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Antonio Balsemin
Ve conto…

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  • 15        LA BEFANA ED UN MIO PIANTO
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15        LA BEFANA ED UN MIO PIANTO

 

La befana vien di notte,

con le scarpe tutte rotte,

col vestito alla romana

ciao, ciao bella befana!

Questo è l’inizio della filastrocca natalizia dell’Epifania e ricordo che i ragazzi a scuola, per strada, in casa, la ripetevano di continuo. Forse non si conoscevano altre filastrocche da recitare, salvo qualche vecchia poesia imparata a memoria e, così, questa ‘musica’ si udiva ovunque si fosse. Però, c’era un però, perché i ragazzi più piccoli recitavano queste parole con totale convinzione, ma i ragazzi più grandi scuotevano la testa o manifestavano compatimento o ridevano di nascosto o dicevano chiaro e tondo che la befana era soltanto la mamma di ciascuno. I ragazzi più smaliziati capivano e non solamente mai più avrebbero canterellato la filastrocca ma, a loro volta, avrebbero preso in giro coloro che non avessero quanto prima aperto gli occhi. Se passiamo dagli altri a me, personalmente sono sempre stato (ed ancora lo sono) un credulone perché, avendo sempre seguito il detto ‘ciascun dal proprio cuor l’altrui misura’, mi è di continuo sembrato (ed ancora mi sembra) che sia impossibile che uno nella propria mente pensi un’idea e con la bocca ne dica un’altra. Naturalmente, ‘chi è nato quadrato, non può morire tondo’ e, anche, si afferma che il mondo è diviso in due parti, una formata da quelli che prendono in giro e quell’altra da quelli presi in giro! Meriti o demeriti, prima tu ti svegli, prima t’appropri il tuo posto perché per tutti vale il detto ‘chi dorme non piglia pesci’ e se una volta arrivato trovi tutti i posti occupati, non ti resta che accontentarti di ciò che è rimasto vuoto e da questo posto si srotolerà la tua vita che, nel bene o nel male, seguirà il detto ‘il mondo è dei furbi’ e tutti sanno che il ‘mondo’ rappresenta il ‘danaro’ e che i furbi sono coloro che se ne appropriano. Nel tralasciare i proverbi e le malinconie, ritorno al tema di ciò che volevo raccontarvi di quando ero bambino e si stava avvicinando la festa dell’Epifania. Tutti gli adulti erano d’accordo nel dire e ridire ai giovanissimi che la befana era una vecchietta che veniva non si sapeva da dove, che era vestita con vesti lacere, che si spostava a cavalcioni di un manico di una scopa, che aveva un gran cappello in testa, che aveva le scarpe rotte, che, sopra le spalle, portava un gran sacco pieno di regali per i bambini buoni e di carbone per i bambini cattivi. Tutti i ragazzini rimanevano estasiati quando a loro si raccontavano questi fatti e se, con gli occhietti sgranati e le guance rosse avessero formulato spiegazioni molto difficili, a queste loro domande si assicurava che le risposte giuste sarebbero state date con i regali trovati all’interno de la calza. Man mano che questi bambini crescevano in età, ognuno per conto proprio scopriva chi era la befana e una volta messo il cuore in pace pensava ad altro. Personalmente mi ero intestardito che la befana non fosse la mia mamma, ma una vecchietta che, durante la notte ed una volta l’anno, veniva a far visita ai bambini nella loro casa. Questa fiducia era rimasta per me una certezza intaccabile ma, dai e dai, siccome erano in tanti a dirmi di scaltrirmi e finalmente aprire gli occhi, una sera, quando stavo per coricarmi e, come tutte le sere, una volta ben rimboccate le coperte sopra le mie spalle la mamma stava per farmi il segno della croce sulla fronte con un dito intinto nell’acqua santa, le domandai se era, sì o no, la befana. Lei, stringendo le mie manine nelle sue mani, mi disse sì. Allora scoppiai in un pianto dirotto e solamente le carezze della mamma-befana riuscirono pian piano a calmare i singulti cullandomi verso un sonno ristoratore.

 




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