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Silvano Tomasi – Gianfausto Rosoli
Migrazioni moderne

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6. Spiritualità di servizio

 

L’impatto delle iniziative di Mons. Scalabrini suscitava interrogativi sui motivi che lo ispiravano. “Scalabrini si presenta, più che da agitatore politico, in veste di apostolo evangelico...vuole che non si dica che il prete italiano si chiude in un egoismo ascetico, si disinteressa delle questioni sociali, che travagliano in così  grave modo l’umanità.”36 È la missione della carità che muove all’azione nel mondo duro, di abbandono e di sfruttamento dei migranti. Il fondamento è la fede. “È certo che per codeste imprese occorre la fede; e noi l’abbiamo;” notava Mons. Scalabrini in un’intervista al Corriere della Sera nel 1901, “e mai fummo delusi.”37 Il senso di compassione e la volontà di trovare soluzioni pratiche ed efficaci spingevano ad agire con urgenza ed intensità, ma senza cadere nell’attivismo. La priorità e risorsa profonda dell’apostolato del missionario degli emigrati è per Mons. Scalabrini la coscienza di essere chiamato a far parte dell’opera redentrice di Cristo e di rimanere unito a Lui. “Finché dunque rimarrete in Lui,” scrive ai suoi missionari,”vi sentirete pieni di sovrumana energia e il frutto che riporterete non potrà essere che ubertoso e duraturo... E questa unione voi l’otterrete alimentando in voi, con gli esercizi continui di pietà, la fede, e mantenendo viva nel cuore la grazia.”38 Nelle lettere ai missionari ritorna quindi con insistenza il richiamo alla meditazione e alla preghiera, alla fiducia in Dio e alla santità. “Se io e tu, “ scrive Mons. Scalabrini a P. Zaboglio, “non ci facciamo santi, l’opera nostra cadrà o riuscirà inutile o quasi.”  “È certo che l’opera nostra sarà dal Cielo benedetta, se noi ce ne renderemo meritevoli con la santità della vita e con una intera fiducia in Dio.”39 La dimensione contemplativa della vita missionaria è strutturata da Mons. Scalabrini attorno ad alcuni punti essenziali: la


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fede, l’unione con Dio, il mistero della croce, l’imitazione di Cristo, la gloria di Dio. D’altra parte si tratta di una spiritualità incarnata nella quotidianità del servizio pastorale per cui i punti di riferimento diventano la povertà, l’unione con i confratelli, il vescovo e il papa, l’obbedienza ai Superiori religiosi e la generosità nel ministero verso i migranti. Perciò “i missionari devono essere interamente staccati dalle cose mondane, “dice Mons. Scalabrini, “e nel loro lavoro cercare tutto per gli altri e nulla per sé.”  Indica l’deale di missionario nei sacerdoti che offrirono l’opera loro per le missioni italiane e caddero sul campo. “I primi due,” ricorda Mons. Scalabrini, “ furono Don Giuseppe Molinari di Piacenza e Don Domenico Mantese di Vicenza; morti, l’uno e l’altro, di stenti e di fatiche, martiri dell’idea.” 40 Un altro esempio è il P. Giuseppe Marchetti morto a 28 anni a San Paulo, Brasile, fondatore dell’orfanatrofio italiano Cristoforo Colombo e co-fondatore delle Suore Scalabriniane, e che Mons. Scalabrini chiamaeroico...vero martire” della carità.41  Si trattava di formare dei missionari che in un  contesto di emarginazione e di povertà potessero continuare a promuovere il bene spirtuale e sociale degli emigrati sapendo che “per la via del Calvario si va al Cielo”, accettando “gli adorabili disegni di Dio,” proseguendo “con nobile e santa alacrità” e osservando esattamente le regole in modo “che tutti abbiano a spargere il buon odore di Cristo.”

Nella Regola del 1895 si coglie la sintesi che  Mons. Scalabrini  fa tra azione e contemplazione  per la vita dei suoi missionari tra gli emigrati: “Il Missionario, come operaio evangelico, deve ricordarsi d’essere obbligato a diffondere colla sua vita il buon odore di Cristo, a predicare il vangelo più con l’esempio che con la parola...Porranno per fondamento delle proprie azioni la grande massima: di non applicarsi mai tanto all’esercizio dell’Apostolico Ministero da trascurare la vita interiore, e di non abbandonarsi mai tanto alle dolcezze della vita interiore da trasandare l’esercizio dell’apostolico Ministero.” 42

 




36 Dalla Gazzeta Piemontese e riportato in Mons. Giovanni Battista Scalabrini Vescovo di Piacenza. Trent’anni di Apostolato: Memorie e Documentia cura di A. Scalabrini. Roma, 1909, p. 405



37 ”I missionari italiani al’estero,” Corriere della Sera, 1 giugno 1901 , in op. cit.., p. 366.



38 Giovanni Battista Scalabrini. Ai Missionari per gl’Italiani nelle Americhe. Piacenza: Tipografia vescovile Giuseppe Tedeschi, 1892, p. 5. Assieme alle Regole, questa lettera  di Mons. Scalabrini rivela sia la spiritualità personale del Vescovo che l’impronta che voleva dare ai suoi missionari : una pietà forte, essenziale ed ecclesiale a sostegno di uno zelo eroico. In quest’occasione propone loro come modello San Carlo Borromeo, “uno di quegli uomini di azione che non esitano...esempio meraviglioso di quell’impavida costanza, di quella generosa pazienza, di quell’ardente carità, di quello zelo illuminato, indefesso, magnanimo, di tutte quelle virtù che formano di un uomo un vero apostolo di GesùCristo.”



39 Scalabrini a Zaboglio, Piacenza 18 maggio 1891; Scalabrini a Zaboglio, Piacenza, 4 febbraio 1895. La corrispondenza tra Mons. Scalabrini e P. Francesco Zaboglio è conservata nell’Archivio Generale Scalabriniano e nell’Archivio del Seminario di Como.



40 Mons. Giovanni Battista Scalabrini Vescovo di Piacenza. Trent’anni di Apostolato...op. cit. , p. 363.



41 Scalabrini a Zaboglio, Piacenza, 12 aprile 1897.



42 Giovanni Battista Scalabrini, Regola della Congregazione dei Missionari di S.Carlo per gl’Italiani Emigrati. Piacenza: Tip. Vesc. G. Tedeschi, 1895. Cap. XIV, 1,2.






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