4 IL CANE INGORDO*
Tanti anni
fa, in qualche parte di questo mondo, viveva un cane che, poveretto, aveva
sofferto tutti i giorni la fame che si era fatta cronica e che, col trascorrere
degli anni, l’aveva ridotto a pelle e ossa. Tute le mattine, come si svegliava,
recitava le orazioni e sempre le concludeva con la medesima supplica al Santo
protettore degli animali: “Sant’Antonio del porcello, tu che sei un gran santo
manifesta la tua magnanimità facendomi trovare, almeno oggi, un buon pranzo.
Non pretendo primo, secondo, contorno, dolce, bicchierino de grappa, no, caro e
buon Sant’Antonio, io mi accontenterei anche del solo secondo, purché fosse
gustoso e abbondante”! Recita un detto latino: “Audentes fortuna iuvat” (La
fortuna aiuta gli audaci)! Sostiene un motto nostrano: “Aiutati ché il cielo ti
aiuta”! Sarà stato il “santo”, sarà stata la “fortuna”, sarà stato il “caso”,
qualunque fattore sia stato, sta di fatto che una bella mattina, ultimate le
preghiere, annusò un effluvio di carne che qualcuno stava arrostendo con il
rosmarino. Al cane, povera bestiola, non interessava il rosmarino quanto,
piuttosto, la carne. Ad esso, questo fatto gli parve come una grazia ricevuta e,
gonfio di contentezza, con passi felpati incominciò la ricerca della
provenienza di quel buon profumo. Cammina e cammina, giunse ad una vasta corte
di una gran casa. Nell’aia vi erano molte persone prese da un eccitato lavorio
ma, per esso, la vista più attraente da rimirare era una nutrita sfilza di
polli sullo spiedo. Mamma mia, che visione di paradiso! Gli occhi luccicavano,
la coda roteava, dai labbri fuoriuscivano bavette d'acquolina e, per
l’emozione, era tutto un fremito. Bisogna sapere che questo cane era dotato di
un cervello di prima qualità e questa sua dote portentosa gli suggerì un
ragionamento e un programma. “Caro mio, se mangi vivi, se non mangi muori.
Questa è la tua volta buona, la tua volta fortunata. Per Bacco, dai, fatti
coraggio, non fare lo sprovveduto, acchiappati un pollastro, scappa e
mangiatelo”! Il cane, aizzato da questa ‘vocina’ interiore, dopo aver
ispezionato con furbesche occhiate tutti i polli in mostra, belli, grassi, con
schiene, cosce e petti in esibizione, con la pelle che stava par fare la
crostina sul color marron della cottura, puntò l’occhio sulla coscia più grossa
del pollastro più grasso. Ad un certo momento si gridò in petto: “Suvvia,
coraggio, bello mio, qui si tratta di vita o di morte!” Convinto dal suo
straordinario cervello, gonfiò a più non si può i muscoli delle gambe come se
fossero delle molle d’acciaio e con uno scatto felino arrivò ad azzannare la
coscia prescelta. Con la forza della disperazione e con uno strattone da
forsennato, scisse il malcapitato pollastro in due parti: il mezzo pollo
asportato (stretto fra i denti), tutto per sé e il mezzo pollo (rimasto
infilzato allo spiedo), per i legittimi padroni. Quando la gente s’accorse del
ladrone, dette in grida furibonde: “Orco cane, figlio di cane, diavolo cane,
brutta bestia, delinquente, a morte”! Nello stesso momento, passando ai fatti,
la gente gli gettò addosso tutto il pane vecchio di qualunque tipo fosse
compresi i tozzi d’avanzo e le fette di polenta seccatasi. Tutte queste cose
gli erano gettate addosso come se fossero state dei sassi e, anche, volarono
pezzi di legno da brucio, pannocchie, cipolle, coltelli, bottiglie, scope,
forchette, una teglia priva di manico, una pentola ammaccata, il soffiatore di
ferro del caminetto e perfino fu scaraventata una sedia con una gamba spezzata.
Il nostro ‘eroe’, però, con le ali alle zampe, più svelto di un’anguilla,
sgusciò via in un battibaleno e fattacela a scantonare il pilastro del cancello
della recinzione della corte della casa, ormai lontano dai suoi inseguitori, si
sentì salvo, intero, felice seppur stremato. Corri corri, finalmente giunse
alla sponda di un lago. Il ‘soma’ (corpo) stava allo stremo delle forze e
avrebbe voluto riposarsi, ma lo ‘spirito’ (il cervello) non conosce stanchezza
e parlava suadente alle sue orecchie. Il cane, con i giramenti di testa,
ascoltava senza però mai mollare il boccone stretto fra le mascelle. Fattosi
novello ‘stoico’, resistendo ai morsi della fame, fece suo il programma della
sua parte più nobile (il cervello che non si dava un attimo di requie) e se
dispose come un robot. “Benone, bravo, coraggio, richiama tutte le tue forze
(diceva la suadente vocina) va di là del lago e gustati il tuo mangiare, un
boccone per volta, masticandoti la carne con gusto e… buon appetito”! Il nostro
cane, con tutta l’attenzione e molto lentamente per non far fare crespe
all’acqua, s’immerse tenendo il suo ‘trofeo’ ben in alto, un po’ più al di
sopra del pelo dell’acqua. Infatti il cane, da buongustaio voleva salvare tutto
l’unto che insaporiva la pelle del pollo. L’acqua di quella laguna era proprio
limpida, cristallina, azzurrina, trasparente, immacolata, potremmo dire
vergine. Per farla breve, potremmo affermare che era come uno specchio. Nuota e
nuota, giunto nel bel mezzo del laghetto, sospettando (la prudenza non è mai
troppa) che ci fosse lì attorno un qualche manigoldo con brutte intenzioni di
portargli via il pasto, dette un’occhiata a tutto il circondario. Controllato
l’orizzonte lontano, ispezionato il tutto torno via, tornò a se stesso e…
caspita, che cosa vede mai? Gesù Maria, vide un altro cane e anche costui
stringeva un mezzo pollo fra le sue mascelle. Il suo cervello sempre all’erta,
ne pensò un’altra nuova di zecca e, quale ‘Eva’ novella, gliela bisbigliò: “Tu
hai mezzo pollastro. Quel lestofante ha anch’esso mezzo pollastro. Mezzo
pollastro più mezzo pollastro fa un pollastro intero. Se tu glielo porti via,
tu ti trovi un pollo intero, tutto per te. Ascolta attentamente quello che ti
dico: prendilo!” L’ingordo cane, inebriato da queste mire, si abbaiò in petto:
“Pancia mia, fatti capanna”! Esso spalancò le ganasce per acchiappare quello
che vedeva ma… per Bacco, il suo ‘tesoro’ colò a picco come un sasso. Poverino,
serrando le mandibole non pizzicò alcunché fra i denti e per di più erano
svaniti anche i due mezzi polli! Con una rassettata della zampa, si pulì le
palpebre per controllare se, caso mai, si era formata qualche cispa o se
soffrisse di traveggole. Tutto stordito spalancò gli occhi e la bocca e guardò
l’altro cane e, maledizione, anche costui aveva la bocca aperta e gli occhi
appannati, come quelli di uno scimunito. Che rabbia! Si morsicò la lingua, la
coda e, se avesse potuto, anche la propria testa! Quindi, con il cuore
affranto, si disse: “Ad restim res redit”! (Altro non mi resta che andar ad
impiccarmi!). Ma, sfortunato infelice, perché aggiungere sofferenza alla sua
già tanta sofferenza, che aveva ricominciato a mordergli lo stomaco? Pian
piano, lemme lemme riprese a nuotare per arrivare alla sponda e, una volta appoggiate
le zampe a terra, tanto per far qualcosa, si dette un energico scrollo per
levare l’acqua dal pelo e, dopo, con la coda fra le gambe andò a rintanarsi in
un luogo nascosto ove poter dar sfogo alla rabbia e alla delusione per una
mangiata mancata che, forse, mai più avrebbe assaporato!
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