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Ambrogio Bazzero
Ugo. Scene del secolo X

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VIII.

 

Una sera (la quinta dal giorno della rotta) Ugo era nella sua cappella parata a lutto, da tre ore cogli occhi fitti nella croce, colle membra invase da una febbre crudelissima.

Finiva appunto di parlarsi così: - Il martirio m'ha addoppiato! Finalmente! Stanotte istessa vedranno i miei nemici chi è Ugo, quando vuole e dev'essere il figlio di Oldrado! - Ed ecco ad un tratto, nello spessore delle pareti, come un rumore di ferri scossi e di ruote scorrenti: certo indizio che si calava al di fuori il ponte levatoio, senza squillo di corno e senza parola data e ricambiata. Che era mai?

Ugo si accigliò: pure continuando ne' suoi pensieri: - Non è giorno di sabato, né ora da tregenda.... Giuoco d'imaginazione, via!... Chiamerò Bonello: ch'egli faccia apparecchiare gli uomini, e, questa notte istessa vedranno i miei nemici! Ugo ama ed odia una cosa sola: la sua spada! - e se la cercò al fianco, e non avendola, si morse le labbra. Impazientissimo andò verso la porta: ed ecco si abbatté con Bonello che veniva innanzi lentamente e colle mani nascoste dietro le reni.

- Messere, - disse Bonello: - siete disarmato?

- Debbo temere i traditori nel mio castello? - rispose fieramente Ugo, e comandò: - Bonello, fate alzare subito il ponte.

- Ah voi sapete? - e lo scudiero s'avanzava strisciando sulla parete che la lampadetta dell'altare lasciava al buio, e vedendo sull'altra l'ombra della sua persona barcollare gigante, continuava: - Sapete: tante cose le paiono, ma non sono?

- Come a dire?

- Io fui sempre sicuro e fedele.

- Bonello!

- Ma sapete quanto vale la vostra testa? Oggi fu triplicato il prezzo. E voi sapete com'io sia povero diavolo, ad onta dei servigi che ho fatto ad Oldrado.

- Tu! tu ami l'oro! Bonello, questo è castigo d'Iddio! Tu puoi! Ma io ti risparmio il delitto! Ti amò messer Oldrado! - ed Ugo diedesi a chiamare: - Aimone! Aimone!

- È inutile, messere. Ho preveduto, è spacciato, e non risponde più.

- Io non consento, Bonello, che tu perda l'anima in modo così vile! A me! - e prima che Bonello si muovesse di un passo, Ugo tolse un candelliere dall'altare e lo rotò come una mazza: - Potrei ucciderti! Ma nemmanco voglio! - e lo balestrò sul pavimento.

- Messere, colla taglia che avete sul capo c'è tanto da pagare tutti gli uomini del castello. Avete pensato? Noi abbiamo pensato.

- Bonello! m'ammazzi un ribaldo anche pagato da te, ma tu no, no!

E Bonello, come preso da un rimorso: - Ho giurato a messer Adalberto!

- Morire così? Voglio vivere per combattere! Scellerato! - ruggì il cavaliere, e con un lancio balzò all'uscio della cappella, e furiosamente prese giù per il corritoio: - In questa chiesetta dunque così mi si pagherebbe il tradimento di Oldrado!

L'altro sempre a cinque passi gli era dietro bestemmiando: - Ho giurato!

Ugo venne nella corte. Tutto era buio, e poco mancò non inciampasse e fosse trucidato. L'unico luogo che fosse illuminato da una fiaccola era l'androne della porta: Ugo vi si diresse, cogli occhi invano cercando un'arma qualunque: vide aperto il portone e calato il ponte, come era stato fatto per preparare la fuga a Bonello nel caso di colpo fallito, o per preparare il peggio. Ad un camerotto si affacciarono gridando dieci o dodici uomini, e minacciando. Ugo ne atterrò due in un baleno, ma, mentre stava per strappare loro la spada, eccogli vicinissimo quel grido di condanna: - Ho giurato! - Ugo, abbrividendo, si scagliò contro Bonello, e in un fascio tutt'e due stramazzarono sul ponte, e ruzzolarono innanzi sette od otto passi, sì che dalla tavola di legno vennero al ciglione del fossato. Bonello tentava di adoperare il pugnale, ma sotto la stretta del signore non poteva: la lotta divenne accanita per le percosse menate alla cieca. Alla fine Ugo abbrancò il pugnale. Bonello si svincolò, sorse, e prese a fuggire giù da una stradetta. Ugo corse, corse, giù, a fiaccacollo per balze, giù, perdette la traccia dell'altro, precipitò, e cadde rotoloni.... Non ascoltò più.... Quando si drizzò gridando: - Voglio tornare al mio castello! - ascoltò dietro, all'insù, già, lontano, queste grida ubriache: - Viva messer Adalberto! - Ugo si rivolse e vide moltissime fiaccole che giravano intorno alle sue mura e sparivano a poco a poco entrando nel portone. - Adalberto è padrone del mio castello!... Il tradimento era preparato! - disse Ugo, ed imprecò: - Che mi resta? Il mio odio e il mio amore! - e a vece di scheggiare la testa contro un masso per finire il martirio, l'alzò superbissima al cielo.

Due o tre fiaccole venivano giù dalla porta verso la stradetta, e una voce gridava: - Bonello! Bonello! - e poi: - Si accresce la taglia di due mucchietti d'oro.... O vivo messer Ugo o morto....

Ugo scese senza una direzione per la valle, nella notte oscurissima, poi s'arrampicò ad un monte, sempre alla cieca, percuotendosi nelle piante, molte volte cadendo, affondando, squarciandosi i piedi e legando le gambe nei rovai, e spiando cogli occhi intentissimi, coll'odorato, colle mani....

Camminò, camminò. Ad un tratto gli parve che qualcuno parlasse di lontano. Egli si protese a terra, ficcò gli occhi nella tenebra, e scorse tra il nero degli abeti una striscia più chiara che montava, montava, si perdeva: era una stradetta. Dio sa per dove! Ugo nulla conosceva. Concentrò tutta l'anima nel senso dell'orecchio: capì che due uomini armati venivano su parlando tra loro.

Ugo incominciò ad afferrare queste sole parole: - .... quello che dite voi è un cavaliere valoroso. Ma l'altro è da sgozzare.

Avvicinandosi i due interlocutori, Ugo rattenne il fiato: e sentì distintamente il colloquio: ed eccolo:

- Chi disse che Ugo era morto per ferro, chi per sasso. E compare a menar così la scure, rompendo l'uscio della cappella, una cosa sacra.

- Perdono d'Iddio!

Ugo, per tacere, si cacciò un pugno in bocca.

Diceva l'uno: - Adesso c'è su scomunica per tutti. Ohe, non ditelo, fratello, a mamma Agnese, se no ci troviamo giuntati anche di quel po' di cena, dopo una giornata d'arme come questa.

E l'altro: - Messer Oberto non parlò con noi? Si è spento l'incendio, per grazia della Vergine: perciò fu pubblicato un bando dal duomo di Saluzzo: con cui Ugo è scomunicato, sette volte sette, noi solo una.... ed è di troppo! Ma lodiamo Dio! sarà levato il peso dell'anime nostre solo quando madonna potrà sposare un cristiano leale che paghi il papa.

- Dicono d'Oberto.

Ugo quasi si sgangherò le mascelle.

Continuava l'uno: - Ed ha di già fatto sacramento al vescovo messer Oberto. Hai veduto la croce sulla pergamena?

Diceva l'altro: - Oberto è un cavaliero valoroso.

E i due si allontanavano. Ugo guardava ed ascoltava. Solo tenebra e silenzio. Ugo fece per alzarsi e seguire i due uomini, ma non poté! Così disteso a terra com'era, si cercò alle reni il pugnale per appuntarselo al petto e poi pregare con religiosi e suicidi contorcimenti: l'atto della supplicazione, credeva, avrebbe celato a Dio il delitto. Non trovò l'arma: allora disse: - È volere del cielo ch'io non muoia così orrendo! - e poté rizzarsi, e salire la montagna. - O Signore - scongiurava: - fammi capitare a Malandaggio! C'è un buon romito nella grotta.... Ch'egli mi ribattezzi coll'acqua del Chiusone!... Nella valle giù.... c'è.... Imilda.... Imilda!... E voglio fuggirla!... Su, su, su, t'arrampica!... Imilda! - e vaneggiando: - Su, su!... È pur triste la strada al paradiso!... Sulla cima m'attende la morte!...

L'eremita era lontanissimo, oltre la valle del Pelice, nella valle del Chiusone, sul Malandaggio, tra le Porte e il Villaro.

In questi pensieri, smarrita ogni traccia di sentiero, errò tutta la notte....

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

 

Torniamo a Rupemala.

Oberto e Ildebrandino erano divenuti nemici, come si vide, e i nemici in casa sono peggiori di quelli coll'armi alla mano. Ildebrandino pensava: - L'ho colmato di benefizi, come se fosse mio figlio, e speravo tanto d'Oberto! L'avevo bene cresciuto! "Voglio Imilda!" Dopo ch'io gliela avevo concessa' Non doveva, non poteva dire così.... Ma v'è un'offesa maggiore! - Sì, Ildebrandino aveva udito amarissimamente rinfacciarsi la sua mala fortuna di un tempo, e fu trafitto da quel dubbio villano: "Fate che, morendo voi, io abbia un castello o la memoria...." E che aveva soggiunto Oberto? Le esequie? Ildebrandino aveva capegli grigi: pensò e ripensò, e si sentì come maledetto.... Quel giorno in cui Oberto tornò da Saluzzo chiedendo d'Imilda, Ildebrandino rispose: - È mia figlia! - e veramente provò addoppiato l'amore per lei, già lontana, ma sicura. Oberta domandò a tutti per sapere qualcosa, ma invano. Allora lodò lo zio, finse di volersi pacificare con lui, forse per acconciargli più traditora una certa sorpresa che meditava pel dimane, escì con lui a cavallo per vedere dove fossero appiattati i nemici; si rappattumarono un poco, ma sulle loro labbra c'era sempre un'ironia velenosa, sempre quell'espressione - Lascia fare a me - che si mostrava più e più, quand'essi volevano ricacciarla.

All'indomani entrò un frate nel castello e parlò con Oberto, perché lo zio era uscito coi balestrieri ad apparecchiare una offesa contro Adalberto, che continuamente faceva scorrazzare della cavalleria. Oberto parve assai dimesso, ricevette un rotolo di pergamena dal frate, e lo accommiatò: - Che messere il vescovo ne faccia grazia! Speriamo nella Vergine di Saluzzo. Sì, farò ancora limosina al convento, copiosissima.... - Poi tra sé: - Se il papa mi sapesse dire dov'è Imilda?

Ad Ildebrandino nulla fu detto. E quel giorno il cavaliero volle combattere, combatté fino a sera, cessò, e, meditando una certa impresa per la notte, tornò al suo castello, e sembrò riconciliato con Oberto, perché questi gli fu allato sempre, come un prode. Ildebrandino, cogliendo il momento che Oberto non vedesse, chiamò a sé, in una torre, i figli del vecchio Federigo e di Agnese, e loro disse: - Ritornate su alla montagna e portatemi per domani le nuove di Imilda.

Oberto che era nella corte, da un pezzo meditabondo, vedendo partire i due fratelli, credette che si recassero dai vassalli cogli ordini per la notte: domandò loro: - Dove andate?

E quelli: - Dove vuole messere.

- Vuole lui? Non sempre si è obbligati a obbedire noi - istigò Oberto: - Vuole?

- Come?

Oberto mostrò loro la pergamena che aveva in petto, parlò sommessamente, rivelando una gran cosa accaduta, e concludendo: - Siete sciolti da ogni giuramento verso lo zio. Obbedite a me che posso salvar tutti! Ditelo ai soldati. Io voglio comandare a tutti loro, se ad essi preme il nome di cristiani e la salute dell'anima.

- Che mistero! - disse uno dei fratelli, avviandosi.

E l'altro: - Non ditelo a mamma Agnese. E se stanotte il dimonio ci gioca! - e fece l'atto di segnarsi colla croce, ma si arrestò lamentando: - Non si può più, e mi trema la mano!

- Che cosa! Quando gli altri la sapranno!

I due uscirono dalla porticella di soccorso, e s'incamminarono, taciti e compunti, alla montagna: e furono proprio quegli armati che Ugo ascoltò con tanto amore.

Quella sera, appena Oberto vide Ildebrandino: - Zio - gli disse: - Ho da parlarvi e da senno.

- Senti chi vuol parlare da senno! - interruppe lo zio, egli stesso suonando un corno: - Dobbiamo fare una sorpresa, devo farla. So che una congrega di demonii deve passare non lontano di qui, colle fiaccole, per tentare un tradimento al castello di Ugo, so.... Che hai? Orvia, parla.

Oberto voleva che maggiore solennità accompagnasse la rivelazione che aveva a fare, perciò si morse la lingua, dicendo: - A tempo migliore parleremo. L'auguro per me e per voi.

Uscirono, trovarono i nemici e combatterono: nullameno i traditori proseguirono il loro viaggio. Ildebrandino guadagnò una ferita alla gola, leggera, lo credette, una graffiatura, ma con un certo bruciore.... Oberto pensò: - Quella proprio che ci voleva per tenermelo quieto - accompagnò lo zio al castello, lo sdraiò sul suo letto e lo guardò. Quegli si smarriva negli occhi, borbogliava sordamente, dicendo: - Niente! - e cominciava però a contorcersi.

- Messer Ildebrandino, - prese a dire il nipote: - debbo annunziarvi che il vescovo di Saluzzo.... Non mi ascoltate?

Non lo ascoltava davvero.

- Debbo annunziarvi che il vescovo di Saluzzo.... Svegliatevi!... Ma, ma, zio! Che avete?... Non posso pregare per voi, mi spiace.... Svegliatevi! Ah, ma com'è questa scalfittura? Che ei si vada addormentando come un ghiro?... Zio, ditemi, ov'è Imilda? - finì per comandare: - Ditemi!

Ildebrandino era assopito: la ferita, d'arma avvelenata, si faceva livida e gonfia.

Oberto prorompeva: - Ah la mia vendetta! Perché cadrà a vuoto? Zio, zio! Ho tanto fatto, e sì bene!... Ascoltatemi! per poco.... Che mala fortuna!... S'egli morisse?... Zio!

Per tutta la notte Oberto trepidò, senza chiamare aiuto d'uomo. All'alba tolse su lo zio, lo denudò, lo portò nel corritoio, nella corte, lo pose a terra dinnanzi alle finestre della cappella, e lo coperse del drappo nero dei morti, ma senza croce, senza un ramoscello d'olivo, senza una goccia d'acqua, lasciandogli sporgere i piedi unghiuti e i capegli irti. Poi prese una mazza, e tra una finestra e l'altra inchiodò la pergamena che aveva avuto il giorno prima, gettò sullo zio un po' di cenere, e dicendo: - Almeno è morto scomunicato! - lo stette a guardare un pezzo.

Ad un tratto il drappo nero si mosse, e dalle pieghe sporse una mano che ne ghermì la frangia, la strappò, la strappò: apparì fuori il volto di Ildebrandino, paonazzo, furente, soffogato: gli occhi si ficcarono sulla pergamena segnata di croci e di grossi caratteri: si spalancarono, ma furono accecati dalla cenere che vi cadeva dal drappo sempre più scosso dalle mani febbrili.

- Zio! - disse Oberto: - è inutile che chiamiate il becchino. Gli scomunicati come noi giacciono insepolti.

- Ah sei tu? Oberto! - incominciò Ildebrandino, svegliandosi per poco dal lungo sopore: - Perché non so leggere, come un frate? La vedo lì la condanna, la vedo! Ma nemmeno tu sai leggere: sono contento!

Oberto si piantò sotto la pergamena, esultando: - Non so leggere, ma io l'ho dettata al vescovo di Saluzzo. Ugo è scomunicato sette volte sette: noi una sola: sarà levato il peso all'anime nostre solo quando un cristiano leale sarà padrone di questo castello.

Ildebrandino si contorse tutto, gettò il drappo, e fece per rizzarsi: ma ricadde: - Perché sono qui? - domandò, e tacque.

- Voi morite così?

- Ah Oberto!

- Morite scomunicato, insepolto? Pensate qual castigo orrendo! Scomunicato, insepolto!

- E che a me? - delirò il moribondo: - Vedi tu questo drappo? Nera è la morte e senza speranza. Nulla sento, nulla ricordo più!

- Voi dunque morite così?

- Solo i frati veggono i demoni, solo le donne veggono gli angioli.

- Le donne? Pensate che Imilda è scomunicata! Dice la pergamena: sarà levato il peso dell'anime appena ch'ella possa sposare un cristiano leale che faccia molta limosina.

- Imilda? - A quel nome Ildebrandino si tirò addosso la coltre col massimo rispetto: e comandò: - Lasciami, Oberto!... Mi manca la lena.... Non gettarmi nel pattume!

- Che bel momento per cercarvi la sposa! È venuto!...

- Lasciami!... Mia figlia non è qui?... Come si muore senza fede! - e il vecchio quasi pianse: - Imilda!... Nulla sentivo, nulla ricordavo più!

- Desiderereste che Imilda fosse qui?

- Tu la vuoi sposa?... Ma no!

- Imilda che dirà di suo padre, che tutti ci volle dannati! Dannati per lui che moriva! Imilda deve vivere.

- E volevo vivesse felice! - Ildebrandino era straziato in modo ineffabile: e pregava: - Dammi la mazza sul capo! No? Dio, fammi morire!... Morire?... Nella morte c'è un mistero che mi pesa! Sento adesso: no, no...! Oberto, lasciami: tristo, vituperato, ingratissimo....

- De profundis clamavi ad te, Domine.

Infine Ildebrandino disse: - Va alla casa di Agnese e di Federigo: là è Imilda.... Affrettati, affrettala!... Prima ch'io muoia!... Fa limosina coi gioielli di Adelasia mia, prega, fa pregare! Affrettati! Sposa Imilda, prima ch'io muoia, ah!... O Signore, dammi un po' d'ore di vita, a costo di qualunque spasimo! Carità! Credo nel Signore!... Affrettati!

Oberto corse al monte.

D'Ildebrandino parliamo per l'ultima volta. Prima che Oberto giungesse alla casetta di Agnese, egli moriva supplicando: - Carità! carità! - raggomitolandosi nel drappo, e trascinandosi fino a toccare una pietra della cappella. Come nel castello si svegliarono gli armati e come le sentinelle calarono dalle torri, la novella trista passò di bocca in bocca; tutti si spaventarono orrendamente. Pare che Adalberto tosto sapesse qualcosa, perché investì il portone, con pochi fanti, e s'impadronì del castello.

Oberto che andava cercando la sposa, perdeva in pochi momenti gli averi. Pure si sentiva contento, e chiamava: - Imilda!

Giunto alla casetta poté chiamarla per un bel pezzo: - Imilda, Imilda! Dov'è Imilda? Voglio!

Nessuno rispondeva. Che nuovo mistero.

 

 

 




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