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Silvano Tomasi – Gianfausto Rosoli
Migrazioni moderne

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III

 

I vantaggi che possono arrecare gli accennati provvedimenti legislativi sono evidenti, o signori, né io vi insisterò, ma è del pari evidente che le leggi non bastano per sanare le piaghe che affliggono la nostra emigrazione, perché alcune di esse sono alla natura dell’emigrazione stessa inerenti, altre derivanti da cause remote, che sfuggono all’azione della legge. Quindi, anche con le migliori leggi del mondo e cogli agenti di essa numerosi e perfetti, non si arriverebbe ad estirpare quei mali. Di più, i Governi e i loro agenti sono vincolati da consuetudini e da riguardi internazionali, e certi provvedimenti o non possono usarli, o, usandoli, non farebbero che inasprire i mali che si vogliono curare.


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Ed è qui, o signori, che deve incominciare l’opera delle classi dirigenti; qui appunto, dove quella del Governo e della legge finisce, sconsigliando o dirigendo l’emigrazione, difendendola dagli agguati, circondandola di tutti quei conforti religiosi e civili che la rendono, contro i nemici, agguerrita e compatta, e, quasi dissi, invincibile, poiché in questo caso la sicurezza di ciascuno diventa sicurezza di tutti.

Signori, quale immenso campo schiuso innanzi all’attività del clero, e del laicato in queste semplici parole: dirigere e proteggere la emigrazione! Dirigerla e proteggerla, sia rendendo più intensa l’azione del Governo e della legge, sia surrogando le inevitabili manchevolezze dell’uno e dell’altra.

Ora, il dire che in questo decennio si è fatto nulla, sarebbe affermare cosa non conforme a verità, come non conforme a verità sarebbe il dire che si è fatto quanto si poteva e si doveva.

Le Società di protezione religiosa e civile che sorsero e si divisero per selezione spontanea questo nuovo campo di attività, grazie a Dio non mancano.

Nel campo economico si sono andate costituendo, in questi ultimi tempi, Società di indole diversa, ma che tutte associano all’interesse privato il benessere della emigrazione. Fra queste mi piace segnalare la Società di capitalisti costituitasi in Milano collo scopo preciso della colonizzazione all’estero per mezzo appunto de’ nostri emigranti. Io saluto con gioia queste nuove imprese, come sintomo di promettente risveglio della nostra attività colonizzatrice. L’intervento del capitale in cose riflettenti l’emigrazione è indispensabile quanto una buona legge, e non può mancare di procurare agli emigranti e a sé stesso larghi benefici.

L’Associazione Nazionale di soccorso ai Missionari italiani, di cui è anima il nostro professore Ernesto Schiaparelli, la Dante Alighieri che in altro campo tien vivo fra gl’italiani la patria favella, la Società di Patronato per l’emigrazione italiana, avente sede nella mia Piacenza, l’Istituto Cristoforo Colombo, Casa madre della Congregazione de’ Missionari di S. Carlo, sono istituzioni recenti e mirano tutte, più o meno direttamente, alla cura religiosa, civile e morale de’ nostri fratelli espatriati. Sono inizi confortevoli, germi promettitori. A noi, quanti siamo amanti del bene, il far sì che si sviluppino e crescano e diano fiori e frutti copiosi.

Non è vero che il Paese nostro sia apata, o peggio scettico; basta saperlo illuminare, interessare, infondergli la fiducia, oramai stracca in ogni cuore per le continue delusioni. Le Società or ora accennate ne sono una prova.


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Mi permetto di darvi alcuni dati statistici delle due istituzioni da me fondate e che trovaronolarghe e pronte aderenze nel clero e nel laicato.

Dieci anni di vita; diciannove Comitati disseminati nei vari centri d’Italia, ove più numeroso è l’esodo migratorio; la Casa Madre in Piacenza con Seminario per gli aspiranti alle Missioni; la Missione al Porto di Genova per l’assistenza agli emigranti, diretta dal mio infaticabile D. Pietro Maldotti.

Missioni al Nord-America, con chiese esclusivamente per gl’italiani: due a New-York, una in Cincinnati, in New-Haven, in Provvidence, in Boston Mass, in Cleveland, in Kansas City, in Meriden Conn, in Buffalo, in Siracusa N. Y., in Detroit Pen [recte Mich.].

Nell’America meridionale: Missione centrale in San Paolo, in Encantado, nella Nuova Bassano, in Capoeiras, tutte nella Diocesi di Porto Alegre; in Santa Felicitade, nella Diocesi di Curityba; in Nova Mantova e in Santa Teresa, nella Diocesi di Spirito Santo; un’altra finalmente a Nuova Helvezia nell’Argentina. Unitamente alle Missioni, parecchie scuole con ospedale e due orfanotrofii.

I Missionari, residenti in tutti questi luoghi, assistono, con periodiche visitazioni, le colonie italiane limitrofe.

Il modo con cui s’iniziò l’orfanotrofio di S. Paolo nel Brasile ha, direi quasi, del prodigioso.

A bordo della nave, su cui viaggiava un mio Missionario, il Padre D. Giuseppe Marchetti (già professore nel Seminario di Lucca), moriva una giovane sposa, lasciando un orfanello lattante e il marito solo, nella disperazione. Il Missionario, per calmare quel desolato, che minacciava di buttarsi a mare, gli promise di prendersi cura del bambino, e come promise fece. Giunse a Rio Janeiro, recando in collo quella innocente creaturina, e si presentò con essa all’esimio conte Pio di Savoia, allora Console Generale di quella città. Egli non poté dare al giovane Missionario che parole d’incoraggiamento, ma tanto bastò perché questi, bussando di porta in porta, arrivasse infine a collocare il povero orfanello presso il portinaio di una casa religiosa. Da quel momento l’idea di fondare a S. Paolo (dov’era arrivato) un orfanotrofio pei figli degl’italiani gli balenò alla mente, e con ingenti sacrifici riuscì a fondarlo di fatto. Conta ora quattro anni di vita, con 160 orfanelli e un martire che prega per loro in cielo, poiché le grandi fatiche sostenute costarono al pio e zelante Missionario la vita.

Sia pace e gloria a lui!

Tutto questo ch’io sono venuto dicendovi, o signori, è una prova di ciò che possa la Religione unita al sentimento di patria carità.

Religione e Patria! Sono questi pur sempre i due grandi amori inseriti


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dalla mano di Dio nel cuore dell’umanità, il motto scritto a caratteri di luce sul vessillo delle nazioni cristianamente civili. È all’ombra di questo vessillo immortale che i nostri padri pugnarono e vinsero. All’ombra di questo vessillo le fronti si levano serene, tacciono le ire, scompaiono le divisioni di parte, le destre fraternamente si stringono, riposano le famiglie, grandeggiano i popoli.

Religione e Patria! Signori, uniamoci tutti attorno a questo sublime ideale che, nell’opera tutrice della nostra emigrazione piglia, dirò così, forma e figura, e potremo sperare per l’Italia nostra giorni migliori, potremo sperare che si compiano sopra di lei, in tempo non lontano, i disegni di Dio.

Ancora una parola e finisco. Non sono molti anni, e negli Stati Uniti si fecero immani sforzi per americanizzare, se così posso esprimermi, gli emigrati delle varie nazioni europee. La Religione e la Patria piansero a milioni i loro figli perduti. Solo un popolo a quel violento tentativo di assimilazione seppe resistere, e fu quello che aveva scritto sulla sua bandiera: - la nostra chiesa, la nostra scuola, la nostra lingua. -

Non dimentichiamo questo fatto, o signori. Adoperiamoci anche noi, ciascuno a misura delle proprie forze, perché quanti sono italiani all’estero abbiano ad avere la stessa divisa, la stessa fermezza, lo stesso coraggio: per la Religione e per la Patria.




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