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Silvano Tomasi – Gianfausto Rosoli Migrazioni moderne IntraText CT - Lettura del testo |
I pericoli che attendono gli emigranti sono tali e sì numerosi, che difficilmente un uomo anche sveglio d’ingegno se ne potrebbe sottrarre totalmente. Che dire poi dei poveri contadini, che ignari di tutto, si affidano a persone le quali non veggono in ogni emigrante che una cosa da sfruttare?
Pur troppo coloro che leggono giornali debbono aver in mente un certo numero di fatti ora turpi, ora tragici, sempre tristi nei quali i nostri poveri fratelli che emigrano figurano in qualità di vittime.
Qualche anno fa i pubblici diari parlarono di due o tre centinaia di emigranti, che arrivati al porto di imbarco, non so se di Genova o di Napoli, trovarono che il loro danaro raggranellato chi sa con quanti stenti e forse colla vendita dell’ultima masserizia, era andato a finire nelle mani di un truffatore. Quindi lagrime, strida, imprecazioni e poi ritorno al paese nativo a spese dello Stato.
Sul principio dell’inverno del 1873 giunse a New York un bastimento con molte famiglie di contadini abruzzesi, che erano stati imbarcati dagli agenti di emigrazione colla promessa di essere diretti a Buenos-Ayres, ove ansiosamente li attendevano amici e parenti. Quei disgraziati, che aveano anche molto sofferto durante la traversata, si trovarono invece altrove, sfiniti, ben lontani dalla meta del loro viaggio e senza mezzi per proseguirlo.
Ma queste possono essere eccezioni. Quello che è regola generale è il modo con cui avviene il loro trasporto. Stivati peggio di bestie, in numero assai maggiore di quello che permetterebbero i regolamenti
e la capacità dei piroscafi, essi fanno quel lungo e malagevole tragitto letteralmente ammucchiati, con quanto danno della morale e della salute ben può ognuno immaginarlo.
E quando arrivano a toccare il porto desiderato, la dolorosa iliade de’ loro guai è tutt’altro che finita. Spesso raggirati da arti subdole, abbagliati da mille bugiarde promesse, costretti dal bisogno, si vincolano con contratti che sono una vera schiavitù, e i fanciulli trovansi avviati coll’accattonaggio sulla strada del delitto e le donne gettate nell’abisso del disonore.4
I vasti ed incolti terreni dell’America del Sud, del Brasile, del Chili sono ceduti in enfiteusi agli emigranti o direttamente dai governi o da società private, che ne hanno acquistato la proprietà a scopo di speculazione; e dopo un dato numero di anni e mediante il pagamento di canoni convenienti, il contadino diventa proprietario del suolo fecondato col suo sudore. I coloni quindi piantano le loro tende fra quelle lande, che tramutano spesso in ridenti ed ubertose campagne, e quei contadini per lo più di una stessa regione e qualche volta di uno stesso paese, battezzano laggiù col nome del villaggio nativo il luogo ove la fortuna li ha balestrati.
Ma questi raggruppamenti se possono scemare i pericoli dell’emigrazione, rendendo meno triste e più sicura la vita, possono anche, se non sono ben diretti, essere causa di mali infiniti sia materiali sia morali. Poiché i nostri poveri contadini corrono pericolo d’essere avviati dagli speculatori a consumare la loro vita su terreni sterili e in luoghi malsani o mal difesi dalle bestie feroci e dalle orde barbariche. Cose tutte coteste che già si verificarono più di una volta, e su cui la stampa e l’opinione pubblica ripetutamente si commossero.
E perché non si creda che di questo tristissimo quadro io abbia caricate le tinte, trascrivo fra i molti, che ho tra le mani, alcuni documenti ufficiali che confermano quei fatti nella loro cruda realtà.
Nel rapporto del Cav. Avv. Domenico Brunenghi sulla Emigrazione italiana nella Repubblica Argentina, in data 5 Luglio 1883 si legge:
«Anzitutto è necessaria un’attiva sorveglianza sul procedere degli agenti reclutatori, sieno essi stranieri o nazionali, ed una severa applicazione delle penalità comminate dalle leggi di polizia per ogni infrazione commessa nel disimpegno del loro incarico; mettere i nostri emigranti al coperto dalle scroccherie e dalle seduzioni cui, anche prima d’imbarcarsi, sottostanno per ignoranza o per troppa credulità.»
«Una delle sorprese cui meno si attende l’emigrante e che è causa per lui di danni pecuniari non solo, ma di una sequela di mali spesso irrimediabili, è quella di trovarsi trasportato in un punto diverso da quello a cui intende recarsi e per il quale ha pagato il prezzo di passaggio...»
«In generale, anzi quante volte lo possono, i battelli nazionali, che partono dai nostri porti per questi lidi, imbarcano passeggeri oltre il numero consentito dai regolamenti. Avviene che su di un vapore, che al più potrebbe trasportare dai 700 ai 750 passeggeri, se ne agglomerano 900, 1000 e anche più... Agglomerati sotto le coperte del bastimento, vi respirano un’aria corrotta, invece di quella quantità pura che è indispensabile al loro benessere: il numero dei malati cresce, e coll’aumentare delle malattie aumenta la mortalità, massime nei bambini...»
«Il contadino addetto alle colonie governative dovrebbe ricevere l’occorrente pel dissodamento, per la coltivazione e seminazione del terreno, il quale dovrebbe essere anche misurato.... Se non che spirato il termine e soddisfatti i suoi obblighi, il colono chiede ripetutamente la misurazione del terreno coltivato, come pure la immediata consegna dei titoli di proprietà. Ma sì l’una che gli altri si fanno attendere molto a lungo.... Inutili quindi riescono i suoi reclami presso le autorità dipendenti dal Governo stesso; e se troppo insistenti le sue lagnanze e le sue sollecitazioni, sconta le une e le altre con vessazioni e con prigionia... In tal guisa la colonia deperisce e a breve andare si distrugge.»
In quante terre del Messico del Brasile, del Perù, del Chili, per tacer d’altre, non furono seminate le ossa dei nostri connazionali, tratti colà come in una vera imboscata da promesse non realizzabili!
La colonia di Port-Breton e i territori di S. Paolo e le contrade lungo la ferrovia Bahia-Minas e molte altre segnano pagine dolorose nella storia della nostra emigrazione.
Questi fatti impensierirono per un momento il paese, e nella tornata parlamentare del 21 Giugno 1878 l’on. Del Giudice e l’on. Minghetti presentarono e svolsero due disegni di legge; il primo sui provvedimenti da prendersi circa l’emigrazione e gli agenti d’emigrazione, ed il secondo su l’istituzione di un ufficio speciale di vigilanza relativo alla medesima. E l’onorevole Antonibon nella tornata del 12 Febbraio l879 si rifaceva sul doloroso argomento con cifre e fatti di una gravità eccezionale e faceva risuonare all’orecchio de’ ministri e dei deputati, a titolo pietoso, alcuni dei gridi di dolore che ci giungono assidui, incalzanti da quelle terre, e che ora qui riproduco:
«Non badate alle lettere che qualcuno scrive; credete, siamo disperati
ed in gran parte qui si muore di passione e di fame.» Così uno da Morettes.
«Sono qui in croce, scrive un altro, assetato, affamato e tradito. Di cento siamo ridotti a quaranta. Chi ha perduto il marito, chi la moglie, chi i figli. Alcuni del Tirolo, si narra qui, dalla fame hanno mangiato un figlio. E chi ci protegge? Nessuno ci protegge; non abbiamo né pretori né carabinieri. I signori in Italia ci trattavano male, ma in Italia era meglio...»
E poi un altro: «Qui siamo come le bestie senza preti, né medici. Non si dà nemmeno sepoltura ai morti; siamo peggio dei cani legati alla catena. Dite al padrone che sarei più felice in Italia nel suo porcile, che in una reggia in America...»
E un altro ancora: «Ci avevano detto che qui era nato e morto nostro Signor Gesù Cristo, che c’erano tutti i doni dei Re Magi, ma invece siamo piombati propriamente nell’inferno; ci hanno internati in una selva grandissima piena di bestie e di moscerini: abbiamo chiesto e richiesto del nostro console, ma non siamo mai stati capaci di vederlo!»
«Due dei nostri, scrive un quinto, per aver fatto schiamazzo furono con una fune al collo attaccati ai piedi di un cavallo e fatti correre molte miglia, mentre il direttore colla sferza in pugno lo animava a trottare di pari passo.»
«Ho qui un volume, soggiungeva l’On. Antonibon, in cui sono descritti i dolori atroci di quest’esodo nuovo..... ed io sentivo il bisogno di portare fra voi queste lacrime dei nostri, che credendo trovare il paradiso terrestre, hanno trovato l’angoscia, il dolore e la fame; che hanno veduto nel deserto del bisogno un miraggio, senza ricordarsi che il simoun violento rapidamente sperde quella città di polve; che sono uccisi dal clima, dagli insetti, dalle fatiche, e muoiono sconsolati, percossi da quel male gentile e fatale che è la nostalgia, pensando forse all’Italia che partendo maledicevano!.. Oh! i sogni degli emigranti sono splendidi, signori, conchiudeva l’oratore, ed io mi sento stringere il cuore, quando penso ai colloqui avuti con essi prima che partissero per l’America; quando ricordo che essi credevano di trovar l’oro per le strade, l’abbondanza pei campi, la ricchezza nelle mandrie, le spighe gonfie e la manna cadente dal cielo! Ed invece portano seco tutte le umane miserie..»
Ma tutti questi discorsi non valsero a condurre a termine gli abbozzi di legge relativi, e solo quattro anni dopo il Ministro dell’Interno con una circolare ai Prefetti del Regno in data 6 Febbraio 1883, ammoniva i suoi uffiziali perché vigilassero sugli agenti di emigrazione e dava le norme per rendere meno dannosa l’opera loro e per punirla
quando uscisse dai limiti concessi. La circolare è bella ed opportuna e non ha che il difetto di essere una circolare, cioè una cosa di natura sua transitoria; che ha la vita breve delle leggi fiorentine nel tempo di Dante:
Non giunge quel che tu d’ottobre fili.
Tolgo dal Progresso Italo Americano giornale di New York i seguenti fatti accaduti in questi giorni e che ci dicono con troppa eloquenza quali sieno le condizioni degli emigrati nel nuovo mondo.
«In un nostro articolo per la difesa dell’onore e per la pace d’una colonia italiana, quella di Vicksburgh (Mississipì), esponevamo lo stato d’agitazione in cui si trovano presentemente i nostri connazionali colà residenti, in seguito alle inconcepibili provocazioni ed ai bassi insulti rivolti da una parte della cittadinanza, e più precisamente da un foglio locale, il Daily Commercial Herald, il quale, non si comprende perché, ha bandito contro gli italiani una sfacciata ed iniqua crociata.
«A Vicksburgh, or’è un anno, gli eroi mascherati del linciaggio impiccarono un italiano, Villarosa, cui la voce pubblica affermava innocente: a Vicksburgh, poche settimane or sono, l’assassino d’un italiano, il povero Tironi, era assolto dai giudici: a Vicksburgh la stampa, viperina e malvagia, diffonde articoli innominabili contro gl’italiani.»
«Pochi giorni or sono alcuni operai italiani delle provincie meridionali, reduci da un paese distante circa 50 miglia da Vicksburgh, erano di passaggio per quella città. Vi si soffermarono attendendo certe lettere, in seguito alle quali dovevano recarsi a Birmingham (Alabama), per attendere colà a lavori ferroviari.... »
«Ma bastò perché i maligni insinuassero che essi, gli sporchi e straccioni italiani, come bugiardamente li chiamavano, ché eran vestiti a festa, certo decenti e più ancora decorosi, eransi recati colà per far concorrenza, col loro lavoro a meschina retribuzione, ai lavoratori del paese. Approfittavano poi della occasione per vuotare tutto il loro fiele contro i malcapitati, e contro altri italiani abitanti a Vicksburgh.»
«Abbiamo detto che la locale società italiana, Margherita di Savoia intendeva di raccogliere l’insulto, e procedere. Una seduta fu tenuta a questo scopo, e tutti i membri della fiorente società vi accorsero e deliberarono di protestare, come per mezzo nostro protestarono, contro gli indigeni insultatori.»
«Noi accogliamo la onesta deliberazione e la facciamo nostra: e ci domandiamo perché l’assassino del povero Villarosa, non ostante le promesse dall’alto, sia ancora impunito, e perché i rappresentanti
il nostro Governo a Vicksburgh non provvedano come di dovere alla tutela dei nostri connazionali....»
«Oramai, noi italiani, con certi giudici e in certe Corti dobbiamo far la parte di arlecchino, che pigliava le bastonate e, pigliatele, ne rilasciava in modis et formis la ricevuta. Queste parole sono a proposito d’un recente processo dibattutosi a Vicksburgh (Mississipì) contro l’assassino d’un italiano, assolto; e tranquille, misurate e, quasi scherzose, perché se lasciassimo libero corso a quel che noi proviamo e che dal cuore ci sale alla bocca e alla penna, forse, perderemmo il rispetto, che dobbiamo a noi e a chi ci legge.»
«Ciò che è avvenuto anche adesso a Vicksburgh, è semplicemente nauseante e infame: giudicatene.»
«Sei mesi or sono, Giovanni Tironi venditore di ostriche e pesce in un bar room di Washington street, uomo di indole tranquillissima e pacifica, dato al lavoro ed alla famiglia, amato da tutti, era insultato da un irlandese, certo Dan Keefe, di quelli a cui le clubbate dei policemens inglesi e le manette degli sceriffi di Salisbury sono cose anche troppo dolci e gentili: insultato senza motivo, per puro spirito di perfidia e di malignità.... Il povero Tironi pazientò, s’ingegnò di calmare con buone parole il suo insultatore, lo pregava anzi di smettere.... quando Keefe, inviperito sempre più, estrae un revolver, glielo appunta, tira il colpo.... Tironi cadde fulminato, perché la palla gli entrò nella parte posteriore della testa e gli si conficcò nel cervello.»
«Arrestato, l’assassino ottenne la libertà provvisoria con cauzione di 5000 dollari: processato, dopo quindici minuti di deliberazione, i giurati lo assolsero: assolto, escì dalla Corte, trionfante, tra gli applausi e le urla incomposte di gioia degli amici e connazionali suoi pari.»
«Caso di più sfacciata offesa alla legge non si dà, no, nemmeno nel paese dei mammalucchi: gl’italiani della colonia di Vicksburgh e dintorni, a cui ne è giunta notizia, sono mortificati e fremono di protesta e di dolore: noi, non potendo altro, ce ne facciamo eco volentieri, e soggiungiamo essere ben triste il vederci e saperci indifesi, non curati dalle autorità italiane, in balìa completa e assoluta degli arbitri partigiani di giudici...; senza più lontana speranza che codeste autorità rompano i loro olimpici e burocratici sonni per muovere un dito o per dir verbo in favor nostro e in nostra difesa!»
Ma ancor più rilevante di tutti i riferiti documenti, e per l’importanza del consesso chiamato a discuterla, e per le misure in essa adottate, è la proposta di legge (bill) che il signor capitano Celso Moreno faceva presentare or è un anno alla Camera dei Rappresentanti di Washington dal senatore Lovering per colpire il così detto sistema dei padroni; sistema che copre il turpissimo mercato di carne umana.
Lo scopo di questo è indicato dalle seguenti parole:
«Abolire l’importazione di italiani od altri schiavi o lavoratori, scritturati e trattenuti in forzata servitù negli Stati Uniti di America.»
Gli articoli 1° e 2° riguardano quelli che abbiano nelle città degli Stati Uniti o arruolato ragazzi o indottili ad arruolarsi in quelle Società, colla pena del carcere fino a cinque anni e con multa fino a cinque mila dollari.
L’articolo 3° lo riproduciamo per intero perché indica a quale estremo di barbarie si sia arrivati:
Art. 3. - «Qualunque ingaggiatore o padrone italiano o il suo manutengolo, o qualsiasi altra persona o persone che condurranno negli Stati Uniti, proprii territorii o nel Distretto di Colombia, un uomo o donna, fanciullo o fanciulla dall’Italia o da altrove, per servirsene come suonatori di organetti, cantori da strada, ballerini, saltimbanchi, finti ciechi o malati, negli angoli delle strade o chiese, o come mendicanti o raccoglitori di cenci, di carta straccia, carne guasta, pane od altro cibo avariato, o per qualsiasi altro mestiere instabile, vile e degradante, o li ingaggierà separatamente o per isquadre o in massa sulle strade ferrate, canali, serbatoi, musei a vil prezzo, o li costringerà a pagare ai padroni o loro complici od a qualunque altra persona o persone, due terzi od altra parte del loro guadagno, sarà giudicato reo di fellonia, e, dietro prove, sarà condannato alla carcere per un tempo non superiore ai cinque anni, e pagherà una multa non maggiore ai cinque mila dollari.»
L’articolo 4° stabilisce che qualunque viaggiatore o padrone italiano conducesse persone negli Stati Uniti, lusingandole con promesse di lavoro lucroso, potrà subire prigionia sino a 10 anni e multa sino a 10 mila dollari.
L’articolo 5° commina le stesse pene per i padroni o complici che ingaggiassero persone, sforzandole a prestare involontari servizi di qualunque genere.
L’articolo 6° così si esprime:
Qualunque persona imputata delle fellonie suindicate può essere processata nel Distretto in cui le medesime sono state commesse o nel Distretto o in altri ne’ quali la persona sedotta, trafugata, ingaggiata ecc. ecc. è trattenuta sotto tali vincoli o tenuta in forzata servitù ed abbietta schiavitù.
L’articolo 7° finalmente stabilisce i modi coi quali il tribunale deve acquistare il convincimento dei fatti.
L’articolo 8° prescrive l’immediata esecuzione della legge.
Ma basti di tante miserie, poiché in quello che ho riferito (ed è
ben piccola cosa al paragone di ciò che debbo tacere per non oltrepassare i limiti che mi sono imposto) ce n’è d’avanzo, per mostrare a chiunque senta amore di religione e di patria che il male esiste e grande, e che è doveroso, supremamente doveroso il provvedervi.