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Silvano Tomasi – Gianfausto Rosoli
Migrazioni moderne

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Il disegno di legge sulla emigrazione italiana.

OSSERVAZIONI E PROPOSTE

(Piacenza, Tipografia dell’Amico del Popolo, 1888, 56 p.)

 

Francesco Crispi, da poco al governo dopo la morte di Agostino Depretis, intendeva portare a conclusione il dibattito sull’emigrazione italiana all’estero attraverso un suo disegno di legge piuttosto restrittivo; anche un gruppo di deputati aveva affidato ad una commissione parlamentare una proposta sullo stesso argomento. Mons. Scalabrini, nell’imminenza della discussione alla Camera, in una lettera aperta a Paolo Carcano, sottosegretario alle Finanze, condiscepolo al Liceo-GinnasioVolta” di Como, esprime apprezzamento per l’iniziativa parlamentare che considera il fenomeno migratorio non come un episodio anormale, ma come espressione di un diritto naturale. Il governo invece, condizionato dagli agrari, pare preoccupato soltanto dei danni economici immediati recati all’Italia dall’esodo di lavoratori; non tiene poi conto dell’esperienza secondo cui i sistemi repressivi ottengono l’effetto contrario. Tuttavia il vescovo di Piacenza critica anche nel secondo progetto la facoltà prevista di reclutare emigranti. Ne dimostra l’improponibilità con una ricchissima documentazione rilevando come essa non abiliti dei filantropi, ma “sensali di carne umana” con il traffico degli “schiavi bianchi”.

Così il discorso di Scalabrini si trasforma in una dura requisitoria, sostenendo che va difesa la libertà di emigrare, ma non quella di far emigrare, pur ammettendo la necessità di una disciplina da parte dello Stato. Illustrando poi le iniziative avviate dalle nazioni europee per l’assistenza ai concittadini all’estero, Scalabrini si dice fiducioso che anche l’Italia segua il loro esempio. Qualcosa già si sta facendo; e il vescovo accenna all’opera religiosa e sociale dei missionari da lui fondati a Piacenza l’anno precedente. Chiede per i suoi chierici una specie di servizio civile prestato per 5 anni all’estero, come maestri nelle scuole italiane all’estero, in sostituzione dei tre anni della leva militare in patria. La stampa nazionale recepirà dell’opuscolo di Scalabrini soprattutto quest’ultima istanza. Quella vicina a Crispi vi si oppone (es. La Riforma), schiava del luogo comune che il clero non


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può garantire l’italianità dell’insegnamento dal momento che in patria, con la “questione romana”, si dimostra anti-italiano.

La legge approvata il 30 dicembre 1888 non tenne conto delle osservazioni di Scalabrini e approvò la figura dell’agente di emigrazione. Scalabrini continuò il suo impegno contro lo sfruttamento degli emigranti, particolarmente con l’istituzione, nel 1889, di un patronato: la Società S. Raffaele attiva al porto di Genova e poi di New York. E non abbandonò la sua battaglia per la revisione della legge che ottenne più tardi successo con l’approvazione della nuova legge sociale di emigrazione nel 1901.

 

 Onorevole Amico,

Tra breve si discuterà in Parlamento il disegno di Legge ministeriale sulla Emigrazione, ed io non so tenermi dal comunicarti alcune osservazioni che feci, leggendo quel disegno, opportunamente modificato dalla Commissione parlamentare.

Mi rivolgo a te, non solo per quella affettuosa stima che, incominciata sui banchi della scuola, continuò non interrotta per anni parecchi, ormai possiamo contarli a lustri; ma anche perché ti so amico non adulatore delle classi diseredate (e questo a’ nostri è gran pregio), paziente e modesto, quanto intelligente indagatore dei fenomeni sociali.

E mi rivolgo a te pubblicamente, non per fare del vano rumore, da cui rifuggo per principî e per indole, ma perché la questione che io ti propongo è di quelle, che hanno bisogno di discussione, e non ho trovato, all’infuori di questo, altro mezzo per attrarre l’attenzione del pubblico svogliato e distratto, che non legge se non è costretto per lo meno da un titolo che ecciti la sua curiosità. Ho pensato, che una lettera aperta di un Vescovo, il quale si occupa di cose sociali e di disegni di legge, diretta ad un Deputato, possa essere titolo sufficiente per iscuotere la morbosa indifferenza del pubblico e far sì che, una volta tanto, la discussione, noiosa se vuolsi ma proficua, di una legge, prenda il posto di un fatto diverso qualunque.

E mi pare anche un dovere di buon cittadino. Dal giorno che io pubblicai il mio lavoro sulla Emigrazione italiana in America, ho potuto raccogliere dati, e fare delle osservazioni, che possono tornare di qualche giovamento a tanti nostri infelici connazionali. Quei fatti e quelle osservazioni ho trascritto con tale intendimento in questa lettera. Che se io mi avessi sbagliato nell’apprezzarli e compiuta opera vana, presso te come presso tutti i buoni Valgami il lungo studio e ‘l grande amore.

Fra i due disegni di legge, il ministeriale e quello della Commissione parlamentare, il secondo parmi di gran lunga migliore del primo.

Il ministeriale è più propenso a considerare il grande fenomeno


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cosmico ed umano della emigrazione come un fatto anormale, piuttosto che un diritto naturale, e lo circonda di tante pastoie che quasi lo confisca. Esso, oltre una certa fretta di redazione, rivela più e troppo la preoccupazione del Ministro dell’Interno, il quale vede con dolore i solchi abbandonati da un numero di contadini, che va di anno in anno montando, e quindi impoverite la produzione e la proprietà agricola e resa più grave la crisi che attraversa la nostra agricoltura, anziché la chiaroveggenza dello statista, che guarda innanzi e lontano e non impedisce, ma dirige le correnti migratorie, perché diventino una delle cause di potenza e di benessere della madre patria.

Il disegno ministeriale non tenne conto di una esperienza di non vecchia data, la quale dimostrò alla prova dei fatti, che le misure di polizia non arrestano, bensì deviano dai nostri ad altri porti le masse migratorie, rendendo così più doloroso e più dispendioso l’esodo dei nostri connazionali. Gli ostacoli artificiali non trattengono le correnti, ma le fanno rigurgitare, aumentandone e rendendone più rovinoso l’impeto.

Il disegno invece della commissione parlamentare è, a mio giudizio, più pensato, più organico e più liberale, poiché fin dal primo articolo sanziona la piena libertà di emigrare, salvo, naturalmente, gli obblighi imposti ai cittadini dalle leggi.

È un bel quadro; che ha però una macchia nel mezzo, e questa macchia, te lo dico a bella prima, è la facoltà, che il disegno di legge della Commissione accorda agli agenti di emigrazione, di fare arrolamenti.

Io credo che questa concessione, giustificabile forse in teorica, in pratica riesca di grave danno, e tale da render vane molte buone disposizioni della legge stessa.

Se gli agenti di emigrazione fossero, come sembra credere l’onorevole De Zerbi nella sua relazione, nulla più che semplici intermediari, uomini cioè di fiducia tra le varie Società di Navigazione e gli emigranti, e restringessero l’opera loro a dare schiarimenti sul modo e sul tempo degli imbarchi; e le agenzie non altro che semplici succursali degli uffici centrali di Navigazione, non ci sarebbe da impensierirsene. La loro azione, quantunque superflua nel maggior numero de’ casi (poiché quelle cognizioni si potrebbero apprendere, da chi ne avesse interesse, sul canto delle vie e nei pubblici spacci), pure non sarebbe dannosa. Potrebbe anzi alle volte riescir comoda agli emigranti. E anche se gli agenti facessero un po’ da tentatori per risolvere i dubbiosi, e mostrassero ai poveri assetati della miseria i ruscelletti americani freschi e molli, come quelli che nell’inferno dantesco facevano andare in visibilio maestro Adamo, via, non sarebbe un finimondo,


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e si potrebbe chiudere un occhio e dir loro col Manzoni: va, va, povero untorello, non sarai tu quello che spianti Milano.

Ma la facoltà di fare arrolamenti è qualcosa di ben diverso da tutto ciò, e gli agenti, che ne usano di già quando era vietato dalle Circolari ministeriali, figurati se non vorranno valersene ancora più largamente quando sarà per legge un diritto! Per naturale conseguenza le catastrofi, lamentate per il passato, aumenteranno a misura della libertà accordata, poiché esperienza da una parte non vale contro la sete di guadagno insaziato, e ignoranza dall’altra, o non sa il fato di chi lo ha preceduto su quella via, o spera di essere più fortunata.

Le pene comminate dalla nuova legge agli agenti di emigrazione sono severe, e sta’ bene; non lo saranno mai troppo contro chi, più turpe del ladro e più crudele dell’omicida, spinge alla rovina tanti infelici. Quanti di essi, strappati al loro casolare da false promesse, se ne andarono al di dell’oceano in mezzo a lande inospite, alle prese con mille difficoltà insormontabili, fortunati se infine riescirono a trovare un lembo di terra ove morire in pace! Quanti, abbandonati su piagge deserte senza vesti e senza pane, ebbero per somma ventura di poter ritornare, colla disperazione nel cuore, al paesello natio! Quanti perirono in lotta colle belve feroci, colla inospitalità degli indigeni, colle febbri miasmatiche! Le statistiche hanno ben dolenti note a questo riguardo! Dunque le pene sieno pur severe.

Anche le garanzie morali e materiali, che la nuova legge esige dall’agente di emigrazione, e il campo circoscritto all’azione di lui, ne rendono più facile la sorveglianza e forse meno dannosa l’opera. Meno dannosa, dico, non mai buona, poiché l’arrolamento in fatto di emigrazione è qualche cosa di intrinsecamente cattivo che altera le funzioni di questo fenomeno sociale e lo fa deviare dal suo scopo e dalla sua meta naturale. - La emigrazione, come tutte le selezioni, deve essere spontanea per riescire di qualche giovamento; nel caso contrario, invece di un sollievo dell’organismo sociale e di un lavorio benefico centrifugo e centripeto, che moto e tiene in equilibrio gli umori, diventa uno sforzo che fiacca, una febbre che lentamente consuma.

Dovendo poi l’opera dell’agente essere gratuita per rapporto all’emigrante, ne viene, che sarà retribuita o da impresari di pubblici lavori, o dai governi americani che favoriscono e sussidiano l’immigrazione, o da chiunque possa avervi interesse.

Ora, tutti questi coefficienti possono deviare le correnti migratorie di una nazione dalle loro vie naturali, che di solito sono le migliori, e dirigerle in luoghi micidiali per clima o per altre condizioni, ovvero impiegarle in lavori non conformi alla loro attitudine; possono, in una parola determinare gli emigranti a scegliersi una meta imposta ovvero


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consigliata alla loro ignoranza o buona fede, non dall’interesse loro, ma di chi li abbia arrolati.

Ed io ne feci esperienza personale. Lo scorso anno, appena pubblicato il mio opuscolo, in meno di un mese mi furono proposti parecchi progetti di colonizzazione, l’uno più bello dell’altro, alcuni per lettera, altri a viva voce. Si vedeva che tutti quei signori erano agenti di emigrazione, i quali correvano il palio per arrivare primi alla meta, e si vedeva anche, dalle loro proposte, che molti, per la fretta di arrivare, si erano mossi prima ancora d’aver letto il mio libricciuolo, non appena cioè avevano sentito dire, che il Vescovo di Piacenza si interessava di emigrazione e di emigranti.

A sentir loro, erano tutti filantropi, che si occupavano di emigrazione per amor di patria, che avevano fatto viaggi e sacrifizi pecuniari a beneficio de’ nostri poveri connazionali, ma che infine le loro fatiche erano state coronate da splendidi successi, avendo essi trovata la panacea di tanti mali. Passavano poi ad esporre le loro idee, i loro progetti e, già si sa, finivano per chiedere il mio appoggio alle loro imprese.

Era troppo facile, fatte le debite ed onorevoli eccezioni (le quali dimostrano, che anche a questo mestieraccio può talvolta accoppiarsi il galantomismo), era troppo facile, dico, scorgere dietro quei filantropi, i fiutatori di cadaveri; laonde io li licenziavo dicendo, che il fatto loro non poteva essere il fatto mio. Che se poi, per vaghezza di conoscere, domandavo all’uno notizie dell’altro, sai che cosa mi si rispondea? Monsignore, lo conosce? non se ne fidi per carità! È una canaglia... ha già mandato tanti in rovina!.. è un vero negoziante di carne umana.... E narrar fatti quasi delittuosi, alcuni de’ quali, anche per mia cognizione, erano tutt’altro che esagerati.

E i giornali? e le pubblicazioni su questo o quel paese d’America? Fioccavano nel mio studio, e tutti col tema obbligato di descrivere qualche paradiso terrestre americano. Ma ohimè, tratto tratto mi capitava di leggere su questo o quel foglio, polemizzanti tra loro, notizie come queste: il tal giornale è stipendiato dal tal governo o dalla tale impresa, per favorire l’immigrazione nel tal paese... Il tal pubblicista, dopo aver detto tutto il bene del tal paese, ora ne dice corna, perché gli fu sospeso lo stipendio mensile... Dunque, pensavo io, qui è tutto menzogna ed egoismo; è una compra e vendita vergognosa di lodi, di vituperi e di coscienze a danno dei miseri emigranti; alla larga!

Ma, a parte queste considerazioni, io mi domando: che bisogno c’è di patentare arrolatori di emigrazione e di dare autorità coll’approvazione governativa ad un atto, che per essere lucroso non può


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venir esercitato troppo scrupolosamente? Che ufficio fa egli chi va attorno per arrolare, se non quello di stimolatore, di provocatore dei bisogni delle classi meno abbienti? E non sono già molte e reali le miserie, che spingono i nostri contadini ed operai ad emigrare, senza che ci sia, chi ne faccia sentir loro maggiormente il peso, mostrando altrove, per lo più con ragioni menzognere, una ricchezza di facile acquisto?

L’on. De Zerbi, nella sua dotta ed elegante relazione, fra le cause dell’allargarsi di questo fenomeno in Italia pone, e giustamente, le illusioni fomentate dai lenocinî dell’impresario di braccia umane. Ma perché, soggiungo io, alle tante e lamentate cause di emigrazione volerne aggiunta un’altra e per di più darle maggior efficacia colla approvazione legale di questi lenocinî degli impresari di braccia umane?

Un caso pratico, che del resto è di già accaduto più volte, e che, in fatto di arruolamento di emigranti, è dei più facili a ripetersi, mostrerà, anche più delle ragioni, il danno di questa concessione. Un agente ha incarico da una Società di imprenditori o da un governo di arrolare 2, 3, 4, 10 mila operai o contadini. L’agente compie la sua operazione e li spedisce nei modi e colle garanzie volute dalla legge. Ora, il Governo sa, che il paese ove sono diretti quegli infelici è, per condizioni climatiche o per altra ragione qualunque, inabitabile; sa che quei poveri pionieri non sono condotti a far fortuna ma a quasi sicura morte. Eppure il Governo, dato che il nuovo disegno abbia sanzione di legge, non potrebbe né punire, né impedire tanta catastrofe. E si noti che l’agente può, nella miglior buona fede, mandare alla rovina tanta gente, non essendo egli obbligato ad avere cognizioni su questo punto, come vi sono obbligati p. es. gli agenti Svizzeri.

Quando, or non è molto, l’on. Crispi intervenne per impedire una spedizione disastrosa di emigranti del Mantovano, la stampa in coro gridò all’arbitrio, come se il Ministro avesse commesso un mostruoso attentato alle pubbliche libertà. Eppure quell’atto ministeriale si poteva giustificare coi regolamenti e le circolari che disciplinano l’emigrazione, mentre non lo si potrebbe più colla nuova legge. Ma qual uomo di cuore nei panni dell’onor. Crispi non avrebbe agito in tal guisa anche a costo di farsi melare dai sedicenti paladini della libertà data la triste località a cui erano diretti quei poveri sobillati? E perché, io domando di nuovo, mettersi nel caso duro sempre, o di contraddire alla legge o di assistere impassibili alla rovina di tanti infelici?

E poiché i fatti sociali ben di rado sono assolutamente buoni o assolutamente cattivi; ma possono essere o l’uno o l’altro, a seconda delle circostanze, così può darsi che l’arrolamento degli emigranti, cattivo e da riprovarsi in tesi generale, possa diventar buono in certi casi.


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 Così agenti, o Società di colonizzazione o impresari di lavori pubblici possono offrire condizioni veramente buone, come s’è visto per la costruzione della ferrovia Massaua-Dogali.

Allora il Governo, in via eccezionale, quando fosse esclusa ogni possibilità di mistificazione, potrebbe permettere l’arrolamento.

Ma ciò che può esser buono come eccezione, è cattivo, concesso in via ordinaria. La storia della emigrazione nostra ci offre purtroppo frequenti esempi di simili spedizioni andate a male, e l’eco di quei disastri passò talvolta i mari e venne ad impietosire i nostri cuori. Sono cose da tutti risapute, né io le ridirò qui per non tediarti.

L’on. De Zerbi, difendendo nella sua relazione la licenza di fare arrolamenti di emigranti, dice fra l’altre cose: «Fu trattato nell’America settentrionale, fin che questa n’ebbe bisogno, poi nella centrale e meridionale, la quistione della inmigración espontanea y la estimulada, come la definiscono alla Plata; e fu veduto che la seconda non conveniva. I Governi Americani si limitarono dunque a ricevere l’immigrazione spontanea, né la promuovono più artificialmente, eccetto in qualche punto del Brasile. I mezzani, gli arrolatori non sono essi, che persuadono i contadini ad emigrare per ottenere poi un compenso della Società di Navigazione, alla quale li dirigono. Il contadino è animale refrattario alla persuasione. I mediatori di emigrazione inducono il contadino, che sia già risoluto ad emigrare, a prescegliere questa o quella Società di navigazione: ecco tutta l’opera loro; ma in quanto alla risoluzione di emigrare, essa è già o avvenuta o quasi nella mente del contadino ed i mediatori non sono che causa occasionale.

Se l’emigrazione artificiale, dico io, fu sperimentata cattiva e fu abbandonata da quasi tutti i governi americani, che la devono ricevere, sarà per lo meno pessima per chi la deve fornire: se essi, i governi d’America, si impensierirono del male che ne derivava, delle catastrofi frequenti che accadevano, dell’agglomerazione di spostati, a maggior ragione dovranno riprovarla i legislatori dei paesi che forniscono questa ingente massa di popolazione e proibire che si ripetano possibilmente i dolorosi casi del passato, se pure Governo vuol dire sapienza, illuminata dalla esperienza.

Ma tanto in questa faccenda della emigrazione artificiale, quanto riguardo all’opera degli arrolatori, mi pare che l’on. De Zerbi veda un po’ troppo color roseo, poiché la sua bella prosa canta ad un modo e i fatti parlano in un altro ben diverso: ed io sono più propenso a credere ai fatti, anziché alle belle parole.

Trascrivo alcuni dei molti documenti da me raccolti qua e , tutti di data recente, i quali apertamente dimostrano, che i governi americani


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gareggiano nel votar fondi per favorire l’immigrazione e che la piaga degli arrolatori è più grave di quanto comunemente si crede.

Il Diritto del 1 Maggio u. s. scriveva: «Sull’informazione nostra circa il contratto, che sarebbe intervenuto al Brasile per fornire emigranti agricoltori dell’Alta Italia, il giornale La Repubblica Argentina, che si stampa in Roma a difesa degl’interessi degli Italiani nell’America meridionale, dopo confermata in modo positivo la notizia, così si esprime:

«Diversi autorevoli confratelli romani, fra i quali il Diritto e il Fanfulla, hanno fatto eco alle nostre parole relative all’iniquo mercato stipulato fra una casa italiana e i Governi provinciali del Brasile, per un importante numero di emigranti agricoltori Lombardi e Veneti, i quali dovrebbero rimpiazzare gli schiavi in quelle regioni

«Il nostro Governo, non può aver lasciata passare inosservata una informazione, attinta alle migliori fonti, di indiscutibile esattezza, e ci auguriamo che colla consueta energia saprà provvedere, affinché gli sventurati non abbiano a cader vittima degli inumani speculatori, i quali d’altro non si preoccupano se non del proprio immediato interesse pecuniario

«Noi siamo contrari, è vero, a una assoluta restrizione della emigrazione; crediamo però non solo utile, ma necessario e indispensabile che questa venga disciplinata

«Ma che sappiamo noi, che sa il nostro governo, che sanno i nostri funzionari dei paesi oltre l’Atlantico? Nulla: e ne abbiamo continuamente delle prove indiscutibili; i nostri consoli ed i nostri Ministri ne sanno ancor meno di noi, e quando dei fatti deplorevoli giungono a loro cognizione, generalmente o per un motivo o per altro, non se ne danno per intesi

«Il nostro Governo provvederà certamente affinché gli Italiani, che intendono emigrare, sappiano ove rivolgere i loro passi e disciplinare la emigrazione perché questa riesca, come ha da essere, di seria utilità e non prestando man forte, come adesso succede, ai trafficanti di carne umana

Nell’Ottobre del 1886 i giornali brasiliani pubblicavano una circolare di quel Governo a’ suoi agenti all’estero, colla quale si rendeva noto la decisione di pagare intero il viaggio agli emigranti, che volessero recarsi colà, con contratto o senza, a lavorare nelle fazendas, e in parte a chi si sarebbe recato a lavorare per proprio conto le terre dello Stato. Ora, lavorare come braccianti nelle fazendas, che altro vuol dire, se non sostituire la manodopera degli schiavi, ed essere schiavi di fatto se non di diritto?

Il 7 Agosto poi testé passato, S. E. l’on. Sen. Prado, Ministro dell'Agricoltura


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al Brasile, teneva al Parlamento un discorso, che fornisce dati preziosi per quanto io sto provando e che riporto, quale si legge nella Rivista italiana Il Brasile di Rio Janeiro:

«Tra i problemi di maggior importanza, così l’insigne Ministro, quelli che più occupano la mia attenzione sono l’immigrazione e la facilità dei mezzi di trasporto (Segni d’approvazione). Coll’immigrazione verranno soddisfatte due grandi necessità: sarà cioè fornita di braccia l’agricoltura, che di esse tanto abbisogna, e popolato e coltivato il suolo di cui possediamo una sì grande estensione (Segni d’approvazione).»

«Gl’immigranti, che ora approdano al Brasile, destinansi quasi tutti agli stabilimenti agricoli in qualità di lavoratori, e altri procurano collocarsi nelle terre dello Stato (terras devolutas), nei nuclei coloniali che possediamo organizzati o in via d’organizzazione. Sia i primi che i secondi, reputo indispensabile aiutarli col pagamento del loro passaggio (Segni d’approvazione), poiché non possiamo contare sull’immigrazione intieramente spontanea, quando regioni meglio situate ed in condizioni più favorevoli al lavoro europeo ci muovono a questo riguardo una viva concorrenza, accordando all’immigrazione grandi favori e giovandosi di tutti i mezzi per attrarla

«Abbiamo l’esempio di S. Paolo. L’esperienza ivi fatta deve guidare i poteri pubblici sul miglior cammino della soluzione di questo vasto e complesso problema. Mercé il favore del pagamento del passaggio, quella provincia pervenne ad introdurre più di 100.000 immigranti, di cui 50.000 a mezzo della Società Promotrice d’Immigrazione, nello spazio d’un anno. A questo fine la provincia spese una fortissima somma di danaro. Solo al prezzo medio di 50.000 contos (125 lire) per passaggio, l’introduzione di oltre 100.000 immigranti costò alla provincia più di 5.000:000 c. (12 milioni e mezzo di lire), senza tener conto delle spese del vitto ed alloggio per 8 giorni nell’asilo di S. Paolo, stabilito in un vasto ed appropriato edifizio che costò più di 400:000 c. (un milione di lire), né delle spese considerevoli per l’acquisto di terreni onde fondarvi dei nuclei, né di quella per la collocazione d’immigranti nei nuclei stessi.»

«Non ho bisogno di addimostrarvi l’importanza di questo fatto; solo mi permetto di notare una circostanza caratteristica

«Nella sua sessione di quest’anno, l’assemblea provinciale di S. Paolo, in tre giorni e senza discussione, autorizzò la presidenza d’introdurre 100.000 immigranti. Simile energia manifesta la sicurezza colla quale i poteri provinciali considerano il problema dell’immigrazione. (Segni d’approvazione). E in quanto all’agricoltura, se fosse necessario mostrare la fiducia, in certo qual modo messa in dubbio


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da uno dei nobili rappresentanti di Minas Geraes, colla quale i paolisti considerano l’avvenire, basterebbe notare la costante e grande ricerca di braccia per parte dei fazendeiros

«Osserverò ancora che gl’immigranti giunti a S. Paolo, manifestano, nella quasi loro totalità, il desiderio di collocarsi nelle fazendas, sebbene esistano nella provincia vari nuclei, gli uni creati dal governo generale e gli altri dai poteri provinciali. Questo fatto è molto degno d’essere considerato

«A questo fine però, la provincia di S. Paolo spende una media mensile di 300:000 c. (750.000 lire) per l’introduzione d’immigranti. È prevedibile, signor presidente, che lo Stato debba spendere una somma molto maggiore (Segni d’approvazione), dovendo attendere alle necessità di tutte le provincie e a necessità di diversa natura. Convenni coll’illustre commissione nell’aumentare di 2.000:000 c. (cinque milioni di lire) i fondi destinati a questo uso, ma dovrò sollecitare da voi una somma assai più considerevole, perché in questi ultimi tempi molte sono le domande pervenutemi da Rio Janeiro, da Minas e da altre provincie per l’introduzione d’immigranti. Soddisfacendo a tali richieste, come tanto conviene, non basteranno i fondi proposti anche coll’aumento di quei 2 mila contos

«Dato che il Parlamento mi conceda l’autorizzazione necessaria, come spero dalla vostra saggezza e dal vostro patriottismo, procurerò effettuare dei contratti che ci assicurino per cinque anni l’entrata annua di 100.000 immigranti, o in tutto 500.000. L’introduzione di 100.000 immigranti all’anno, calcolando a 50 c. il prezzo medio del passaggio, ci costerà 5.000:000 c. Questa però non è tutta la spesa di tale ingente fornimento, perché sarà eziandio necessario alloggiare e nutrire per otto giorni al massimo i nuovi arrivati, trasportarli nelle località del loro destino definitivo e misurare e dividere terre per coloro, i quali desiderano stabilirsi nei nuclei in qualità di piccoli proprietari. Reputo che per codesti diversi servizi non saranno necessari meno di otto a dieci mila contos (da 20 a 25 milioni di lire) la cui applicazione non potrebbe essere più fruttuosa

«Nel contratto o contratti che stipulerò, adotterò le misure opportune per la distribuzione degl’immigranti nelle provincie, secondo le circostanze di ognuna, e mi occuperò con sollecitudine della collocazione dei medesimi. Non esiterò nel concedere favori speciali agl’immigranti, che si dirigeranno motu proprio verso talune provincie, perché solo con questo mezzo arriveremo a neutralizzare gli effetti, quasi irresistibili, dell’attrazione che esercita S. Paolo suglimmigranti


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E la Riforma, che è in grado di essere bene informata, così scriveva nel suo numero del 5 Luglio u. s.:

«Viviamo in un momento, nel quale gli Stati dell’America meridionale fanno a gara per popolare le deserte e sconfinate campagne con lavoratori europei; un movimento in proporzioni colossali e non mai visto sta determinandosi ed organizzandosi verso quelle regioni; ed il campo sul quale lavorano Governi, Società e speculatori, è principalmente e quasi esclusivamente l’Italia

«La Repubblica Argentina avrebbe stanziato i fondi necessari per anticipare il prezzo della traversata a 140 mila emigranti; il Brasile sta trattando per la introduzione di altri 200 mila contadini col viaggio gratuito; 40 mila ne chiamerebbe l’Uraguay, 60 mila il Perù; altri il Messico, altri gli Stati dell’America centrale

Quanto poi alla mala opera degli agenti, eccone le prove tolte dai pubblici fogli:

Filadelfia, 26 Luglio 1888 - L’inchiesta ordinata dal Congresso di New-York sulla immigrazione povera, attrae molta attenzione. Fu provato da agenti di navigazione che l’immigrazione europea è indebitamente provocata; che un gran numero di agenti stranieri sono collocati negli Stati Uniti, i quali si occupano di vendere biglietti anticipatamente pagati, migliaia dei quali vengono mandati dall’America in Europa; che alcune Compagnie di navigazione, non prendono precauzione alcuna circa l’introduzione di immigranti poco desiderabili, e che una gran parte di quelli che arrivano rimangono a New-York.

Fu anche provato che l’accanita concorrenza delle Compagnie di navigazione stimola in modo innaturale l’immigrazione. Una Compagnia, la quale opera principalmente nel Mediterraneo, ha 3000 agenzie qui, oltre ad un gran numero in Europa. L’enorme immigrazione, principalmente di italiani, è dovuta in grandissima parte agli sforzi di questi agenti.

Washington, 28 Luglio 1888 - Le deposizioni fatte davanti alla Commissione della Camera dei rappresentanti sulla emigrazione tendono a dimostrare, che l’immigrazione italiana è stimolata da intraprenditori i quali, dopoché gli emigranti hanno fatto un lavoro equivalente al denaro loro anticipato per il viaggio, li congedano ed impiegano altri immigranti, che soffrono a loro volta la stessa sorte.

New-York, 28 Luglio 1888. Il Comitato d’inchiesta sulle condizioni dell’immigrazione negli Stati Uniti udì ieri il cav. Monaco, vice console d’Italia. Dalle sue deposizioni risultò, che i suoi compatriotti sono oggetto di una vergognosa speculazione da parte di agenti d’emigrazione, tanto nella loro patria che sul territorio americano, appena


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arrivano. La  maggior  parte  sono  obbligati  a  pagare  cinque  o  sei  Commissioni per avere  lavoro,  specialmente come terrazzieri delle ferrovie, ed ancora non lo hanno sempre. Attualmente la sola Nuova York conta duemila italiani in istato di completa indigenza.

New-York, 1 Agosto 1888 - La Commissione per la immigrazione continua l’inchiesta. ed udì parecchi italiani. Risulta dalle loro deposizioni che furono indotti a lasciare il loro paese da promesse di salari elevati. Gli agenti li arrolarono, dando loro (indegnamente ingannati) il prezzo solo per il loro viaggio. Ciò è provato dacché il prezzo regolare del viaggio da Napoli a New-York è di 115 franchi, mentre essi dovettero pagar loro il biglietto di 250 franchi.

New-York 27 Agosto 1888 - La Commissione d’inchiesta, incaricata di studiare le condizioni dell’immigrazione negli Stati Uniti constatò che tali condizioni sono lagrimevolissime, e che una folla di agenti disseminati in tutti i punti d’Europa, e specialmente in Germania, in Ungheria ed in Italia, reclutano gli abitanti della campagna, che sono sedotti da fallaci promesse, offrendosi loro biglietti di passaggio. Arrivati in America non trovano lavoro. Un buon terzo di questi disgraziati sono obbligati a ritornarsene al loro paese sprovvisti di tutto.

Roma, 1 Agosto 1888 - Telegrammi del console italiano a Costa Rica, confermano le misere condizioni in cui versano 200 emigrati mantovani. Essi furono arruolati da agenti d’emigrazione che ancora s’aggirano per le campagne mantovane, mentre altri percorrono le provincie meridionali. Fra essi vi sono alcuni italiani contro i quali il governo si riserva di promuovere l’azione penale.

- Una Compagnia mista di stranieri e connazionali, che si ripara dietro l’anonimo, sta organizzando, scriveva il Corriere della Sera in data 5 Agosto p. p., una colossale spedizione di emigranti Italiani per la provincia di Bahja (Brasile settentrionale). Agenti e messi furono spediti in tutte le provincie d’Italia, e, massime nel Veneto, si sono raccolte numerosissime adesioni, tanto che parecchie famiglie sono già ai preparativi per la partenza. Per ora, il movimento iniziatore si limiterebbe a 5000 lavoratori.

Da nostre informazioni assunte in proposito, abbiamo potuto appurare che si tratta di impresa organizzata con mezzi legali. Ma dobbiamo far presente a chicchessia vi fosse interessato, che i nostri emigranti correrebbero in questa spedizione rischi gravissimi, fatiche, privazioni, un clima malsano, spesso letale, a cui forse nessuno de’ nostri potrebbe reggere a lungo.

La campagna aperta dagli speculatori è attivissima e si adoperano tutti i mezzi più seducenti per attirare la turba degli infelici.


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- Da Ferrara scrivevano, poco tempo dopo, allo stesso giornale: «Ho avuto occasione di rilevare, che nelle nostre campagne in questi mesi succede un esodo straordinario di contadini per l’America, specialmente per San Paolo e Costa Rica. Ad un possidente solo di Portomaggiore stanno per partire più di trenta individui. Ciò dipende dal fatto, che girano in questa provincia parecchi arrolatori, i quali, assumendosi di fare grandi cose, cominciano ad intascare 25 lire, frutto di chi sa quanti sudori

- Amici intimi, da San Paolo del Brasile, così l’on. Moneta nel suo noto telegramma all’on. Crispi, affermano le gravi condizioni degli emigranti contadini Italiani, mentre speculatori della provincia mantovana senza garanzie di sorta, servendosi della reclame di oltremare, continuano ad iscrivere centinaia di famiglie, in deplorevole stato, con vecchi impotenti, donne incinte, bambini lattanti. La cittadinanza onesta domandavi informazioni, proponendovi mia andata per verificare. -

Ed ora interroghiamo la sapienza legislativa dei popoli, che hanno fatto più larga esperienza di noi in materia di emigrazione. Vedremo che, o non ammettono l’opera dell’agente arrolatore o la circondano di maggiori cautele, che non sia nel disegno di legge italiano. - E nota, amico, che l’emigrante inglese, francese, portoghese, spagnuolo lascia il proprio paese in condizioni ben migliori del nostro, sapendo di trovare al di dei mari, nei vasti possedimenti del suo paese, viva e grande l’immagine della patria, nella religione, nella lingua, nelle leggi. Quei governi quindi potrebbero, anche senza mancare ai loro doveri di tutela e di previdenza, concedere piena libertà di arrolamento, imperocché quelle non sono per loro attività perdute o indegnamente sfruttate, ma è una benefica circolazione che rassoda la loro potenza e ne aumenta la ricchezza.

Quanto diverse le condizioni dei nostri emigranti!

Essi, dalla ingorda speculazione degli arrolatori, sono di solito avviati in luoghi ove l’aria appestata uccide, o impiegati in lavori degradanti, poiché l’affare per l’agente si fa migliore a misura della scarsezza delle braccia e della difficoltà dell’arrolamento: e la mancanza della mano d’opera, sia per bonificare terreni, sia per compiere lavori pubblici, si verifica colà dove la morte dirada le file dei lavoratori, ed il terrore allontanando i sopravvissuti fa sì, che ci sia sempre bisogno di nuove vittime ignare del pericolo. In tutte le catastrofi di simile natura l’elemento Italiano è sempre rappresentato largamente, troppo largamente, perché non si provveda una buona volta a questo supremo dovere di un Governo forte e rispettato: la efficace protezione degli infelici espatriati, dalle insidie e dalla prepotenza.


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Eppure, malgrado queste differenti condizioni, che un legislatore non deve punto trascurare, le leggi delle altre nazioni d’Europa sull’arrolamento degli emigranti sono, come dissi, più ristrettive delle nostre.

Tolgo i dati che seguono, dall’accurato e prezioso lavoro: Compendio delle leggi e regolamenti sull’emigrazione vigenti in vari Stati d’Europa, pubblicato testé dal benemerito Comm. L. Bodio, Direttore Generale della Statistica.

In Inghilterra la licenza di arrolare non dura oltre un anno e si richiede un permesso speciale per l’arrolatore, oltre una cauzione di 1000 lire sterline e le firme di due buoni mallevadori.

In Francia la licenza può essere revocata ad arbitrio del Ministro.

In Ispagna l’autorizzazione, richiesta di volta in volta, limita il numero dei reclutandi e il luogo del reclutamento, ed esige per ogni contratto individuale l’approvazione delle competenti autorità.

Il Gran Consiglio federale Svizzero ha la facoltà di sconsigliare le imprese di colonizzazione, che gli sembrano dannose, e può ritirare la patente all’agente che partecipasse a quelle imprese.

Il Governo prussiano può rifiutarsi a lasciar partire emigranti arrolati, senza dare giustificazioni di sorta, e l’Austria punisce di multa e carcere chiunque cerchi favorire l’emigrazione, anche colla semplice distribuzione di avvisi che abbiano con essa qualche rapporto.

L’on. De Zerbi si compiace della larghezza del disegno di legge italiano in confronto delle leggi delle altre nazioni europee e dice che, approvata, sarà una delle più liberali d’Europa. Ed io lo ammetto: ma l’importante di una legge non è tanto di essere liberale, quanto di essere buona, e buona per me non è la legge più larga, bensì quella che, basata sulla giustizia, meglio provvede ai bisogni per cui è stata fatta.

Ora la legge, accordando il diritto di arrolamento agli agenti, sarà liberale, ma è improvvida; sarà come si dice, logica conseguenza della riconosciuta libertà di emigrare; ma una legge non è un sillogismo, e guai se si dovessero dedurre tutte le conseguenze logiche di certi principî ammessi per legge! Che immani rovine, onorevole De Zerbi! Non imputiamo quindi al liberalismo, e tanto meno alla logica questo nuovo peccato; ne hanno già sulle spalle per loro conto anche troppi.

Dunque, poiché è tempo di conchiudere, libertà di emigrare, ma non di far emigrare, imperocché quanto è buona la emigrazione spontanea, altrettanto è dannosa la stimolata.

Buona, se spontanea, essendo essa una delle grandi leggi provvidenziali, che presiedono ai destini de’ popoli ed al loro progresso economico e morale; buona perché è una valvola di sicurezza sociale; perché


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apre i fioriti sentieri della speranza, e qualche volta della ricchezza, ai diseredati; perché dirozza le menti del popolo col contatto di altre leggi e di altri costumi; perché reca la luce del vangelo e della civiltà cristiana fra barbari ed idolatri ed eleva i destini umani, allargando il concetto di patria oltre i confini materiali e politici, facendo patria dell’uomo il mondo.

È cattiva, se stimolata, perché il vero bisogno sostituisce la rabbia dei sùbiti guadagni o un mal inteso spirito di avventura; perché spopolando oltre misura e senza bisogno il suolo patrio, invece di essere un sollievo e una sicurezza, diventa un danno e un pericolo, creando un maggior numero di spostati e di illusi; cattiva infine, perché devia la emigrazione dalle sue correnti naturali, che sono le più proficue e le meno perigliose, e perché l’esperienza ci insegna esser causa di grandi catastrofi che si possono e si debbono impedire da un Governo civile e previdente.

Ma una legge anche buona non basta, perché il fatto generale e complesso della emigrazione risponda agli alti fini sociali a cui fu destinato dalla Provvidenza, se non è sussidiata da tutte quelle savie istituzioni pubbliche e private, da quell’insieme di opere religiose e civili, che hanno dato ottimi frutti a que’ popoli che primi le sperimentarono. Quelle opere, non solo rianimano i poveri emigrati a proseguire per la loro via più fidenti, sentendosi protetti, ma dicono inoltre agli stranieri, che quegli infelici non sono dimenticati, non sono res nullius, ma parte di una grande Nazione, la quale conosce il dover suo e lo compie, protendendo l’ombra della sua bandiera sovra i suoi figli lontani, soccorrendoli nei loro bisogni materiali ed elevandone il carattere morale colla religione e colla istruzione.

Una buona legge sulla emigrazione potrà sì difendere l’emigrante dalle frodi degli agenti e, fino ad un certo punto, renderne l’esodo meno amaro e meno periglioso, il che sarebbe già molto, ma non è tutto quanto occorre all’uopo.

La legge, dice l’on. De Zerbi nel conchiudere la sua più volte citata relazione, difende gli emigranti, ma non gli emigrati; quindi raccomanda al Governo di tutelare questi efficacemente, «organizzando sotto la presidenza dei consoli i Comitati di patronato, istituendo scuole ed ospedali italiani dove mancano e dove più densa è la colonia italiana, organizzando il credito coloniale, meglio ordinando le linee di navigazione sovvenzionate, estendendo l’istituto delle Camere italiane di Commercio all’estero, e sovra tutto tenendo altissimo nelle regioni di America il livello intellettuale e morale degli agenti consolari e diplomatici ed ottenendo che essi sieno fattori efficaci dello sviluppo dei nostri traffici e della prosperità e rispettabilità delle colonie. La vostra


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parola, onorevoli colleghi, autorevole assai più della nostra, dica ai cittadini che a questa legge, se vogliamo aumentare i vantaggi del fenomeno sociale che ci impensierisce e scemarne i mali, debbono seguire associazioni di cittadini, che ispirati da sentimento filantropico e patriottico, gareggino colle agenzie, istituite a solo scopo di lucro. Esse, se porteranno fiori nel paese dove fiorisce l’arancio, varranno più di qualunque legge

Belle e savie parole, che l’onore nazionale consiglia a tradurre in fatti, unendo, allo scopo santo di redimere i nostri concittadini emigrati dalla abbiezione in cui giacciono, tutti i buoni senza distinzione di parte, poiché il campo che si offre all’azione protettrice è sconfinato, ed aperto ad un lavoro multiforme.

Avanti adunque; e tu, amico, perdona se ti intrattengo un po’ troppo a lungo. L’importanza dell’argomento e il bene ch’io me ne imprometto a favore de’ nostri compatrioti, mi valgano di scusa.

Le nazioni europee, che trassero dalla emigrazione gloria, potenza e ricchezza come l’Inghilterra, la Francia e il Portogallo, e quelle che entrarono di recente a far parte delle nazioni colonizzatrici, come la Germania ed il piccolo Belgio, ci additano la via da seguirsi e i mezzi da usare per raggiungere lo scopo. Tra quei popoli è una nobile gara di governi e società private nel pensare e mettere in opera novelli espedienti, non solo per dirigere gli emigranti, ma anche per venire in aiuto agli emigrati. Dal momento che abbandonano la povera casa fino a quando giungono alla meta, e poi dopo in ogni loro bisogno, la patria, sotto la triplice forma della religione, della politica e della filantropia li difende, li consiglia e li soccorre. E così l’infelice, che forse si disponeva a lasciare la terra natia colla maledizione in cuore, sotto il benefico influsso di quella pietà, muta in parola di benedizione la bestemmia, porta seco quella grata memoria, si incoraggia alle lotte della vita e guarda più fidente in faccia all’avvenire. Anche in mezzo al pericolo, anche quando si sente maggiormente solo fra genti nuove, egli sa che attenta e provvida la gran patria lontana, vigila su di lui. Nel mio citato opuscolo sulla Emigrazione Italiana ho parlato di queste associazioni religiose, patriottiche e filantropiche. Ne trascrivo quasi per intero la pagina, poiché i buoni esempi da imitarsi non sono mai ripetuti quanto basti.

«Le colonie inglesi, mentre danno al mondo civile il maraviglioso spettacolo dei loro progressi materiali e del loro incremento intellettuale ed economico, si mostrano altresì figlie degnissime di codesta cristiana Europa. La Religione vi trova largo campo pel suo apostolato e gli emigrati del vecchio continente


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trovano nel nuovo sacerdoti attivi e zelanti, vescovi pieni di coraggio e di spirito di sacrificio, scuole ed istituzioni ospitaliere, opere pie e tutto quanto può occorrere per la salute delle anime, per la cura delle infermità e per lo sviluppo dell’istruzione.

Così le idee di patria e di nazionalità non si spengono al di dell’oceano, ma si rafforzano pel contatto continuo con maestri, religiosi e sacerdoti, che hanno comuni coi coloni i santi affetti verso Dio, verso la Chiesa e verso la patria. Nel resto il Governo inglese, geloso custode dei diritti de’ suoi connazionali, ovunque si trovino, li veglia e li difende, certo che nella tutela degli individui sta il prestigio del proprio nome.

E all’infuori di ogni azione governativa, vi sono molte società potenti per mezzi e per proseliti, che hanno fondato case, missioni e collegi, ovunque scorgano un interesse da far prevalere. Per le missioni dell’Africa equatoriale, quasi cinque milioni si sono spesi!

La Francia, benché in minor grado che l’Inghilterra ne imitò l’esempio nelle isole oceaniche, che essa possiede, soprattutto ne’ suoi vasti possessi nel bacino del Mediterraneo.

Algeri e Tunisi sono una prova sensibile di quel che può fare la Religione cattolica per lo sviluppo del patriottismo e per la santificazione delle anime nelle colonie; e nessuno ignora quanto merito vi abbia quel grande personaggio che è il Cardinal Lavigerie, il quale dalle risorte mura della gloriosa metropoli africana, tutto dirige con sapienza inarrivabile il movimento religioso delle colonie di Francia. , ove nel Luglio del 1830 non erano che pochi missionari, ristretti fra quattro mura e guardati a vista dalla sospettosa tirannide di un satrapo mussulmano, oggi sorgono tre Diocesi fiorenti, Algeri, Orano, Costantina. La cattedra di S. Agostino fu rialzata dalle rovine, ove l’aveano precipitata le migrazioni maomettane. Dovunque sorgono chiese, conventi, scuole cristiane, orfanotrofi, spedali. L’azione benefica della croce di Cristo consola gli emigrati e li incoraggia, mantenendo fermi i loro principii religiosi e preservandoli dai pericoli della corruzione e dell’apostasia, che a poco a poco li condurrebbero a rinnegare non solo il cristianesimo, ma ancora i loro doveri verso la patria.

Non ha guari ai possessi algerini la Francia univa la vasta e ricca reggenza di Tunisi, e ancora un maraviglioso impulso riceveva l’opera di evangelizzazione e di civiltà grazie allo zelo ed alla saggia direzione dello stesso Card. Lavigerie, divenuto primo metropolita della rediviva chiesa di Cartagine.

Così la Francia spende tesori per tener alta la gloria delle sue colonie e per difendere i suoi figli sparsi nel mondo, sussidiando largamente le missioni cattoliche anche quando in patria osteggia la Religione con empie leggi.

A Lione fiorisce da oltre mezzo secolo l’opera della Propagazione della Fede con carattere internazionale, ma che raccoglie in Francia gran parte de’ suoi mezzi; mezzi che in questi ultimi anni toccarono la cifra di 7 milioni.

Anche il Governo del Portogallo riformò testé e dotò più largamente il Collegio de’ missionari, e studiasi con ogni industria, segnatamente nel Congo, di far prevalere la sua lingua.


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La Germania, che in fatto di colonie si trova nelle stesse condizioni nostre, e dove l’emigrazione è pure grandissima, protegge non solo i connazionali colla energia e sollecitudine proprie di quel potentissimo Impero, ma va spiando fra i mari lontani, sulle coste dell’Africa e delle Americhe un posto adatto per piantarvi la sua bandiera e preparare così a’ suoi figli, che emigrano, una patria nuova.

E per impulso tutto privato si è costituita in Germania una Società per il patrocinio dei cattolici tedeschi emigranti, detta: L’unione di S. Raffaele.

Da un discorso tenuto il 10 Settembre 1874 in Aquisgrana nell’adunanza generale dei cattolici tedeschi dall’illustre e benemerito Sig. P. Cahensly, tolgo le seguenti notizie.

- Questa Società per il patrocinio degli emigranti tedeschi fu costituita in Bamberga nel Congresso cattolico del 1868 e fu riconfermata a Magonza nel 1872 su proposta del principe Isemburg-Birnstein. Scopo della medesima si è quello di difendere con un ben ordinato sistema di protezione gli emigranti dai numerosi pericoli che li circondano, non appena abbandonano il paese natio!

In ogni porto d’imbarco la Società ha un commissario da lei stipendiato, il quale presta gratuitamente i suoi servigi agli emigranti: li consiglia, li dirige, li aiuta sia per il cambio delle monete, sia per gli alloggi convenienti prima dell’imbarco, e, dopo averli esortati a fortificarsi colle pratiche religiose e coi Sacramenti, li abbandona al loro destino, dando loro commendatizie per il commissario, che li attende allo sbarco in America e che ricomincia con loro la stessa opera di carità resa più che utile necessaria dai nuovi pericoli, ai quali si trovano esposti in terra straniera.

Altre Società congeneri fioriscono in Germania, le quali hanno per iscopo di diffondere e mantener viva la coltura e la lingua nazionale. Tali sono, per esempio, il Deutscher Schulverein (associazione scolastica tedesca), che ha la sua sede centrale in Vienna; l’Allgemeiner Deutscher Schulverein (associazione scolastica generale tedesca), che ha lo scopo ben determinato nel titolo stesso: Zur Erhaltung des Deutschtums im Ausland (per la conservazione del germanismo all’estero).

L’una e l’altra di queste due Società contano quasi dappertutto parecchie migliaia di soci, sono piene di vita e ricche di slancio dispongono di somme assai rilevanti.

Anche la piccola Grecia non ha dimenticato i figli, disseminati nelle varie parti dell’impero ottomano, e i Syllogos, società d’istruzione, che raccolgono i loro mezzi fra tutti i greci, amanti del proprio paese, tengono alto il prestigio e la dignità della coltura ellenica non soltanto colle scuole popolari sin negli ultimi villaggi della Tessaglia e della Macedonia, ma con ginnasi altresì e con biblioteche circolanti, e perfino con iscuole di musica.

Quanti e quali esempi!

Quando io lo scorso anno, spigolando negli atti parlamentari, nelle relazioni consolari, nei giornali, nelle lettere private, raccolsi il grido


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di dolore di tanti nostri derelitti fratelli, e accennai, nella pagina che or ora ho trascritto, alle molteplici opere di patronato delle altre nazioni, lo feci nella speranza di eccitare i volonterosi a tentare fra noi qualcosa di simile. Il cuore mi diceva, che per quanto in certe faccende l’Italia abbia perduta l’abitudine di fare, pure, chiamata all’opera, avrebbe risposto in modo degno di sé. Mi era cagione a sperar bene, da parte del clero, il noto suo spirito di sacrificio, per cui numerose schiere di sacerdoti secolari e regolari, d’anno in anno lasciati i parenti, gli amici, gli agi e le dolcezze della vita civile, si portano nelle regioni più remote nelle zone più torride e più glaciali, fra popoli barbari e non di rado antropofagi, sfidando ognora la morte, nel recare a quelle povere genti, coll’evangelio, l’eterna salute e la civiltà cristiana. E, da parte del laicato, quel sentimento spiccato di patriottismo, che diede commoventi spettacoli di fratellanza ogniqualvolta la sventura venne a colpire qualche parte del nostro paese.

Io pensavo: se il clero fornisce eroi, che vanno ad evangelizzare popoli barbari, come non darà i generosi, che con minor pericolo, se non con minore disagio, si rechino ad impartire i conforti religiosi ai nostri connazionali delle Americhe, fra i quali avranno parenti ed amici forse, conterranei certamente? Se per asciugare le lagrime di un’ora, i ricchi e i poveri d’Italia in più occasioni gareggiarono in opere di carità dando gli uni largamente il superfluo, levandosi gli altri il pane di bocca, che non faranno quando si sappia esservi da tergere un pianto, che dura da anni e durerà, se non si provvede, di generazione in generazione? quando si pensi che c’è da togliere una vergogna, la quale ci mostra inetti e ci rende sommamente spregevoli agli occhi degli stranieri?

Spronato da queste considerazioni mi posi all’opera, perché, corroborata dall’esempio, la mia povera parola fosse più efficace. Ben presto mi accorsi che io avevo preveduto giusto, e non solo trovai mani plaudenti e parole di lode, ma, ciò che importa, cuori aperti, anime generose, volontà energiche pronte all’azione.

Primo fra tutti il Sommo Pontefice Leone XIII, che assai di buon grado approvò il nuovo Istituto, e si degnò favorirlo con liberalità degna del suo gran cuore, raccomandandolo altresì con apposito Breve.

Speciale menzione merita quindi la Sacra Congregazione di Propaganda Fide. Presieduta, com’è noto, da quell’esimio Porporato che è l’E.mo Simeoni, e coadiuvata dalle intelligenti e sollecite cure dell’illustre Mons. Domenico Jacobini, non è a dire quanto fosse lieta che le si offrisse di appagare un voto lungamente insoddisfatto. Se la Congregazione dei Missionari per gl’italiani emigranti è oggi un fatto compiuto, si deve in gran parte al suo autorevole appoggio. Anche


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di questi giorni essa nuovo impulso veniva a darle, coll’inviarmene approvato il Regolamento.

Che dirò poi dell’episcopato italiano? Comprese subito, che trattavasi di un’opera sommamente vantaggiosa al bene spirituale e civile de’ figli lontani e vi applaudì con trasporto. Parecchi anzi dei Vescovi degnaronsi raccomandarla con vive parole alla pietà e generosità de’ propri diocesani e, persuasi che il mezzo migliore di ridestare nel clero lo spirito apostolico, si è quello di fornire alle Missioni qualche anima generosa, si dichiararono pronti a lasciar partire quelli tra i loro sacerdoti che intendessero dedicarsi alla santa e magnanima impresa.

I sacerdoti anch’essi gareggiarono alla lor volta nell’offrire l’opera loro, e se vi ebbe difficoltà, fu solo nella scelta, poiché non tutti avevano i requisiti necessari per l’ardua e faticosa missione.

Da ultimo una falange di laici, capitanata dalla benemerita Associazione Nazionale di Soccorso ai Missionari italiani, diede volonterosa il suo obolo, nella certezza di far opera di religione insieme e di patriottismo.

E così che, in meno di un anno, sotto il nome glorioso di Cristoforo Colombo, sorse nella mia diletta Piacenza, primo in Italia, l’Istituto di patronato italiano per gli emigrati in America. E così che nello scorso Luglio 12 missionari, 8 sacerdoti e 4 laici, salparono dai porti di Genova e dell’Havre per New York e per l’interno del Brasile, da dove le richieste di missionari erano più insistenti, e più urgenti i bisogni da provvedere.

Grazie a Dio, la prima spedizione è arrivata a buon porto e, accolta festosamente, ha incominciato l’opera sua di salvezza. Sono appena pochi giorni, ch’io ebbi la consolazione di ricevere notizie telegrafiche della commovente cerimonia di inaugurazione d’una prima parrocchia italiana in America, mercé principalmente il favore di Monsignor Corrigan, arcivescovo degnissimo di New York, che io addito alla pubblica riconoscenza per gli aiuti d’ogni maniera da Lui porti alla nascente istituzione.

Colà i nuovi missionari hanno pure carattere di ufficiali dello Stato civile, vantaggio anche questo non lieve per i nostri poveri connazionali, ignari della lingua del paese.

Ma il mio Istituto, sorto così rapidamente per mirabile accordo di sentimenti religiosi e patriottici, verrebbe a mancare in parte al suo scopo e non potrebbe superare i mille ostacoli che gli si frappongono, né soddisfare a’ molteplici suoi bisogni morali e materiali, senza l’aiuto costante di tutti i buoni. - Ed è per questo, mio buon amico, che io richiamo l’attenzione tua, e, per mezzo tuo, del Governo e di tutti quelli che si interessano del pubblico bene, su quest’opera, cara


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al mio cuore, non solo perché in essa scorgo un mezzo efficace per compiere i miei doveri episcopali verso tanti infelici, moltissimi de’ quali miei diocesani, ma anche perché religione e patria vi si danno la mano e questo è, a mio giudizio, un mezzo pratico, un inizio di quella pacificazione delle coscienze, che è pur sempre uno dei voti più ardenti dell’anima mia. Permetti quindi, amico, ch’io ti parli un po’ a lungo dello scopo di siffatto Istituto, nella speranza di acquistargli un caldo sostenitore nelle sfere in cui si esercita la tua nobile azione.

Nella tornata della Camera dei deputati del 12 febbraio 1879 l’onorevole Antonibon, fra le altre molte desolanti notizie sulle condizioni dei nostri emigrati in America, leggeva una lettera di un colono veneto, il quale, a mo’ di conclusione d’una iliade di guai, diceva: siamo qui come bestie; si vive e si muore senza preti, senza maestri e senza medici.

Ora, da un anno a questa parte, di simili lettere io ebbi a riceverne presso a un centinaio da capi-famiglia, invocanti l’opera proteggitrice del mio Istituto. E non solo lettere mi furono spedite, ma appositi messi da varie contrade del Brasile, affine di perorare più caldamente colla parola la loro causa. Ebbene? sia da quelle povere lettere sgrammaticate e rabescate da firme non intelligibili, sia dalla parola calda di quei messi, traspariva, oh quanto! il bisogno del prete e del maestro; bisogno, che si faceva sentire tanto più fortemente, quanto maggiore era la prosperità materiale delle colonie. Tutti conchiudevano colle desolanti parole del povero emigrato veneto: siamo qui come bestie; si vive e si muore senza prete, senza maestri e senza medici, le tre forme sotto cui si presenta alla ragione del povero il consorzio civile.

Ecco: col mio Istituto di patronato io cerco appunto di soddisfare a questi tre grandi bisogni umani.

Tener viva ne’ cuori la fede dei nostri padri e, colle immortali speranze d’oltre tomba ravvivate, educare ed elevare il loro sentimento morale, poiché, non bisogna dimenticarlo, l’unico trattato di etica del nostro popolo è ancora fortunatamente il Decalogo.

Coi primi rudimenti del conteggio, insegnar nella scuola la lingua materna ed un po’ di storia nazionale e così tener accesa nei lontani fratelli la face dell’amor patrio e ardente il desiderio di rivederla.

Infine un po’ di arte salutare, dando ai missionari, ne’ mesi di noviziato, qualche istruzione sull’uso dei medicinali più efficaci e più comuni, sul modo di prepararli e di somministrarli, e istituendo presso ogni Casa degli stessi missionari, piccole farmacie. - È poca cosa, considerata in sé, ma ben altro quando si pensa la impossibilità di aver medici e medicine nelle immense pianure americane, dove spesso, avvendosene anche la possibilità materiale, non se ne hanno i mezzi pecuniari.


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Trascrivo qui gli articoli dello Statuto della Società di patronato, che parlano appunto dello scopo dell’istituzione, quali furono da me compilati e quali, dietro incarico della Santa Sede, furono approvati da una Commissione cardinalizia.

Accenno a questi particolari, perché si vegga alla prova dei fatti quanta poca verità ci sia nelle asserzioni di certi giornali, che dipingono il Vaticano come avversario implacabile di tutto ciò che sa d’Italia e d’influenza italiana all’estero.

Ecco gli articoli dello Statuto:

1. È istituita in Italia, con sede in Piacenza, una Società di protettorato per gli emigrati italiani.

2. Scopo di tale Istituzione si è quello di mantener viva nel cuore dei nostri connazionali emigrati la fede cattolica, e di procurare quanto è possibile il loro benessere morale, civile ed economico.

3. Questo scopo la Società lo raggiunge:

 Collo spedire Missionari e maestri ovunque il bisogno lo richiegga.

 Coll’erigere ne’ varii centri delle Colonie italiane, chiese ed oratorî, e fondare Case di Missionari, donde possa diffondersi, mediante escursioni temporanee, l’azione loro civilizzatrice.

 Coll’aprir scuole, ove coi primi rudimenti della fede s’impartiscano ai bambini de’ coloni gli elementi della nostra lingua, del calcolo, e della storia patria.

 Coll’impiantare, ove ne sia il bisogno, piccole farmacie, mediante le quali i Missionari, a ciò preparati, possano somministrare i rimedi per le malattie più comuni.

 Coll’avviare agli studi, preparatorî al Sacerdozio, quei giovanetti de’ coloni che dessero indizio di essere chiamati allo stato ecclesiastico.

 Coll’organizzare Comitati nei porti di imbarco e di sbarco, per soccorrere, dirigere e consigliare gli emigranti.

 Coll’accompagnarli durante il viaggio di mare, per esercitare a loro vantaggio il sacro Ministero e per assisterli, specialmente in caso di malattia.

 Col favorire e promuovere tutte quelle associazioni e quelle opere, che si giudicassero più adatte a conservare nelle colonie stesse la Religione cattolica e la coltura italiana.

La parte del programma di più difficile attuazione si è quella delle scuole, e perché dispendioso riesce l’acquisto della suppellettile scolastica,


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e perché troppo spesso manca il personale insegnante, non potendo i missionari attendere sempre a tutto, ed essendo troppo scarso all’uopo il numero de’ laici di una certa coltura, i quali vogliano o possano sobbarcarsi a vita di tanto sacrificio.

Pensando pertanto meco stesso al modo di provvedere, mi balenò l’idea, che ora ti verrò esponendo.

Io non so quale accoglienza verrebbe fatta a questo mio disegno se fosse, per un’ipotesi qualunque, presentato in modo formale alle Camere ed al Governo, vivendo noi pur troppo in un tempo, in cui ogni contatto col clero, anche quando riesca di grande vantaggio al paese, pare un’indegna dedizione; ma sento che è buono, che è attuabile con nessun sacrificio da parte dello Stato e con grandissimo vantaggio degli emigrati. Sento che se nelle assemblee politiche dovesse sempre trionfare ed aver sanzione di legge ciò che è giusto, ragionevole, opportuno e di vera utilità per il popolo, questo mio disegno non avrebbe che ad essere presentato, per raccogliere una votazione memorabile per unanime consenso dei legislatori.

Ma non facciamo dei sogni. Eccoti la mia idea candida e nuda come la verità. È così semplice, così bella, che non ha bisogno dei fronzoli della retorica per presentarsi alla gente per bene.

I giovani seminaristi, che anno per anno compiono il servizio militare in Italia, saranno un centinaio. Ora, che danno sarebbe egli per il nostro esercito, qualora si esentassero dal servizio di leva quei giovani chierici, i quali volessero iscriversi fra i missionari per gli italiani in America? Che strappo sarebbe mai all’eguaglianza di tutti i cittadini in faccia al tributo militare, se i giovani italiani aspiranti al sacerdozio, invece di tre uggiosi anni di caserma, ne facessero cinque nelle Americhe al servizio dei nostri connazionali, cooperanti alla loro redenzione religiosa e morale, soldati a un tempo della Chiesa e dello Stato? Col vergine entusiasmo della loro giovane età, con quello zelo che non conosce ostacoli, colla gagliardia dei vent’anni che non sente fatica, quali apostoli eroici ne avremmo! quali infaticabili maestri! Quale armonia di affetti religiosi e civili in quelle giovani coscienze, che al loro primo affacciarsi alla vita pubblica, sentirebbero sotto forma di un beneficio la mano della patria! Quanta riconoscenza per non essere stati distolti dai loro studi e non condannati per tre lunghi anni ai grossolani quanto inevitabili contatti delle caserme, che li turba e li avvilisce!

Mio egregio amico, avevo o no ragione di dirti, che la mia idea era intrinsecamente buona e che lo Stato avrebbe tutto da guadagnare e nulla da perdere accettandola? Non già con privilegi, non con esenzioni, ma con un semplice cambiamento di guarnigione delle giovani


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reclute del Santuario, lo Stato avrebbe un servizio gratuito di scuole fra le nostre colonie americane, quali le altre nazioni sarebbero costrette ad invidiarci e quali non si potrebbero ottenere neppur con gravissimo dispendio. E nota anche qui, che ove, per un bisogno qualunque, fossero richiamati in patria, al primo cenno tutti ritornerebbero come un sol uomo, perché l’ubbidienza è una delle prime e più nobili virtù del clero, e perché io ne starei mallevadore.

E che la mia proposta sia naturale, discreta, proficua, lo dimostrano più che altro un voto del Senato francese e una mozione del nostro.

Il Senato della Francia repubblicana modificò lo scorso anno la legge di reclutamento ed esentò dagli obblighi di leva tutti i missionari.

Esempio questo molto significante, come è significante la protezione che la Francia volterriana e radicale accorda alle missioni. Tutto si muta vertiginosamente nel governo di quel grande paese ed i partiti che contendono per il potere, si combattono con un accanimento, starei per dire, selvaggio. Ciascuno, nell’avvicendarsi al governo, distrugge l’opera dell’altro con una specie di voluttà; ma nessun Ministero, per quanto radicale, per quanto all’interno persecutore degli Ordini religiosi, toccò mai la vasta organizzazione delle Missioni cattoliche; anzi tanto più le sussidia all’estero, quanto più viva è la lotta all’interno. Gli è che in Francia da mezzo secolo si è potuto sperimentare la forza conquistatrice del missionario cattolico, il quale fra popoli barbari è una avanguardia impareggiabile, fra i conquistati freno potentissimo: hanno visto, più d’una fiata, un drappello di Missionari armati del crocifisso, potere quanto una falange di soldati agguerriti.

Anche nel nostro Senato si fece or non è molto una simile proposta, e il Ministro della Guerra rispose, su tale argomento il Governo non accettare mozioni, riserbandosene per un tempo più opportuno l’iniziativa. Non potrebbe essere questo il tempo e l’occasione opportuna, di tradurre in atto quella savia proposta?

L’arringo che io addito al pensiero ed all’azione del clero e del laicato italiano è, come scrissi altra volta, grande, nobile, intentato, glorioso, e possono trovare in esso un posto condegno, tanto l’obolo della vedova quanto l’offerta del ricco; l’umile attività delle anime più tranquille, come l’impeto generoso degli spiriti più ardenti.

Religione e patria, queste due supreme aspirazioni di ogni cuore bennato e gentile, s’intrecciano si completano in quest’opera d’amore, che è la protezione dei deboli, e si fondono in un mirabile accordo. Le miserabili barriere elevate dall’odio e dall’ira, scompaiono; tutte le braccia si aprono ad un fraterno amplesso, le mani si stringono calde d’affetto le labbra si atteggiano al sorriso ed al bacio, e, tolta ogni


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distinzione di classe o di partito, appare in essi bella di cristiano splendore la sentenza: homo homini frater.

Possano queste povere mie parole essere il seme di opere egregie, che ridondino a gloria di Dio e della sua Chiesa, a bene delle anime, a decoro della patria, a sollievo degli infelici e dei diseredati. Possa l’Italia, sinceramente riconciliata con la Sede Apostolica, emulare le antiche sue glorie ed un’altra aggiungerne imperitura, avviando sui luminosi sentieri della vera civiltà e del vero progresso anche i suoi figli lontani. - Non saprei esprimere altri voti per conchiudere questa mia.

Onorevole amico, ho finito e n’era tempo ch’io non avrei mai creduto, quando presi la penna, di andar così per le lunghe.

Ho finito, e se fossi certo d’aver trasfusa in te la mia convinzione, sarei felicissimo, poiché, colla convinzione, avrei certamente l’opera tua autorevole e sagace.

Il quesito è arduo, ma bello fino alla seduzione e segno che una mente arguta e scevra da pregiudizi partigiani, come la tua, vi si affatichi intorno.

Ho finito, e mi auguro, che queste mie idee vengano discusse con quella stessa serenità di mente e con quell’amore pel popolo, onde furono dettate:

Amor mi mosse, che mi fe’ parlare.

Ed ora abbiti, amico, i miei saluti più affettuosi.




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