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Antonio Balsemin Ve conto… IntraText CT - Lettura del testo |
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24 GIOVANNINO*
Ricordo Giovannino come un vecchietto simpatico, che pensava ai fatti propri, che era molto magro, che era tutto pelle e ossa. Pareva che vivesse in continua ciucca, da un bicchiere ad un altro, cominciando di mattina, di buonora. La prima libagione era per bagnarsi le labbra e per svegliarsi, la seconda per rinfrancare il morale, la terza per ritemprare le forze e, via così, con una scusa o con un’altra, per tutto il giorno. Tutti i ‘prosit’ erano fatti negli stessi posti, nelle medesime osterie, quando faceva i suoi quattro passi. Si raccontava che non possedesse casa propria e dormiva, così si raccontava, nel vecchio lazzaretto, coricato sopra un pagliericcio a sua volta messo sopra un materasso imbottito con crine vegetale. Credo che non possedesse mai un solo spicciolo, ma non l’ho mai visto chiedere la carità. Aveva un modo di fare e di dire come quello di uno che avesse studiato o che fosse stato di buona famiglia. L’ho sempre visto con addosso allo stesso abito, con la giacca sempre sbottonata, i pantaloni di una misura in più, la camicia sempre aperta, i calzini (qualche volta li calzava, qualche volta no) fuoriuscivano dai vecchi scarponi, che avevano i lacci allentati o slegati e la linguella di cuoio sempre sporgente. Tutti malignavano che, a forza di bicchieri e bicchieri, si era giocato il cervello. Mai l’ho visto senza cappello, che, per quanto fosse unto e bisunto, lo aveva sempre addosso. Alle volte sembrava che reputasse il suo cappello una persona, perché lo levava dalla testa, lo teneva sospeso con una mano ed iniziava a discorrere con esso, come se fosse un cristiano. Tutti, anch’io, quando gli si passava davanti ci si fermava un breve spazio di tempo per osservarlo. A tutti faceva compassione, però, più di qualcuno lo derideva. Tutte le volte che gli passavo davanti lo guardavo e lui mi guardava come domandandomi se volevo qualcosa o se volevo dirgli qualcosa. Aveva gli occhi sempre semichiusi e sembrava stesse in un continuo dormiveglia. Poiché nessuno di noi due fiatava, allora, si metteva a borbottare e se non mi allontanavo, alzava la voce e diceva: “Guarda, passa e non ti curar di loro!” Io lo guardavo e lo ascoltavo e lui, apriva un po’ di più gli occhi e alzando una mano, nuovamente ripeteva la frase. A questo punto, se non me ne andavo, egli faceva l’atto d’alzarsi, come per rincorrermi e picchiarmi. Spalancava al massimo le palpebre, faceva roteare i bulbi degli occhi infuriati e nuovamente ripeteva con voce irata: “Guarda, passa e non ti curar di loro!” A questo punto me la filavo a gambe levate, perché pareva proprio che, se mi avesse raggiunto, me le avrebbe suonate di santa ragione. Tutti assicuravano che il suo sangue era il vino, quello d’alta gradazione e puro. Infatti, non voleva saperne, assolutamente, del vino annacquato e tanto meno del vinello ottenuto aggiungendo acqua alle vinacce. Se il vino non lo beveva, lo mangiava inzuppando pezzi di pane vecchio o pezzi di pane biscottato in una scodella. Questo vecchietto mingherlino, tutto stoffa ed ossa, mi faceva tanta simpatia e, devo affermare la verità, anche tanta compassione. Pareva che di vivo avesse soltanto le labbra, che erano sempre tremolanti. I suoi occhi sembravano statici, come se fossero di vetro o annebbiati. Da allora ad oggi sono passati oltre cinquant’anni, eppure ancora ricordo Giovannino e, soprattutto, ricordo quel barlume di luce, che i suoi occhi emanavano quando mi fissavano insistenti: pareva volesse raccontarmi qualcosa d’importante di lui.
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* Il ricordo di un ‘personaggio’ triste ma simpatico. |
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