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Ambrogio Bazzero
Ugo. Scene del secolo X

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II.

 

Pel giorno di Pasqua di Resurrezíone, nella chiesa del castello d'Adalberto, diceva la messa un frate, e ad ascoltarla vi era il signore su un seggio, a destra dell'altare maggiore: a sinistra cinque cavalieri, in piedi, con più di cinque paggi in seconda linea, e di questi chi recava lancia, chi vessillo, chi coppa, e via, a seconda dell'omaggio che doveva rendere il proprio padrone. Messer Adalberto, perché in quell'ora si gloriasse di tutta la sua dignità, vestiva una maglia lucente, a maniche, cappuccio e falda assai lunga, portava strisce di cuoio rinforzate da piastrelle di acciaio intorno alle gambe a stringergli i panni ruvidissimi e attorcigliati, scarpe acute pure di maglia, e speroni d'oro da combattimento. La spada a croce, col cingolo d'arme, e un cerchio comitale di ferro, gli erano accosto su un tavolaccio di faggio, sul quale anche si vedevano certe collane disusate, gli emblemi della perfetta cavallerìa degli avi, da Brunone suo a Sannuto, l'antichissimo fondatore dalla stirpe dei lupi d'Auriate. I vassalli comparivano quali in quel dì dovevano, cioè spogli di tutte le insegne che accennassero vita guerresca disgiunta dalla obbedienza al signore: avevano tonache succinte, corte, aderenti alle braccia e al busto, calze strette in gamba, di colore oscuro, usatti neri, puntuti, senza calcagni e senza lacciuoli.

Finita la messa, Adalberto si alzò, e fece cenno al maestro Ingo, il quale spiegò una pergamena: Guidello, divisato coi colori del suo signore, entrò, recando bastone e tromba, e su quello legò il bando pubblicato la settimana prima: poi si pose dietro il seggio di Adalberto. E questi, appoggiandosi con fierezza ai bracciuoli, si drizzò in piedi, come per degnazione, levò la destra all'altezza delle teste, quasi per deprimerle, e - Cavalieri, - disse: - quello che lesse il nostro araldo è quanto noi pensammo e pensiamo. La festa fu celebrata nella chiesa a maggior lode di Dio, il quale ci diede il potere. - Queste le parole, ma il pensiero ben diverso.

Il signore sedette, comandò a Guidello, e Guidello gridò i nomi, giusta l'ordine della nobiltà più antica. Venne innanzi Gisalberto, conducendosi allato due paggi, uno che reggeva la lancia, l'altro il vessillo su un'asta ferrata. Poi il cavaliero Ugo....

 

Questi aveva vesti nere, affatto nere, lo scudo coi propri colori ricamato sul petto, gli sproni d'oro ai piedi: chi l'avesse osservato bene, come certo notarono i baroni che stavano con lui, avrebbe scorto che il suo ampio giustacuore era stretto fìn sotto alla gola, e non lasciava vedere la striscia bianca del collare, sì bene una gorgera a fìtti anelli d'acciaio, i primi giri della maglia del giaco. Il suo volto aveva certe rughe sulla fronte che di sicuro non vi avevano impresso gli anni, i quali erano pochissimi; capegli rabbuffati, come quelli che di recente si fossero sprigionati di sotto il ferro di un elmo; gli occhi che pareva guardassero innanzi l'adempimento di un disegno, e chi sa quale, a giudicare dalla pertinace contrazione delle labbra. Aveva Ugo uno scudiero, vestito pure di panni neri, un uomo dall'aria più spavalda che irata, il quale, porgendo le braccia in avanti, recava un cuscino coperto da un drappo colore di lutto. Messere Adalberto, durante la messa, aveva bensì cercato di fìggere gli occhi sopra Ugo, e di avvezzarsi tanto alla vista di esso, che, quando colui gli fosso per comparire innanzi, il sospetto e l'ira non trapelassero dalla sua persona, e così potesse accogliere l'omaggio colla stessa autorità con cui voleva ricevere gli altri: ma Ugo col suo scudiero ad arte tenevasi prima dietro ai cavalieri, poi anche dietro ai paggi, nel canto più oscuro, nella posa più dimessa. Aveva pensato Adalberto: - E dov'è il maledetto figlio di Oldrado? Forse che abbia sdegnato di presentarsi all'invito? O che tema qualche agguato? O che invece lo tenda? - e guardava sul tavolaccio la spada, rassicurandosi: - Il filo ne è liscio e lucente, messeri, e pare da gioco? Verrà giorno in cui sarà dentato come una sega, e insanguinato come quello che mi scuoteva innanzi il padre, quando mi disse che le merlature delle rôcche vassalle irridono da beffarde! - e qui Adalberto procellosamente risognava un assedio, come voleva!... O Dio! nel castello di Ugo non c'era più madonna Guidinga!... E messere, soffogando gli antichi strazi dell'amore orrendo nella sua ambizione infrangibile, saettava d'uno sguardo i cavalieri lì soggetti, e - Questo me lo diede il vecchio, e questo, e questo... Oh lasciate fare anche a me! - e si tormentava: - E quell'Ugo? - Guarda, guarda: l'aveva veduto finalmente! Era là, volto all'altare, appoggiato, come stanco, la spalla destra alla parete, tutto in ombra: la quale posizione non permetteva che si svelassero i distintivi che aveva sui talloni e sul petto. Pure lo sguardo acuto, reso acutissimo dall'odio, fece sì che messer Adalberto potesse dal profilo risoluto di Ugo leggere, e tanto e così rabbiosamente, che egli si dicesse: - Tal e quale il padre suo, quando mi invitò all'instituzione!

Allorché adunque Guidello chiamò messer Ugo di Oldrado da Lanciasalda, il cavaliero, tenendosi allato lo scudiere, si fece avanti con un certo passo violento che e' pareva movesse incontro al suo cavallo sellato per la zuffa, s'arrestò davanti al seggio del signore, come se aspettasse clamore di sfida, poi si chinò, e, chinandosi, diede a divedere tutt'altra intenzione che quella per cui era stato chiamato, toccò con rustica noncuranza le corregge degli sproni, quasi ad assicurarsi ch'elle fossero affibbiate. Messer Adalberto intese troppo bene, e, seduto com'era, colla persona appoggiata tutta sul bracciuolo destro, si storse tutto sul sinistro; ebbe un movimento verso il tavolaccio su cui gravava la spada, e guardò lo scudiero. Questi si stette ritto dietro il proprio padrone, e per verità tanto alzava il cuscino che si sarebbe detto scambiava l'atto della offerta con quello consueto di porre l'elmo al cavaliero.

Messer Ugo gli disse: - Offrite, o Bonello.

Adalberto vide il garzonaccio in volto. Ah chi era? Lo sapeva ora! Il giovanetto s'era fatto un uomo. Ecco il paggio stesso che recava lo stesso cuscino nero, colla stessa aria ribalda, con cui gli aveva detto vent'anni prima: - Messer Oldrado è pronto a darvi l'omaggio! - Adalberto fissò il garzonaccio. Costui, come se fosse ufficio suo l'operare sempre con tristizia, buttò giù dal cuscino il drappo, e sporse l'offerta. Intanto Ugo diceva: - Messere, instituzione collo sparviero.

Adalberto, prima di ricevere, guardò. Sul cuscino giaceva uno sparviero stecchito.

- Messere! - ripeté Ugo.

Il signore allungò la mano, ma la trattenne dal percuotere sul capo di Ugo, o dal venire dal sotto in su a gettare il cuscino ed ammaccare la faccia dello scudiero: contrasse i pugni ed urlò - Messere, pei falconieri disattenti ci sono le verghe dei servi!

- Oh conte, no! - rise allora Ugo colla sicurezza la più aizzante: - Non ti apponi bene. Lo sparviero era montano: si trovò di becco forte e volle divorarsi un cerbiatto: un ossicino se gli pose attraverso la gola, e tanto gli fece male che dovette morirne. Ti ho reso l'omaggio mio! - e si levò animoso.

Quando l'araldo chiamò messer Ildebrandino, messer Aginaldo, messer Baldo, né Ildebrandino, né Aginaldo, né Baldo, si mossero: si strinsero accanto ad Ugo: e davvero fu ventura che essi dovevano presentare solo un guanto da astori, una coppa d'oro e gli sproni, perché se si fosse trattato di spada, lancia e vessillo, attesto che quelle avrebbero lavorato come il loro uso comporta, e questa avrebbe potuto servire di ultima coltre per messere l'infeudante. Pure qualcosa di gagliardo, si vide: il guanto cadde sfidatore sulle gambe di Adalberto: questi si drizzò come una biscia, l'araldo suonò dalla porta nel cortile. Allora i cavalieri non badarono all'altare, e si urtarono verso quello per toglierne le due armi già presentate all'omaggio: gli scudieri si rimescolarono urlando. Si sarebbe potuto fare, ma non si fece, perché autorevolmente messer Ugo gridò: - Il segno è dato da noi: ma l'araldo avvertì di chiuder il portone e di chiamare le azze mercenarie! - E Gisalberto e Ildebrandino affermarono: - Qui ne vieta di colpire l'onore della cavalleria! - e uscirono tutti, frettolosi e tumultuanti, cercando scampo...

E, colle due armi e col pugnale d'Ugo, l'ebbero.

 

 

 




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