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Silvano Tomasi – Gianfausto Rosoli Migrazioni moderne IntraText CT - Lettura del testo |
V.Condizione coloniale d’Italia.
Colonizzazione ed emigrazione furono per un certo tempo due fatti paralleli, che si sorressero ed afforzarono vicendevolmente e la cui integrazione accrebbe vigore, potenza e gloria ai popoli che li seppero compiere degnamente.
Ma queste due alte funzioni della vita sociale che procedettero fin qui appaiate, ora per necessità di cose debbono separarsi; e mentre l’emigrazione aumenta ogni dì più e tocca cifre non mai raggiunte, la colonizzazione, per mancanza di nuove terre da conquistare, deve limitarsi alla pura e semplice conservazione ed alla difesa dei diritti di primo occupante.
L’Italia non ha colonie, se pure non si vogliono credere tali quei due lembi di terra occupati sulle rive del Mar Rosso, e non è in grado di potersene procacciare senza patenti infrazioni di diritto internazionale e senza sanguinose contese. A questo proposito, osserva giustamente
il signor Brow generale inglese, in un suo recente scritto, pubblicato sulla Nuova Antologia: «L’italiano è un popolo troppo pratico per pascersi di ideali, e comprende d’essere venuto al mondo troppo tardi, per avere colonie ricche e largamente compensatrici, come ha l’Inghilterra. Ormai il mondo è preso e l’Italia non è ancora abbastanza forte e grande per ambire il posto degli altri... Per avere d’altra parte delle colonie occorrono uomini e danari; e l’Italia ha una emigrazione numerosa sì, ma troppo priva di quell’energia, di quello spirito di iniziativa, di quei capitali che sono assolutamente necessarii a fondare colonie. In tutto il suo governo deve mantenere un troppo grande spirito di economia, ed il trovarsi esposta in guerre, come la nostra di Abissinia nel 1867, le quali costino qualche centinaia di milioni, per la necessità di mantenere il suo prestigio coloniale, è un pensiero che mette paura a tutti.»
Dunque l’Italia non ha colonie e non sembra nella possibilità di procacciarsene dopo essere stata per secoli regina dei mari. Poche nazioni infatti hanno tradizioni coloniali come l’Italia. Le gloriose Repubbliche nostre del medio evo signoreggiarono successivamente in tutti i porti del Mediterraneo e dell’Adriatico, e le triremi di Amalfi, di Pisa, di Genova e di Venezia portarono la grandezza ed il terrore del nome italiano fra gli infedeli, e per secoli combatterono, ora vincitrici ed ora vinte, sempre gloriose, a difesa della patria, della religione e della cristiana civiltà contro l’invadente barbarie mussulmana.
È inutile cercare qui le ragioni storiche e provvidenziali della sua decadenza civile e militare. È un fatto, che man mano che le nazioni moderne nella loro unificazione e nell’assetto definitivo dei loro governi trovarono la forza di coesione e di espansione, l’Italia, fra le gare municipali principesche, andò a poco a poco immiserendo, finché perdette ogni potenza; e mentre le altre nazioni si assidevano signore nei vecchi e nuovi continenti impadronendosi di immense ricchezze, l’Italia non solo perdeva ogni ingerenza politica nel mondo, ma anche su quei mari, che la circondavano e che appellavansi laghi italiani, ed era quasi esclusa da quei porti, ove i suoi mercanti avevano esercitato un monopolio secolare. In materie coloniali però, osserva giustamente il generale Brow, nel citato articolo, valgono più le sterline che le vecchie pergamene. Il fatto di Cipro informi.
Ora il non aver noi Italiani colonie, in rapporto ai nostri emigranti, vorrà dire almeno quest’una cosa, che la costoro condizione è inferiore e d’assai a quella degli emigranti degli altri popoli.
L’inglese, il francese, lo spagnolo, il portoghese, che emigra, abbandonando il suolo natio, varcando i mari, sa di trovare una spiaggia, un’isola, un continente, ove sarà protetto e giudicato dalle leggi del
suo paese, ove si parla la sua lingua materna, ove sventola la stessa bandiera, che forse ha difeso sul campo di battaglia, ove innalza altari la stessa religione che fin dall’infanzia gli sorrise, che santificò i suoi affetti e implorò la pace de’ giusti sulla tomba de’ suoi padri; sa in una parola di trovare altrove colle sue ineffabili attrattive viva e gloriosa immagine della patria.
Eppure con tutti questi vantaggi, che i nostri connazionali non possono avere, quanto non si è fatto e non si fa tuttodì in quei paesi dai governi e dalle società private a difesa ed a sollievo degli emigranti!