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Ambrogio Bazzero Ugo. Scene del secolo X IntraText CT - Lettura del testo |
Oldrado di Lanciasalda è conte sconosciuto nelle istorie. Solo qualche poeta solitario, il quale si abbia posto tra mano il bordone e in testa il cappellaccio da pellegrino, e su per la valle di Po siasi arrampicato ad un mestissimo santuario dell'alpi, può aver letto quell'unico nome Oldradus, su un avello di granito: solo i bimbi del sagrestano, innanzi a quella chiesetta, s'inginocchiano vicino al luogo della requie... fra le poche ruine di un castello! Il poeta nell'impeto della fantasìa avrà interrogato quello squallore, avrà evocato la vita, e la polvere giacente inerte si sarà levata a potentissimo corpo, e l'anima sarà scesa in quello, come vento d'uragano!... Oh recate l'armatura, portate la lancia! Venite, vassalli, e inchinatevi all'omaggio, siate corteo alle mense giulive, fate ala per le uscite fragorosissime alla caccia! Arrendetevi, o nemici: le vostre bandiere serviranno di gualdrappe ai ronzini, i vostri nomi suoneranno infimi tra quelli de' servi... Che?... Porgete il salterio e cantatemi, o paggi, l'amore del cavaliero!... Era bella? Era fastosa? Era tripudiante nella vita delle castella?... Silenzio... I puttini del sacrestano s'inginocchiano davanti quell'avello. Perché ancora il mesto e pietoso pensiero?... O bimbi, perché il suolo è erboso lì davanti, perché l'attenzione al vostro giuochetto infantile vuole che stiate sui ginocchi a spiare se la pietruzza, che uno di voi getta in alto, cade nelle manine o cade sul terreno... Forse a te, fanciulla, a te, maschietto, a voi che apprendeste l'alfabeto sul grembo della mamma, forse in quei giorni d'autunno in cui la scuola del paese è chiusa, e voi tutto il dì su vi state all'ozio, forse capitò sott'occhio quell'Oldradus, e voi raccoglieste a stizza ed a cattivo augurio, perché vi rammentò una lettera dimenticata del libricciuolo, e un inverno che verrà, e una bacchetta minacciante, sempre a stizza ed a cattivo augurio!...
Oldrado fu cavaliero a sperone d'oro. Io non so quando nascesse, né come crescesse. Me lo presento al suo castello, appoggiato ad una colonna nella stalla dei cavalli, rivolto ad Ugo, il quale fa porre la sella d'arme al suo puledro membruto.
- Tu sai quanto abbisogna ad un conte.
- Messere sì. Conoscere la propria lancia, conoscere il cavallo, non conoscere una cosa sola, la paura.
- Ad un cavaliero per farsi con onore porre la propria spada accanto, quando venga calato nella buca dei maggiori?
- Avere molti nemici, come diceste voi.
- Basta?
- Averli vinti, come voglio fare io.
- Ricordati che sei di messere Oldrado! - e il padre si strinse con amore guerriero il giovane, ed io affermo che vi ponesse la istessa forza e la istessa intenzione, che usava, serrandosi al suo cavallo, per inseguire un nemico.
Ugo moveva ad un armeggiamento ad armi cortesi, per il che il padre lo domandò con scienza sperimentata: - Sai come si chiama il rischio a cui tu corri?
- Giuoco.
- Si chiama giuoco, perché, per quanto tu faccia, non potrai mai forare da banda a banda il tuo avversario. Conosci la tua lancia?
- O messer sì. L'asta è fatta col legno folto sulle nostre rupi, e il ferro si chiama da passafuora: quella è tre volte di lunghezza la persona, per attestare che tre virtù sono necessarie a chi la maneggia, fortezza nel pensare, fortezza nel fare, perseveranza sempre: quello è assicurato da quattro chiovi, per dichiarare che quattro sono i nemici da vincere, quelli dell'onore, quelli del nome, quelli del potere, quelli della religione.
- Meglio che se fosse mio fratello: è baio sanguigno, balzano della staffa, sulla testa segnato di cometa.
- Voi pure non me la dipingeste, conte, ed io dico che ho troppo bene appreso alla scuola vostra.
Ugo, afferrata la criniera dell'animale, stava per saltare in arcioni, se non che Oldrado: - Sei pure impaziente! Non vedi che tu, uscendo a cavallo di qui, ti romperesti la fronte nell'arco della porta? Chi t'ha insegnato a metterti in sella come un indiavolato?
Il giovane superbissimo di questo rimproccio che tornava a tanta sua esaltazione, ripose il piede in terra, si fece portare la sua maglia e il piastrone del petto, indossò l'una, si affibbiò l'altro, cinse la spada che era appiccata alla colonna, e, come si provò saldo, disse: - Avete ragione, padre, messer Adalberto non ci viene incontro di certo.
E il padre: - Conviene esser leali: neppure fuggo.
L'armeggiamento fu vinto con assai gloria da Ugo, e, quando questi, alla sera, stava nello stanzone dell'arme, Oldrado, ruvidamente passandogli la mano tra i capegli per disbrogliargli certe ciocche grommate di sangue, Oldrado gli parlava: - Ti ho avvertito: figliuolo, andavi a giuoco: pure se da quello che tu hai operato devo presagire di te e del mio casato, fatti cuore e pensa che il giuoco fu buono. Dimmi: chi ti diede questa? - e il padre gli toccava la scalfittura del capo.
- Oberto, nipote d'Ildebrandino!
- Oberto, mi dicono lavori assai bene di spada.
- Ed io di lancia! Lo pagai a mille doppi, facendolo staffeggiare al primo incontro, ruinandolo giù dalla sella al secondo, schiodandogli il piastrone al terzo.
- In oggi sei degno di tuo padre! Ed oggi è deciso che io ti parli assai gravemente, e tu mi ascolti con quella reverenza che si conviene a chi si accinge a prestare un giuramento. Ti ripeto: figliuolo, andavi a giuoco, ma fatti cuore, e pensa che fra poco devi cambiare gli speroni d'argento in altri d'oro, e saranno quelli del padre.
Ugo, che per sentirsi dire tali parole avrebbe voluto ritornare dalla lizza anche col petto squarciato o la testa fessa, si toccò la scalfittura, con atto così rozzo e spietato, che il padre gli domandò: - Ugo, che fai?
- Voi mi concedete troppo onore: io ho sofferto poco e non lo merito!
- Oh pensa! pensa, figliuolo mio: non darti cura se l'operato ti pare così inferiore al guiderdone: questo, sta sicuro, ti offrirà da fare più che tu non creda e più che non comporti il tuo debito. Io condanno il tuo capo ad ogni sorta d'affanno, e tu, pronunciando il giuramento, avvelenerai le tue labbra con tutta l'amarezza della maledizione e ti dilanierai il cuore con lo strazio della vendetta! - lamentò Oldrado.
- Accetto il tormento del corpo e dell'anima, se voi mi credete capace di fortissimi fatti! - esultò Ugo.
- Figliuolo, sì, ti saranno cinti... Ma ricordati: non è solo la mano scabra del padre che ti porgerà gli sproni: un'altra manina, lenta, dilicata, bellissima... La destra di tua madre! - e Oldrado rise con tetra ironìa.
- Requie a lei!... Come? Voi non me ne parlaste mai? Oggi...? - maravigliò Ugo.
- Perché sia requie ai morti, vuolsi guerra tra i vivi!
- Padre mio, ditemi! Ed io vi affermo, per la promessa che mi avete fatta, che questa sera medesima mostrerò ai vostri nemici ch' io so reggere l'armi di messer Oldrado!
- Io ti dirò!
Il figliuolo con piglio militare tolse da un trofeo la spada del padre, se la pose innanzi, appoggiò le mani sopramesse al pomo, e levò la persona così gagliardamente, che e' parve già cavaliero. Messere Oldrado se gli allontanò d'alcuni passi, fece scricchiolare il dossale di un seggiolone, poi si alzò e tremendo nella posa, e colla tempesta nella voce, incominciò: - Figliuolo, quanti anni hai?
- No, io non so, perché i tuoi li misurai dall'angoscia, e questa degli anni fa secoli! Dici venti, e sarà bene: da venti anni è morta tua madre, madonna Guidinga! Ascolti?
- Ascolto.
- E fremi! Qual ricordo hai tu della tua infanzia?
- Rammento una sala deserta, oscura, vastissima e in quella una donna.
- Non era tua madre! - interruppe irosamente Oldrado.
- Sulle sue ginocchia, mi pare... Ma se stavo su quel grembo, ricordo che ci stavo piangendo, e se piangevo, lì vicino... schiacciante e formidabile, al solo mio agitarmi, una mano guantata di ferro, mi sembra mi sorreggesse, dondolandomi, e con aspra cantilena una bocca m'invocasse il sonno.
- Tuo padre non sapeva più che fosse carità!
- Rammento i portici paurosi, una cappella sempre parata a lutto, e, sotto gli archi, fra i neri drappi, io so di certe strisce candidissime, fumose, che mi apparivano innanzi gli occhi... le dita come di una larva...
- La madonna perduta! - gemette Oldrado, e si fece segno di croce.
- Padre mio, sì, nell'aria c'era qualcosa che mi ammaliava... Io non so... Ero fanciullo, e sempre, sempre solo! Amavo il silenzio, la notte, la vasta oscurità: tacevo, mi rannicchiavo, affranto sotto il peso di un mistero, ficcavo gli occhi nella tenebra... Qualcuno era con me!... Chiamavo, spiavo, salutavo!... Perché fuggi? Ma chi fuggiva? Fuggiva per ritornare: ritornava per fuggire... Chi era?
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- Come l'amai! Oh madonna Guidinga! Ella fu dell'invitto Eude, il quale, conducendola sposa a questo castello, con lieto seguito di baroni, annunziò il suo gaudio nel proclamare che la diletta usciva dal portone degli avi per entrare grande signora in quello di un cavaliere di Lanciasalda. Eude dall'anima altera e fatta audace colle lotte sostenute per conservare la sua indipendenza dalla rapacità dei castellani più forti. Guidinga pose il piede in queste sale, e sorrise! Ma oh la gioia si andò, come suono di salterio nella bufera!... Sorrise! Mi parve bella, immacolata, come le nevi delle nostre cime, promettitrice di pace, come un'alba rosata: colle manine che dovevano spargere fiori! Aveva diciassett'anni o poco meno. Chi era Oldrado? Ella nol conosceva.
Messer Eude le aveva detto: - Lo sposerai - ed ella aveva risposto: - Sì, - mestissima, come all'ancella, che sedevale da' piedi, toccando l'arpa nei crepuscoli, e che le rimproverava: - Madonna, non cantate più le laudi? - come all'ancella rispondeva: - No, cara. - Inconscia di tutto, melanconica o gaia, cupida di fantasìe ultraterrene, Guidinga conosceva non l'amore, ma l'irrequietudine, e questa la sospingeva, la sospingeva nei voli del desiderio... Dove aleggiava, sorradendo giardini dalla eterna primavera, la sua mente desiosa?
- Chi è il mio sposo? - domandava la gentile al padre, varcando il mio ponte.
- Figliuola: i cavalieri della stirpe di Oldrado e le fanciulle della mia usarono sempre di darsi la mano, quelli togliendo la destra dall'elsa della spada adoperata nel combattimento, queste offrendo la ciarpa d'onore al vittorioso. Così si conoscono la prima volta.
- Perché si ritarda adunque dall'armi? Chi sarà il mio sposo?
- È Oldrado. - Così diceva messer Eude. Lo sposo doveva essere vincitore: se vinto, supplicava l'avversario di misericordia, e misericordia somma era l'essere ucciso con un solo colpo. Allora la sposa dallo steccato funesto passava diritta al monistero, ove dichiarava all'abbadessa: - Dio Sapiente ben provvide: piuttostoché essere donna di marito fiacco e madre di figli che un dì possano seguire l'esempio del padre col vitupero di mia schiatta, piuttosto consento ad essere sposa del Signore e madre dei poverelli. Ciò a salvazione dell'anima e a soddisfacimento dell'onore. Voglio prendere il velo.
Guidinga sorrise ai giovinetti cantori che la salutavano regina della beltà, fiore della gentilezza virginea, speranza del signore e dei vassalli! Sorrise e fece doni, e si ammantò di bianco, e, a mano del padre, attraversando le corti del castello, affollate e rumorose, uscì alla spianata, entrò nello steccato, e s'assise al posto eminente.
- Chi è lo sposo? - ridomandò la giovinetta ad Eude.
- Ti dissi.
- Fate cominciare l'armeggiamento.
Figliuolo, in quell'istante io non potei togliere gli sguardi dalla sua bellezza delicatissima. Ero tutto serrato nell'armi, e mi sentivo soffogare dall'ardore di mostrarmi degno di lei, dalla brama perigliosa di cimentarmi con qualunque avversario, dalla preghiera sfidatrice che io lanciavo al cielo: - Mandami il piu formidabile cavaliere! Io ti giuro che ella, non ravvisandomi dall'armi, mi ravviserà dall'imprese superbissime. Ella deve esser mia! Moglie di gagliardo guerriero, madre di figli i cui vagiti si mescoleranno agli squilli vittoriosi delle trombe paterne!... Vengano, vengano i forti!
Vennero: arnesati, io non li riconobbi: però il mio scudiero Unfrido mi disse: - Là è Baldo, questo è Aginaldo, quell'altro il Montanaro. Messere, per amore del nostro santo protettore, state saldissimo contro Baldo! Messere, l'altro è debole sulle staffe. Il Montanaro vien sotto, come un toro inferocito, ma nella furia... Ed io: - Lo so. - E pensavo, guardando la bellissima: - O Guidinga, tu attendi! Qui vi sono i cavalieri, nessuno ha distintivo nell'armi, e tu non conosci! Oh il tuo cuore ti dice: "Vedi! eccolo!" Non lo sai?... Vittoria! vittoria! Fra brev'ora lo saprai! Alzerà l'elmo! Lui! eccolo! eccolo il trionfante Oldrado!
L'araldo del primo campione gridò: - A cavallo!
Lo scudiero mi susurrò: - Messere, ascoltate un fedele: fate il giro dello steccato e fermatevi di là: così non avrete il sole negli occhi.
Corsi lo steccato: trovai il cavallo, mi serrai su quello. Ad un tratto mi soccorse un pensiero: - Mi riconoscerà dall'animale bianco!-ma dai pertugi dell'elmo vidi che Unfrido, il quale ancora mi era accanto, faceva un certo viso da traditore che mi sapeva maladettamente, vidi che io non avevo sotto il mio bianco, sibbene un morello!
Con l'aiuto d'Iddio, abbattei il primo avversario e il secondo, e lo steccato così suonò d'applausi.
Dopo udii che si diceva, non so da chi: - Ma come? Messer Oldrado non si muove? - È sempre là ritto accanto al suo cavallo bianco. - Era lui che doveva fare tante prodezze! - Come sapete che è Oldrado? Non si deve conoscere alcuno nell'armi. - Sì, non conosce chi non vuole. Chi dei castellani a venti miglia tutt'ingiro ha un bianco come quello? E poi rispondetemi se quell'armato là non è Oldrado, se dal cavallo si fa ragione del cavaliero. - Ma vedrete!
Io mi tormentavo: - Oh perché mi fu cambiato l'animale? Che giuoco c'è sotto? Ed io non dovevo accorgermi?... Ma Unfrido mi avrebbe dato l'usbergo che si smagliasse o una lancia fessa, o addirittura una coltellata alle reni, quando mi vestiva il saio di pelle! Ma il cavallo me l'avrebbe mutato con uno tristo! E invece questo pare nato per le mie ginocchia! e l'armi saldissime! Chi ha pagato Unfrido? E dov'è? Là proprio vicino al mio bianco e tiene la staffa al cavaliero. Chi è quel cavaliero? Per Dio! quell'animale è tutto fuoco, e crede di reggere il padrone! Chi è quel cavaliero?
Facendo il giro dello steccato, passai sotto al seggio di madonna, e sa il cielo che cosa fantasticai: parvemi che una manina tremante mi levasse l'elmo, sorretto da' miei polsi febbrili, e due labbra mi baciassero sussultanti, acclamandomi già vittorioso: mi rizzai sugli arcioni con grande orgoglio e fui lì lì per gridare: - O vergine, voglio per te farmi degno di alto onore! - Dimenticai Unfrido e il bianco mio... No, che non li dimenticai: me li sentii tosto fitti in cuore ad atroce martirio e per opera tanto villana, che, ti dico, poco stetti ch'io non balzassi giù ad adoperare sulle schiene la mia spada, come si usa coi traditori. Senti: proprio sotto a quel palco due garzoncelli parlavano assai clamorosamente, e volti colla facce all'insù, perché madonna ascoltasse.
E l'altro: - Non lo sapete?
- Costui che passa, a lancia alzata?
- Oh sì! costui sa fare tanto d'andare ruzzoloni nella polvere, come un mastino trattato a calci.
- Come? se vinse i due?
- In grazia di sortilegio.
- Vedrete la terza impresa se vorrà essere così scempia: la terza si corre tra messere dal cavallo morello e quello là dal bianco. -
- Chi è quello?
Mi sentii le briglie tra mano e la lancia alla staffa, perché suonò la tromba. L'ignoto avversario mi venne incontro: alle punte opponemmo lo scudo, ma nessuno colpì, per il che, scagliate le aste, diemmo mano alle spade. Era combattimento di due valentissimi... Quando si levava dalla moltitudine il grido di: - Viva lo sposo! - io l'ascoltavo con tale tumulto di gioia e di spavento di non meritarmelo, che tempestavo di braccia, come un fabbro sull'incude, e l'altro addoppiava la furia verso di me. Maledizione! una volta intesi: - Viva lo sposo! - e fu contrapposto, parmi, da due vociacce sotto il palco di madonna: - Viva il cavallo bianco! - Che fossimo in due a meritarci quel grido? Io non sapevo quale, ma certo si celava insidia! Per il che badavo nel tirare le botte ad accompagnarle col nome di qualche santo. Figliuolo, potei finire una litanìa e ancora incominciarla e ancora finirla: pure nessuno di noi consentiva a cedere, e il giuoco cortese s'avviava ad essere duello a tutto transito, con grandissima festa degli spettatori.
A un tratto l'araldo squillò, come si usa quando si ingiunge di cessare dall'armi. Nessuno di noi obbedì, tanto eravamo odiosi, e, menando quegli ultimi colpi, procuravamo con potente ira che fossero i mortali. Di nuovo la tromba suonò grave, e allora io, tra il dare un fendente, lui tra il pararlo, ascoltammo queste parole: - Cavalieri, per la cortesìa della dama. - E noi lasciammo andare le braccia penzoloni: in quel momento di posa alla tempesta del corpo in me successe quella dell'anima: il perché io ruggivo domandandomi: - E chi è questo dannato? - In lui, credo, succedesse altrettanto, perché ascoltai una bestemmia atrocissima verso Dio! Stemmo l'uno contro l'altro, e, se non era l'araldo a porre il suo bastoncino tra noi, io dico ci avremmo scambievolmente fatto contro qualunque tradimento. Eravamo di posizione vicino al palancato di legno e vicinissimo al palco di madonna. Si alzavano d'ogni intorno le grida: chi parteggiava per il morello, chi per il bianco, chi per lo sposo, chi per l'avversario, chi pel sinistro e chi pel dritto. Messer Eude non poteva restare indifferente a tanta lotta di favori, egli già maestro di cento feste d'armi e già vecchissimo guerriero in cento battaglie, si levò... Non so che facesse, tra baroni, perché io aveva impedita la veduta dalle gocce di sudore, so che udii anche la sua voce: - Lo sposo principiò colla offesa e finì colla offesa... - Madonna del cielo! Se io avessi potuto vedere come si stava Guidinga! Sì, che vidi ad un tratto, vidi che sventolava una ciarpa!
Pesti, ansanti, a fatica retti dai cavalli, prendemmo postura riverente dinnanzi ai gradini della dama, ed ascoltammo l'araldo: questi proclamò, un giudice, messer Eude.
Tra il silenzio Eude parlò: - Da valenti cavalieri. Il giuoco fu aperto con gagliardìa, sostenuto con scienza, finito... No, messeri, finito non può dirsi: pure io, re d'armi, dichiaro che sia finito, e ognuno di voi faccia promessa di attenersi al mio detto. L'accanimento mi piacque! Per il che io dichiaro qui che nessuno dei due combattenti procedette per virtù occulta: ambidue invitati a comparire innanzi al seggio della regina. A me è data facoltà di instituire i premi: lo sposo avrà la ciarpa, il valoroso compagno un bacio di madonna. Così si potrà dire che l'uno e l'altro avranno bene meritato.
Noi due avversari, scavalcati, ci demmo la mano, poi a paro venimmo sotto al palco di Guidinga.
Ella mosse incontro al mio compagno: egli si levò l'elmo... Era messere Adalberto!... Guidinga sorrise!
Eude mostrò grandissima sorpresa, e domandò: - Ma chi aveva cavallo, bianco?
-Lo sposo mio! - affermò vivacemente la donzella, e di nuovo sorrise ad Adalberto, come ad un arcangelo.
Eude mi tolse l'elmo... - Messere Oldrado! - esclamò, e volto a Guidinga tristamente: - A lui il bacio: ad Oldrado la ciarpa - Ed io non so come si tenesse in piedi:
- Chi aveva cavallo bianco? - domandò la fanciulla dolorosissima.
Adalberto ricevette il bacio... Era bellissimo il giovane: era bellissima la giovinetta! Io, sposo, non potevo che piangere!
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Qui il cavaliero narratore interruppe il racconto, tormentandosi gli occhi perché non dessero lagrime; e la luna che entrava dal finestrone fu riflessa da un guizzo; terribile, la spada di Oldrado negli artigli di Ugo.
- Figliuolo, che fai?
- Vorrei fare quello che non faceste voi! - rampognò trucemente la voce del figlio.
- Giudicherai se queste erano parole da dirsi ad un padre!
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Adalberto aveva veduto una sola volta Guidinga, ad una caccia, nei lontani monti di lei, quand'ella era a fianco di Eude: ma una sola volta bastò per aizzare nell'anima maledetta una passione così rovente e rodente di desideri, che il cavaliero ghignò di volerla un giorno nelle sue braccia!
Inconscia di tutto, melanconica e gaia, inesplicabile e cupida sempre di fantasie ultraterrene, Guidinga conosceva non l'amore, ma la tremenda irrequietudine de' suoi sedici anni e delle sue sventure, e questa la sospingeva nei voli del desiderio... Ella aveva veduto Adalberto! Dal di della caccia fino a quello dell'armeggiamento era scorso un anno senza più che l'uno si abbattesse nell'altra: nulla ella sapeva di lui, neppure il nome: né mai il padre parlò. Sapeva che per lui, più notti, il cuore le si era scosso nei tumulti febbrili! Poi si sentì spossata! Nei sogni l'immagine di Adalberto veniva, ma coi mesi e coi mesi sempre più sfumata... Ed era vestito di bianco e per lei sorrideva e piangeva (Adalberto!): ma non aveva profilo; le linee si perdevano nell'espressione; era una gioia, un dolore carissimo. E Guidinga sempre più diveniva ansiosa di fantasìe, e spandeva l'anima sua nella immensità dei cieli, ponendo negli azzurri l'ideale della vita poeticissima, e là sfavillava di tutte le luci il suo desiderio, e là la gioia e il dolore avevano tanta voluttà di dolcezza, quanto mistero l'infinito!... Svegliata dal suo delirio abituale, nella vita di quaggiù più non trovava cose degne di lei, provava la noia del cammino dopo lo slancio placidissimo del volo! Svegliata, più non chiamava lo sposo! Quando il padre Eude le disse: - Sposerai Oldrado-ella rispose: - Sì - perché certo pensava: - È lui!...
- Ma se è lui... perché sciupare colla realtà l'ideale affascinantissimo che io ho nell'orizzonte tutto mio? E se non è lui... perché vivere, se questa è vita d'anni e quella sognata è eterna e sempre inebbriata d'amore? - e disse all'ancella che più non amava le armonie: la musica è divina e dell'anime blandite dalle lusinghe dell'ignoto...
Richiamata alle scosse della esistenza giornaliera, la sua indole fece sì ch'ella dinnanzi agli occhi portasse sempre un lembo di nebbia iridescente, la nebbia dai vortici pieni di sogni, la quale, posandosi sugli oggetti veduti o intraveduti, li rendeva circonfusi di luci mitissime, li tuffava come nel crepuscolo dileguante di una visione. Così l'ideale si sfumava col reale: e il volto del padre cavaliere divenne buono e tutto per lei, la imagine della madre sepolta si presentava alla culla, o quella dello sposo veniva, veniva, come nei primi giorni... Che? il viso di messere Adalberto. Guidinga domandava: - Dov'è lo sposo? - e poi sorrise. - Sarà per me: o lui, o il monistero! E se nell'armeggiamento egli restasse vinto? - E tacque, fidentissima, con Eude.
- Messer Adalberto sapeva di struggersi, non sapeva d'essere amato. Per furore di gelosia giurò (perché non voleva scoprirsi a lei se non con atto tale che facesse parlare tutti i cavalieri) giurò di uccidere me Oldrado e di vituperarmi, insomma in modo che ella fosse non mia, come l'ebbi richiesta! E che non fosse nemmanco del monistero lascia fare a lui! Era prontissimo ad ogni sacrilegio. Così si presentò al giuoco, comperò il mio scudiere, per far credere lo sposo dal cavallo bianco autore di tante prodezze, mentre poi alla fìne Oldrado doveva esser trovato morto, e lui colmo di tutto l'onore! E Guidinga... Oh! fu aiutato dalla fortuna più che non credesse: la decisione del re d'armi lo ammise al bacio della dama! Si levò l'elmo..; O Signore! Guidinga guardò il suo volto e il mio!... Guidinga bestemmiò a me condannato il corpo di lei, ad Adalberto benedettamente dedicava tutta l'anima!.. Ci sposammo, ma, se a vece della ciarpa a toccare il petto dalla parte del cuore, a vece della corona di fiori d'arancio sul capo, ella avesse dato a me tante stoccate, io a lei una corona di spini, noi avremmo offerto a Dio la espiazione delle nostre peccata! Guidinga da angiolo divenne, dimonio!
Dopo nove mesi ella portava sozzamente nelle viscere il beffardo frutto dell'odiatissimo nostro connubio, e giurava e spergiurava che perdere madre e figliuolo sarebbe stato opera meritoria. Io la facevo di continuo guardare. Un giorno ella era presa da strazianti dolori; io origliavo all'uscio attendendo... A un tratto di fuori al castello odo un suono di trombe, poi un paggio mi strappa la veste, gridando: - Messere! messere! i nemici!
- Chi è?
- Adalberto!
O Signore! nel castello so che eravamo male apparecchiati, scarsi d'uomini e scarsissimi di vettovaglie. Che fare? Oh che tormento fu quello! Resistere? Il sommo pericolo! Arrenderci? Il vitupero di mia schiatta!... Guidinga udì quel nome, e nel delirio proruppe: - Adalberto! tu vieni a togliermi da questo inferno! - Invocava il nimico, ed io aspettavo da lei uscisse o un bambino un dì destinato ad ascoltare il testamento del padre, o una bambina che avesse a dare ai figli col latte il veleno dell'odio! Ringhiavano le trombe al di fuori. Io mi precipitai dalle scale, ed ecco occorrermi il mio fedele Aimone.
- Per Dio! ditemi! fate qualcosa!
E quegli dubitava: - Ricorrere alle armi...
- Ricorriamo al tradimento! E che fece egli con me? Per Dio! - e mi accordai con lui, e conclusi: - Dammi un pugnale avvelenato, e tu a tempo sbatti la porticina nel corritoio.
- Messere sì!
- Dammi un pugnale avvelenato: e lascia a me la cura di sgozzare Adalberto!
In cima allo scalone ascoltai un grido così feroce che mi rivolsi e temetti di avere alle terga il nominato: guardai e vidi madonna che, nuda, oscenissima e sanguinante, si rotolava giù di gradino in gradino... Accorsi, più che per odio a lei, per amore furioso della creatura che si teneva in seno!... forse già schiacciata per le violenti percosse! Accorsi e la avvinghiai, ed ella con affanno straziantissimo, supplicandomi ed imprecandomi: - Messere, salvate Adalberto! Non fate tradimento! Non fate, per pietà dei sette dolori santissimi!
Ed io: - Datemi la mia creatura!
- Sì!
- Datemela!
- Salvatelo! Che vi ha fatto! V'ha fatto troppo! Ma era destino così! Perdo le viscere!
- Si, vi giuro! Giurate voi di non fare tradimento!
- Lasciatemi!
- Ho giurato! E voi siete così sleale! Voi siete cavaliero? Ah so! non giurate perché siete dannato nell'altra vita! Non credete in Dio!
- Vieni, o mio Adalberto! Egli non ti uccide! - rincominciò ella nel delirio, ed io balzai dalla scala!... No! ritornai, e la trasportai nel suo letto, nel nostro talamo! E stetti al suo fianco, attendendo l'istante... Oh quelle tre ore!... Nacque il bambino: - sei tu! Entrò Adalberto nel castello, io gli prestai l'omaggio nella chiesetta. Quando gli dissi ch'ero disarmato e mi dichiaravo vassallo suo, gittai il pugnale, perché avevo giurato a lei! Poi feci aprire la porticina del corritoio e tutte l'altre delle camere, indovinando il tristo pensiero di Adalberto. Quando il signore, correndo per il castello, venne al letto di Guidinga, trovò una morta, senza lume accanto, senza frate, senza croce fra le mani!
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Così rompeva messer Oldrado il suo racconto. E fremeva: - Però nessuna occasione fu da me trascurata! Chiamo in testimonio il bianco spettro di tua madre! Ho ribellato Lamberto, mancai all'omaggio, comparvi al convito colla spada, feci percuotere l'araldo! Combattei! Ma non ebbi mai completa ventura, per maledetta condanna! Figliuolo, sei cavaliero: eccoti gli speroni: figliuolo, sei erede di tutto. Ecco il mio testamento!