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Antonio Balsemin Ve conto… IntraText CT - Lettura del testo |
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17 LA STORIA LUNGARELA
Mi ricordo che, quando ero bambino, si raccontavano tante storie: storie belle che ti sollevavano il morale e ti facevano ridere, storie tristi che ti angustiavano il cuore e ti crucciavano fino a farti piangere, storie brevi, storie lunghe e storie tanto lunghe, che erano raccontate in più volte. Tutti volevano ascoltare le storie e, se d’estate ci si radunava nella corte al fresco del venticello, d’inverno ci si raccoglieva nella stalla al calduccio dell’alito delle bestie. Questi incontri erano detti el filò1. Chi narrava la storia, quando si metteva a parlare, era guardato con lo stesso rispetto di un prete e nessun avrebbe osato intromettersi e tutti ascoltavano con le orecchie tese e gli occhi lucidi. Nelle sere di gran freddo o, addirittura, ghiacciate, si stava volentieri chiusi all’interno della stalla addolcita dal tepore degli animali, che ruminavano in continuazione e sembravano intendessero per filo e per segno quello che si stava raccontando. Se, quando si svolgeva el filò nell’aia o nella stalla si era in tanti, in casa propria, invece, ogni bambino desiderava che o il babbo o la mamma raccontassero una storia, tutta per lui. Non era gran che importante che la storia fosse nuova e mai raccontata perché, se era risaputa, bastava cambiare qualche parola ed i bambini l’avrebbero ascoltata con gran piacere assopendosi contenti e felici. A casa mia chi poteva raccontare le storie erano solamente papà o mamma e, se la mamma era ben disposta a narrare storie, il babbo non era tanto incline a farlo. Così, quando insistevo molto, per zittirmi, finiva per sciorinare la storia della storia lungarela2. Adesso vi racconto di come andavano i fatti e la ‘trama' di questa storia particolare. A seguito delle mie insistenze, papà, soprannominato Nani (dim. di Giovanni), diceva: "Vuoi che ti racconti la storia della storia lungarela’?” “Sì, raccontamela!” “Non bisogna che tu dica: ‘Sì, raccontamela’, perché la storia lungarela è corta ed è bella, ha il cappellino in crò3, vuoi che te la racconti sì o no?” Io, tutto infastidito: “Ma se ti ho detto sì, perché non me la racconti?” “Non bisogna che tu dica: ‘Ma se ti ho detto sì, perché non me la racconti’, perché la storia lungarela è corta ed è bella, ha il cappellino in crò, vuoi che te la racconti sì o no?” A questo punto, io che credevo di aver capito lo sbaglio dicevo: “No, non raccontarmela”. “Non bisogna che tu dica: ‘No, non raccontarmela’, perché la storia lungarela è corta ed è bella, ha il cappellino in crò, vuoi che la racconti sì o no?” A questa sua risposta, io che ero convinto d’aver intuito il trucco, per farmela raccontare dicevo: “Prima ti ho detto di sì, dopo ti ho detto di no, che cosa devo dirti perché me la racconti?” E lui, con un leggero sorriso malizioso sotto i baffi: “Non bisogna che tu dica: “Prima ti ho detto di sì, dopo ti ho detto di no, che cosa devo dirti perché la racconti?”, perché la storia lungarela è corta ed è bella, ha il cappellino in crò, vuoi che la racconti sì o no?” Con tali risposte sempre a vuoto, iniziavo a smaniare, diventavo rosso come un peperone, mi prendeva il pianto e non sapevo più che cosa dire e che cosa fare. Per fortuna s’intrometteva la mamma che, santa donna, come tutte le mogli d’allora avevano gran soggezione dei mariti ma, fattosi coraggio, diceva: “Giovanni, lascia in pace questo ragazzino, non vedi che sta per mettersi a piangere?” Quindi, voltasi verso me: “Vieni qua, Tonino, ché ti racconto io una storia vera”. E, appena terminato di rimboccarmi le coperte del letto, dava inizio al racconto di una delle due storie che conosceva: quella di Cappuccetto rosso o quella di Pinocchio. Chissà mai quanto le sarebbe piaciuto saperne di più per potermele raccontare, ma, poveretta, altre non ne conosceva! “Chi s’accontenta, gode”, sostiene un vecchio proverbio e io, piuttosto del niente, mi accontentavo di quel poco lì e pian piano, quietamente e senza accorgermene, mi trovavo addormentato.
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1 ‘filò’ s. m. = it., veglia. Il termine filò è d’impossibile traduzione in lingua italiana in unico vocabolo ed è, anche, difficile da capire o da interpretare per chi non lo ha mai vissuto. Il termine filò, vorrebbe indicare ‘la veglia (un passatempo, un chiacchierare) che nei tempi trascorsi solitamente era vissuta all’interno di una stalla o d’altro luogo protetto’. 2 ‘lungarela’, agg. = it., ‘lunghetta - piuttosto lunga - sul lungo ma non molto’. Anche questo termine (trattasi di un aggettivo, che qualifica il vocabolo ‘storia’ s. f.) è difficile a tradursi in lingua italiana e, come indicazione, riporterei ‘storia piuttosto lunga’. 3 ‘crò’. Anche per me vèneto vecio, il vocabolo ‘crò’ resta un po’ vago, nel senso che potrebbe significare: 1) capelin in zó (capellino abbassato o fortemente calcato o volutamente spiaccicato) oppure 2) capelin sbassà (capellino che copre la fronte nascondendo gli occhi) oppure 3) capelin messo de storto (capellino messo di traverso, messo alla carlona o alla garibaldina). |
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