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Ambrogio Bazzero Ugo. Scene del secolo X IntraText CT - Lettura del testo |
L'indomani mattina era tempo assai sinistro. Nelle valli di Fenestrelle stagnava un morto nebbione: i torrenti scrosciavano colle note basse della loro più tetra solitudine, direcciando dai picchi squallidissimi, o tra le rupi invetrate di gelo rotando colla schiuma cinericcia: pendevano secchi e scarmigliati dai ciglioni a squarci gli arbusti selvatici: gli abeti davano le loro tinte fosche a quell'immenso cimitero della natura: cadevano foglie e cortecce e rami e poveri uccelli migranti che non vedevano più cielo: il cielo era una caligine sola e le montagne, che v'immergevano le cime, mostravano le loro ossature di macigni profilate di nevi, disegnandosi come bigi carcami raccosciati o caduti. Era forse il dì de' morti.... La notte prima era dirupata la valanga? dove? come? Chi l'ha detto? Alla luce scialba di questa tristissima mattina si sono fugate le imaginose poesie del giullare della notte.... Dov'è Guidinga? Chi attende?... I lividi pinnacoli del Monviso, del Meidassa, del Glaisa, del Genèvre, del Chalierton, dell'Assietta, non conoscono donna alcuna!
Qual freddo deserto! Eppure non è deserto per Ugo e per Imilda, che lentamente aprono la porta della loro capanna: quello curvo sotto un fascio di povere robe, con pochissimi cibi, colla sua scure pesante: la donna rimbaccuccata in dieci pelli di agnello, non a proteggere lei, ma la creaturina, che amorosissimamente si aveva al petto.
Imilda trepidante guarda giù al sentiero per la valle, e, stringendosi ad Ugo, mostra il viso affannato da una veglia tormentosa, come quella che, cogli apparecchi non mai decisi, coi dubbi, coi rimpianti, precedette il tristo giorno di un viaggio verso l'ignoto. Quale veglia! - Ma è proprio vero che fuggiamo? Che mio padre è morto? Quante cose con noi si dovrebbero portare! Quali? Ma il fardello sempre cresce! Questa veste è necessaria? proprio? Se il freddo, se la bimba.... Eravamo tanto tranquilli! Non si può pensare! Che succederà? Abbiamo preso tutto. Tutto? Quell'oggetto qualunque è lì nella casetta: non c'è fatica a staccarlo, aumenta di poco il peso al fardello, lo porterò io, e potrebbe divenirci il più necessario: lo portiamo sì o no? Lo abbiamo lasciato! Torniamo: si va: si ritorna.... Quell'oggetto è forse inutile. Se si potesse avere una culla! Dove andremo, o Dio? Che abbiamo fatto?... Quale figlia fui rispetto a mio padre?... Uno spavento grandissimo stringe sempre d'attorno la casetta: i nemici, i pugnali, il tradimento! O Dio Signore! Passerà la notte. Ma che non passi! Qui l'ore un giorno erano felici: di qui dobbiamo esulare! Non passi e sia l'ultima in pace! - Fra l'angoscia, i dolori dell'amore e l'amore dei dolori, è passata! E bisogna fuggire. Imilda ha la mano tremante sulla porta, la tocca, e, come se quella fosse di legno benedetto, la bacia, si fa segno di croce: esce, e guarda giù. Sospira quasi liberata da un gran dubbio, il peggiore, dicendo: - Bonello non viene!
Ugo tace. Ugo stette per tutta la notte senza pronunciare una parola.
La capanna aveva al suo lato posteriore l'orticello e una stalletta con un finestrino a terra. Ugo e Imilda, uscendo per la porta dinnanzi, senza nulla più vedere, incominciarono a salire il monte.... Si udì un belato.... La capra della massaia sporgeva dal finestrino sull'erba il muso gemmato di brina, cogli occhioni sbarrati, col campanaccio che suonava con grave lamento: levò la testa.... Addio!
I fuggitivi sentirono quel belato: ma nessuno ebbe tanta forza da aprir bocca.... Addio, santa e tranquilla casetta dell'amore! Da te ancora esce una voce per noi! E noi ritorneremo?... O travi, cui recise e inchiodò la mano del boscaiuolo nelle lucenti mattine di primavera, o travi, quanti ricordi ci sorridono nell'anima!... Due anni prima, dopo il tormentoso esulare di giorni e di notti, dopo la benedizione del romito di Malandaggio, dopo mille paure e troppe gioie, al primo giungere su quelle cime sicure, Imilda era caduta affannosissimamente nelle braccia di Ugo, aveva avuto da lui tanti baci, quant'erano stelle nel cielo, a salutarli felici, ed aveva incominciato a susurrare: - Ti ricordi com'erano fiacche le corde del mio liuto?... Sai, non sento più suoni, né più vedo.... Eppure la mia mamma Adelasia anche lei mi diceva di volermi bene!... Ugo, che cosa sono le stelle? Fuochi o anime che si adorano? Bisogna proprio morire per diventar stelle? Quei fuochi palpitano, quell'anime baciano, ma non hanno braccia per stringere forte forte.... Stringi!... L'edera e la quercia sono cose di questa terra, e come sono felici!... Ugo, che cosa dirà la Madonna santissima? Ma io l'ho sempre pregata: e, pregandola, non sapevo che lei, una notte, la dovesse arrossire!... La Madonna è su, su, su, lontana! Tu sei qui! Stelle, Madonne, baci, fiori, sorrisi.... tutto io sogno. Tu non sei un sogno?... Un giorno ti sognai bello, arcangelo mio, e coll'ali fiammanti e colla lancia del trionfo.... Ora ti sento mio: e ti strapperei l'ali, per paura che tu mi fuggissi! Ed ora sei vinto!... Ieri, l'altrieri, mi pareva di morire nell'imaginarmi le gioie del tuo amore, ora vivo di vita addoppiata!... Tu mi credi moribonda perché ho il seno discinto e ansante?... Voglio dirti...! Ricominciamo... il pellegrinaggio dove vuoi, per giungere ancora qui, alla prima notte di nozze, per non veder più stelle, né cielo, né sante protezioni, per cadere ancora qui, e dirti ancora che sei mio!... Ricominciamo il pellegrinaggio.... Su, su.... Eppure! mi alzo, dò un passo, non ho più forza e ripiombo! - Aveva finito a susurrare così, e aveva dormito sotto un padiglione di frasche, avvinta alla persona del suo cavaliero, odorando l'effluvio dell'erbe aromatiche su cui posavano l'api: la luna l'aveva vestita come d'una coltre di serico bianco, e, fra i mille bisbigli del vastissimo silenzio, lì vicino il gemitìo d'un ruscelletto le preparava nella schiuma iridescente le fuggitive perle alle sue nozze. S'era svegliata, più stanca, soffogandosi gli occhi leziosamente e domandando: - Dove sono? - per sentirsi rispondere: - Sei ancora sul mio petto! - E sul petto di Ugo ella, che nel castello d'Ildebrandino aveva vissuto dei giorni solitari e freddi come una monaca, ella ad ora diveniva poetessa gentile, ad ora fremente, come una sibilla, insaziata di baci e audace nelle profezie, ad ora bambina, ingenua, tranquillissima, secondo i sonni della notte. Quando Ugo, felice e infelice, le aveva detto: - O Imilda, qui su queste rupi è morto tutto il mondo per noi! Qui siamo soli, e possiamo esser soli per un secolo! Io scenderò giù giù coi boscaiuoli al lavoro.... - No, no! - ella aveva supplicato: - Rimani sempre con me! - poi aveva sorriso sprezzantemente al cofanetto dei gioielli, soggiungendo: - Sì, tu lavorerai e avremo il pane de' montanari, e lavorerò anch'io. - Ti grava la solitudine? Monti e monti, e cielo e silenzi e voli d'aquile superbe: intorno a te è il deserto. - Il deserto? Ugo, facciamo un mondo, siamo creatori: monti e monti, e cielo e silenzi e Dio sparso dappertutto: tra questo mistero facciamoci una casetta; vuoi nominarla castello, romitorio, reggia, monistero, o mondo? Sia come vuoi: da questi picchi noi pregheremo e regneremo.... Che? Ameremo! ecco la idea della divinità. - Imilda aveva scelto il luogo per la casetta, con grande importanza ciarlando della maggiore o minore probabilità dei venti molesti, prevedendo l'inverno col caldo dell'amore (ma non l'inverno vero!), occupandosi della comunicazione col ruscello, con un prato fiorito per la preghiera del mattino, e col sentiero che conducesse giù alla prima vallicella, e giù ancora e giù e giù a qualche lontana capanna d'anima viva: e pel luogo aveva tratto placido augurio da un sogno che aveva fatto.... Era sposa da tre o quattro giorni e già amava le cose piccine, i fiorelli, le erbucce, simulava la vocina capricciosa e la pronuncia ingenua, temeva le api; poi riposava molto, cantava un'antica canzone, tutt'altro che cavalleresca, lenta, sempre a ritornello, affrettava sempre più l'opera della casetta, senza più chiamarla colle voci poetiche ma volendola sicura e bella e pulita, desiderava una capretta da mungere, con tanto latte e tanto pelo, pregava a notte, arrossiva dinnanzi a Ugo. Spesso, quand'egli lavorava a tagliare, ad inchiodare, a connettere, ella sedeva silenziosa, e finiva con un rimorso castissimo: - Mi spiace ch'io non possa aiutarti! - e temeva l'inverno.... Con scrupolo delicato si toglieva di collo la medaglia della madre, dicendo: - Tu assisterai al battesimo.... Ma che? l'acqua che ne manda Iddio nei ruscelli è tutta benedetta! - In quei primi mesi dell'idillio il cielo era azzurro con cento azzurri, splendido, diafano, e colla vita del suo sole, colla poesia della luna e delle stelle, pioveva smeraldi alle selve, porpore alle rupi d'occidente, diamanti all'acque, paci alle vallee, e amore a tutta la natura: tutto bisbigliava, tutto si incoloriva, tutto scaldava, tutto fremeva.... Ugo calava giù alle capanne dei boscaiuoli a lavorare, a guadagnarsi le provvisioni, mostrava la crocetta che gli aveva dato il romito di Malandaggio, si spacciava come uno che fosse tornato a' propri monti dopo avere lavorato in Francia, senza parenti, solo, solissimo: giù l'aria gli pareva più greve: i pochi aspetti degli uomini lo conturbavano: quando risaliva alla sua donna non si volgeva più a fissare la direzione delle sue terre, del suo castello, de' suoi nemici. Dopo tanta passione, la pace sola aveva padroneggiata l'anima sua desiosissima! Ugo si ricordava d'avere visto nascere il sole da un'alta vetta, quando si sentiva rozzo, villano, cattivo, crudele, fortissimo, libero: ma Ugo non rammentava più quello che aveva operato. - Ho fatto il mio dovere, ed ecco la mia pace! - si diceva, non cercando l'eccelse cime per indovinare coll'anima cupida di mistero, per indovinare affannosamente il vasto sogno de' suoi deliri, l'infinito! Egli, nato da un Oldrado che era precipitato nel nulla e sempre aveva taciuto all'evocazione del figliuolo spronato, e da una Guidinga che, colla potenza dei mali spiriti, aveva centuplicato l'anima perversa dopo morte, una madonna perduta che aveva ascoltato, ascoltava, e doveva ascoltare fino al dì dell'universale giudizio le supplicazioni dei montanari: - Non rotolate la valanga! - Ascoltava, ma non esaudiva. E doveva essere castigata, dopo quel giorno ultimo dell'uman genere, nei secoli dei secoli dei secoli! Che cos'è la morte? Come si posa? Come si rivive? Oldrado aveva finito? Perché Guidinga sghignazzava sempre? Cos'è l'anima? il mistero? la condanna in vita e nell'avello? l'occulto delitto che si sconta? Ma pure vi sono i gaudenti, i tripudianti, gli epuloni? - Ugo non sapeva leggere, e poi allora c'erano pochi libri che sapessero persuadere alle belle cose. Ugo parlava male, pensava male, senza legame, senza logica, e soffriva peggio; di questo si accorgeva. Aveva patito e patito! Che importava a lui dei grammatici e dei logici paffuti? Ugo aveva avuto poca vita per la sua anima procellosa: eppure era già stanco: amava ed odiava! - In questa prima parte del nostro racconto il carattere d'Ugo l'abbiamo tracciato sconnesso, a sbalzi, tristamente indecifrato, come i foglietti dell'archivio di Saluzzo volevano, riferendo quelli unicamente le date e poche parole di quegli avvenimenti descritti da noi: la colpa non fu nostra: l'analisi ci avrebbe ghiacciato la penna fra le mani: né il romito di Malandaggio fu più felice di noi: confessiamo che, seguendolo passo passo e colorendo il nostro Ugo sul suo, dovemmo gettare il calamaio e la carta. Nella seconda parte del nostro racconto, dopo di averci ben pensato, speriamo di accontentare quei pochi che a ragione ci domandano: - Chi è questo Ugo? - Ugo non cercava più l'eccelse cime per indovinare il mare, ma si chinava dimesso alla sua donna per sentirsi replicare: - Ho bisogno.... Abbiamo bisogno di poco: tanto così! Guarda: una casettina! - e Imilda diceva cose che uscivano da una bocca, si ascoltavano da un orecchio, e domandava altre cose che si misuravano colle mani, si toccavano, si mangiavano.... La vita reale! - Nell'infinito sognato nelle notti temporalesche dell'anima, o Dio o il mare o il mistero, c'è lo squallore del silenzio e sempre nel povero cuore l'insoddisfatto bisogno dell'ali: ma invece, sotto quattro travi lontane da tutti, se c'è Imilda che dica: - Ti amo! - c'è nell'uomo, che anche creda Imilda immortale, il dovere sacrosanto di domandarle: - Siamo soli. Hai fame? hai sete? Dimmi che vuoi! Il mio amore starà nel risparmiarti, più che mi sarà dato, i sacrifici. Tu devi vivere! Ti darò da mangiare, da bere, da difenderti dal freddo; io sarò il tuo servo. - Alla poetica baldanza, solitaria, indagatrice, spossatrice, per la vita del pensiero, succede per la vita del cuore, per cagione della donna, una catena di obblighi concreti, santi, prosaici e poetici, legata alla terra: una catena che avvince due amanti di carne ed ossa, ma pure amantissimi. Vedendo lei che morde un frutto procuratole da noi, noi esultiamo di pienissima gioia. Dio-mistero ha troppo inghiottito l'anima nostra: troppo la disperse il mare: noi non siamo più noi.... Ma Imilda voleva una casetta. E fu fatta.... O travi, sì ripeto, o travi cui recise e inchiodò la mano del boscaiuolo nelle lucenti mattine di primavera! O finestretta, che parevi fatta apposta per la castellanina nascitura! Panca di bianco abete, su cui gli sposi sedendo, ai loro desideri avevano per calendario i fiori del pratello e per gnomone i fusti eretti dei pini! Addio! O porta, che sì ti chiudevi gelosamente anche in certe ore di giorno, e contro cui veniva importunissima a battere la testa la capretta: o porta, che eri aperta da una manina fattasi tremante! Addio!... E tu, scure, che spaccavi i tronchi, che carezzasti le assicelle a connettere la culla, che là alla parete di legno baciavi l'ulivo della pace! Voi, pietre del focolare, su cui posava a tradimento quel piedino, liscio come cigno! Voi, misteri divinissimi di gaudi, di tripudi, d'amore, di baldanze, di sfinimenti! Addio!... Imilda voleva una creaturina, a cui rendere placidissimi i baci, ch'ella, roventi, riceveva da Ugo. Imilda fu beata: sentì il dolce peso, i cari sussulti, la vita addoppiata da una vita arcana, il rigoglio del seno, i santi dolori e il premio di gioie: Imilda fu superba.... O capretta, capretta pezzata di bianco e di nero, che al vagito della bimba rispondesti col belato tremulo e insistente! Addio!
I fuggitivi mossero pochi passi e si rivolsero.... O bambinella, là dentro alla capanna tu saresti cresciuta la figlia di Maria la montanara e di Silverio il boscaiuolo. Ugo e Imilda avevano presi questi nomi. Senti, bella innocente, sì, saresti cresciuta e il massimo tesoro sarebbe stato l'oro de' tuoi capegli, baciati da mamma e da babbo. Senti, bellissima ritrosa: un dì, col grembiale della festa, col viso sorridente di tutti i giorni, tu saresti andata giù alla chiesuola della valle. Oh qual pace!... Ti colori in volto? Dillo alla mamma che non lo vedi quel giovinetto che cantava, cantava nei boschi, e non canta più!... Ma sì! sì, n'è vero che canterete insieme? La ninnananna accanto ad una culla.... Chi è nato? Se è un maschietto mettetegli in nome Silverio: s'è una piccina, Maria.... E con voi la famiglia dei boscaiuoli si continua nella casetta che fece il nonno di sue mani, davanti al focolare che segnò la nonna colla croce... Il nonno? la nonna? Non ci son più. Dio li abbia in pace. Sì, ma è un pezzo che son morti.... I nonni diventano bisnonni, e i bisnonni gli arcavoli, e.... Passarono gli anni, gli anni, gli anni, eh! Non passò l'acqua del torrente? Non le nevi sulle cime? Passarono le gioie e i dolori.... E poi?... Noi poveri morti preghiamo Dio che ci lasci tornare un minuto ai nostri cari: e torniamo alla capanna, che ci pare quella sì e no, e domandiamo alla gente che c'è: - Chi siete? - Boscaiuoli. - Lui come si chiama? - Enzo si chiama. - Lei? - Agnese. - Non si chiamano Silverio e Maria? - No. - ....Oh come? Anche il nome si è perduto! E noi vogliamo raccontare di noi, e incominciamo a raccontare, ma siamo interrotti: così: - O buona gente, voi non sapete l'istoria? C'era una volta in questa casetta.... - Le si è rifatto ancora il tetto l'anno scorso. - C'era una massaia che aveva in nome Maria.... - L'uscio vecchio schiodato dall'uragano s'è messo nuovo con tavole robuste. - E un boscaiuolo c'era chiamato mastro Silverio, e una piccina. E dovete sapere che lui.... Vi dico l'istoria di un conte, di un capitano, di un famoso che ha patito tanto e.... - Quanti anni sono passati? Che ci importa?... O buoni vecchietti che veniste su a cantare le vecchie storie, volete le limosine? Chi siete?
Quanti anni sono passati? È venuto l'oblìo!... Io non so quanti anni, ma sono passati in pace, in pace, in pace!... O bimba, saluta la nostra casetta! Noi fuggiamo! Addio!,.. Addio!...
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I fuggitivi si rivolsero ancora. Valicato un torrente profondo e rabbiosissimo su un ponticello di legno, che Ugo aveva gittato un giorno dall'una all'altra dell'aspre rive, un unico troncone barcollante, Ugo e Imilda s'allontanavano più che potevano lentamente, tenendo alle alture di sinistra, inverso Francia! Oh la capanna presentava il lato più bruno, su cui s'appoggiava la stalletta di strame bigio e l'abbeveratoio muscoso: dinnanzi a quello, ed era il più caro perché aveva un balconcino di quattr'assi a buchi tondi, fatto apposta e apposta ornato di un prunello selvatico per la massaìna, c'era l'orto ricinto da tanti scheggioni ammucchiati.... Dalla stalletta chiusa, per la finestruccia, come prima, la capra sporgeva la testa.... S'udì ancora un belato....
Imilda, che seguiva Ugo alla lontana, colla testa chinata, stringendo la bambina, non resse più allo schianto del cuore, si arrestò, volse indietro la faccia, e chiamando: - Ugo! Ugo! - lamentò due volte: - Quella povera bestiuola pare la ci saluti!... Perché non l'abbiamo condotta con noi? Ella forse cerca la padroncina....
Ugo per tre passi finse di non intendere: quando udì il sospiro dì Imilda e un nuovo belato gemebondo, dovette fermarsi: e disse: - Quando troverà la casa vuota!
Incominciò Imilda con un dolce rimprovero, ma pure felicissima di sgroppare a lui colla parola il muto dolore di quei momenti: - Volgiamoci indietro!... Ugo, io credevo che tu la conducessi con noi, e perciò stamane non me ne ho preso pensiero... ma....
- Non la volle venire - rispose Ugo forse per iscusa.
- Perché? Se è così obbediente! Se è la nostra amica da due anni! Con me, Ugo, la verrà: le mostrerò un poco di fieno nelle mie mani.
- Tu vuoi che noi torniamo ancora là? Oh, Imilda, risparmiaci il dolore!
Pensò Imilda un poco, e poi timidamente: - Ebbene ci andrò sola: tu attendimi qui.
- Lasciala!
- Poverina!
- Sul cammino ci sarà d'impaccio; di qua, di là sbandandosi.... Dove trovare un filo d'erba?
- Ella ci sarà sempre accosto, e poi.... - Imilda si scosse vivamente a un tratto, giungendo le mani sopra la sua creaturina: - Sì, Ugo, questo pensiero me lo manda la provvidenza! Senti: per due, per tre giorni... forse più... io non so dove e come andremo... e tu non m'hai detto.... - e la gentilissima s'affisava in Ugo, collo sguardo quasi dicendogli: - Perché hai taciuto tutta la notte? Che amore il tuo nei tristi momenti?
- Dove andremo? Imilda! - Ugo si compresse fieramente il cuore, come se in esso sentisse il serpe di un rimorso. Non sapeva quale passo; quale cima, quale direzione scegliere: dappertutto squallore, ostacoli, morte! E bisognava fuggire! Un pensiero gli era venuto: scendere diritto alle sue valli, al suo castello per pietà d'Imilda, e....
- La nostra piccina potrebbe domandarci.... Le nostre provvisioni nella capanna erano già troppo scarse: ora che abbiamo con noi?... Ugo, se il mio seno si inaridisse? - e Imilda straziata nell'anima sua, ma coll'aria rassegnata sul volto, e quasi umile da chiedere perdono: - Ugo, forse per lo spavento di questa notte...? Oh no, il Signore è buono! - e, già fidente, si scoperse il seno: se diede un brivido, fu brivido d'amore: perché la baciò la bimba, le sorrise con invito soave di madre e se la strinse: la bimba aprì gli occhi, sembrò spaurata di non trovarsi nella sua culla, ma in quella grigia solitudine, agitò le manine, posò la testina, tentò suggere le mammelle, e vagì. - Sono già inaridite! - pianse Imilda, volgendosi a Ugo, alla bimba, a Dio. Poi, già fidentissima, ricorse al primo pensiero: - Ugo, questa è ispirazione della provvidenza! Conduciamo con noi la capra: almeno la nostra creaturina avrà del latte, non morrà di fame.
All'atroce dubbio s'era mescolato un raggio di speranza. Almeno per un giorno, o due, la bimba non morrà di fame! E poi?
Imilda incalzava: - Tu, Ugo, deponi il fardello. La capra sarà la sua vita.
- Sì - disse Ugo: e il suo volto a un tratto s'illuminò d'immenso affetto. - Andrò alla capanna. Voglio quella povera bestiuola.
E Imilda con dolce violenza: - No! Con te non la volle venire e non verrà. E poi tu vedresti ancora quelle pareti! - e, sorridendo, con tutta l'aureola santa di una mamma: - Io voglio ancora baciare quella culla. Sì, Ugo: tu non sai. Staccando la creaturina dal mio seno, ho fatto un voto. Per questo Dio ci vede e tu devi sperare.
- Un voto?
- Credi tu in me? Ho pregato il cielo, e noi ritroveremo un tetto, una culla, del pane, e i nostri giorni felici!
- Devo pregare in luogo santo. Ebbene? Nella capanna abbiamo abbandonato un altare di gioie e di memorie.... Ugo, lasciami tornare là....
- Se hai speranza!
- Speranza e fede. Deponi il fardello, pigliati la bimba, ma non farle prender freddo, ve' - e la mamma si spogliò delle pelli con studio d'amore soave, e fra esse avvolse la bimba, e gaiamente scherzando: - Sta qui. La mamma? Sai, è andata a prenderti la nutrice. Tu sei figlia di gran signori e i signori sono allevati da petti venduti. Noi ti diamo una nutrice da imperatori e da regine.... Fammi un bacio, inviziatella, un altro, un altro, un altro. T'ho scaldata a baci?
Ugo da tanto amore si lasciò soggiogare: disse di sì, depose il fardello e la scure: si trovò la bimba sul petto. Quell'alito innocente, tranquillo, purissimo, come l'olezzo dei fiori, parve gli penetrasse al cuore, refrigerando la piaga che v'aveva, più e più squarciata dall'immensa passione: la mente sua che prima in un caos tumultuante rifletteva, per così dire, quel cielo uggioso, quella natura squallida, senza avere un pensiero distinto, tutta presentimenti e tristezze, la mente accolse una idea di pace. Imilda l'aveva guardato negli occhi, e nelle pupille della donna c'era più che lo sguardo della madre e della moglie. Ugo fremette dolcissimamente, e, quasi meravigliato di sé, vezzeggiò la bimba, con garbi fanciulleschi, come nei giorni felici, e sorridendo spiò Imilda che si allontanava.... Quante memorie, sì, ma quante speranze rinate! Quando l'uomo, anche perseguitato dal più perverso destino, ha con sé i suoi tesori, una donna, una creaturina, che gli hanno ridato una pace e una fede gentile! Sì, quali e quante speranze! Ugo in quello sterminato deserto si sentì a un tratto contento....
- Bada al ponte! - Ugo gridò dietro a Imilda. Imilda era al ponte: la si volse, come dicendo: - Sta tranquillo! - si fece il segno della croce, passò al di sopra delle acque fragorose, e lesta lesta fu alla capanna. Quanto avrà pianto e sorriso! Quanto avrà pregato per Ugo, per la figlia, per lei! E, solissima, finalmente avrà supplicato - O padre! o padre, mi perdona!... Padre, ero nata da te, ma ero nata per l'amore!... Non mi guardi più?
Ugo, non trovandosi per un momento Imilda al fianco, provò d'amarla doppiamente. - O mia donna! - proruppe: - La mia grande sventura è la mia ventura! Sì, se gli uomini mi condannarono alla fuga, alla solitudine, all'esiglio, la mia stella mi concesse la ferma, la piena, l'unica vita dell'affetto! Come ho amato! Come amo! Laggiù in mezzo agli uomini, all'armi, alla potenza, avrei provato tutto lo squallore del deserto! Trista era l'anima mia più che l'avello dei morti! Volevo vivere e morivo, volevo morire e vivevo! L'odio e l'amore!... In poco tempo s'era squassata l'anima mia.... Quassù ho dimenticato i miei nemici, i miei più fieri, Oldrado e Guidinga, il mio fìerissimo Ugo ho dimenticato, e sono Silverio.... O mia donna! Che cos'è Dio? l'anima? il bene? Io non so: so che tu sei il mio Dio, l'anima mia, il mio bene! Tu il mio riposo!... Vieni, ch'io ti voglio: e con un ardentissimo bacio voglio sul tuo cuore suggellare le care speranze che ti allietano questi dirupi dell'esiglio!... Quando in me vedi il boscaiuolo, eccomi pronto a sfidare la valanga, fosse pure per coglierti un solo filo d'erba che ami: quando in me ricordi e compiangi e susciti il cavaliere, eccomi, armato come vedesti, audace senza l'elmo, insignito di sproni d'oro, tremendo figlio d'una traditrice e di un tradito, non quale fui, meschino in confronto alla tempesta che mi ruggeva in petto, ma quale avrei voluto essere, eccomi.... come un paggio a' tuoi piedi.... e tu comanda! Tu non comandi mai, Imilda! Tu desideri, tu guardi, tu baci.... Tu mi hai donato una bimba.... O fanciullina mia, non sai come si chiami tuo babbo? Silverio? Ugo? Si chiama felice: e ti basti. E qual vita ebbe? Nessuno mai te lo racconterà, perché andremo in terra straniera: noi taceremo gli strazi di un dì, perché non turbino le famigliari gioie della nostra povertà!... C'è Bonello? c'è Oberto? c'è Adalberto laggiù? Io, fuggendoli, li oblìo!... O fanciullina, che so del mio ieri, del nostro domani? So che ti amo, ti bacio, e ti supplico: - Tu chiuderai gli occhi a tuo padre! - O mia donna! o mia bimba!... È triste momento questo, ma io non so perché provo nell'anima unicamente l'amore! Perché? Imilda ha fatto un voto. E per quello sento d'amarvi sette volte sette, come porta la mia scomunica! Ed ecco il mio premio!
Imilda dall'orticello tornava colla capretta. Quali erano i suoi pensieri? La capretta le era dinnanzi irrequieta di contentezza: lei dietro tenendole fanciullescamente una funicella al collare e canterellando, quasi per dire al suo Ugo: - Ho veduto quelle pareti: senti, ma non soffro! Sii contento, Mio Ugo, ti voglio tanto bene! - e quasi ancora per dire alla bimba: - Odi la mia canzone? Ti voglio tutto il mio amore! -
Imilda giungeva al torrente. Ugo guardò sorridendo.... Imilda e la bestiuola erano a mezzo del ponte: Imilda si fece il segno dì croce: la capretta in quel momento, ravvisando la bimba, per molta gioia diede un lancio all'innanzi, saltando sul ciglione diruto. La donna fu trascinata da quella con troppa furia su quel tronco stretto e vacillante. Ugo vide due braccia agitarsi, rinculare la capra, poi sollevarsi un turbinìo di schiuma.... E il ponte era deserto!
In quell'attimo Ugo tese spaventosamente le mani, sforzo d'aiuto inutile e pericolo per la bimba, la quale poco stette gli sfuggisse e cadesse: poi s'avventò, rugghiando, al torrente.... La capra e la donna erano scomparse per sempre!
Giù, giù, al basso, là dove le acque sbalzate a piombo si travolgevano, diguazzandosi nella spuma occhiuta, là i massi rattenevano come un fascio sanguinoso. L'ingorgo avvenuto in quella orrenda chiusura faceva rigurgitare le nuove acque cadenti, finché queste ebbero forza di spazzare: allora quel fascio, trafitto, affondato, aggirato fu spinto sull'orlo, straziato, poi di nuovo giù di balza in balza, di scheggione in scheggione, ora per diritto, ora per traverso.... Avrà avuto la mollissima quiete del galleggiare addormentata solo alla valle, dove il torrente si spiana e bisbiglia d'amore prima di mescersi all'ondoso Chiusone. Imilda!
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L'immensa pietà fece sì che Ugo avesse l'immensa ferocia della belva.
Perché la capra con lei? Perché non la bimba? Non era sua madre quella? Ugo fu per travoltolarsi furiosamente nella forra imprecando - Sia con suo padre! - ma in quel momento il dimonio dello scherno costrinse le pupille del tormentato a guardare la santissima casetta dell'amore....
- Che mi resta? - domandò Ugo con disperazione atroce.
Ugo credeva d'avere in vita sua già sorriso e già sghignazzato! Ma verissimamente allora per la prima volta sorrise e sghignazzò....
Sotto alle sue strette feroci la bimba vagì rabbiosamente. Erano due mesi che Ugo e Imilda dalle labbra di lei aspettavano con ansia d'amore quei primi suoni balbettati con cui s'invoca la mamma. In quel momento, amorosissima tra i goccioloni di pianto che venivano giù per le guance a pozzettine, la boccuccia farfogliò: - Mem.... mme....
Che minuto di paradiso per un padre! per uno sposo! - Bonello! Bonello! vieni e uccidila sotto i miei occhi, e uccidi me! - supplicava il cavaliero, più che pazzo, andando incontro a un invisibile supplizio, e, più che indemoniato, retrocedendo, fuggendo, tentando divincolarsi disperatamente e ruggendo contro i lividi dirupi e per le selve desolate: - Imilda! Imilda! - e più supplicava: - Venite! O Bonello! o Dio! o il dimenio!.. Datemi la mia donna! - e dieci volte lasciò la bimba sugli scheggioni, e, come uno spettro, piombò di spaccatura in spaccatura al torrente, ma invano, sdrucciolando sui fianchi gelati dei massi e cadendo a precipizio: e di là dalle profondità sorde e strepitanti, violastro, insanguinato, inzuppato, s'inerpicava con ogni tormento a ricercare la bimba.... Non glie l'avevano rubata? Sì o no?.. E perdendo le tracce della sua via crucis nell'inestricabile labirinto degli orridi ciglioni gemeva come una lupa trafitta lungi dal covo, e s'aunghiava, s'inerpicava, s'inerpicava, e giù avventavasi ancora....
Intorno c'era il deserto. Stette per più di un'ora avvinghiato a un arbusto a spini, tormentando i piedi nel fondo scheggioso di un'acqua ghiacciata, sporgendo il capo da una caverna nerissima su un abisso senza misura e senza colore, e speculò giù la valle, le valli, implorando da quell'ultimo lembo di cielo che vedeva all'orizzonte, e diceva il cielo della sua patria, implorando il Dio tristissimo del suo castello e la ferocia de' suoi nemici vivi.... Nessuno veniva, né Adalberto, né Oberto, né Baldo, né i vili prezzolati!
Tornò su alla bimba. Intorno c'era il deserto. In quel cielo caliginoso sentiva il vuoto e non osava guardare: dalla immensa natura gli si stringeva intorno formidabile il regno del silenzio e della morte.... Nessuno veniva. Chi doveva accorgersi di lui? Chi poteva ascoltarlo da una vetta eccelsa? Ugo impugnò la scure, e volle simulare il fragore della bufera, spaccando i massi, a trarne scintille di sotto il ghiaccio, a farne volare le scheggie agli abissi e al cielo, spaccando, indiavolando, ululando, rotolandosi e piangendo.... - Ho squarciato l'uscio della cappella! Così sono entrato in paradiso! Così mi spalancassi il baratro!
Infine Ugo sghignazzò con un subito pensiero: - Ah! vedrò se i morti, almanco i morti sono ancora in ispirito, e se hanno pietà, quanto strazio essi ebbero dai vivi! - strinse la bimba, stette un pezzo ancora aspettando dalla valle e dalle cime, poi d'improvviso scagliò lungi la scure e il fardello, e s'inerpicò sulla montagna.... Per dove?
Ugo camminò, e camminò, e camminò....
Al morire del giorno egli vagolava in mezzo alle nevi crepitanti sotto i suoi passi incalzati, senza più sentiero, insanguinato e fradicio le mille volte, lui e la bimba: a tratto gittandosi carpone, a tratto balzando sulle rocce.... Ove c'era una vallicella, la appariva squarciata e striata da una grande ruina di macigni rotolati: le boscaglie divelte, il terreno sommosso, trascinato, franato: non un filo d'erba: qua e là enormi solchi, nuovi torrenti deviati, fra gli scheggioni e le zolle ferrigne. Nell'aria rombava sempre come il fragore d'un diluvio, la nebbia a strappi turbinava sui picchi, il cielo sembrava quello che i dannati debbono vedere dallo inferno. Calava la sera. Ugo giungeva ove quella valle castigata s'addentrava in una piegatura rocciosa del monte. Vide quelle mostruose tracce di distruzione, respirò quell'aria, odorò quelle brume, e ritto, stupendo, supplicatore e sfidatore, prese la bambina sotto le ascelle, alzò le braccia quanto poté, come chi faccia offerta a un grande altare.... Era venuto a luogo di salvamento, oh sì! Intese dov'era. - Udite! - quasi cantò, sinistramente, come l'araldo di una sfida a quel deserto portentoso: - Udite, udite il giullare che si chiamò Ugo conte di Lanciasalda!... Laggiù alla valle il torrente mette nel Chiusone, oltre ancora il Chiusone nel Pelice, oltre ancora il Pelice nel Po. Verrai al Po nativo, o Imilda! Oh non scendi cullata tra le foglie di rose! Non attorci le bionde trecce ai fiori tremolanti alla superficie delle acque, né sveli le bellissime membra addormite di voluttà, come una dolce suicida! - e ai vagiti della bimba, aspro come una tromba di guerra: - Chi vedendoti, o Imilda, dica: "Questa è sventura" ascolti una voce d'uragano, così: "L'odio dell'uomo prepara ben altre vendette che quelle del destino!" Chi, vedendoti, si faccia segno di croce, preghi per sé e per i suoi, non per te...! Verrai al Po nativo, o Imilda! Un giorno anch'io scenderò per quelle valli e il boscaiuolo Silverio sarà ridiventato Ugo il cavaliero! Ugo il cavaliero! - e squassò la testa, e si chinò al destino che gli sghignazzava dalle punte dell'Assietta.
Tacque, poi, come aspettando una risposta, più alzò la bimba, gridando: - O Guidinga, rotola la valanga per me! Come un giorno dallo scalone hai rotolato il tuo corpo per te!
E camminò ancora, ancora: - O Guidinga, guardate per cui vi chiamo! Una bambina che stride!
Ancora: - O madonna perduta, ho gli sproni d'oro!
Al passo dell'Assietta, erto, lugubre di vastissimo silenzio, desolato da un cielo implacabile, irto di spettrali pinete, Ugo aspettò la morte. Neve, deserto, immobilità: tanto ascoltano i vivi, come i trapassati.
Ugo, gettatosi sul terreno, sdrucciolando sui ghiacci, senza più pregare, si strinse furiosamente la bimba: strisciò: venne innanzi a battere allo spiraglio di un gran masso spaccato e guardò giù per quella balestriera.... Al di là vide l'altro versante del monte: giù le capanne mostravano i tettucci di pietra allineati sul ciglio di un torrentello: giù un paese, giù la valle con in fondo incertissimamente due macchie di borgate sulla striscia fumosa di un fiume. Il paese era Meana: e le borgate Susa e Bussoleno.
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Ugo stette senza più coscienza, percosso e rannicchiato contro il macigno. Si svegliò e gemette: scosse la bimba: era morta? Ugo giacque ancora, e sognò la ghiacciata requie dell'avello, sognò il regno pallido dei morti, e vide come un grande cimitero coperto da un unico lenzuolo funerario. Solo il cuore gli dava tormento: e si diceva: - Ecco i vermi lo forano: i vermi? Questi che martellano così sono avoltoi di rapina! - Sentiva un che di tepido sul volto; al petto si stringeva qualcosa, e andava susurrando: - I morti almeno credono all'angiolo della resurrezione! Ecco che coll'ala mi scalda la fronte! Ma com'è penetrato nell'avello? Qui sono alla curte, con mio padre.... Lui si sfa, ma è tutto freddo e orrendo.... Che cos'ho al petto?... La mia fascia dell'armi?... Vorrei sapere che sarà scritto su questa pietra.... Pietra? Ma io non giaccio sotto! io sono portato dall'acque di un fiume che va alla valle, al mare. Chi mi scalda? Sono quelle ciocche di capegli di donna che ho tanto baciate!... - Infine provò un freddo solo: sparvero le visioni: e fu come sepolto....
Ugo si svegliò. Egli aveva ficcato la persona nella spaccatura della rupe: nel togliersi di là, ancora guardò giù e alla prima luna, che splendeva bugiarda di lontano, vide proprio Susa e Bussoleno....
Ma che? Santa Maria! lungo la Dora strisciavano sì e no nel vapore denso e radente certi e certi fuochi.... Di sopra al suo capo il cielo era sempre livido e brumoso e freddissimo.
- Se là ci fosse guerra! - ringhiò Ugo, e si rizzò, scosse la bimba, con grand'ansia e con grande tormento vide ch'ella era viva: allora prese a discendere dal colle dell'Assietta verso quella valle.
Cammina, e cammina.... Aveva fame. Se egli avesse avuto quello sparviero stecchito presentato all'omaggio! Picchia a una capanna, è deserta: a un'altra, è deserta: a un'altra, è deserta: tutte deserte. Nemmanco la provvidenza ha pietà, perché sul monte comincia la neve a cadere a fiocca a fiocca, e s'addensa il nebbione: di lontano sparisce la luna.
Ugo si precipita giù, giù, giù....
Giunge a Meana. Là vi è una cappelletta dei poveri morti, un arcuccio soffogato in un pattume con cinque o sei crani grotteschi. Ugo, per la nessuna pietà che i morti ebbero per lui, insulta quegli avanzi, imbrattandoli coll'istessa poltiglia che loro serve di guanciale: raschia la terra e trova una mano ricisa di fresco. La mano ha le dita volte al basso, verso Susa.
- Accetto l'augurio! - dice Ugo, inconscio di ciò che lo aspetti, e si leva: svoltando dietro la cappella con troppa furia poco sta che non ischiacci la bambina: ed ecco trova raccosciati sulla roccia consacrata un uomo e una donna. Sono vivi? sono morti? Che fanno?... L'aria è buia.
I due sobbalzano spaventati, lo guardano, poi sembrano rassicurarsi, piangendo.
- Chi siete?
E l'uomo: - Fuggite, o cristiano, se avete lena! Fuggite! Non cercate di nessuno! Noi abbiamo fallato il cammino.... e ci siamo rassegnati a morire qui!
- Come? Che vi accadde? - ridomanda Ugo, già fiutando l'odore del combattimento. Ma con chi c'era guerra? perché? Qual rumore era giunto agli alti picchi del suo nascondiglio?
E la donna: - Ah! voi siete di quelli scampati già da ieri e non sapete! Ben faceste. O Signore! - e col massimo affanno, ripiombando e facendosi segno di croce: - Oggi Alzor è alla Dora!
- Alzor? - meraviglia spaventosamente Ugo. Ugo sapeva che da tempo il padre gli aveva detto che quel Saracino era calato di Provenza per ghermire la lontana, lontanissìma Genova: poi i casi di Ugo e il rumore della guerra contro Adalberto avevano fatto tacere nelle valli ogni altra novella d'armi. In due anni, da due o tre boscaiuoli, romiti come lui che non varcavano le loro selve, Ugo aveva udito che Casale era minacciata, e suonava un gran nome di dimonio, Alzor: ma Casale era lontano, eh! Poi più nulla. Solamente il giorno prima, quando aveva passato celeremente il Chiusone, spinto da un sogno inquieto che aveva fatto, quando aveva chiesto: - C'è forse un signore potente, il quale abbisogni di braccia per apparecchiare le travi alle macchine di guerra? - aveva saputo che Adalberto s'armava. Aveva sfuggito ogni casa, pure aveva chiesto, tormentosamente simulando, ad alcuni valligiani le novelle della sua rocca e di quella di Imilda, ma, ingozzandole amare, nulla più aveva potuto né chiedere troppo attento, né ascoltare da quei disattenti. Solo per caso udì, sul piazzaletto di una tavernaccia, un ribaldo bandire una nuova taglia di sei in sei mesi sulla testa di Ugo, per comando di Oberto, promettendo i tre mucchietti d'oro di prammatica. La gente quasi rideva. Ugo? Andatelo a prendere! Dove sarà? Solo il banditore aveva detto: - Bonello ci penserà: sa tutto: domani Bonello giura che guadagna la taglia. Ai monti! - e tant'altre cose. - Ugo era fuggito, aveva rivalicato il Chiusone, s'arrampicava alla capanna. Adalberto s'armava ancora? Contro chi? Certo contro i vassalli ancora. Ugo nulla sapeva: quindi quasi domandò a se stesso: - Alzor? il saraceno? Come? Egli già qui?
E l'uomo alla cappelletta: - Mi difesi! Ho sette ferite! All'ultimo m'ebbi mozza la mano. Venni qui a seppellirla in luogo consacrato. Laggiù in oggi ogni misfatto è permesso: è divenuta terra di saracini la nostra. Perché siete fuggito voi, ieri, al momento del supremo pericolo?
E la donna: - Fuggite nella valle del Chiusone! Fuggite, se avete un bambino, e se quello è ancora vivo tra le vostre braccia. Io fui madre!
E l'uomo: - Che giorno d'estrema ruina! Ma il sire di Saluzzo e quello di Susa resisteranno ancora! Io sarò con essi! Donna, lasciami! Io voglio essere con essi!
E la donna: - O Signore, perché non mi avete uccisa insieme al mio bambino?
Ugo, ancora chiedendo: - Ma come? - e non avendo risposta da quegli impazzati dal dolore, che continuavano a crederlo un fuggitivo, Ugo muove il passo innanzi, dicendo: - V'è battaglia dunque?
E l'uomo: - Alzor ci piombò con un lancio da liopardo! O Signore nostro Jesù, per la fede sacratissima del tuo vangelo, ti supplico, ti supplichiamo! Ora ti veggo, o montanaro. Sei pronto tu? Ma non hai la scure neanche tu? Su, istessamente: adopreremo scheggioni di rupi! Su! su, su, tutti alla riscossa, da Susa con messer Oberto capitano e con Adalberto! - e l'uomo si alzò, barcollando.
- Oberto? Adalberto? Ancora sono vivi? Non li straziò oggi il saracino? - imprecò terribilmente Ugo.
- La Iddio mercè, tanta sventura non è ancora avvenuta! - lamentò l'uomo, e fraintendendolo, s'accese nel furore di Ugo: - Da Susa a Saluzzo cogli altri migliori duci, Taizzone, Agobardo, Fulberto, insomma da Susa a Saluzzo si vuol resistere, per la gloria di Maria santissima! Su, su, su! Una spada!... Se non avessi mozza la destra! Se non avessi la donna che mi trascina alla viltà!
E la donna: - Non eravamo rassegnati a morire qui?
- E Oberto, Adalberto? - ridomanda Ugo potentemente.
E l'uomo: - Sapranno resistere! Oh se sapranno!... - e dopo una tremenda pausa: - Se pure un traditore non schiude al saracino i passi delle valli, girando dietro l'alpi e abbattendo ad una ad una le castella vassalle a quei valorosi!
- Ah! - geme Ugo con suono ineffabile.
L'uomo si caccia a piangere, lasciandosi andar giù sul terreno fino ad insozzarsi di mota la fronte.
Ugo fatale invidia quella posizione di massimo avvilimento, ma i suoi muscoli s'inturgidano, la persona si leva audace: egli è invaso da un tremito spaventoso e inciocca i denti pel ribrezzo della febbre.
Succede un momento di terribile ansia.
Poi Ugo, guardando giù, oltre la valle, quei fuochi di guerra, interroga cupamente: - Messere, o barone o boscaiuolo, che cercate voi?
- Io la vendetta! - esulta l'uomo e rizza la testa.
- E la vorreste?
- A qualunque costo! - ma l'uomo ricade agonizzando. Ed Ugo con spasimo satanico di gioia: - Sono straziato io più di voi! Io voglio la vendetta, a qualunque costo! Diceste che laggiù in oggi è terra di pagani ed ogni misfatto è permesso? Vi auguro di morire! Morite, qui, subito! Non ascolterete l'atrocissimo delitto!
Ugo precipita dalla montagna, e alla bambina famelica dà a suggere le proprie labbra lorde di sangue e di bava....