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Silvano Tomasi – Gianfausto Rosoli Migrazioni moderne IntraText CT - Lettura del testo |
II.L’emigrazione, sua necessità e utilità.
L’emigrazione è un fatto naturale, provvidenziale. È una valvola di sicurezza data da Dio a questa travagliata società; è una forza conservatrice assai più potente di tutti i compressori morali e materiali, escogitati e messi in opera dai legislatori per tutelare l’ordine pubblico e per guarentire la vita e la roba dei cittadini. È noto il proverbio: mala suadet fames. Chi potrebbe trattenere un popolo che scatta sotto le convulsioni del ventre, dato che non vi fosse la speranza di trovare altrove il pane quotidiano?
A quelli pertanto che, nel considerare le miserie cagionate dalla emigrazione, esclamano serenamente: e perché dunque tanta gente emigra? è facile il rispondere. L’emigrazione nella quasi totalità dei casi non è un piacere, ma una necessità ineluttabile. Senza dubbio fra gli emigranti vi sono anche cattivi soggetti, vagabondi e viziosi; ma costoro sono il minor numero. La immensa maggioranza, per non dire la totalità di coloro, che espatriano per recarsi nella lontana America, non sono di questa tempra; non fuggono l’Italia per aborrimento al lavoro, ma perché questo loro manca e non sanno come vivere e mantenere la propria famiglia.
Un eccellente uomo e cristiano esemplare d’un paesello di montagna, ove anni sono io mi trovavo in visita pastorale, mi si presentò a chiedere la benedizione ed un pio ricordo per sé e pe’ suoi di partenza per l’America.
Alle mie osservazioni egli oppose questo semplice, doloroso dilemma: o rubare o emigrare. Rubare né debbo né voglio, perché Dio e la legge me lo vietano; guadagnar qui il pane per me e pei figli non m’è possibile. Che fare adunque? emigrare: è l’unica risorsa che ci resta......
Non seppi che soggiugnere. Lo benedii commosso, raccomandandolo alla protezione di Dio, e una volta di più mi persuasi essere l’emigrazione
una necessità, che s’impone, quale rimedio supremo ed eroico, cui bisogna sottoporsi, come a dolorosa operazione si sottopone il paziente per evitare la morte.
La Religione e la emigrazione, ecco ormai i due soli mezzi che potranno per l’avvenire salvare la società da una grande catastrofe; l’una avviando su altri continenti il soverchio della popolazione, l’altra consolando di care speranze il dolore disperato degli infelici.
Coloro però che vorrebbero impedita o limitata l’emigrazione in nome di considerazioni patriottiche ed economiche, e quelli che la vogliono, in nome di una male intesa libertà, abbandonata a se stessa senza consiglio e senza guida, o non ragionano affatto o ragionano, a mio avviso, da egoisti e da spensierati. Infatti impedendola si viola un sacro diritto umano; abbandonandola a sé la si rende inefficace. I primi dimenticano che i diritti dell’uomo sono inalienabili e che quindi l’uomo può andare a cercare il suo benessere ove più gli talenti; i secondi, che l’emigrazione, una forza centrifuga può diventare, quando sia ben diretta, una forza centripeta potentissima. Oltre infatti recar sollievo a quelli che restano colla diminuita concorrenza delle braccia e coi nuovi sbocchi aperti al commercio, torna essa d’immenso profitto acquistando influenze, e riportando sotto mille forme i tesori di attività sottratti per un momento alla nazione.
La Grecia antica che trasse potenza e gloria dalle sue colonie sparse su tutte le coste del Mediterraneo, la Spagna che dopo la scoperta e la conquista dell’America toccò l’apogeo della sua grandezza, e l’Inghilterra che ha ne’ suoi vasti dominii dell’India una fonte inesauribile di forza e di ricchezza attestano la verità di queste mie parole.
Io avrei ben volentieri omesso queste considerazioni generali, poiché il discutere teoricamente, se sia l’emigrazione un bene o un male, è qui inutile, bastando al mio scopo di constatarne l’esistenza. Siccome però nelle ricerche che ho intraprese, per raccogliere i dati statistici e i fatti che servirono di base a questo mio breve lavoro, e nei discorsi famigliari, mi sono accorto di una grande confusione di idee su questo rapporto, non solo fra la borghesia e i privati, ma anche fra giornalisti e persone che si dedicano alla cosa pubblica, così le ho creduto, quelle considerazioni, non affatto inopportune.
Principalmente i proprietari di terre, ove l’emigrazione dei contadini è più numerosa, impensieriti da questo repentino impoverimento di braccia, che si traduce in un adequato aumento di mercedi per quelli che restano, hanno fatto sentire i loro lagni al Governo e per mezzo di deputati e di associazioni hanno chiesto provvedimenti «per sanare e circoscrivere questo morbo morale, questa diserzione, che spoglia il paese di braccia e di capitali fruttiferi, che fa rompere i patti colonici
e lascia dietro a sé la svogliatezza e la insubordinazione senza nessun vantaggio degli emigranti, perché i contadini privi di capitali e di cognizioni saranno sempre e dovunque proletarii, e la miseria che tentano sfuggire abbandonando la patria, li seguirà sempre come l’ombra del loro corpo aumentata da nuovi bisogni e dall’isolamento (Atti parlamentari, tornata 12 Febbraio 1869)
Come ognuno può facilmente rilevare, queste ragioni e questi consigli si ispirano più all’interesse degli agiati che restano, che ai bisogni de’ miseri che sono costretti ad andarsene, e se l’autorità prestasse loro facile orecchio e informasse l’opera sua a tali suggerimenti farebbe cosa inutile, ingiusta e dannosa. Inutile, perché non arriverebbe mai a sopprimere l’emigrazione; ingiusta, poiché ingiusto e tirannico è ogni atto che frappone ostacolo al libero esercizio di un diritto; dannosa, perché l’emigrazione prenderebbe altra via che non quella naturale dei nostri porti, come è avvenuto ogniqualvolta il Governo, per un malinteso spirito di patriottismo, ha reso difficile l’emigrazione. Così dopo la Circolare del Lanza la emigrazione clandestina crebbe assai in paragone della libera, e si videro gli emigranti prendere il passaggio sui porti esteri con grande danno della nostra marina e degli emigranti stessi, i quali, costretti a far le cose di nascosto, per sottrarsi ai rigori delle autorità, erano più facile preda alle ingorde speculazioni degli agenti di emigrazione.
Quanto sarebbe stato più umano, più civile, più patriottico, più conforme ai doveri delle classi dirigenti, e soprattutto più cristiano, il consigliare, l’indirizzare e premunire quegli infelici contro i pericoli che li attendevano sulla via lunga e dolorosa dell’esiglio!