amica mia, le dissi con una certa severità, quel che fate non istà
bene, e io non posso in coscienza farmi complice vostro.
Il suo viso si contrasse paurosamente, - il pensiero
ch'io potessi distruggere l'edifizio con tante pene innalzato, la mise alla
disperazione.
Mi guardò cupamente e disse:
-
Ebbene io mi ammazzerò e finirò ogni cosa... E alzatasi repentinamente con una
vivacità di cui non l'avrei creduta capace, sbattè il capo nel muro due o tre
volte prima ch'io potessi trattenerla.
Riuscii, con stento, a calmarla. È inutile
dire che le giurai di tacere.
Però qualche ora dopo, cercai d'intenerirla
con altre ragioni: le parlai della creatura che stava per nascere: le feci
presentire ciò che avrebbe avuto a soffrir dal De Boni a cui ella lo imponeva.
Strano! ella non aveva mai pensato al frutto
delle sue viscere!
Fu tocca dalle mie osservazioni: - si raccolse
dolorosamente; lagrime cocenti le sgorgarono dagli occhi.
Ma subitamente si rasserenò e mi disse:
-
Ebbene voi siete buono, ci penserete un po' voi a difenderlo.
Fu la prima volta, credo, che parlasse di suo
figlio che nacque quella sera stessa. Ma in quegli ultimi giorni della sua vita
se ne occupò assiduamente e lo raccomandò a me ed alla Mansueta che le avevo
condotta.
La vigilia della morte, disse a Mansueta di
porgli nome Aminta, nell'agonia essa pensava ancora alla Carbonaia!
Volle rivedere Don Luigi: il suo occhio
moribondo si spense in uno sguardo di amore per lui!...
Il dottore fu ancora lui a rompere il silenzio
e disse ad Attilio:
Signor avvocato, se avesse veduto la Rosilde
in quei tali momenti avrebbe promesso come me di non funestare la vita
dell'uomo ch'ella ha tanto amato. Quanto a Don Luigi è superfluo dirle che
egli, appena sospettò i vincoli che lo legavano ad Aminta mise a repentaglio la
sua pace, per sottrarlo alle torture del De Boni.
Attilio era commosso quanto me. Egli disse che
era persuaso e che non avrebbe tenuto conto della calunnia del Sindaco.
Io partii quella stessa sera per Milano e
l'indomani cercai un avvocato per il povero Beppe.
Il dibattimento si fece due mesi dopo alle
Assise di Novara, ed io assisteva.
Beppe fu assolto.
Quando lo rilasciarono in libertà, gli andai
incontro gli chiesi:
- Non
siete contento?
- Non
so cosa mi faccia, rispose, non ho più nessuno... e si guardava attorno
smarrito, come un uomo che non sa raccapezzarsi a vivere.
Partì quella stessa primavera per l'America e
non seppi altro di lui.
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