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Ambrogio Bazzero
Ugo. Scene del secolo X

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VII.

 

Morti Aginaldo e Gisalberto: abbandonate le macchine sul campo: lasciativi i cadaveri insepolti e i feriti inutilmente imploranti pietà per lo strazio del Calvario: molti uffìziali fuggiti, e moltissimi soldati corrotti dall'oro e dalle promesse: incendiato il castello d'Ildebrandino: le cose rotolarono giù con maledetta rapidità di male.

Ugo fu ad una voce accusato. Aveva mostrato certo ardimento in principio: ma quale esperienza in lui? I tempi per ricorrere all'armi non erano proprio quelli: bisognava aspettare, e Aginaldo già da cinque anni aveva fìsso un pensiero d'impresa che doveva essere sicura, Aginaldo sì, sperimentato, risoluto, tenacissimo! Ma il vecchio aveva saputo aspettare, e ancora avrebbe aspettato, se la storia di quello sparviero stecchito sul cuscino nero non fosse venuta a metter le febbre in tutti i polsi. E poi Ugo era fuggito dal campo, lui proprio che aveva detto a Bonifacio: - Io solo sono il capo dell'impresa! Altissimamente lo grido alle castella, io, io! - Ildebrandino e Oberto bastavano soli a liberare Rupemala. Ugo che aveva fatto? Quante cose sconciate! Quante armi e quanti uomini perduti! Come aizzato Adalberto! Per Ugo anche l'impresa da farsi fra dieci anni da quella, l'impresa che doveva proprio riuscire, era guasta ed anche resa impossibile. - Ma perché l'avevano ammirato, ed ubbidito e acclamato capo?

Ugo dunque fu accusato: il castello di Aginaldo due notti dopo sorpreso dagli armati di Adalberto, i quali violarono la fierissima vedova rimasta e poi la serrarono in un monistero a fare penitenza: assediato il forte di Gisalberto che lasciava due figliuoletti ed unica guida un maestro d'armi: Baldo ringhiò che sapeva e doveva resistere da sé, che i suoi capegli bianchì non aveva mai creduto gli avessero a dare la vergogna somma, e Baldo alzò il ponte levatoio giurando di voler uccidere Adalberto e il traditore dell'impresa.

Adalberto, illustrissimo ed eccelso signore, dalle torri del suo castello, con trombe militari, ai gentiluomini dell'inclita signoria pubblicò un bando con cui poneva prezzo d'oro sulla testa di Ugo, promettendo perdono a quello o a quelli dei soggetti che gliela recassero su un bacile vilissimo, nella chiesetta d'Auriate, senza scorta d'armi, con tonache penitenza e corda al collo. Ciò a commemorare l'omaggio reso tanto bene nel giorno di Pasqua di Resurrezione.

Ed Ugo? Ugo, chiuso nel suo castello, ad occhi aperti sognava sempre di lanciarsi in una cappella ardente, come una fornace, sognava tutti i supplizi del corpo e dell'anima. Una donna strideva, brancolando, tra il fumo e le vampe: la cappella era lunga lunga, e più egli avanzava, più cresceva il lamento.... Giungeva a lei, l'afferrava, l'alzava: ella chinava il capo sulla spalla, abbandonatissima: egli si sentiva legato alle gambe, inciampava, rompeva potenti lacci: ella supplicava: - Strappami da questo fuoco eterno! - E. da quel fuoco neppure egli poteva uscire. Crescevano gli strazi: - Strappami! - ella lo supplicava: - Pietà! pietà del mio tormento del cuore! - Ah! è così ch'ella domandava pietà? Si! Ugo, che voleva abbandonarla alle fiamme, nulla più vedeva, nulla sentiva, sentiva solo un bacio rovente... un bacio di Imilda! - T'amo, t'amo, Imilda! In qual momento te lo dico! M'hai ascoltata? Sei viva? Chi ti strappò a me? Io ti allentai le mie braccia? Non so quello che accadde! Ma tu non sei morta? Supplico Dio, no, no! Quale incertezza! - Ed Ugo, così torturato, sentiva corrersi per tutte le fibre una potenza di nuova vita: e sorrideva! Allora ecco alla fantasia il padre, in un tratto, che rampognava orrendamente: - Perché ti diedi speroni d'oro? Perche tu fossi vinto? Già troppo affanno fu nella famiglia di Oldrado per il serpente della donna! Guardati, Ugo, guardati! - Ed Ugo piangeva: - Padre, se ella è viva ancora, come si tormenta! Io non posso odiarla!

Allora Ugo vedeva l'acqua stagnante di un fossato, tutta sozza di sangue, putrefatta e fangosa: alla superfìcie venivano a scoppiare con flaccido gorgoglio e con lentissimi cerchi alcune bolle d'aria: sotto qualcosa si moveva all'insù: ecco una testa coi capegli impegolati sul volto da una melma verdiccia. Che? si chinava salutando. Sulla nuca era aperta e scheggiata: si drizzava e boccheggiava, come quella di un ferito e di un annegato. Era messer Gisalberto! Quel morto affondava: qualcosa ancora si dondolava all'insù. Messer Aginaldo quest'altro! E i due cavalieri a vece di pupille avevano un globo bavoso che colava, il naso pesto, alle labbra cascanti penzolate le irrequiete code dei vermi. E i due borbogliavano: - Traditore tu? - .... Ecco Manfredo e Bello, i figliuoletti di Gisalberto, affamati disperatamente nel pattume di un sotterraneo e disperatamente imprecanti: - Traditore! - E madonna Marzia, la vedova, sbattuta a terra da due sozzi ferocissimi, chiamava la Vergine, e si rannicchiava ululando: - Per te traditore! - E il vecchio Baldo si armava e ringhiava: - Muoverò al tuo castello! - Poi Ildebrandino e Oberto: Oberto era il dimonio della gelosìa; lividissimo, furente, toglieva una ciotola ai cani, in quella sputava, e in quella poneva la testa di Ugo. Il conte d'Auriate ridacchiava.... - Madonna di Saluzzo, voto dieci lampade d'oro! - gridava Ugo. Allora di nuovo ecco una cappella ardente, ecco una donna....

- S'io non l'avessi veduta - gridava Ugo: - non l'avrei conosciuta, non sarei fuggito per lei! E chi è lei? S'io non l'avessi conosciuta? Cavaliero che combatte senza pensiero di dama è vulgare mercenario! Se io non l'avessi amata? Ma se era destino, se è destino ch'ella riaccenda la vendetta! E la vendetta sarà atrocissima su tutti! S'io non fossi fuggito dal campo? Ma quelli che erano al suo castello non erano nemici, e non volevo io raggruppare la pugna decisiva?... Se non ci fosse stata lei! Ma se così era, chi sarebbe ora dinnanzi alla mia fantasìa orrenda a misurarmi nei deliri dell'affanno? Non la rabbuffata larva del padre! Non la oscena di Guidinga!... No, no, voglio vivere e vivere di guerra! Sono vinto, e ancora voglio sostenere il peso vituperante della vita! Sono disonorato, e non mi schianto per mia volontà d'abbominio! Sono abbandonato da tutti, e voglio meditare fortissimi fatti! E impreco colla voluttà della sfida: "Dammi ancora maggiore tormento!"... Oh se non ci fosse stata lei! Ella mi supplica nel giorno, nella notte: "Vieni, cercami, fammi giurare, precipitati e vinci!" La voglio! La voglio mia fosse pure in mezzo ad un fuoco che per secoli non si spegna! Imilda, dimmi che sei viva! Ti supplico!

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

 

E Imilda? Ritorniamo a Rupemala.

Imilda, in quel momento in cui Ugo aveva riso, senza più una coscienza al mondo, fu afferrata e salvata da Oberto, spinta fuori della cappella. Ildebrandino, a cui le vampe vividissime e sibilanti avevano impedito di vedere gli atti e di ascoltare i gemiti di quelle povere anime disperate, Ildebrandino abbracciò Ugo, uscito lentamente dalle fiamme, e volle che Oberto l'abbracciasse, gridando: - Gran mercè! Nipote mio, questo è un esempio! - Imilda fu trasportata in una camera e soccorsa. Ugo s'involò dal portone: e nulla a Rupemala si seppe di lui.

Il dopo, continuando l'incendio, per quanti sforzi si fossero usati a vincerlo, Ildebrandino decise risolutamente di resistere ad Adalberto, contendendogli mattone per mattone dell'irreparabile ruina: e disse ad Oberto: - Qui dobbiamo morire con esempio non unico certo nella nostra famiglia. Avesti gli sproni d'argento: dunque sii contento, e ricordati che la ubbidienza agli esperti è grande virtù di guerra.

Oberto era tetro. E a quelle parole rise amaramente.

- So che vuoi dirmi, Oberto. Ti paiono pochi gli sproni? Sii contento: non a tutti è data l'audacia delle cose fortissime. Hai parlato con Imilda stamattina?

- No.

- No?

- Ha domandato di me?

- Sì: e ringrazia Iddio....

- Ringrazi messer Ugo.

- A tutte l'ore!

- Dannato sia! - imprecò Oberto.

- Come? Come? Quanto fu valente per noi! Sì! - affermò Ildebrandino.

- Per la impresa? - rise Oberto, invelenito: guardando lo zio con degnazione, quasi gli dicesse: - Mi accontenterò io dei vostri giudizi?

- Oberto, l'hai veduto nelle fiamme?

- Troppo ho veduto!

- E per la impresa, tu dici? Ugo ha pugnato, come un forte, e l'amo! Ma Dio ci maledisse.

- Perché c'era lui!

- Oberto, che hai? La tua ira mi piace! Contro chi? - si accese Ildebrandino.

- Contro di voi - ardì Oberto.

- Ti sono amare queste parole?

- Zio! - rispose Oberto ad un tratto: - Voglio sposare Imilda, anche oggi!

- Quando Ildebrandino consenta - rimproverò lo zio. Allora Oberto con astio e con ironìa: - Ah volete combattere voi? Ugo sarà con noi? - E, meditando una offesa verso Ildebrandino e una vendetta contro Ugo, domandò tra sé stesso: - Venti anni fa, quando Adalberto mosse qui, come combatté lo zio?... Che gloria!... E voi, messer Ugo, perché avete spezzato l'uscio della cappella sacra? Era meglio che Imilda morisse, , sola! Volete ch'io parli al vescovo di Saluzzo? - E Oberto, dopo un silenzio beffardo collo zio, si espresse così: - Fate che, morendo voi, io abbia un castello, o la memoria di un castello: e voi le esequie da cristiano.

- Duri la guerra un mese, duri un anno! - rispose Ildebrandino, offeso più che mai e più che mai dignitoso: - Perché mio nipote parla così? Ch'io non sappia combattere? Ch'io non conosca i valenti? Ebbene, senza messer Ugo io sfiderò Adalberto.

Oberto fu contento.

- Senza Ugo, sì: e mio nipote ascolti: - Ildebrandino andò al fondo di torre dove sapeva che era stato chiuso Guidello: lo trovò rabbioso di fame, lo trasse su, lo fece rifocillare, poi lo accommiatò così: - Va, araldo del malanno, tromba di vergogna. Io ti lascio e ti comando questo: torna al tuo signore e digli che con Ildebrandino c'è Oberto. Digli che Oberto vuole un castello per sé e per i suoi: il castello può essere quello di Adalberto. Madonna Marzia, Manfredo e Bello domandano vendetta. Che pensi Baldo non so: so che i vili e i traditori non sono più sotto il suo tetto. Io ti lascio e ti ho comandato.

E Ildebrandino e Oberto s'apparecchiarono a disperatissima difesa e a furioso conquisto. Oberto un giorno disse: - Zio, lasciate ch'io vada a domandar benedizione al vescovo di Saluzzo.

Ildebrandino crollò la testa: ma Oberto volle proprio uscire dal castello. Tornato di a poco tempo, con volto soddisfattissimo, domandò: - Ovmadonna Imilda? - come se dicesse: - La mia! Voglio sposarla oggi, col piacere suo e con quello di Ugo!

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

 

Madonna Imilda non era più con Ildebrandino. Questi, per toglierla dai pericoli dell'armi, l'aveva segretamente affidata alla custodia dei figliuoli del povero Federigo e della vecchia Agnese, e fatta partire per una casetta di boscaiuoli, lontano, su una delle montagne, che, con quelle su cui sorgevano le castella dei cavalieri e del signore Adalberto, formava il contrafforte che si spicca dal Monviso. Questo contrafforte coll'altro staccatosi dal monte Meidassa chiude la valle ove nasce il Po: al di qua la valle di Varaita, di quella del Pelice, all'apertura Saluzzo.

su stette madonna Imilda, un giorno, e due, e tre... Le diceva la vecchia Agnese: - Madonna, oggi si combatte. Preghiamo.

Imilda rispondeva: - C'è un cavaliero che vince sempre e tutto.

Alla sera venivano sulla montagna i figliuoli di Agnese a portare le nuove: e le donne domandavano: - Nessuno sa niente? che Imilda è qui?

- Nessuno.

- E quel cavaliero?

I boscaiuoli intendevano di Oberto e rispondevano: - Coll'usbergo è un san Giorgio. Ma sa niente!

Oh come pregava Imilda in tutti i momenti! - Madonna del cielo, non dovevi mandarmelo! Sarei morta su i tuoi gradini e tu mi avresti dato il paradiso! Non avrei conosciuto l'inferno in questa vita! Amare come amo io! Come volle Dio che amassi!... E non so nulla di lui! E non oso domandare di più.... Ma è questo l'amore?... E che mi disse egli perch'io abbia diritto ad amarlo? Che fece! Vinse il fuoco!... E che era morire a confronto di questo vivere? Ugo, Ugo cavaliero, Ugo infelicissimo! Perché non vieni? Forse che t'hanno ucciso? Forse che m'hai dimenticata?... Ucciso!... Chi può avere alzato la mano su di te?... L'anima mia non sa combattere l'incertezza tremenda! Così disse: "Sono il figlio di Guidinga!" E chi era Guidinga? Un'innamorata? Ma ella forse fu un angiolo. Io sono condannata in questa vita e nell'altra.! L'amore cominciò tra le fiamme, e tra le fiamme inestinguibili sarà eterno tormento!... Pietà, madre dei pentiti: io non so quello che dico! E tu m'avresti dato il paradiso! Ma se già mi hai condannata, questo è troppo strazio: e lo spezzarmi così è indegno di te che tutto puoi. Puoi volere anche in me la bestemmia.... Non sono io che parlo: è Ugo in me! No, no, Ugo sarebbe perduto, ed io voglio invece la sua eterna salvazione! Non è Ugo, ti giuro, ti scongiuro! È il cuore straziato!

E la vergine una sera si fece raccontare da Agnese i casi di Guidinga. E Agnese concludeva: - Dite, se la conobbi! Come conosco voi. Giusto, come voi, la piangeva sempre quando il suo Adalberto era lontano. Voi perché piangete?

- Ho paura! - rispondeva Imilda.

- Conoscete la fantasma fiammante di bianco?

- La madonna perduta?

- È l'anima di Guidinga fino al del giudizio.

- È così disperato l'amore! Chi ci resiste? - lamentava Imilda. - Come reggerò al rimanermi quassù?

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

 

Ugo da quattro giorni, sempre chiuso nel suo castello, si combatteva atrocemente.

E così: - Ildebrandino ed Oberto ieri vinsero. I servi prigionieri nel castello di Aginaldo l'altra notte uccisero il capitano di Adalberto. Baldo con Manfredo e Bello s'apparecchia a muovere qui per guadagnare la taglia.... E tu che fai, Ugo? Tu capo dell'impresa, tu redentore, tu giovanissimo conte!... Se Dio ci faceva vincere! se i morti di avessero supplicato coll'ardore delle fiamme! E tu hai pensato ad essi? Oh i morti ora si levano ferocemente ad imprecarti! E la viva sorride!... Il padre già dalla culla ti condannava alla vergogna e al furore, e tu che avresti dovuto maledire la donna, tu per la donna sei maledetto!... Temi la taglia? Ma che vale la tua testa? Vale oro, non onore. Temi la morte? Ma che vale la tua vita? Fu già carica d'onte. Speri la vittoria? Speri l'amore? C'è la morte! Oh questo sì ch'è strazio ineffabile! E anch'io supplico: "Pietà!" come supplicò Imilda. Pietà della mia vita! Ecco la vilissima preghiera! Preghiera di donna!... Sì, ti sogno ancora nella cappella avvampante: giungo a te, ti stringo: e tu chini il capo sulla mia spalla, ed io ti dico: "Ti odio!" Ecco l'anima mia, ecco il mio dovere!... Che faccio ora? Io che mi sento la forza e la ruina dei turbini. Io che voglio uccidere, e crollare le torri, e sghignazzare fra il suono di cento trombe, e morire pur che Dio mi ascolti!... Dio non ascolta mai!... È così muto il sepolcro del padre! È così trista l'ironia del nulla!... Voglio vita, vita strapotente, ed ogni vita è in queste parole: "Ti odio! Femmina, ti odio!" O viva, o morta, sii detestata!

 

 

 




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