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Emilio Praga Memorie del presbiterio IntraText CT - Lettura del testo |
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XIV.
Che bella sera, che tramonto fatto per i pittori e per i poeti! Il paesaggio appariva e non appariva. Le forme incerte somigliavano a nubi; nubi che cambiavano i profili e i colori ad ogni batter di ciglio. Il presbiterio era immerso in una nebbia diafana, inargentata dalla luna. Cantavano le cicale e cantavano i grilli. I prati erano costellati di lucciole, e Bazzetta zuffolava una canzone che era in gran voga a quei tempi. Mi sentivo triste, una indicibile malinconia mi circondava come un abito bagnato. Dissi al farmacista: - Non incomodatevi più a lungo; il pranzo del sindaco vi aspetta, ci rivedremo stasera. Non se lo fece dire due volte. - A stasera, ripetè, dandomi cordialmente la mano; e svoltò per un viottolo. Ma era stabilito dal destino che in questo giorno io non potessi starmene solo co' miei pensieri. Inciampai in due bambini, accocolati sulla soglia del presbiterio. - La signora Mansueta, mi disse il più alto dei due, o dorme o non ci vuole aprire. E il papà che ci ha detto di venire, e che è su dal signor curato? - Suona un'altra volta, disse il più piccolo. Suonai io, e Baccio fu tosto ad aprirmi quella memorabile porticina. - Oh! bravi ragazzi, sclamò: siete aspettati. Su, su, Don Luigi vi vuol vedere. E, mettendo un dito sulle labbra coll'aria di un cospiratore, mi sussurrò all'orecchio: - Sono gli orfanelli della povera Gina; non sanno che la sia morta; ci penserà Don Luigi - intanto il pranzo è preparato.... Resti servito.... - Come sta il signor curato? Si può vederlo? - S'immagini; le farà un regalo. E il buon uomo mi condusse fino all'uscio della camera del curato. - Non le faccia parola del sindaco, mi disse, e si accommiatò. I due fanciulli ci avevano seguiti ed entrarono nella camera con me. Il povero vedovo sedeva presso il capezzale dell'infermo, e pareva moribondo. Vedendo i suoi figli, ebbe uno strano gesto; ma si contenne, a un cenno del curato che continuò il discorso interrotto, dopo avermi salutato. La sua voce era debole, ma lo sguardo lampeggiava. Aveva in mano la bibbia e ne cadevano rose. - Stammi attento, amico mio, mio buon Beppe. La tua sciagura è terribile, la capisco e l'ammiro. L'ammiro perchè quella tua povera Gina, morendo, ti ha fatto migliore. Guarda un po' quei due fanciulli, Beppe!... Sono la sua eredità; non beverai più l'aquavite quando scoccano le sei del mattino - (non farmi la brutta cera) - la bevevi, quotidianamente. Lavorerai dippiù; sentirai come sia dolce il vivere coi morti... E piegò la bella persona verso i due fanciulli. - Non ditele che è morta la loro mamma; la mia Mansueta ci penserà a prepararli.... Il buon Beppe mormorò: - Grazie, signor curato. Ma singhiozzava angosciosamente. - Ho invitato al mio desco questo caro Beppe coi suoi due fanciulli; volete tener loro compagnia? Mi obblighereste. - Badate che si pranza in cucina. - E sia! Vogliamo mettere il tovagliolo sulle ginocchia? I due piccini avevano fame più di me e più di Beppe. Come furono contenti quando li ebbi adagiati davanti a una minestra.... una minestra fatta per bene!
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