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Giovanni Paolo II Dono e mistero IntraText CT - Lettura del testo |
Il sacrificio dei sacerdoti polacchi
Emerge qui un'altra singolare e importante dimensione della mia vocazione. Gli anni dell'occupazione tedesca in Occidente e di quella sovietica in Oriente portarono con sé un enorme numero di arresti e di deportazioni di sacerdoti polacchi nei campi di concentramento. Solo a Dachau ne furono internati circa tremila. C'erano altri campi, come per esempio quello di Auschwitz, dove donò la vita per Cristo il primo sacerdote canonizzato dopo la guerra, San Massimiliano Maria Kolbe, il francescano di Niepokalanów. Tra i prigionieri di Dachau si trovava il vescovo di Wloclawek, Mons. Michal Kozal, che ho avuto la gioia di beatificare a Varsavia nel 1987. Dopo la guerra, alcuni tra i sacerdoti ex-prigionieri di campi di concentramento furono elevati alla dignità vescovile. Attualmente vivono ancora gli Arcivescovi Kazimierz Majdanski e Adam Kozlowiecki e il Vescovo Ignacy Jez, i tre ultimi Presuli testimoni di quello che furono i campi di sterminio: essi sanno bene che cosa quell'esperienza significò nella vita di tanti sacerdoti. Per completare il quadro, bisogna aggiungere anche i sacerdoti tedeschi di quella stessa epoca che pure sperimentarono la stessa sorte nei lager. Ho avuto l'onore di beatificarne alcuni: dapprima P. Rupert Mayer di Monaco e poi, durante il recente viaggio apostolico in Germania, Mons. Bernhard Lichtenberg, parroco della cattedrale di Berlino, e P. Karl Leisner della diocesi di Münster. Quest'ultimo, ordinato sacerdote nel campo di concentramento nel 1944, riuscì a celebrare, dopo l'Ordinazione, una Santa Messa soltanto.
Merita poi un ricordo particolare il martirologio dei sacerdoti nei lager della Siberia e in altri del territorio dell'Unione Sovietica. Tra i molti che vi furono rinchiusi vorrei ricordare la figura di P. Tadeusz Fedorowicz, ben noto in Polonia, al quale come direttore spirituale devo personalmente molto. Padre Fedorowicz, giovane sacerdote dell'arcidiocesi di Leopoli, si era spontaneamente presentato al suo Arcivescovo per chiedere di poter accompagnare un gruppo di polacchi deportati verso l'Est. L'Arcivescovo Twardowski gli concesse il permesso ed egli poté così svolgere la sua missione sacerdotale tra i connazionali dispersi nei territori dell'Unione Sovietica e soprattutto in Kazakistan. Ultimamente egli ha descritto in un libro interessante questa tragica vicenda.
Ciò che ho detto a proposito dei campi di concentramento non costituisce che una parte, pur drammatica, di questa sorta di «apocalisse» del nostro secolo. Vi ho fatto cenno per sottolineare che il mio sacerdozio, già al suo nascere, si è iscritto nel grande sacrificio di tanti uomini e donne della mia generazione. A me la Provvidenza ha risparmiato le esperienze più pesanti; tanto più grande è perciò il senso del mio debito verso le persone a me note, come pure verso quelle ben più numerose a me ignote, senza differenza di nazione e di lingua, che con il loro sacrificio sul grande altare della storia hanno contribuito al realizzarsi della mia vocazione sacerdotale. In qualche modo esse mi hanno introdotto su questa strada, additandomi nella dimensione del sacrificio la verità più profonda ed essenziale del sacerdozio di Cristo.