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Antonio Balsemin Ve conto… IntraText CT - Lettura del testo |
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20 MARTINO, IL PUNTO E LA CAPPA*
Raccontala così, raccontala cosà, raccontala come la vuoi raccontare, sta che, quella volta, lo sfortunato Martino, per colpa di un punto, perse la ‘cappa’! Adesso vi racconto come si svolsero i fatti. Era il tempo che numerosi gruppi di pii pellegrini si recavano a Roma, partendo da tutti i paesi del mondo. Minuti o numerosi che fossero questi aggruppamenti di pellegrini, di giorno, dovevano pur mangiare qualcosa e, di notte, dovevano pur dormire in qualche luogo. Per prestare assistenza a questa pia gente, molti monasteri di monaci e di monache, mettevano a disposizione di questi bravi cristiani i propri conventi affinché potessero rifocillarsi, mangiare una minestra calda, mettere sotto i denti un pezzo di pane e dormire al riparo di un tetto. Bene! In uno di questi numerosi conventi viveva un certo fra Martino, il quale non era una cima di scienza ma, quando eseguiva un impegno qualsiasi, lo compiva con tutti i sentimenti, come meglio poteva e con tutta la buona volontà. In questo convento, nel quale viveva il nostro fra Martino, era pervenuta la notizia che, da lì a qualche giorno, sarebbe giunta una tale quantità di pellegrini da poter creare problemi d’ospitalità. Il frate priore di questo convento, era pieno di brio e si adoperava che più non avrebbe potuto, ma, siccome anche lui aveva solamente due braccia come tutti a questo mondo, non gli era possibile fare miracoli ed, allora, assegnò un incarico a fra Martino dicendogli: “Scrivi bene, chiaro, grande e in bella vista sopra il portale del convento AGLI ONESTI. CHIUSO AI DISONESTI. Mi raccomando, scrivi tutto corretto e non confonderti! Fra Martino, più felice di una Pasqua per aver avuto assegnato un compito tanto delicato, vale a dire, di scrivere una frase tanto importante, prese un barattolo pieno di colore ben fresco, scelse il pennello meno consumato e, come se fosse stato il beato Angelico, iniziò a scrivere, una per una, le lettere della scritta avuta dal suo frate priore. Adesso, personalmente, non saprei dirvi con precisione se fu perché gli girava la testa per l’emozione dell’incarico delicato o se fu, come appena detto, perché non era una gran cima o se fu per colpa di una pura distrazione, in ogni caso, prescindendo da quello che può essere stato, resta che, una volta completata la dicitura, si leggeva così AGLI ONESTI CHIUSO. AI DISONESTI. Guarda un po’ te, come pervenne il primo gruppo di pii pellegrini, questa brava gente si fermò, lesse la cubitale scritta, sgranò gli occhi, si percosse il petto ragionando più o meno così: “Noi, poveri peccatori, stiamo recandoci a Roma per implorare il perdono dal Papa per i nostri peccati. Fintantoché non avremo ricevuto l’assoluzione, siamo sempre dei peccatori e, se siamo dei peccatori, vuole dire che siamo disonesti. Mea culpa, mea culpa mea massima culpa” e, anche se fiacchi stravolti, riprendevano il cammino con il passo fiacco andando a cercare un altro luogo, che offrisse loro ospitalità. Per tale fatto, nessuno entrava nel convento e il frate priore era del tutto costernato perché, ormai, la minestra si era completamente raffreddata, anzi, era divenuta una sbobba rafferma. Egli ripeteva sconfortato: ‘Domattina dovrò gettarla nel truogolo dei maiali’. Fattosi buio, arrivò una masnada di ceffi dei quali non saprei dirvi di peggio, altro che i ‘bravi’ capeggiati dal ‘Griso’, quel gran delinquente di manzoniana memoria. Cari miei, questi tipi entrarono nel refettorio con gran baldoria sbraitando come se fossero i padroni del convento e pretesero il mangiare e il bere senza usare la benché minima forma di buona educazione come: per piacere... o qualcosa del genere. Eh sì, anche un cieco avrebbe capito che si trattava di una banda di senza Dio! Sarà stato perché se non si mangiava la minestra, essa si sarebbe deteriorata, sarà stato perché i frati, poverini, erano stati presi da gran paura, sta che il frate priore, i frati anziani e i fraticelli novizi e, anche, il nostro fra Martino, servirono, di tutto punto, questi prepotenti maleducati. Il frate priore, con il cuore a pezzi, trascorse la notte in bianco sgranando il santo rosario e si chiedeva ad ogni posta: “Ma com’è questa storia, che non riesco a capire, che tutti i pellegrini si fermano davanti al portone, sgranano gli occhi, impallidiscono, si danno al pianto, si percuotono il petto e si allontanano a testa bassa”. La mattina seguente, di buonora, si recò all’esterno del convento e si fermo esattamente nel punto nel quale si fermavano i pellegrini. Infatti, poverino, voleva scoprire il perché di questo gran mistero. Bene, guardando la scritta, riportata sopra il portale, lesse: AGLI ONESTI CHIUSO. AI DISONESTI. Mamma mia e mamma cara, per il nostro povero priore fu come se avesse ricevuto una violenta botta sulla testa e, vedendo scintillare tutte le stelle del cielo, finalmente comprese l’oscuro mistero ormai più chiaro del sole. Sollevò la tonaca per non inciampare, corse come un pallettone all’interno del campanile e, afferrata la corda della campana più grossa, tirando con tutte le forze, la fece scampanare che di più non si sarebbe potuto. Tutti i frati si precipitarono in chiesa con il fiatone e si domandavano trasecolati se stava per cadere il mondo. Lì, in chiesa, arrivò anche il nostro fra Martino. In due parole secche e chiare, il frate priore spiegò ai confratelli il mistero del perché i pellegrini si allontanavano con le facce deluse e le teste tintinnanti. E così, per colpa di quel punto messo fuori posto, tutti i confratelli, pervasi da ‘santa indignazione’, videro rosso e, persa la ‘santa pazienza’, presi da ‘santa ragione’, con ‘santa giustizia’ in quattro e quattr’otto spogliarono l’incauto Martino della ‘santa cappa’ mandandolo, senza misericordia e nessuna remissione, a ciùpese1.
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* Racconto molto vecchio, da me liberamente rivisitato.
1 ciùpese, ciùnpese f. avv., m. d. d. = it., un luogo qualunque, qualsiasi luogo. Va a ciùpese = Va a farti benedire / Va in malora / Va via / Sparisci. |
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