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Quinto Settimio Florente Tertulliano
De spectaculis

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CAPUT XXV. 

Come è possibile nutrire santità di pensieri, in mezzo all'obbrobrio degli spettacoli?

O che forse potrà rivolgere in certo modo i suoi pensieri a Dio, colui che si trova dove nulla proprio parla della divinità? Potrà avere nell'animo suo un principio di pace e di superiore serenità, chi è pronto con tanta passione a prender le parti di un'auriga? E chi è tutto preso nella contemplazione dei mimi, sarà mai possibile che serbi in sé un principio di pudore e di rispetto? [84] In ogni genere di spettacoli non potrà invero riscontrarsi maggiore vergogna che quella ricerca di lusso e di eleganza, tanto da parte degli uomini che delle donne; ed inoltre quella loro promiscuità, e, s'intende, che quell'interessamento comune per i giochi od anche quel contrasto che andava verificandosi nel favorire uno, una parte, l'altro, l'altra, spesso suscitava e favoriva lo svilupparsi di malsane passioni. Non c'è alcuno che frequenti gli spettacoli, che possa rivolgere il pensiero a qualcosa di diverso da questo: a vedere e ad esser veduto. Quando un attore tragico reciterà in tutta la sua esaltazione, ma pensi davvero che qualcuno possa andar rimuginando in cuor suo, quel che può aver detto un profeta? E fra i motivi molli ed effemminati di un istrione andrà forse taluno ricordandosi di un salmo? E quando gli atleti sono nel fervore e nella fierezza della lotta, sarà proprio possibile che si ricordi quel divino precetto di non rispondere alle offese e alle ingiurie? E chi avrà dinanzi agli occhi suoi l'orrore delle ferite delle belve e i gladiatori tergentisi il sangue sgorgante copioso dalle ferite, potrà forse provare sensi di pietà e di misericordia? Iddio tenga sempre lontana dai suoi una cupidigia così folle e insana di piacere! Che cosa significa mai questo scendere dalla Chiesa di Dio, nel dominio della potenza avversa e nemica? O, come si dice, questo precipitare, dall'alto dei cieli, nell'abisso? Che cosa è mai quel plauso che tu tributi ad uno [85] istrione volgare, quando quelle mani tu l'abbia sollevate per rivolgerti a Dio? Che cosa è mai quel prestar testimonianza di ammirazione a un gladiatore, quando con quelle stesse labbra hai pronunziato in uffici divini la parola « Amen »? (29). Che cosa rappresenta mai quell'esclamare per altri, che non fosse per Iddio e per Cristo Gesù, nei secoli dei secoli? (30).




29. (1) Amen: parola pronunziata dai cristiani a gloria del Signore: ebr. così sia: la versione greca dei settanta traduce ge/noito: S. Girolamo fiat: in tal senso la voce ricorre sovente nella liturgia.



30. (2) Esclamazione usata dai Gentili per pregar lunga vita a chi darà i giochi; in latino in aevum.






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