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Giovanni Paolo II
Dono e mistero

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Il teatro della parola viva

In quel periodo rimasi in contatto con il teatro della parola viva, che Mieczyslaw Kotlarczyk aveva fondato e continuava ad animare nella clandestinità. L'impegno nel teatro fu all'inizio favorito dall'avere ospiti in casa mia Kotlarczyk e sua moglie Sofia, che erano riusciti a passare da Wadowice a Cracovia entro il territorio del «Governatorato Generale». Abitavamo insieme. Io lavoravo come operaio, lui inizialmente come tramviere e, in seguito, come impiegato in un ufficio. Condividendo la stessa casa, potevamo non solo continuare i nostri discorsi sul teatro, ma anche tentarne attuazioni concrete, che assumevano appunto il carattere di teatro della parola. Era un teatro molto semplice. La parte scenica e decorativa era ridotta al minimo; l'impegno si concentrava essenzialmente nella recitazione del testo poetico.

Le recite avvenivano davanti ad un ristretto gruppo di conoscenti e di invitati, i quali avevano uno specifico interesse per la letteratura ed erano, in qualche modo, degli «iniziati». Mantenere il segreto intorno a questi incontri teatrali era indispensabile; si rischiavano altrimenti gravi punizioni da parte delle autorità d'occupazione, non esclusa la deportazione nei campi di concentramento. Devo ammettere che tutta quella esperienza teatrale mi si è impressa profondamente nell'animo, anche se ad un certo momento mi resi conto che in realtà non era questa la mia vocazione.

 




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