11 IL GIOCO NEL FIENILE
Eh
sì, da bambini basta poco per divertirsi con giochi, che non abbisognano
d’alcun soldo, perché tutto può diventare giocattolo! Noialtri, tra cugine,
cugini e i ragazzi della contrada saremo stati una ventina. Il gruppo, formato
dai maschietti e dalle femminucce, era ben composito. Quando era necessario
prelevare dal fienile il fieno da dar da mangiare alle bestie in stalla, se
qualcuno proponeva l’idea di questo gioco, tutti gli altri si univano. Il gioco
nel fienile consisteva nel far scivolate dalla parte soprastante del fienile
lasciandosi cadere, a peso morto e attraverso un foro (detto bocarolo o fenarolo1) sopra il
mucchio sottostante di fieno appena buttato giù nella stalla. Correndo a più
non si può e arrampicandosi sui pioli della scala lunga, sistemata nel
sottoportico, si compivano dei girotondi: giù sopra, giù sopra e via così,
assommando gran quantità di capriole. Il fienile vero e proprio era
l’accatastamento della scorta di fieno che, raccolto dai prati, era sistemato
lì, ben coperto e all’asciutto. Due volte il giorno si buttava giù, attraverso
il foro apposito, quel tanto di fieno sufficiente per sfamare le bestie per
mezza giornata. Qualche volta i ragazzi, lasciati a casa da soli perché i
grandi dovevano recarsi a terminare i lavori nei campi, avevano il compito di
distribuire il fieno nelle greppie delle bestie. Ecco l’occasione favorevole
per giocare. Appena conclusa l’operazione di buttare giù il fieno con la forca
dal soprastante fienile alla sottostante stalla, poiché s’era formato un gran
mucchio di morbido fieno, prima di ripartirlo nelle mangiatoie delle bestie, era
giunto il momento propizio per giocare lasciandosi scivolare attraverso
l’apposito foro come se si fosse delle palle di gomma. Una volta realizzata la
giravolta sopra il mucchio di fieno ammassato nella stalla, tutti frettolosi
nuovamente si correva, servendosi della scala lunga, nella parte soprastante
per eseguire un’altra bravata. Il tutto era come una buriana, più che al circo.
Ad ogni corsa, ci s’imbrattava sempre più del tritume del fieno, che, trovando
la colla del sudore, s’impastocchiava sulla faccia e sulla pelle come una
seconda sottile epidermide. Il più bravo era quello più svelto, il quale,
correndo più celermente, anca dando spintoni o facendo lo sgambetto ai vicini,
effettuava più capriole. Ricordo che cercavo sempre di stare a seguito di una
mia ‘fiammetta’, così che, quando saliva sulla scala a pioli, le vedevo le
mutandine. Che cosa vuoi: insipienti peccati di gioventù acerba! Si correva, si schiamazzava, si rideva,
si incespicava, si sudava. Alla fine, dopo svariate slittate, sembravamo maschere
impiastricciate di polvere. Quando, sempre troppo presto, arrivava un adulto,
questo ci apostrofava dicendoci se eravamo diventati matti. Il fattaccio si
concludeva sempre con una severa paternale. Poi ci si recava a lavarci dal
pulviscolo impiastricciato sotto il getto del cannello della pompa dell’acqua,
che si trovava nell’aia e, lì, si dava inizio alla gara di chi più e più
velocemente manovrava la grossa impugnatura della pompa idraulica. Fine del
gioco! Al vincitore o alla vincitrice non spettava né coppa, né medaglia, né
lecca-lecca, né caramella, né contentino ma solamente la soddisfazione
d’asserire: “Ho vinto io!”
|