20 MARTINO, IL
PUNTO E LA CAPPA*
Raccontala così, raccontala cosà,
raccontala come la vuoi raccontare, sta che, quella volta, lo sfortunato
Martino, per colpa di un punto, perse la ‘cappa’! Adesso vi racconto come si
svolsero i fatti.
Era il tempo che numerosi gruppi
di pii pellegrini si recavano a Roma, partendo da tutti i paesi del mondo.
Minuti o numerosi che fossero questi aggruppamenti di pellegrini, di giorno,
dovevano pur mangiare qualcosa e, di notte, dovevano pur dormire in qualche
luogo. Per prestare assistenza a questa pia gente, molti monasteri di monaci e
di monache, mettevano a disposizione di questi bravi cristiani i propri
conventi affinché potessero rifocillarsi, mangiare una minestra calda, mettere
sotto i denti un pezzo di pane e dormire al riparo di un tetto. Bene! In uno di
questi numerosi conventi viveva un certo fra Martino, il quale non era una cima
di scienza ma, quando eseguiva un impegno qualsiasi, lo compiva con tutti i
sentimenti, come meglio poteva e con tutta la buona volontà. In questo
convento, nel quale viveva il nostro fra Martino, era pervenuta la notizia che,
da lì a qualche giorno, sarebbe giunta una tale quantità di pellegrini da poter
creare problemi d’ospitalità. Il frate priore di questo convento, era pieno di
brio e si adoperava che più non avrebbe potuto, ma, siccome anche lui aveva
solamente due braccia come tutti a questo mondo, non gli era possibile fare
miracoli ed, allora, assegnò un incarico a fra Martino dicendogli: “Scrivi
bene, chiaro, grande e in bella vista sopra il portale del convento AGLI
ONESTI. CHIUSO AI DISONESTI. Mi
raccomando, scrivi tutto corretto e non confonderti! Fra Martino, più felice di
una Pasqua per aver avuto assegnato un compito tanto delicato, vale a dire, di
scrivere una frase tanto importante, prese un barattolo pieno di colore ben
fresco, scelse il pennello meno consumato e, come se fosse stato il beato
Angelico, iniziò a scrivere, una per una, le lettere della scritta avuta dal
suo frate priore. Adesso, personalmente, non saprei dirvi con precisione se fu
perché gli girava la testa per l’emozione dell’incarico delicato o se fu, come
appena detto, perché non era una gran cima o se fu per colpa di una pura
distrazione, in ogni caso, prescindendo da quello che può essere stato, resta
che, una volta completata la dicitura, si leggeva così AGLI ONESTI CHIUSO. AI DISONESTI. Guarda un po’ te, come pervenne
il primo gruppo di pii pellegrini, questa brava gente si fermò, lesse la
cubitale scritta, sgranò gli occhi, si percosse il petto ragionando più o meno
così: “Noi, poveri peccatori, stiamo recandoci a Roma per implorare il perdono
dal Papa per i nostri peccati. Fintantoché non avremo ricevuto l’assoluzione,
siamo sempre dei peccatori e, se siamo dei peccatori, vuole dire che siamo
disonesti. Mea culpa, mea culpa mea massima culpa” e, anche se fiacchi stravolti,
riprendevano il cammino con il passo fiacco andando a cercare un altro luogo,
che offrisse loro ospitalità. Per tale fatto, nessuno entrava nel convento e il
frate priore era del tutto costernato perché, ormai, la minestra si era
completamente raffreddata, anzi, era divenuta una sbobba rafferma. Egli
ripeteva sconfortato: ‘Domattina dovrò gettarla nel truogolo dei maiali’.
Fattosi buio, arrivò una masnada di ceffi dei quali non saprei dirvi di peggio,
altro che i ‘bravi’ capeggiati dal ‘Griso’, quel gran delinquente di manzoniana
memoria. Cari miei, questi tipi entrarono nel refettorio con gran baldoria
sbraitando come se fossero i padroni del convento e pretesero il mangiare e il
bere senza usare la benché minima forma di buona educazione come: per piacere...
o qualcosa del genere. Eh sì, anche un cieco avrebbe capito che si trattava di
una banda di senza Dio! Sarà stato perché se non si mangiava la minestra, essa
si sarebbe deteriorata, sarà stato perché i frati, poverini, erano stati presi
da gran paura, sta che il frate priore, i frati anziani e i fraticelli novizi
e, anche, il nostro fra Martino, servirono, di tutto punto, questi prepotenti
maleducati. Il frate priore, con il cuore a pezzi, trascorse la notte in bianco
sgranando il santo rosario e si chiedeva ad ogni posta: “Ma com’è questa
storia, che non riesco a capire, che tutti i pellegrini si fermano davanti al
portone, sgranano gli occhi, impallidiscono, si danno al pianto, si percuotono
il petto e si allontanano a testa bassa”. La mattina seguente, di buonora, si
recò all’esterno del convento e si fermo esattamente nel punto nel quale si
fermavano i pellegrini. Infatti, poverino, voleva scoprire il perché di questo
gran mistero. Bene, guardando la scritta, riportata sopra il portale, lesse: AGLI
ONESTI CHIUSO. AI DISONESTI. Mamma mia e mamma cara, per il nostro povero
priore fu come se avesse ricevuto una violenta botta sulla testa e, vedendo
scintillare tutte le stelle del cielo, finalmente comprese l’oscuro mistero
ormai più chiaro del sole. Sollevò la tonaca per non inciampare, corse come un
pallettone all’interno del campanile e, afferrata la corda della campana più
grossa, tirando con tutte le forze, la fece scampanare che di più non si
sarebbe potuto. Tutti i frati si precipitarono in chiesa con il fiatone e si
domandavano trasecolati se stava per cadere il mondo. Lì, in chiesa, arrivò
anche il nostro fra Martino. In due parole secche e chiare, il frate priore
spiegò ai confratelli il mistero del perché i pellegrini si allontanavano con
le facce deluse e le teste tintinnanti.
E così, per colpa di quel punto
messo fuori posto, tutti i confratelli, pervasi da ‘santa indignazione’, videro
rosso e, persa la ‘santa pazienza’, presi da ‘santa ragione’, con ‘santa
giustizia’ in quattro e quattr’otto spogliarono l’incauto Martino della ‘santa
cappa’ mandandolo, senza misericordia e nessuna remissione, a ciùpese1.
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